mercoledì 28 dicembre 2011

Ultimo

L
a posizione è orizzontale. Soffice il letto, caldo il camicione di flanella, sgombra come uno scarico appena spurgato, la mente. Queste sono le premesse (nonché condizioni essenziali) per dare corpo all’ultimo articolo dell’anno. Non è facile scrivere queste poche righe facendo finta che si tratti di un articolo qualunque. Scegliendo di dare una certa ufficialità alla fine dell’attività per l’anno in corso, il blogger non può e non deve evitare di fare bilanci. Ma con il post di ieri, non avevo detto il contrario? L’istinto vince sempre. La posizione è orizzontale, la musica tortura le trombe di Eustachio ma il Pc è lì. C’è un foglio, c’è l’istinto primordiale di dire qualcosa, di lasciare una traccia. In questo momento mi passa “Giulia” di Gianni Togni, anno 1984, credo. Potrei dedicare questo post alla malinconia dei tempi andati..Nooo troppo triste.. Mi passa anche per la testa un pensiero davvero strambo: mi chiedo chi avrà l’onore di passare allo sportello la pratica “immi” numero 1. Io sono proprio fuori. Cosa mi passa ancora per la testa….Devo riempire il foglio con tutto quello che l’istinto mi suggerisce. Ad esempio, istintivamente mi viene da ringraziare chi sul luogo di lavoro ha saputo capirmi, a volte perdonarmi, e chi mi ha dato la possibilità di crescere interiormente. Sto parlando di luogo di lavoro, e non è qualcosa di incredibile. Ho trovato comunque chi ha dimostrato umanità e sensibilità. Voglio anche ringraziare il mio complicato marchingegno cerebrale che, oltre a produrre le solite prodezze paturniose, mi ha sostenuto, all’occorrenza, grandiosamente. Voglio ringraziarmi ed applaudirmi per essere uscito dalla tempesta emotiva mantenendo un’invidiabile posizione eretta, conservando orgoglio ed autostima a livelli ottimali. Si potrebbe dire che sono pronto. Ma cosa ho fatto durante tutti questi anni? Un pietoso velo di rimpianto si stenda sull’ultimo decennio, si chiuda il capitolo, di grazia. Avete presente le vecchiette pettegole che allungano il collo dalla finestra per capire cosa stia accadendo là fuori? Morbosamente curioso di capire, allungo il collo oltre quella famosa persiana. L’intento, l’obiettivo è rendermi conto se, quanto prodotto dagli ultimi 362 giorni potrà fregiarsi dell’attributo di utile, o ancor meglio, necessario. We’ll see.
 
big_351106_1932__MG_2763_UPD1

martedì 27 dicembre 2011

205 non sono pochi

V
ivo questi sgoccioli di 2011 nella più totale serenità. Ce n’è voluta, ma alla fine sento di godermela tutta. Continuo a ripetere che nulla è cambiato ma sicuramente avverto qualcosa di nuovo che mancava da tempo. Parlo della giusta percezione della realtà, quella che rende tutto decisamente più semplice. Sto trascorrendo queste vacanze alla velocità di un bradipo: mangio ( tanto ), riposo, mi distruggo gli occhi davanti al pc, rimangio, ri-riposo. E non dite che è un vivere noioso perché io è di questa noia che avevo bisogno! Qualcuno mi ha detto che non ha senso prendere ferie se non si ha un progetto preciso tipo un viaggio od altro. Non ha torto. Ma sarebbe ancora peggio dover rinunciare ad un viaggio e stressarsi ugualmente. Sono a casa ma sto bene. Quando vado a letto non mi addormento subito; non sono stanco, potrei stare sveglio ancora qualche ora. E se dopo la lettura di qualche pagina di un bel libro, trovo ancora il tempo per pensare vuol dire che sono davvero riposato. Ieri sera ad esempio riflettevo sui buchi temporali sempre più profondi che si aprono tra un articolo e l’altro del mio blog. Eppure, la cosa più strana riguarda il numero totale degli articoli; quando si aprì la porta del lavoro a Torino la mia prima preoccupazione fu quella di non riuscire più a mantenerlo vivo, il blog. “Oddio e ora? Come farò?”. Ebbene non solo ho continuato a scrivere, ma l’ho fatto con ancor maggiore costanza. Approcciandomi a questa nuova avventura il mio timore maggiore era proprio questo. Preoccuparsi significa occuparsi prima di qualcosa di cui non sappiamo nulla. Attività dunque inutile. Ora sono qui e nonostante tutto il tempo a disposizione riempio queste pagine giusto per colmare qualche spazio. Ne ho già parlato, lo so. Il blog c’è, esiste e continuerà a vivere. Dal momento che lui è lo specchio della mia anima dovrei essere felice quando non ho nulla da scrivere. Vuol dire che le cose vanno bene. E comunque, 205 ( articoli ) non sono pochi. Sono in fase discendente, ancora quattro giorni e poi via, si riparte. Bandisco bilanci e previsioni. Ma mi sia lecito sperare.
 
stilo

giovedì 22 dicembre 2011

La giornata nazionale dell’ipocrisia


D
omani, come sapete, si celebra la giornata nazionale dell’ipocrisia nei luoghi di lavoro. Culmine dell’evento l’ultimo quarto d’ora di servizio. Ritroviamoci dunque nei paraggi delle bollatrici, e diamo inizio alle danze. Lo schioccare dei baci, le pacche sulle spalle, le mani che si stringono e un unico coro: “Buon Natale”. Noi che per un anno non abbiamo fatto altro che parlare male di questo o di quel collega, noi che per un anno abbiamo pregato che questo o quel collega venisse al più presto trasferito, noi che abbiamo anche un po’ esultato quando per quindici giorni d’estate, non lo abbiamo avuto tra le palle. Noi ora, a quel collega, rivogliamo i più cari auguri di Buon Natale! Ma quando mai! Tocca anche a me. Non posso esimermi. Non sono stato molto lungimirante, lo ammetto. Bastava forse chiedere un bel “permessino” ed evitarmi quel momento in cui, ormai con la mente altrove, ci si deve amorevolmente scambiare un sentito “Buon Natale”. Pensate che io non abbia mai tirato peste e corna su questo, quello questa o quella? Ma certo che si! Beh, in ogni ambiente di lavoro esistono sempre uno o più uffici, tappezzati di una squisita tinta rosso fuoco. Quello dei: “E chiudi sta finestra!” “ Tu a me non dai ordini!” “Tu che non hai capito un c**** di come si lavora!”. Il giorno dopo poi rieccoli lì, come se niente fosse. La chiamo ipocrisia buona. Ma come il colesterolo, di ipocrisia c’è anche una versione “cattiva”. La peggiore. Qualche giorno fa ho avuto un alterco con una collega. Sapevo che parlava ( soprattutto sparlava ) di me. Appunto, chi non lo fa? Non si è trattato di una cosa leggera: mi sono detto che forse per me è stata una vera liberazione. Ora, non rivolgendoci la parola se non per lavoro, non avrò bisogno di parlare male di lei e lei di me. Splendido! Mi sento veramente sollevato! E domani, almeno con lei non sarò costretto ad assumere il solito atteggiamento idiota e sarò esentato dal pronunciare la parola magica: “Auguri!”. Ciò non mi eviterà i vari “Buon Natale” di circostanza, ma sono sicuro che alcuni di essi saranno sentiti. Accorrete numerosi dunque, chi ha la sfortuna di partecipare all’evento, non si preoccupi. Dal 1 Gennaio potremo riprendere a parlare male di tutti. Non sono previsti auguri di altro tipo fino al prossimo Natale. Ma nessuno ci eviterà di augurare all’infimo collega magari di…...sbizzarritevi voi. A voi amici del blog invece….un mondo di AUGURI di tutto cuore.
 
immagineasp

mercoledì 21 dicembre 2011

Vietato russare

N
on so se è il momento più opportuno per scrivere. Qualcosa da dire ce l’ho. Ad esempio molto avrei da dire al cafone di turno stravaccato sul sedile accanto al mio che, incurante del fatto che i suoi discorsi del menga non interessano a nessuno, prosegue imperterrito con i suoi discernimenti idioti. Ma, attenzione, quel “buco” di rete tra Trofarello e Villanova d’Asti per una volta mi viene incontro. Il tipo ha appena congedato il suo interlocutore dicendo che la linea va e viene. Bravo, cafone che non sei altro. Nel frattempo è squillato un altro cellulare ( ma allora prende? ). Io non so più cosa fare, non so più come reagire di fronte ad un mondo che sta ormai regredendo a più non posso. Io non so perché la gente non ha neppure una mezza idea di come si debba interagire rispettando i limiti del decoro e dell’educazione. Vedete, nell’arco di un anno, la gente è riuscita a farmi odiare la gente. Non la sopporto più. E ora non mi fido più. Attenzione perché questa potrebbe rivelarsi una “notiziona”; state a vedere che persino Enzo comincia a diffidare. Perché c’è una bella differenza tra essere intollerante e diffidente. Di solito il primo dei due atteggiamenti è frutto di pregiudizi. Io ad esempio non riesco più a sopportare l’idea di dover accettare i russatori da treno. Ma vogliamo discriminarli, o no? Vogliamo dare loro una carrozza così possono serenamente bombardarsi a vicenda? Non sopporto più gli urlatori da treno del mattino presto. Non sopporto la frase di Trenitalia che puntualmente “si scusa per il disagio”. Sono intollerante a queste sciocchezze. Meno ancora tollero i paladini del popolo che si scagliano contro “i fancazzisti a prescindere”. Sono però diventato diffidente. Esempio: mi lascio andare a confidenze, poi scopro di averlo fatto con la persona sbagliata, poi faccio un’altra confidenza e mi pento perché quella persona è in buoni rapporti con la persona sbagliata. Insomma, il circolo è di quelli viziosi. Devo uscirne!Ho scritto questo post al termine di una giornata come sempre rumorosa, farcita di parole il più delle volte inutili e insignificanti. Condita da momenti di vera vita. Pochi. Mi sento sempre più estraneo. Sono un puntino, non conto nulla. Sono già diffidente verso il mondo e l’intera galassia. Ma mi devo relazionare. Come faccio a reggere tutto?
 
