giovedì 31 marzo 2011

Il gabbiano John Livingstone

C
erto che sono proprio un bel tipo. Io devo assolutamente imparare che se c’è un luogo al mondo nel quale il cuore va dimenticato quello è il luogo di lavoro. Io non mi sopporto più. Ho iniziato da poco a leggere un libro che fin dalle prime pagine mi sta emozionando. Di questo libro potete vedere la prima pagina qui, sul mio blog. La trama è la seguente: un uomo ( l’autore ) scopre di essere ammalato di una di quelle bestie che non danno scampo ed allora inizia un percorso di cura, più che del corpo, dell’anima. Lo fa attraverso alcuni viaggi che lo porteranno a scoprire molto di sé e a “guarire”, se non altro interiormente. Mi piace l’espressione “guardare sé fuori da sé”. Se si entra in un tunnel senza uscita ( qualunque esso sia, una malattia od uno stato di abbandono morale che sembra non avere cura ) la via da seguire è una: osservarsi come fossimo un sé fuori da sé e provare ad annullare ciò che si è stati fino ad allora, dimenticando chi si è, come si è agito, come si è reagito. Nonostante il paragone possa sembrare del tutto improprio (tenuto conto del mio fievole problema) esso mi spinge tuttavia a fare qualche riflessione. Il luogo di lavoro è uno di quegli ambienti, luoghi, posti ( chiamatelo come volete) in cui il cuore si azzera e trionfa il cervello; non solo per quanto concerne i compiti assegnati ma soprattutto per ciò che riguarda i rapporti. Non l’ho mica capito io. E poi è del tutto assurdo che io faccia fatica a trovare stimoli e cuore dove serve ( per scrivere e quindi per vivere) mentre invece mi scopro un’anima pia sul lavoro. Assurdo. Non ci sto più con la testa davvero. Questo è il punto di non ritorno. Oggi, ne ho avuto la riprova. E allora, il tunnel nel quale sono entrato appare senza uscita; o meglio potrebbe apparire senza uscita se io non cominciassi a prendere seri provvedimenti. Guardarmi fuori da me. Siamo solo a Giovedì, la mia settimana finisce qui perché a causa dello sciopero dei treni, sarò costretto a prendere un giorno di ferie. Ma sono uno straccio. Il mio tipo di lavoro mi porta ad intavolare rapporti seppur estemporanei con gente della più diversa specie; cerco dunque di essere il più possibile umano ma qui casca l’asino. Io sono talmente umano da pensare che anche un semplice utente allo sportello meriti attenzione oltre misura. “Non farti commuovere”, “Non fare in modo che la situazione di un soggetto si trasformi un tuo personale problema”. Io mi chiedo come faccio a cascarci ogni volta, a farmi conseguenti paturnie, ed a temere persino un giudizio negativo. Non scrivo nulla di nuovo. Sono semplicemente un recidivo inconcludente. Ma poi la pazienza si perde. Mi guardo e sono fuori da me, non fuori di me, preciso. Io voglio vivere cavoli, basta! Io non voglio più chiedermi perché, per come, se, come mai, se avessi…Voglio solo agire, sconnesso da ogni sentimento e da ogni minima preoccupazione delle conseguenze del mio agire. Nessuno mi giudica, nessuno ha i titoli per farlo. Voglio volare, essere libero come il gabbiano John Livingstone. Intanto continuo a guardarmi fuori da me.