russare

lunedì 19 dicembre 2011

Post per colmare 10 minuti di vuoto


N
on scrivo sul blog da circa una settimana. Mi sono chiesto il perché. Incredibile come cerchi disperatamente di dare una spiegazione logica e calzante a qualcosa che può “naturalmente” starci. Non esiste una regola, devo buttare dalla finestra la mia proverbiale e snervante metodicità. Se non ho scritto nulla ci sarà un perché o magari non ce n’è nemmeno uno. Non ho scritto e basta! Ho riempito questi ultimi quattro giorni di un dolce far niente, di un ritmo compassato. Ne ho fatta comunque di strada dall’ultimo periodo di ferie. Me li sono goduti di più, ho fissato il solito punto nel vuoto, consapevole di farlo per il mio bene. Le occhiaie da panda non mi piacciono, la tensione sul volto è evidente. Temevo di essere tremendamente dimagrito ma così non è. Conservo il mio peso, appaio solo più tirato. Sono comunque in fase discendente, nel senso che posso finalmente pedalare con la disinvoltura e l’arroganza di chi ha dato, e ne è orgoglioso. Sto dunque affrontando il tragitto prossimo al traguardo con le mani staccate dal manubrio e incrociate dietro la schiena. La punta di orgoglio nasce dall’aver appreso un bel po’ delle tecniche fondamentali per affrontare il tutto. Appaio ancora palesemente in conflitto con me stesso e con gli altri, ma a contare sono le sensazioni e le mie, sono positive. Come ho già ripetuto più volte non volterò più lo sguardo a quello che è capitato da Gennaio ad ora. Non ho bisogno di farlo e non ho tempo da perdere. Cosa mi resta da fare in questi ultimi dodici giorni? Quattro giorni effettivi di lavoro e poi 8 giorni di ferie. Cosa voglio di più? Ma niente, proprio niente. Ci sarà pure una ragione se ho latitato sul blog. E’ uno di quei momenti in cui stai bene e non hai bisogno di gridarlo al mondo intero. Stai bene e te la godi. Attenzione, non è cambiato assolutamente nulla; è probabile che un rallentamento dei ritmi vertiginosi che caratterizzano la mia giornata sia stato determinante. La mente innesca un meccanismo di autodifesa per cui mi vieta di pensare. Ecco dunque la ragione di questo articolo un po’ sconclusionato, senza capo né coda. Avevo uno spazio di tempo e ho provato a riempire il foglio. Ma se avessi evitato, non sarebbe successo nulla. Esiste anche un Enzo sobrio e leggero.
 
logo_boh_cafif

martedì 13 dicembre 2011

Una giornata così

A
lla fine di una giornata così vorrei fare tante cose. Vorrei piangere; non si deve necessariamente essere piccoli per farlo. E chi pensa che un uomo non può e non deve piangere è un inetto. Non c’è età per farlo. Vorrei piangere per sfogare tutta la mia rabbia e tutte le preoccupazioni che questo maledetto anno mi ha donato. Il mio errore è stato quello di non sfogarmi quando dovevo, ora però la cosa si rende opportuna. Alla fine di una giornata così vorrei abbracciare mio padre, mia madre e dire che voglio loro un gran bene e che spero possano stare con me il più possibile ancora. Vorrei abbracciare l’unica persona che in questi ultimi sei anni mi è stata sempre vicina, sopportandomi, e venendomi incontro ad ogni mio bisogno. Alla fine di una giornata così vorrei gridare al mondo che non me ne frega un emerito cazzo del mio lavoro. Se è proprio il tuo lavoro a far uscire il peggio di te, allora… Vorrei dire che la stima e il rispetto ce li si deve guadagnare e non è colpa mia se nella mia vita ho imparato a rispettare solo i miei genitori. Che se non sei degno/a della mia stima, io ti divoro. Vorrei, alla fine di una giornata così, capire cosa devo fare per vivere. Per vivere senza che il mio stomaco si contragga e la mia testa scoppi, sempre, ogni giorno. Alla fine di una giornata così vorrei poter prendere il primo treno per la mia città che ho tanto bistrattato e poter decidere di non tornare più dove sono stato sbattuto. Vorrei ribadire che non mi sento affatto fortunato per aver trovato questo lavoro. Innanzitutto me lo sono sudato, quindi la fortuna non c’entra nulla. Dove sta allora la sfiga? Nel contorno. E’ un contorno acido, riprovevole, maleodorante, di scarso valore, meschino. Questo contorno mi fa schifo. Alla fine di una giornata così mi sento felice di sentirmi diverso da tutti, diverso dalla massa insopportabile che vive una vita vuota, dove l’unica soddisfazione è quella di sentirsi padroni del mondo e degli altri. Alla fine di una giornata così mi sento distrutto, stravolto, insoddisfatto, arrabbiato. So odiare. E me lo ricordo bene. Quando pensi di essere fatto in un certo modo e, 43 anni te lo hanno dimostrato ampiamente, non riesci ad accettare ogni “deviazione” caratteriale, ogni dimostrazione esponenziale di quella forza sempre sopita. Ma in fondo è qui che esce fuori un uomo con le palle. Anche nel suo linguaggio scurrile, ma vero. Ho solo da perdere probabilmente. Alla fine di una giornata così vorrei dimenticare tutto e dire : “Domani è un altro giorno”. No. Oggi è oggi. E oggi vorrei essere e fare tutte queste cose. Alla fine di una giornata così vorrei cullarmi sulla più bella e soffice nuvola del cielo e sputare pioggia acida sull’intera umanità. Stanotte ho sognato canguri.

foto_canguri_423

lunedì 12 dicembre 2011

Compartimento stagno

C
avoli, ma io ho anche un blog! Me ne ero completamente dimenticato ma sapete, facendo una vita mondana piuttosto intensa, posso mica stare qui a perder tempo mettendo nero su bianco contorcimenti mentali come se piovesse! No, non sono impazzito improvvisamente, e non è stato neppure il weekend trascorso fuori dalle solite mura ad avermi improvvisamente esaltato. Sono sempre io, tranquilli, non credo vedrete o leggerete qualcosa di diverso dal solito, neppure nel caso in cui la mia vita cambiasse radicalmente! A dire il vero, il mio cambio di vita radicale è già arrivato, quasi esattamente un anno fa eppure, sono sempre qui, a sciorinare contorcimenti mentali, paturnie, lamentele croniche. Questa non è altro che la conferma di quanto il mio blog sia, di fatto, un compartimento stagno. Stagnano le riflessioni, stagnano i pensieri mentre là fuori tutto si muove, tutto si evolve. Probabilmente non riesco a trasmettere su questi fogli quel quasi niente di positivo che mi circonda. Ma chi se ne importa. Uscire dalla routine, rendersi conto che, sfidando la stanchezza, si può anche vivere una vita, è una bella conquista. Ho bisogno di sgomitare, di liberarmi del senso di oppressione generato dal tempo che passa, dal tempo che manca sempre per fare qualcosa di piacevole. Non mi sono dimenticato di scrivere, ho solo avuto uno sprazzo di vita. Come ho appena detto non è una questione di cosa succede là fuori. Ma, a proposito di cosa accade nel mondo, diciamo che siamo quasi a Natale. Non sento l’atmosfera, non si avverte in giro, dunque non mi sento in colpa di vivere questo periodo nella pressoché totale indifferenza. Sono stato in una grande città in questi giorni, lavoro in un altrettanto grande centro, ed è sufficiente per rendermi conto di un clima piuttosto “freddo”. Non ho neppure voglia di perdermi nelle solite considerazioni retoriche sul significato vero del Natale, le conoscete bene. Anche quest’anno il Natale porterà la solita consistente dose di malinconia, mi verrà il torcicollo a furia di voltare lo sguardo all’anno che ci sta lasciando. E’ tipico di questo periodo fare bilanci no? Per carità non sia mai. Mettiamola sul venale: mi hanno confermato le ferie di Natale, voglio farmi un viaggetto ed esorcizzare la “maledizione” del 2011. Oppure il fatto che lo abbia accennato mi si ritorcerà contro?

123 tuffo

giovedì 8 dicembre 2011

Voyeurismo

A
volte un po’ di sano voyeurismo non guasta. Dai, non siate maliziosi, mi permetto di usare il termine in senso lato. Curiosità va bene? Lascia meno perplessi? In effetti sono una persona piuttosto curiosa che ama le persone curiose; per la precisione sono innamorato di quelle che ti riempiono di domande intelligenti senza mai immedesimarsi nel ” Freud de no’ altri”. Installare nel blog un widget che monitora i visitatori può avere diversi significati e celare le più diverse intenzioni. Nel mio caso, riesco ( per quanto l’attendibilità sia da dimostrare ) a visualizzare il luogo o l’area di provenienza dei vari lettori. E anche attraverso quale canale giungono al mio blog. Dai, è divertente. Conosco molti dei miei affezionati seguaci; alcuni addirittura personalmente. So che leggono, a volte commentano, a volte no. Poi ce ne sono altri che lasciano spesso la loro opinione e riconosco il loro passaggio. Ultimamente mi piace osservare i passaggi di quelli che spesso ci finiscono qui, e magari per timidezza non danno segni della loro visita. Attraverso il mio widget vedo che provengono quasi sempre dalla stessa area e vorrei menzionarli per rivolgere loro il mio grazie: grazie a te che spesso, attraverso Fb mi leggi da Catania, a te che mi leggi costantemente dall’Olanda ( vorrei tanto fossi chi immagino io, ma non lo so..) . Un grazie a te che leggi da Roma, da Napoli. Menziono solo alcuni di coloro di cui riesco a monitorare il passaggio. So che potrebbe apparire come un voler a tutti i costi cercare forme di approvazione ed apprezzamento. In realtà a volte un commento mi permette di ringraziare espressamente chi passa da me. E grazie a tutti quelli che da poco si sono avvicinati al mio diario e nonostante tutto sono ancora curiosi di leggermi. E’ vero che questo blog è nato per esternare, a prescindere dal fatto che la mia voce venisse o meno ascoltata. Ma le urla a volte sono raccolte da coloro che amano ascoltare, e confrontare il loro mondo con il tuo. Ragion per cui l’interazione c’è, esiste ed e’ produttiva. La curiosità costruttiva è davvero un fiore all’occhiello di pochi. Ed io la apprezzo tantissimo. Si, un po’ di tendenza alla conferma da parte degli altri c’è sempre in me. Ma oggi mi andava di parlare di una diversa forma di curiosità, che ti spinge ad immaginare volti che entrano nella tua vita attraverso un diario e che tu vorresti si fermassero per sempre. Enzo e l’accettazione della fugacità del tutto, non vanno d’accordo.


voyeurismo

mercoledì 7 dicembre 2011

Io ferisco

N
on ho la più pallida idea di cosa mi spinga a tenere ancora questi occhi aperti. Fanno male, sono stanchi, la giornata è stata pesante. Il profondo silenzio che provo a sentire dentro di me quando esco da quella porta maledetta, è un silenzio anche troppo rumoroso. Mi lancia messaggi, mi inietta pensieri che spesso e volentieri sono tremendamente veri. Vedo, ascolto, osservo, sento tanta gente. Troppa. Io non sopporto più il rumore di fondo che disturba i miei giorni. Odio le facce, odio i discorsi inutili, odio i giovani che sono già pimpanti al mattino. Tutto mi infastidisce. Il concetto di rifugio si fa sempre più largo dentro di me. Dove lo trovo un rifugio? Dov’è? A casa mia? Amo alla follia la mia famiglia, c’è e non mi rendo ancora conto quanto sia importante avercela ancora. Ma sono diventato un perfetto egoista, presuntuoso che cerca sempre più la perfezione. In sé come negli altri. Questo è il bandolo della matassa. Sta lì tutta la mia insoddisfazione, la frustrazione, e l’incapacità di gestire i rapporti personali, anche i più semplici. La testa duole, gli occhi si chiudono, sono stanco, distrutto. Sono al buio della mia stanza e non riesco tuttavia a staccarmi da questi fogli. Oddio è questo il mio rifugio. E’ solo questo. Parlo con me stesso, parlo di tutto, mi posso lamentare. Posso persino raccontare di come qualcuno continua a ripetermi che con il mio comportamento “urto”. E’ la trasposizione Italiana di “hurt”. Come si fa ad esprimere un sentimento in una lingua che non è la tua? Mi odio per non conoscere le lingue. Si viene spesso fraintesi: si pensa ad un concetto e se ne esprime un altro. Al diavolo, allora. La stanchezza fa brutti scherzi, mangia le meningi, ma si sa, le ore della sera sono quelle più intrise di verità. Sono quelle che producono i pensieri più profondi. Cosa mi costa rimanere alzato qualche minuto di più se lo utilizzo al meglio come sto facendo? Io ferisco. Cavoli non me ne sono mai reso conto. Pecco di egocentrismo e di superiorità? Sono convinto di essere l’uomo più buono e disponibile della terra? Tutto il contrario. Forse il più stupido. L’idea che ho di me è decisamente elevata. Ma io non ero quello che si sottovaluta? Ma allora chi sono? Io con il mio comportamento ferisco. Non mi piace interpretare alla lettera tutto ciò che mi viene detto, ma un esamino di coscienza è necessario. Per correggermi. Non sono perfetto, sono stupido. Se ambisco alla perfezione, lo sono anche tanto.
 
images

martedì 6 dicembre 2011

Si chiacchiera


U
n tempo era la piazza. Nella notte dei tempi era l’agorà. Oggi si chiama Internet. A voi non darebbe fastidio se, chiacchierando serenamente con un amico in piazza questi vi dicesse: “ Aspetta, parlo con quest’altro che passa e poi riprendiamo”? E non vi darebbe fastidio se mentre state parlando con il vostro interlocutore di un problema importante, questi improvvisamente si eclissa senza darvi alcuna risposta? Cose che succedono nella piazza di Internet, e solo lì possono succedere. Ciò che non vedi, lo immagini. Non so perché negli ultimi tempi io mi sia avvicinato alla chat, ma credo sia un test fondamentale per misurare il livello di comunicazione ai giorni d’oggi. La piazza è ormai questa, sempre più questa. L’altro giorno, mentre chiacchieravo ( o pensavo di farlo ) con una persona, non vedendo alcuna risposta ai miei discorsi, mi sono chiesto se effettivamente stesse ascoltando. Incredibile! Nel frattempo stava facendo altro! Non mi sono certo indignato per questa cosa, ma mi sono fatto una grassa risata al pensiero di come si possa realmente credere di intavolare un discorso, facendo contemporaneamente più cose. Quando tempo fa dedicai un post all’esclusiva, mi sentii subito dopo un tantino idiota. Ma a pensarci bene, la qualità è sempre meglio della quantità, no? Se io decido di dedicarmi ad una persona, anche solo per una breve chiacchierata virtuale, lo devo fare con spirito e volontà. Pretendo di essere il tuo unico interlocutore, pretendo di meritare attenzione quando parlo! E’ triste constatare come il meccanismo della piazza virtuale ci voglia vedere interagire tutti, quasi simultaneamente. Ma è un vero casino! Lo so, esistono ancora le piazze, i luoghi di ritrovo, i divani dove raccontarsi un po’ di vita sorseggiando un buon vino. La mia riflessione è limitata alla pochezza di livello di un’interazione che è del tutto superficiale. Non so perché mi sono avvicinato alla chat. Forse per migliorare la lingua Inglese, forse per provare il gusto di un’interazione immediata. Ma ad un sentimentale ( a volte lo sono credetemi! ), emotivo come me, tutta questa freddezza fa calar le braghe. Poi mi dicono che io non accetto le differenze. E’ che potenzialmente siamo tutti capaci di dare e ricevere molto. La voglia di comunicare c’è. Ma è questo il modo giusto per farlo?


Chatroom-Icon

domenica 4 dicembre 2011

Tecnologia wireless

D
a quando ho comprato un paio di cuffie wireless ci gioco come un bambino. Ascolto musica muovendomi con disinvoltura tra le stanze, sfrutto il microfono incorporato, chiacchiero più del solito in chat. Udite udite, sto buttando dalla finestra la mia proverbiale timidezza e comincio pure a farmi vedere. Sono momenti così. Come spiegarlo senza passare per pazzo? Ci sono fasi in cui sono preso da qualcosa, mi piace, ci credo pure che possa portarmi un po’ di felicità, un momento di piacevole serenità. Ci credo, me ne convinco, ed è a quel punto che poi tutto mi passa. Io sono fatto così. Ci provo ad avvicinarmi alla convinzione che c’è qualcosa di vero nel mondo virtuale, e quando sto percorrendo l’ultimo chilometro, crollo. Non ci credo, è del tutto inutile che provi a convincere me stesso. Si chiama masochismo, non esistono altri termini. In fondo sta a noi scegliere o meno se spianarci la strada verso la progressiva disillusione, la delusione ed infine, il disincanto. Sono ben lunatico. Sfrutto il mezzo, anche troppo ma non accetto le delusioni. Qualcuno mi ha pur fatto notare che non siamo tutti uguali e che probabilmente non accetto le differenze. Ma ammesso che ognuno di noi possiede aspetti che lo rendono agli occhi altrui tanto amato quanto odiato, perché mai devo essere sempre io a rispettare gli altri? E se qualcuno magari rispettasse me? Non ci starebbe male come cosa. Ma torno alle considerazioni di un mio recente post nel quale elogiavo il non aver bisogno di niente e nessuno come condizione primaria della felicità. Per un umano questo è normale; per quasi tutti gli umani. Ma non per un alieno. Io dunque faccio fatica a credere di non aver bisogno di nulla per stare bene, ma è sicuramente la condizione mentale principe per non essere tentato dalla voglia di mandare a fanculo un po’ di gente. Il livello è decisamente basso. Per quanto tu sia intelligente da mandare messaggi subliminali, questi non vengono recepiti. Non ci arrivano! Ma come fai Enzo, a non metterlo nella testa? I messaggi subliminali arrivano solo a coloro che non aspettano altro. E che li sanno leggere. Cronaca di una Domenica sera da Optalidon. L’emicrania è forte. All’amica Elena, che lo ha richiesto, dedico questo post. Le eccezioni esistono. Comunque le cuffie wireless sono una bella invenzione.
 