mercoledì 30 marzo 2011

Inno al cuore

D
avvero non immaginavo un così grande coro di affetto. Il mio grazie sincero va ai miei amici del mega-condominio chiamato Blog. I loro consigli, le loro parole di incoraggiamento vanno in una direzione univoca e suonano così: “ Apri il cuore”. Mi immagino dunque finalmente ( e piacevolmente ) liberato dalle catene con le quali il cervello ti imprigiona e poi completamente avvolto dalla inconfondibile morbidezza del cuore e di ciò che la mia interiorità turbolenta mi suggerisce. Non c’è molto da nascondere. La mia testa viaggia troppo a compartimenti stagni, si fida solo di quello che è un ordine mentale che deve sempre e comunque essere rispettato. Se voglio farmi del male imprigionandomi nelle segrete del mio cervello, sono cavoli miei. Ma mi faccio ulteriormente male se non lascio libero il cuore di dire la sua. Apro le porte dell’anima e faccio uscire tutto. Lo posso fare qui, forse solo qui. E l’idea paventata di abbandonare tutto non è altro ( forse ) che l’ennesimo gesto di masochismo dettato dalla mia mente, ora realmente sottoposta ad uno stress totale. Sono stanco da questo punto di vista. Pago dazio con sufficiente certezza dello stress accumulato in questi mesi. Ma non è possibile, anzi deve essere assolutamente necessario mantenere aperte tutte le porte che conducono all’anima. Perché lì sta il segreto di una serenità palpabile e dimostrabile attraverso una più leggera visione della vita. Incredibile poi che anche sul lavoro ( bastano dieci minuti di dialogo con qualcuno che sa misurare le parole e ne conosce il peso), si riesca a trovare una via d’uscita. So perfettamente ciò di cui ho bisogno. Non ho mezzi termini, ho bisogno di dimenticarmi cos’è il cervello, di quelli che sono i suoi complicati meccanismi. Sono diventato praticamente sordo dall’orecchio buono, quello che mi ha sempre suggerito di non distogliere l’attenzione sulla fantasia, sull’attimo, sui sogni, sulla vita anche spirituale. Io che mi sono sempre vantato di essere un razionale (tremendamente orgoglioso del suo cervello e così assillato dall’idea che in tutto ciò che è vita due più due debba fare sempre quattro), scendo dal piedistallo di cristallo sul quale sono salito. Voi, amici lettori mi avete indirizzato su quella strada. La immagino come un sentiero di campagna circondato da vegetazione rigogliosa che si lascia accarezzare dal vento. E’ una strada che, come tutte quelle che percorriamo nella vita non sappiamo dove porta, ma che ti invoglia a proseguire il cammino. E se dovessi scegliere tra questa ed un’altra irta di quegli ostacoli che solo la ragione può creare, beh, non avrei dubbi. Tutto questo per dire che fino a quando ci muoviamo con la fantasia, con la leggerezza del cuore, con la verità che sempre la nostra anima ci suggerisce non avremo mai nulla da temere. Ecco il mio inno al cuore. Che sia d’aiuto a me e a chi come me non riesce ancora a liberarsi di un cervello ingombrante.

 

martedì 29 marzo 2011

Eutanasia di un blog

E
dire che qualche mese fa ero seriamente preoccupato dell’eventualità che questo blog si spegnesse lentamente. Il tempo a disposizione sarebbe stato ridotto, la stanchezza avrebbe preso il sopravvento; come una candela questo diario si sarebbe consumato lasciando un forte odore di bruciato. Le mie solite paturnie, il mio fasciarmi la testa prima ancora di rompermela. E poi avevo dimenticato una cosa importante, a dir poco fondamentale: scrivere come sinonimo di vivere. Se non scrivo, se non lascio andare un po’ le dita sulla tastiera finirò con il sentirmi ancor più solo, inerme ed inerte. La frequenza di miei scritti non solo si è mantenuta costante ma talvolta ha assunto tempi sorprendenti. Poi, è sopraggiunta la crisi di rigetto, quella che prima o poi colpisce ogni blogger che abbia fatto del suo sito un luogo di riflessioni personali. Si comincia ad essere vittime di quello stesso gioco da noi creato. Qualcuno supera questa fase, altri no. Indubbiamente scavare nel proprio Io spesso significa infilare coltelli all’interno di ferite ancora aperte, riportare alla memoria ricordi non sempre piacevoli, scoprirsi sorprendentemente diversi da quanto si credeva. Può essere normale quanto inevitabile tutto ciò. Ora, io sto attraversando una fase piuttosto complicata nella quale il rapporto con il mio blog sta lentamente diventando meno intimo, più distaccato. La linea di confine tra ciò che potrebbe essere un grande strumento di auto-conoscenza e un semplice blog è questa: attendere un riscontro. Mi accorgo chiaramente di non riuscire più a scrivere per me, per il mio esclusivo piacere personale,per il raggiungimento di un obiettivo che è fondamentalmente quello di arrivare a conoscermi, a trovare soluzioni, a scoprirmi. Sto cominciando a pensare di dover piacere, di dover risultare interessante, di essere di amabile lettura. E qui tutto si ferma allora. Perché, senza nulla togliere ai lettori e a coloro che mi hanno sempre dimostrato affetto, io non posso scrivere chiedendomi se poi ciò che scrivo, piace. Sarebbe un totale controsenso. E me ne sono accorto in questi ultimi giorni quando ho cercato di modificare in parte i contenuti dei miei articoli ma non tanto sulla base di una mia esigenza personale quanto perché mi sto rendendo conto di essere “vecchio” e ormai sorpassato. Probabilmente è l’inevitabile fine di ogni blog di tale fattezza. Mettiamoci del mio , però: credo di attraversare la solita fase in cui sono alla ricerca di conferme, e probabilmente a causa di un livello di autodifesa che si è notevolmente abbassato. Che brutta cosa fare la vittima, cercare a tutti costi attenzione. Più la cerchi più non la trovi. E fino a che non ritornerò sulla strada maestra penso che non butterò più niente per iscritto. Oppure basterebbe cominciare a scrivere qualcosa in privato, su di un bel foglio di carta che rimarrà lì, nel cassetto del comodino e che ogni giorno farà spazio ad altri fogli. Il vero diario. Se scegli di metterti in piazza, scegli di essere osservato, letto, giudicato. E finisci per ricercare consenso. Questo è il gioco. Posso sempre ritirarmi. Un’eutanasia lenta, magari. Vedremo.Osservate bene, il titolo stesso di questo articolo nasconde un grande bisogno di consenso.