CUFFIE WIRELESS PER IPOD NANO

venerdì 2 dicembre 2011

Quieto vivere

O
nestamente parlando, ho un gran bisogno di protezione. Non è un discorso di coperta, guanciali, calore umano. Ho estremamente bisogno di sapere se il mio modo di vedere le cose e di vivere la vita è normale; voglio sapere se la mia è una visione arcaica (e dunque è il caso di svegliarmi), oppure se posso procedere a testa alta. Questa settimana sono stato protagonista, mio malgrado, di situazioni molto imbarazzanti. Ho messo del mio, ma credetemi, qualcuno mi ci ha tirato dentro. Sono un essere tranquillo, magari logorroico, ma dimostro pazienza e calma. Attenzione, spesso si tratta di facciata. Sono sostenitore della teoria del “quieto vivere” perché ho realmente paura delle situazioni burrascose, dei litigi, delle voci che si alzano. E in nome del quieto vivere spesso mi astengo dal ribadire le mie posizioni. Ma sono un uomo che, come tutti, ha soglie di sopportazione superate le quali la voce, la alza. Mai però come negli ultimi tempi le mie reazioni condizionate, hanno sfondato il muro dell’offesa. Non manco di rispetto, anche quando la persona non ritengo sia degna di esso e stento tuttavia a imporre il mio punto di vista. Cosa succede dopo? Qui sta il bello: istintivamente, alla fine di una discussione sono sempre portato a ristabilire necessariamente gli equilibri, non mi piace che la situazione “negativa” si protragga troppo a lungo. Quieto vivere. Che poi, in un ambiente di lavoro, deve essere così: si può dover aver bisogno di quel collega, meglio mantenere buoni rapporti, di facciata, ma buoni. Ora, provate a smorzare i toni e ad alleggerire una mattina di lavoro. Come? Non so, vi capita di ironizzare su qualche sgrammaticatura del collega, su di un marchiano errore sopra un documento. Il bello è che non si sa chi sia, potrebbe essere chiunque. Che bello, abbiamo sdrammatizzato. Bello un corno; qualcuno si è preso la briga di andare a riferirlo e mi sono trovato la collega dietro a dirmi che lei, non ha potuto studiare nella vita e che è orgogliosa dei suoi errori. In altre occasioni sarei sprofondato. Questa volta no. Non ho riso di lei, ho riso di uno strafalcione. Come molti ridono delle mie cazzate allo sportello. Morale della favola: farsi gli affari propri è un’arte. Pochi l’hanno coltivata. Io, mantengo alto il mio livello, sebbene ci sia un ambiente che a tutti i costi, cerca di trascinarmi verso il basso. Continuo a pensare che non sono poi così arcaico. Mi proteggo da solo, ci credo, mi convinco. Non può essere tutto così squallido.
 
4818822800_513990bd36

martedì 29 novembre 2011

Lo squarcio

I
l patatrac di Venerdì sera ha improvvisamente squarciato la corazza che avevo ( o creduto di avere ) costruito a difesa del mio fragile sistema emozionale. E come un fiume che rompe gli argini, in quello squarcio hanno finito per confluire con potenza esponenziale tutte quelle negatività, quelle paure che, mi ero illuso di aver tenuto a bada lungo tutto il percorso di questo anno. Il principale quanto immediato effetto collaterale è stato un brusco abbassamento di ogni forma di difesa, un crollo del livello di autostima, la perdita delle certezze acquisite a fatica. Ne hanno fatto le spese le persone che (in modo casuale o perché da me cercate ) si sono imbattute sul mio percorso. Mi vergogno quasi a parlarne. L’immagine di Enzo nel corso delle 24-36 ore successive all’evento era bieca e deprimente. Un’immagine che al solo pensiero mi fa inorridire. Il mio rapporto con il prossimo è sempre stato in parte di facciata allo scopo di evitare che ( conoscendomi ) il mio malessere ciclico finisse per rendermi comunque insopportabile. Per anni ho sperato di attraversare un momento, che arrivasse il momento in cui, raggiunta la serenità mi sarei potuto rapportare con gli altri in modo del tutto positivo. Quando è arrivato il lavoro a Torino ritenevo che quel momento fosse finalmente arrivato. Ma non è stato così. Enzo è ancora un essere terribilmente fragile, pieno di insicurezze, ancora alla ricerca dei suoi punti di forza. Ancora incapace di vivere prescindendo dal giudizio altrui. Quasi 48 ore dopo l’apertura dello squarcio, a fare defluire tutto ciò che di marcio vi aveva trovato posto, ecco un incredibile senso di calma, una non immaginata tranquillità accompagnata da una diversa ( o meglio ) migliore percezione del mondo. Sto affrontando questi giorni con rinnovata positività. Ci voleva probabilmente quel Venerdì, era necessario che lo squarcio si aprisse. Una delle maggiori conquiste di questi giorni concitati è proprio la consapevolezza del non aver bisogno di nulla o meglio, di non aver bisogno di lamentarsi. Ottimo punto di partenza per una visione della vita più leggera. Gli altri: ne ho parlato come se fondamentalmente io stessi bene anche senza di loro. Non è proprio così: Probabilmente non è il caso che cerchi ostinatamente per poi risultare contraddittorio. Quindi io sto bene così, al momento. Cambiare idea è anche sintomo d’intelligenza.
 
images

domenica 27 novembre 2011

Bertrand, amico mio

G
iorni agitati, giorni arrabbiati, giorni di istintive promesse di cambiamento. Giorni in cui il tunnel nel quale sei finito sembra avere soltanto una immaginaria luce bianca là in fondo. Quella luce è semplicemente dipinta sul muro. Giorni in cui giungi a conclusioni che dovresti scolpire nella pietra perché tornino utili al momento opportuno. Ciò di cui ti lamenti è anche ciò che rifuggi quando ti viene concessa un’opportunità. E allora? Ma non ti rendi conto che nella tua profonda tristezza tu in realtà sei felice? Pongo e ripongo la stessa questione: “ Fermati, e pensa a ciò di cui hai bisogno”. Affetto, amore, compagnia, o cosa? Di tutto questo ho bisogno. Ma forse anche no. Credo di provarci un insano gusto a lamentarmi, ad attirare l’attenzione degli altri su di me. E quando qualcuno veramente mi tende la mano io rinuncio. Non voglio sentire persone che mi dicono cosa fare e cosa non devo fare. Moralizzatori all’occorrenza. Non mi fido di me stesso e di nessuno, la conclusione alla quale sono arrivato è che sto bene, sono felice e sereno. Da solo. Ricordo di un aforisma che, a leggerlo tempo fa, mi sembrava di una completa idiozia. Esso diceva: “ non possedere qualcosa che si desidera è una parte essenziale della felicità”. Aspettate che vado a vedere chi ne è l’autore: ecco, Bertrand Russell. Bertrand, vecchio mio, te la appoggio in pieno. La sostanza della felicità sta nell’essere consapevoli di ciò che si ha. Io cerco e non so cosa cerco. Io affermo di avere bisogni e poi in realtà non ne ho. L’aspetto più divertente di tutto questo casino esistenziale che mi attanaglia è che a pensarci ancora meglio, cerco il riflesso di me stesso. Agogno confrontarmi con chi potrebbe empaticamente capirmi nella mia totalità. Ma perché vado in giro dicendo che ho bisogno di persone positive intorno? Ah ma è una menzogna colossale!!! Non riesco ad essere ottimista, non riesco a vedere la vita secondo il punto di vista di chi l’ha sempre vista così. Perché, Dio mio, perché devo a forza smussarmi? Perché devo vedere il bicchiere mezzo pieno? Risvegliarsi una domenica mattina e rendersi conto di essere felice. E’ possibile, basta inchiodarsi nella testa che tutto ciò che dici di non avere ( lamentandoti), in realtà o ce l’hai ( e non te ne accorgi ) oppure non lo vuoi proprio. Aspetta aspetta, vado a scolpire tutto questo nella pietra.
 
220px-Russell1907-2

mercoledì 23 novembre 2011

Accidia

P
roviamo a sovrapporre le dodici ore che quotidianamente trascorro fuori casa ai dodici mesi dell’anno. Questo Novembre profuma dello stesso odore di pigrizia e stanchezza che pervade il vagone del 17.20. Dall’inizio dell’anno non ho mai provato così tanta stanchezza, non sono mai stato avvolto da una tale accidia. Penso ( spero ) si tratti di qualcosa di assolutamente naturale, quasi fisiologico. Il sonno accumulato non è mai stato realmente recuperato, la voglia irrefrenabile di vita quasi sempre ha cozzato con altrettanto desiderio di relax e mancanza di stimoli reali. Ed ora che sono sul treno di Novembre, aspetto la doccia di Dicembre. Poi, da Gennaio se ne riparlerà. Ma non è il passaggio al 2012 che può materialmente portare ad una svolta: se andiamo a guardare, più vado avanti più il sonno arretrato prenderà consistenze esagerate, più vado avanti e più la mia voglia irrefrenabile di vita sbatterà addosso agli stessi ostacoli. Il conto non torna e mai tornerà. Ragione in più per vivere quotidianamente ciò che c’è da vivere. In fondo sono problematiche che vengono a galla nei rari momenti di “ferma”, quando ti butti a cercare qualcosa che possa compensare una mancanza e ti rendi conto che non serve a nulla. Viene spesso voglia di spaccare sotto i piedi questo maledetto pc, poi pensi che lui non ha colpa; che lui è lì e basterebbe non farsi prendere dalla tentazione di accenderlo. Che basterebbe uscire di casa un sabato pomeriggio e farsi una bella passeggiata, una corsetta al parco. Che forse sarebbe meglio una domenica in visita ad un paesello piuttosto che guardare in faccia qualcuno beandosi di essere in linea con l’altra parte del mondo. Basterebbe staccare la spina, ma quella vera, che tiene in vita questo schermo. Poi ti autogiustifichi dicendo che durante la stagione fredda non c’è voglia di uscire, e quindi a casa, davanti al pc si sta anche bene. Sono pigro, pigrissimo. Ragazzi, non ho proprio voglia di far nulla. Mettetela come volete ma si fa fatica a muovermi. Probabilmente avevano ragione quelli che un anno fa mi dissero: “ Te ne accorgerai, non avrai più una vita”. Ho voglia di una doccia calda e si chiama Dicembre. Poi si vedrà.

 
fa563e3adc57eb04557b6e75750fc5a6

lunedì 21 novembre 2011

Domenica sera

U
na birra e un vecchio amico. Adesso ditemi voi se chiedo troppo. Il Venerdì arriva e ogni santa volta impongo a me stesso un chiaro proposito: “relax”. Ok, poi ( ammesso che riesca nell’intento ) si avvicina la sera della Domenica. Ecco, è in arrivo sul binario 1 la coscienza. Ieri, spulciando tra i vari aforismi ne ho trovato uno nel quale mi ci sono completamente riconosciuto: parlava di “noia esistenziale” e in sostanza diceva che essa rappresenta il punto di partenza per nuove scoperte e nuove esperienze. Si si, ci sto, mi piace. Noia esistenziale, non ci avevo mai pensato. Posso ritenermi annoiato da questa vita? Ma certo, chi non lo è! Il punto di partenza verso nuove scoperte e nuove esperienze è qui: non chiedo di partire subito in quarta nonostante di punto in bianco mi scatti pure la voglia di volare. Adesso non esageriamo. Il mio punto di partenza è sempre di basso profilo, chiedo dunque qualcosa che di più umano non c’è: condivisione. Capita che quelle Domeniche sera così melanconiche debbano essere riempite da presenze reali, persone a cui raccontare com’è andata la settimana, persone da ascoltare, davanti ad una birra, ad un buon bicchiere di vino. Non sapete quanto sono fortunato di poter stare in quattro a tavola, la sera delle domeniche d’inverno. C’è familiarità, c’è protezione. Ma come, non mi basta? Da qualcosa devo pur partire ma alterno ancora troppo di frequente momenti di pia illusione telematica e brusche ricadute nella vuota realtà. Ci si può sentire soli in mezzo a tanta gente? Tendo ancora troppo spesso a rifugiarmi nel sistema più moderno di comunicazione che può essere anche il più alienante. E ancora adesso mi sento prigioniero di un mondo che non è il mio perché ancora faccio fatica a stare davanti ad una webcam. Imbarazzante. La mia noia esistenziale è un vuoto reale che non sarà mai una chiacchierata virtuale a riempire. Sotto certi punti di vista da un anno a questa parte non è cambiato proprio niente. Chi leggeva le mie elucubrazioni tempo fa non noterà sensazionali differenze. Voglio partire da una birra, da un vecchio amico. Mattina del 21 Novembre 2011, ore 7.05 Si può già essere così atrocemente riflessivi? Qualcuno mi svuoti il cervello.
 
9022985

domenica 20 novembre 2011

Dai, e prendilo quell’aereo..


S
timoli stimoli e stimoli. La questione è tutta lì. Dove ci portano? Lontano, e ne sono convinto. Prendete la mia atavica paura di volare; non ci ho mai dato peso, soprattutto quando la mancanza di finanze ti impediva persino di immaginare un ipotetico viaggio. La giustificazione era pronta: non ci sono soldi, ho paura e tanto non posso permettermelo. Prendete ora la mia voglia di viaggiare e di liberarmi delle ragnatele che da tempo mi stanno avvolgendo. Aggiungete la sopraggiunta e tanto agognata indipendenza economica. Posso farlo! Oh Dio, adesso non posso più farne a meno, devo farlo! Non ho più scuse. Ora, non sempre il desiderio di conoscere posti nuovi può risultare sufficiente. Con chi farlo? Da solo? Ci può anche stare ma nonostante ne abbia più volte ventilato la possibilità, stento a convincermi. Da qualche tempo mi sto divertendo ad usare Skype. Vincendo la mia proverbiale timidezza sono passato dalla semplice chat, a quella vocale e finalmente all’uso della webcam. Mi diverte! Non ho molto tempo per stare ore in video ma mi piace l’idea di poter dare una mano al mio Inglese malato e allo stesso tempo fare nuove conoscenze. Lo stimolo sta lì. Se come molti affermano, il senso di un’amicizia sta anche nella concreta possibilità che ad essa si dà di diventare reale, perché limitarsi in nome dell’atavica paura? Io sono un diesel. Ce ne impiego eccome di tempo a carburare: i miei passi sono lenti, compassati. L’esperienza di questo 2011 mi dice che non c’è spazio per programmi a lungo termine. Ma la fantasia, quella, non mi manca. E allora mi concedo di immaginarmi seduto ( e terrorizzato ) all’interno di un aeromobile pronto a spiccare il volo. Non so quante volte avrò fatto questo discorso. Il post l’ho scritto per parlare di stimoli: quelli ci sono, non ci sono dubbi; a questo punto non posso fare altro che vincere la paura. Anche per dare un senso alle nuove conoscenze, anche per scoprire che se si può, si deve. Probabilmente questo articolo rimarrà come sempre lettera morta, rimarrà lì tra le tante cose dette e mai realizzate. Ma, tra viaggi devastanti su Trenitalia e fine settimana all’interno di quattro mura, qualche stimolo in più dovrei averlo.

aereo002-1

sabato 19 novembre 2011

Linea morbida

P
ur non volendolo, oggi sono nostalgico. La mattina del Sabato inizia con il rito della palestra. Dieci anni fa un amico di scuola incontrato dopo altrettanti dieci anni di buio, prese in gestione un bar all’interno di un circolo con annessa palestra. Io all’epoca non sapevo nemmeno cosa fosse una palestra. Anzi, a dirla tutta odiavo l’idea di trovarmi in un luogo che aveva creato lo stereotipo del tutto muscoli e niente cervello. Ma provai, e da allora il rito si ripete. Poche volte, purtroppo. Questa mattina le mie corse ed i miei esercizi risultavano ben ritmicamente scanditi. Tutto avveniva al suono inconfondibile della musica degli anni 80. Per un attimo, ho pensato che mi sarei pure messo a ballare, se non ci fosse stata altra gente intorno. Io non metto piede in una discoteca da oltre 6 anni e sebbene io ormai sia alieno ad un certo tipo di ambiente, non mi tirerei indietro a chi mi offrisse una serata tutta dance. Ma solo ed esclusivamente se il ritmo è quello di mitici 80. Bene, vada per un po’ di nostalgia in questo Sabato tutto nuvole e niente nebbia, nel quale l’unico e primario intento è quello di riposare membra e cervello. Elemento di novità, a spezzare l’apparente monotonia, qualche avvisaglia Natalizia che ritorna nelle prime musichette di sottofondo alle pubblicità. In questo momento ciò passa del tutto inosservato. Accolgo con grande sorpresa la linea morbida di questo ultimo spezzone dell’anno, quasi avessi impostato l’opzione defaticamento sul tapis roulant. Devo ragionare a compartimenti stagni, è necessario per fare un punto ( il più obiettivo possibile ) della mia situazione. Il lavoro è quel che è con le sue problematiche ormai ripetitive fino alla nausea. Sappiamo tutti che quello è un sistema stagnante e paludoso nel quale o ti mangi la minestra oppure sai bene la fine che fai. Non è un segno di resa il mio, è la sintetica visione della cosa opportunamente raffrontata con ben altre problematiche: quelle al di là della porta antincendio. Mio padre sta proseguendo nella sua cura radioterapica. In fondo finché si è in gioco si deve giocare, e lui lo fa con la sua proverbiale tranquillità e senso pratico. Per noi che gli stiamo intorno un momento di apparente tranquillità dopo mesi di grande coinvolgimento. Siamo sempre nella solita barca, ma le acque ora sono calme. E vada per questo Sabato dall’aspetto anonimo. Mica può e deve sempre accadere qualcosa di cui io debba lamentarmi, no? Giuro non mi lamento, almeno fino a domani.

discesa-rocca-di-papa1

venerdì 18 novembre 2011

Anche le gazzelle nel loro piccolo si incazzano

D
a piccolo non ero goloso. Ricordo che nei pomeriggi estivi (passati quasi interamente in cortile con gli amici di sempre), mia madre spezzava la mia voglia di vivere e giocare con un panino. Era l’ora della merenda. Burro e acciughe, a me piaceva tanto. Ho una vecchia foto del mio primo compleanno nella quale sono intento a tagliare la torta; in un’altra la divoro impiastricciandomi il viso. Ma io non ricordo, anche negli anni a venire, di una mia passione per i dolci. Un’amica alla quale un giorno confessai di non essere goloso di Nutella mi additò: “Tu non sai vivere”. Oggi la Nutella fa parte della mia colazione quotidiana, due fette di pane che ingurgito alle 6 del mattino. Ci sono ben altri orari per godere di questo piacere ma a me non è concesso. Capita che, quando il barattolo di vetro sta per finire, con il cucchiaio cerco disperatamente di raccogliere quanto rimane fino all’ultima palettata. Non chiedetemi il perché di questa premessa. Chi mi conosce sa che i miei discorsi hanno introduzioni che partono dalla notte dei tempi. Ci ho pensato oggi, mentre a Porta Nuova aspettavo il treno, dopo il lavoro. La metafora del vasetto di Nutella a cui cerchi di togliere tutto, fino in fondo, fino a renderlo pulito. Scavi scavi e scavi. Non solo i bambini sono golosi, anche gli adulti. Il loro barattolo di Nutella spesso siamo noi: siamo dolci, spalmabili, andiamo bene a qualsiasi ora. Tanto il dolce è qualcosa che torna sempre bene. Ci sono gazzelle incazzate negli ultimi tempi. Ci sono barattoli di Nutella che ormai sono quasi del tutto vuoti eppure, i golosastri sono lì a cercare di pulirli a palettate. Non mi piace vedere gazzelle incazzate. Non mi piace sentirmi un barattolo di Nutella. Eppure i tempi sono questi. Siamo alle solite. Io non credo che ci si potrà permettere di pensare che le gazzelle continueranno a correre senza fermarsi. Io non credo che una volta svuotato, il barattolo di Nutella potrà facilmente essere gettato nella spazzatura. Qui la situazione non mi piace. La metafora sembrerà banale ed idiota ma ci sta, me lo riconoscerete. Io sono un po’ stufo di sentirmi gazzella e barattolo di Nutella al tempo stesso. A questo punto mi attendo una reazione d’orgoglio. Sempre rimanendo dell’idea che sentirsi un po’ barattoli di Nutella ci può stare se si contestualizza la cosa, non mi va bene che si possa pensare che la cosa andrà avanti a lungo. Forza e coraggio gazzelle, incazzatevi. Vediamo cosa succederà. 