domenica 27 marzo 2011

Un fiume in piena

B
entornata luce. Che fa anche sorridere dirlo in una giornata in cui a predominare è un grigiore dal sapore Novembrino, di inizio autunno. Dormo poco; ho deciso di non tenere più il cellulare sotto il cuscino in attesa che la vibrazione mi massaggi il cervello alle 5.30. Mi sveglio anche prima e questo purtroppo accade durante il fine settimana. Poco male, basta lamentele. Ripenso a quelle foto che, guarda caso, mi hanno regalato un magico assist per affrontare l’argomento “passato” di cui spero poter sciorinare diverse esperienze da ora in poi. E ancora oggi, un amico mi ha confessato di aver bisogno di molta lucidità per prendere decisioni importanti; per ottenerla sta provando a fare un viaggio a ritroso nel suo passato. E non sbaglia. In effetti questo blog è monco. Tanto presente, un po’ di futuro ( ma poco ), nulla o quasi di un passato che poi è la fetta più grande della torta. Ho ancora molto bisogno di risposte, di un po’ di luce (quella che oggi manca) e penso di avere la serenità giusta per trarre dal mio background un bel po’ di soluzioni. Tanti ricordi, tanti riferimenti ad eventi e situazioni che fino ad ora non ho mai messo su foglio, rimanendo incastrati negli arrugginiti marchingegni cerebrali. Voglio quindi agganciarmi ad un segno del destino ( sempre le solite foto ) e da lì riprendere un viaggio a ritroso fino a ciò che ha preceduto quell’evento dell’estate 2001. Ma chi ero allora? Lo stesso di oggi? Chi sono io per giudicare male persone che nel bene e nel male ho frequentato? Ero ebete a quei tempi? Privo di capacità decisionale? Si perché, ad essere sinceri, tutto è finito non per una esplicita volontà del sottoscritto ma per una serie di eventi, in parte voluti in parte no. Tranne rare eccezioni, sono sempre stato molto poco contento delle mie frequentazioni. Credendomi superiore? Potrebbe anche darsi. Quello che sono ora ero, ma solo in modo latente. La mia esigenza di emergere dalla mischia se ne stava rannicchiata ed addormentata in qualche angolo dell’inconscio. Basta, e chi ce la faceva più! A 30 anni si è ancora nel fiore degli anni ma penso che ci sia un’età per ogni cosa e che tutto abbia sempre e comunque un limite. Quindi, ho deciso di correre un rischio, dovendo aspettare molti anni per capire che avevo fatto bene. Cosa è successo nel frattempo? Ho parlato di incontri, situazioni, rapporti piuttosto complessi, confusi, forieri di magagne più che di soddisfazioni. C’è stato un momento in cui mi sono molto avvicinato alla fede, non per mia scelta personale. La domanda che mi pongo è: “ Cosa ne è rimasto di quella esperienza di fede vissuta tanto profondamente, ma durata lo spazio di un respiro? “ Eppure alcuni eventi legati a quel momento si rivelarono a dir poco impensabili ed insperati. Probabile che mi sia perso, che abbia smarrito una strada, che non mi sia accorto di un aiuto possibile. Ecco, lo sapevo. Parlare del passato è troppo facile perché descrivere sensazioni già vissute non richiede grande impegno descrittivo. Ma mi permette di collegare discorsi e situazioni con grande elasticità. So già che sarò un fiume in piena…