 
310px-Gazzella_che_rincorre_Powell

giovedì 17 novembre 2011

Nebbia

M
amma mia, quattro giorni che non scrivo nulla. Non mi accorgo del tempo che passa tanto è (sempre più) frenetica la vita che conduco. Sia bene inteso, parlo di quella “vita” che non ha niente a che vedere con la realtà. Il lavoro non è vita, ne fa solo parte; salvo casi eccezionali ( come il mio ) in cui, vuoi per l’incapacità del soggetto, vuoi per cause di forza maggiore, quelle 8 ore finiscono per rompere gli argini dell’ufficio e maledettamente ti costringono ad uno straordinario non voluto. La nebbia. Voglio parlare di lei perché con lei mi alzo e con lei mi addormento la sera da almeno una settimana. Nebbia il più delle volte significa: dolori alle ossa, emicrania, temperatura percepita inferiore a quella reale, grandi disagi per chi è obbligato a vedere dove sta andando. Essa spesso regala un’immagine distorta della realtà, ti inganna, ti disorienta. Può darsi poi che vada pure ad insinuarsi là, dove idee ed opinioni stanno di casa distorcendo anche quelle. Ci sono persone dal cervello annebbiato. Di ognuno di noi riescono a stento a scorgere la sagoma, la scorza, i tratti distintivi. Ma solo quelli superficiali. Per diversi anni ho avuto l’ingenua presunzione che gli altri capissero chi fossi realmente. Non era possibile che non ci riuscissero, sostenevo; mi riferisco in particolar modo a coloro cui avevo dato molto di me, quelli che sapevano chi avevano davanti. Invece con l’andar del tempo ho capito che non è così, che la gente si ferma lì dove può arrivare. Ed anch’io ho cominciato a fare lo stesso. Perché sforzarsi di capire gli altri? E perché arrabbiarsi se gli altri non arrivano ad intendere ciò che sei? Accettazione consapevole, e reciproca. Ultimamente non mi costa nulla portare avanti la mia immagine superficiale. Tanto so che, in quel breve spazio di vita che mi rimane al di là del lavoro, io sono Enzo. Non pretendo che chi non mi conosce veda ciò che non gli è chiesto di vedere. Partendo da questo presupposto tutto diventa più semplice no? Nessuno sforzo da parte di mia, nessuno sforzo richiesto agli altri. Chi se ne importa quindi della nebbia; continuo a lamentarmi di quella inevitabile. Non ho chiesto io di nascere qui, tra due fiumi, ma ci può stare. Di quella che offusca il cervello e la vista di molte persone beh, che dire, non c’è sistema o marchingegno tali da risolvere loro il problema. Attenzione però: prima o poi capita di sbattere.
 
340px-Nebel_in_der_Region_Rhön_01386

domenica 13 novembre 2011

Un bel respiro

I
eri mi sono concesso un’uscita serale. Tanto è inutile che continui a lamentarmi; non ci sarà mai (di certo) un fine settimana nel quale avere un aspetto presentabile. Sarà sempre così, almeno fino a che sarò a Torino. Se guardo il mio stato mentale e fisico al Venerdì sera, ogni weekend lo passerei coperto da ragnatele sempre più spesse. Nella mia mente passa di tutto non appena sopraggiunge la crisi esistenziale. E’ qualcosa di ciclico. Penso ad esempio alla concreta possibilità di cambiare lo stato di cose; ne traggo la conclusione secondo cui ciò è strettamente legato al mio progressivo avvicinamento a casa. Succederà: magari non a breve, ma succederà. Lo imporranno non solo le mie esigenze ma anche ( e soprattutto ) quelle delle persone che ho più vicine. Di qualità della vita avevo già parlato tempo fa, quando fui preso da sconforto in un momento di particolare tensione emotiva. Ne avevo concluso che, pur essendo nel diritto di lamentarmi, ciò non avrebbe sostanzialmente mutato le cose. Ed infatti tutto è sempre tremendamente uguale. Ne ho preso coscienza ma ho i miei bei cedimenti: non sarei un uomo se non li avessi. Ed è a questo punto, quando le difese si abbassano paurosamente, che si aprono pericolosi varchi per il passaggio delle paure più recondite. Lo stress accumulato in particolare in questa ultima settimana ha acuito il mio senso di disagio sul lavoro. Guai, ripeto, guai al mondo se cominciassi a perdere quella percezione e predisposizione positive che, hanno permesso di superare ogni difficoltà fino ad ora. Me ne accorgo quasi subito. Più divento indisponente, più certe persone e certe situazioni cominciano ad infastidirmi, peggio è. Ogni giornata lavorativa si trasformerebbe in un inferno, ogni occasione sarebbe buona per scatenare rabbia repressa ( e ne ho un bel po’!! ). Si rende dunque necessario un momento di riflessione. Mi fermo, faccio un bel respiro, e riparto subito. Riparto dalla necessità evidente di riappropriarmi di ritmi a me più consoni. A cominciare proprio dal lavoro, dove si sa, tutti sono utili ma nessuno ( ripeto NESSUNO ) è indispensabile. Calma Enzo, calma. Non dico di fare le capriole, non dico di non lamentarmi, non dico neanche di essere soddisfatto. Ma, la vita è la fuori. Me lo sto ripetendo in continuazione. Occorre fare qualcosa per renderla più piacevole: gli sforzi devono andare in questa direzione e non verso una causa che non merita nemmeno un attimo di paura.
 
respiro[4]

venerdì 11 novembre 2011

Brancolando

P
rendetelo come uno sfogo. Non vedevo l’ora di sedermi davanti a questo foglio; a volte scrivere ciò che penso mi aiuta a fare chiarezza, a capire se certe reazioni e considerazioni siano frutto dell’istinto oppure no. Se mentre scrivo mi accorgo di “ragionare” vuol dire che la mia iniziale presa di posizione non era corretta. Settimana allucinante, per condizioni ed intensità di lavoro. Venerdì: non riesco a fare quell’operazione di architettura mentale che consiste nel vedere il Venerdì non come “coda” della settimana ma come portone verso il weekend. Normale che si arrivi a questo giorno stanchi. Ma è la prospettiva a dover avere la meglio. Non ce la faccio. Venerdì per me è il risultato finale, il conto a fine pasto quando, a pancia piena, non hai molta voglia di alzarti. Eccolo lì, è sempre un problema di predisposizione mentale. E me le tiro poi. Arrivo a Porta Nuova; chissà perché vado contro “norma” e decido di prendere il 52. Non passa. Prendo la metro, ci salgo su e....Guasta! Non aspetto, ritorno su, poi ecco l’annuncio, la metro riparte. Arrivo in ritardo. Una strana angoscia mi pervadeva oggi. Il primo utente ha pagato dazio, suo malgrado. Ci sono cose che mi fanno incazzare di brutto: ma di brutto brutto. Mi indispone il fatto che accadono ( o si permette accadano ) situazioni che hanno dell’assurdo, che rappresentano l’archetipo dell’illogicità. Situazioni che mai e poi mai ti saresti immaginato in un certo tipo di luogo. Mi fanno incazzare a tal punto che mi esce persino una flebile voce con cui provo a farmi una ragione. Si perché prima che io alzi i toni ne passa.. Eppure oggi ho imparato una cosa. Esiste una bella libertà: quella di sbagliare. Sbaglio, continuo a farlo, e quasi quasi me ne vanto. Perché è pur vero che chiedere rappresenta sempre un bel gesto di umiltà ma, ad un certo punto devi avere il coraggio anche di sbagliare da solo. Non tollero l’idea di essere messo nella condizione di commettere errori. Se da un lato sono severissimo con me stesso quando sbaglio, non voglio assolutamente raddoppiare la dose qualora io non c’entrassi niente. Continuerò a sbagliare, tanto gli errori tornano. Ma c’è un errore ancora più madornale e sta sempre in colui che insegna, che dovrebbe illuminarci onde evitare di cadere. Non c’è maestro laddove io sto, non c’è bacchetta ( forse sarebbe esagerato ), non c’è nulla. E in quel nulla io brancolo, a volte avvolto dalla netta sensazione di non avere appreso alcunché di quel poco che mi è stato trasmesso. Brancolo. Ciò mortifica, e legittima una sorta di menefreghismo e superficialità che non sono mie. Mi devo adattare al contesto?
 
brancolando-nel-buio

giovedì 10 novembre 2011

Il bradipo

F
inire una giornata di lavoro sorridendo di gusto non è cosa da poco. Ed è una cosa nemmeno difficile da immaginare quando tra alcuni colleghi si instaura un rapporto che va al di là della solita collaborazione imposta dall’ambiente. Stiamo tenendo ritmi intensi e ci sono due modi per sopravvivere a certe giornate: godere per quanto possibile del calore di casa e di un po’ di silenzio oppure magari sorridere e farlo di gusto. Temo che molte persone mi definiscano una persona ombrosa, dallo sguardo sempre triste. Ci sono addirittura volte in cui, anche quando sono di umore neutro, qualcuno mi legge malinconia negli occhi. Pure nelle foto tendo ad indossare sempre occhiali da sole per mascherare tutto ciò. Perché a furia di dirtelo, poi finisci con il crederlo. Sbagliatissimo. Si, è pur vero che sorrido poco nelle foto, semplicemente perché ritengo mi si disegni un’espressione idiota. Non amo che mi si imponga una posa, per cui finisco con l’essere del tutto finto. A me ridere piace, piace soprattutto con persone che in un certo qual modo mi spingono oltre la barriera di serietà dietro cui mi rifugio quasi sempre. Non triste, non ombroso. Semplicemente serio. Sono serio, dai, sono una persona seria. E’ durato lo spazio di un giorno il piacere di godere del mio caro e vecchio regionale. Oggi, sono di nuovo sul solito lugubre vagone a due piani che infonde tanta tristezza. Ma oggi c’è qualcosa di cui è giusto fare menzione: è ritornato il sole. Questa mattina, il marciapiede del binario si era affollato di sagome dai contorni incerti, complice la nebbia. Poi, man mano che ci si avvicinava a Torino il cielo si è sgomberato della polvere grigia ed eccolo lì, il sole. Giornate come queste, trascorse al lavoro, sono davvero sprecate. Novembre è un mese ibrido. Non ho possibilità di chiedere ferie, e non c’è alcuna festa in grado di spezzare la monotonia di settimane tutte uguali. Mi cullo volentieri in questo letto novembrino, in fondo talvolta, anche ciò che apparentemente sembra immobile può essere opportunamente utile al nostro scopo. Se questa coda del 2011 mi vuole concedere una fase di stanca, ben venga. Altrimenti poi finirei con il lamentarmi ancora. Quindi, accogliamola questa fase. Ieri ho parlato di tartarughe e gazzelle. Ma fare il bradipo a volte non guasta.
 
bradipo4

mercoledì 9 novembre 2011

Tartarughe e gazzelle

L
a notizia non poteva passare inosservata. Qualche minuto fa, giunto sul binario 10, notavo con mio grande stupore che il mio caro e vecchio regionale delle 17.20 era tornato. Intendo quello classico, con sedili comodi e spazio a sufficienza per poggiare il mio portatile sulle gambe. Che bello! Approfitto dunque di questi pochi minuti di autonomia della batteria per sciorinare qualche considerazione. Ne avrei molte da fare. Ad esempio potrei dedicare qualche riga all’elogio dell’inutile, a tutto ciò di cui si parla, si litiga, si chiede persino l’intervento dei piani alti ed è perfettamente, totalmente, assolutamente inutile. Provate ad immaginare una impari competizione in velocità tra tartarughe e gazzelle. Chi vince? Bene. Ma alla fine tra le due chi si danna meno l’anima per arrivare al traguardo? Ecco, ci sono gazzelle e ci sono tartarughe. Poi ci sono tartarughe lente di natura e quelle che ci fanno. Queste ultime ci fanno, hanno molto tempo da perdere, e per questo si lamentano. Le gazzelle? Le gazzelle corrono, non pettinano le bambole. Dove sta l’inutilità? Nelle argomentazioni, nei capricci, nelle esigenze idiote. E allora, continuo a sentirmi gazzella. Potrei sciorinare altri pensieri in materia di disponibilità. Disponibile ed intelligente. Una bomba ad orologeria. Non c’è niente di più pericoloso che accendere una miccia in questi casi. Io voglio passare per deficiente, inetto e totalmente indisponibile. So con certezza che non potrà mai essere così. Pazienza, non mi piace parlare di cose inutili, sono disponibile, magari di un’intelligenza modesta. Risultato, ho ottime probabilità di essere il prescelto. Che culo! Ho anche ritrovato la mia stella cometa. Gli alberelli illuminati del Bennet squarciano il buio pesto delle 18,00 e mi annunciano l’arrivo a destinazione. Non ci sono più punti di riferimento al di fuori del finestrino, tutto è nero. E poi, eccoli, gli alberelli del Bennet!!!! Oh mio Dio, li hanno già accesi! A pensarci bene, manca poi solo un mese e mezzo a Natale. Me lo ricorderanno ogni giorno, gli alberelli del Bennet che Natale si sta avvicinando. A proposito di cose importanti, oggi ho mangiato una torta fantastica. Godersela dopo aver tirato giù la tendina e buttato alle spalle l’orda presuntuosa della gente spazientita, non ha prezzo. Buon Natale….ehm non esageriamo, buon rientro, Enzo.
 
foto_gazzelle_7001

lunedì 7 novembre 2011

Relax? Tutte balle.

H
o trascorso un weekend noiosissimo. I presupposti c’erano tutti: previsioni meteorologiche in primis. Venerdì, a fine lavoro, stravaccato sulla mia poltrona e braccia incrociate dietro la testa mi vantavo del fatto che avrei passato un fine settimana all’insegna del relax. Che poi quando lo dico, sono il primo a non crederci più di tanto. Vorrei fare altro, senza ogni volta, dover tirare fuori la solita giustificazione del riposo. A quest’ora a furia di riposare durante i weekend, dovrei essere un fiore. Invece paio la brutta copia di Zio Fester. Tutte balle dunque le storie del relax. Tanto è vero che arrivato a Domenica sera, puntualmente mi attraversa il solito senso di colpa per non aver magari colto anche una piccola occasione. Sto lavorando molto, dai. Ma no, cosa avete capito? Pratiche di residenza? Si, quelle ormai fanno parte del quotidiano. Sto lavorando in vista del nuovo anno: ok, lo sappiamo che non ha alcun senso pensare che finisce un anno e improvvisamente tutto deve cambiare. Lo so. Però so perfettamente che questo che se ne va è stato l’anno della semina. E dopo la semina non arriva il raccolto? Cosa metterò nel mio cesto? Sto provando a dare un senso ed una spiegazione plausibile ad alcuni rapporti virtuali. Dare senso significa fare in modo che possano concretamente rivelarsi un’occasione. Ne ho bisogno di occasioni, ho bisogno di sentirmi attivo e partecipe; importante è essere propositivo perché se ti metti in attesa fai tempo a morire. Fare sicuramente in modo che l’elemento lavoro e lo stress che ne deriva finiscano con l’occupare l’angolino più remoto della mia esistenza. Ho molta paura. La parola “programma”, il solo verbo “organizzare” mi mette angoscia, visti i precedenti. Vabbè non pensiamoci. Torniamo al weekend noiosissimo: in tempi non sospetti, trascorrere una trentina di ore con lo sguardo fisso nel vuoto avrebbe innescato un meccanismo assai pericoloso. Sebbene non ami particolarmente ritrovarmi a Domenica sera con gli occhi arrossati da Pc, sempre meglio che perdermi nei soliti meandri contorti della coscienza. Di weekend in weekend, devo smetterla di parlare di riposo. Non è vero: non c’è relax, non c’è riposo. Ho bisogno di stimoli.


69332741_1-Foto-di-TRASCORRI-UNA-GIORNATA-DI-PURO-RELAX-E-PIACERE

sabato 5 novembre 2011

Un vigliacco di natura

C
he bella la pioggia del Sabato mattina. Più la senti cadere forte più ti raggomitoli sotto le coperte. Non c’è situazione capace di regalare un piacere maggiore. Peccato si tratti della stessa pioggia che da tempo non dà scampo all’uomo. Gli toglie la vita nel peggiore dei casi, quando va bene lo priva per sempre di ciò che ha più caro, la casa, i ricordi, magari un’automobile acquistata con sacrifici. Non parlo mai di attualità in questo blog e la ragione credo la sappiate: per quanto si cerchi di manifestare un proprio parere su questo o quel fatto, il rischio di cadere nella più banale retorica è grande. Eppure non ci dovrebbe essere alcuna vergogna o timore di risultare scontati, soprattutto quanto si fotografa una situazione di fatto. Le mie considerazioni a fronte delle devastazioni di questi giorni puntano sull’uomo. Perché è lui il principale responsabile di quello che sta accadendo. Fa pena vedere quei volti distrutti dal dolore, incute timore sentire le urla di quella gente, generano compassione i volti inermi di chi ha ormai solo sé stesso da salvare. L’uomo. Un piccolo, ignobile puntino chiamato semplicemente a vivere. A farlo, possibilmente nel rispetto del suo simile. Il pressoché inesistente senso civico dell’essere moderno è causa di molti mali: l’odio verso i propri simili, la dissennata ed arbitraria gestione di ciò che è lì ed è lì perché qualcuno ce l’ha messo. Non stiamo a sindacare di chi sia opera la natura, di come ci ritroviamo circondati da certe magnificenze. Ognuno creda quel che vuole. Quello a cui non si riesce a credere è come un essere assolutamente ignobile di fronte a tanta grandezza, possa permettersi di scavalcarne regole ed esigenze. E’ vero, non abbiamo chiesto di venire al mondo, di dover lavorare per vivere, di guadagnare denaro per farlo in modo decente. Ma non per questo, una volta caduti qui, siamo tenuti a sfidare chi è più grande di noi in modo vigliacco. Perché l’uomo, è un vigliacco di natura, e lo è proprio nei confronti del soggetto sbagliato. Chi più della natura è capace di vendicarsi dei torti subiti? Chi più di lei riesce a farlo nel peggiore dei modi? Abbiamo scelto il nemico più acerrimo da sfidare. Piangiamo, piangiamo ancora. Non possiamo fare altro. Il denaro sappiamo muove tutto. Ma non può tutto: genera ribrezzo il solo pensiero che esseri dotati di un sofisticato meccanismo cerebrale come gli uomini soffrano ancora di questa immane debolezza. Cedere ad un effimero piacere, quale quello generato dal denaro in nome di un rischio così grande. Bestiale. Anzi no, umano.
 
genova-alluvione

mercoledì 2 novembre 2011

Post innocuo

L
e previsioni sono catastrofiche, ovvero piogge abbondanti per i prossimi quattro o cinque giorni. Un po’ egoisticamente, ma istintivamente ho pensato al sottoscritto e alle possibili difficoltà di spostamento in direzione Torino. A volte non si può dare colpa a Trenitalia e tutto dipende da chi decide e sta più in alto di noi. Non amo la pioggia anche se contestualizzata alla stagione in corso, la si deve accettare più consapevolmente. Quel che proprio non mi va giù è la quasi totale assenza di luce. Maledetta ora solare! Tra qualche tempo, quando la nebbia tornerà ad imperversare non riuscirò nemmeno più a vedere in volto i miei compagni di viaggio che attendono il treno sullo stesso marciapiede; ne intravedrò la sagoma e le nuvolette di vapore che fuoriescono dalla bocca. Come mi sento ( Faccio finta che qualcuno me lo chieda e rispondo.. ) ? Vivo uno stato di calma apparente. Oggi ho preso un giorno di ferie ma non pensiate che lo abbia dedicato all’ozio totale. Io non posso pensare, lo sapete no? Stare a casa è indubbiamente la condizione principe affinché il cervello possa prendere direzioni spesso non gradite. Quindi via, mi sono dato da fare e ho preso la strada del centro città. Ho volutamente fatto un percorso che mi avrebbe portato ad incontrare persone che ho occasione di vedere davvero di rado. Ed è stato davvero piacevole passare un po’ di tempo con loro. Pomeriggio, beh, un po’ di acquisti compensativi che ultimamente spaziano nel settore dell’abbigliamento. Ma poi mi chiedo: “ Ma a cosa servirà mai svecchiare il guardaroba?”. Sarebbe meglio cominciassi a togliermi io, le ragnatele, poi ci metterò su qualche abito decente. Gli abiti pesanti proteggono dal freddo ma nulla possono fare quando il freddo ce lo hai dentro. In quel caso il calore non si compra al centro commerciale. Guarda un po’, stavo per cadere nella solita litania. Per carità, non sia mai. Le mie giornate regalano sempre qualcosa di nuovo, qualcosa di sano, qualcosa che ha a che fare con la vita. E mi accorgo che, produrre articoli del tutto innocui come questo è un sintomo di grande miglioramento. Non significa cadere nel superficiale, significa che mi sto guardando intorno.

quiet-cropped

martedì 1 novembre 2011

Tanto fumo e niente arrosto

I
o vorrei tanto fare una vacanza. Non pretendo la luna, mi basta un fine settimana. Fermo restando che non ho grande spazio di movimento ( solo luoghi raggiungibili via terra ), desidererei trascorrere alcuni giorni in compagnia. Niente di più normale e naturale. Sebbene io ami sempre avere tutto sotto controllo, considerando quanto poco io mi fidi delle capacità organizzative altrui, pare strano ma ciò che più desidero in questo momento è partire, limitando i compiti alla sola valigia. Vorrei dunque che un immaginario compagno di viaggio organizzasse tutto e mi chiedesse semplicemente di aggregarmi. Sono pretenzioso? Si, se consideriamo che non ho compagni di viaggio e che nessuno si sognerebbe mai di prendere l’iniziativa nei miei confronti. Purtroppo è una costante di questi ultimi tempi: la ragione mi induce a desiderare momenti di svago assoluto, immagini da fotografare con la mia nuova reflex, totale rilassamento. In coscienza poi ogni desiderio è frustrato e abbattuto dal solo pensiero per cui nulla di tutto ciò che immagino è realizzabile. Ci metto come sempre del mio. La vacanza è qualcosa di sacro e l’idea di passare qualche giorno con perfetti sconosciuti mi frena. Ma allora cosa voglio??? Ah, scusate viene da ridere anche a me. Io sono tutto matto e partendo da questo presupposto ciò che dico acquista senso. Ma non vi è mai capitato di desiderare a tutti i costi una cosa e poi, quando si palesa la possibilità di averla, vi tirate indietro? Se vi è capitato, cosa vi ha spinto a rinunciare? Nel mio caso non voglio altro che questo: staccare la spina, di tanto in tanto. Lo posso fare; per fortuna ho un lavoro che mi garantisce autonomia, ho la possibilità di organizzare. Cosa manca? La consapevolezza di fare le cose da solo, pur di farle. Non si può eternamente cercare la perfezione. La vita è una, i momenti di reale distensione davvero rari. Ritornando al mio pensiero, non c’è bisogno di condividere, non c’è bisogno di guardare con quattro occhi ciò che si può fare benissimo con due. Non sono comunque pronto. Sono invece assolutamente certo di rinunciare alle prossime vacanze, siano esse un ponte, Capodanno od altro. So già che rinuncerò. Io non voglio ciò che voglio. Ma se tenete conto che sono un matto da legare, tutto ha un senso. Non mi piace farmi conoscere come persona propositiva, che chiede aiuto e poi dimostrare di essere un incoerente, un “tanto fumo e poco arrosto”. Mettiamola così: son matto, incoerente e non so ciò che voglio. Ma almeno ora lo sapete anche voi.
 
2pq6vbb

lunedì 31 ottobre 2011

Il giusto approccio

M
a si dai, perché non scrivere qualcosa alla fine di una giornata produttiva. Sono talmente rare le volte in cui mi sento soddisfatto! Sopravvissuto e soddisfatto di me. Oddio, forse “sopravvissuto” è inappropriato, ma quando si sta in una sorta di trincea per 8 ore, tu sei lì e dall’altra parte un esercito scatenato di gente pronta ad inveire, beh, ci può stare. Soddisfatto invece ha un non so che di strano. Quante volte l’avrò scritta questa parola? Capita che in una giornata che si preannunciava “calda” tutto invece fili liscio. Merito dell’approccio, della calma, del senso del dovere. Arrivavo da un weekend che si è rivelato una sorta di endovena di malinconia. In ogni caso mi è stato utile avendomi regalato una sostanziosa dose di calma. Niente di meglio in vista di un ponte lavorativo. Dicevo che sono soddisfatto. E da dove nasce tutto ciò? Non lo so! Ci sono giornate in cui ti rendi conto di quanto sia fondamentale, come in tutte le cose, il giusto approccio. Ed io, almeno sul lavoro lo sto dimostrando. La soddisfazione abbatte persino la stanchezza; questa sera sono salito sul 17.20 e ho cominciato a leggere il mio libro. Sono andato avanti per un po’, sapendo che prima o poi gli occhi avrebbero ceduto. Nulla. A quel punto mi sono iniettato un po’ di musica. Niente da fare. E dire che ormai non mi è più concesso nemmeno di guardare oltre il finestrino. La mia immagine riflessa e la luce artificiale mi ricordano che siamo a Novembre, che i mei tanto amati colori torneranno solo tra qualche mese. Ma oggi tutto va bene. Sono giornate. Non posso pretendere che sia sempre così, non vorrei che fosse il lavoro a farmi sentire soddisfatto. Certo anche questo è importante ma dovrei pretendere di più. Ieri ho parlato di solitudine. Non me ne vogliano alcune persone nei confronti delle quali ho manifestato l’intenzione di incontrarsi, di conoscersi per poi, “ritirare” tutto. A chi di voi sta leggendo questo articolo chiedo scusa. Non dipende solo da me. Spero arrivi il momento giusto. Non voglio sentirmi forzato a fare ciò che ora non riuscirei a fare con la dovuta naturalezza ed il giusto entusiasmo. E’ un bene anche per voi, sopportarmi sarebbe dura! Ma oggi sono soddisfatto. E domani non suona neppure la sveglia. Meglio di così!
 
bob_esponja_ok

domenica 30 ottobre 2011

Foschie

I
colori asfittici della campagna d’autunno mi hanno accompagnato durante il viaggio ( l’ennesimo in treno ) verso Milano. Un sole pallido rapidamente inghiottito dalla foschia pomeridiana, a far da cornice a quello del ritorno. Sulla carretta che da Mortara mi ha portato fino a casa, le solite riflessioni. Tanta malinconia e la consapevolezza di qualcosa che era nell’aria e non avevo mai avuto il coraggio di riconoscere. Io sto bene come sto. Inutile, del tutto assurdo che muova critiche a questa o quella persona. Ho portato avanti in questo tempo vere e proprie crociate in nome di sentimenti nobili, quali ad esempio l’amicizia. Peste e corna su chi, a mio parere, aveva tradito questi sentimenti, su chi aveva dimostrato totale mancanza di sensibilità. Se la solitudine è qualcosa di insopportabile, del tutto lecito appare andare alla ricerca di chi potrebbe colmare il vuoto. Triste è rendersi poi conto che nessuno o quasi può colmare i vuoti, tanto e tale è l’egoismo che ci pervade. Se qualcuno cercasse me, io probabilmente risulterei uguale agli altri. Io non sono migliore di alcuno. E così scopri che cerchi, cerchi e cerchi ma in realtà ciò che vuoi è proprio stare solo. Si si. Io voglio questo. Io voglio e posso stare solo. Non sono fatto per la società. Vivo forzatamente i rapporti necessari alla sopravvivenza ( vedi ambiente di lavoro ), ma fuori da quella porta io sono un asociale in tutti i sensi. Perché arrivo a questa conclusione? Perché sono un ipercritico, un pignolo, uno che sta a guardare sempre il capello, che studia i comportamenti altrui, che vive di sensazioni. Mi è già capitato di affermare quanto sia difficile relazionarsi con persone timide. Non esprimono ciò che sentono, spesso glielo devi tirare tu fuori, con le tenaglie. Vivi sensazioni al posto loro, fai deduzioni al posto loro. Troppa fatica però. Mi è capitato di passeggiare in centro a Milano, Sabato pomeriggio. Non ho resistito più di trenta minuti. Mi mancava l’aria. Sono sempre più lontano dalla società. Cosa mi succede? Non faccio assolutamente nulla per circondarmi di persone. Lancio il sasso, poi nascondo la mano. Voglio stare solo. Smetterò di turbarmi, di pensare che la vita è relazione, che ci si debba confrontare a tutti i costi. Non sono mai contento e non mi impegno. Sono veramente tutto matto.

52950_foschia-in-provincia

LinkWithin

Related Posts with Thumbnails