sabato 26 marzo 2011

Dieci anni

D
ieci anni rappresentano una fetta di vita importante. Niente di più relativo del tempo però. I mie ultimi “dieci” iniziano con una vacanza in Sardegna e si chiudono con il “grande passo” Torinese. Nuotando all’interno di questo mare temporale ho avvertito sensazioni di diverso tipo. Quella vacanza ha rappresentato la chiusura di una fase di vita sul piano sociale. E sono ripartito da zero. E quando dico zero dico: zero. Mi sono ricostruito, ho provato a ricostruire un mondo intorno, fatto di improbabili rapporti che speravo potessero sempre assumere un certo spessore. Mi sono estraniato progressivamente dal mondo ma non per questo ho cercato soddisfazioni altrove. Il lavoro, avrebbe potuto rappresentare un’ottima via di fuga ma, proprio in questo lasso di tempo le grane hanno assunto dimensioni spropositate. Una cozzaglia di esperienze confuse, improbabili, assurde, tutte con un unico tratto predominante: essere fonte di stress, insicurezza, rimorsi, rabbia. Dieci anni. E va bene che sono stati solo dieci anni. Perché questo è quanto ho dovuto attendere per dare un primo, concreto senso alla mia vita. Avevo già deciso ormai ( ed è quello che farò ) di dare un’impostazione diversa a questo blog. Non posso snaturarlo, per cui le riflessioni personali saranno sempre predominanti; ma ho deciso di spostare l’attenzione altrove. Non più al centro dei miei pensieri il presente, tantomeno il futuro. Finisco con l’essere ripetitivo, contorto, noioso, mi ripiego su me stesso. Basta. Giriamo indietro la testa e ributtiamoci sul passato. Se avessi aperto il blog qualche anno fa del resto, i contenuti sarebbero stati solo questi: memorie e non stati di fatto attuali. E a segnare ulteriormente la mia scelta, un evento casuale. Ieri sera, mi sono imbattuto nell’album fotografico di un ex amico ( appartenente al vecchio gruppo della Sardegna, per intenderci). L’ho aperto e ci ho trovato una graditissima sorpresa. Mi sono ripassato tutte le facce di gran parte di quelle persone che non vedo da dieci anni, appunto. Studiando i loro volti ho notato che nulla, ma proprio nulla è cambiato. Una foto è una foto, ma io riesco a leggerci molto . Le stesse espressioni ebeti, la stessa superficialità con una grande differenza: hanno “solo” 10 anni in più. E mi sono detto: “Ma vuoi vedere che tutto questo tempo per me non è passato poi così invano?” ”Vuoi vedere che quel marasma alla fine è servito qualcosa?”. Insomma, guardo quelle foto e mi sento evoluto. Spesso ho avuto la terribile sensazione di averli buttati, questi dieci anni. Non sarà una foto a farmi ricredere, ma forse, riguardare quelle facce mi ha rincuorato. Il tempo non passa mai invano. Ma non per tutti. 


giovedì 24 marzo 2011

Oltre le sbarre

C
redo di non avere idee. Spesso ciò è un ottimo segnale di mente sgombra, persino svogliata. Il che è un ulteriore ottimo presupposto per far divertire i neuroni. Poverini, sempre lì, condannati a lavori forzati a volte senza alcun costrutto o fine preciso. Li lasciamo un po’ liberi di giocare allora? Questa è la situazione tipica che si vive alla fine di una giornata in fondo positiva, fatta di niente, del solito, della routine di un qualsiasi Giovedì. Se poco accade poco arriva ai miei neuroni e devo dire che ultimamente a parte le solite problematiche non riesco ad affrontare discorsi seri su concetti importanti. Non è obbligatorio farlo, a volte questo diario andrebbe “sfoltito” delle ragnatele che lo infestano. Aprire le finestre, fare una bella pulizia e dare un tocco di novità. Io di queste ragnatele sono però prigioniero e scegliendo questo mezzo per comunicare ho finito per renderlo una prigione da cui difficilmente riuscirò ad evadere. Il mio blog, la mia prigione. Non mi voglio rivoltare, più volte ho temuto la solita crisi di rigetto e so che sarei in grado di superarla brillantemente. Vorrei però non tanto alleggerire me quanto lui, il blog. Non ci riesco, non riesco a parlare del sole che va e viene, delle mezze stagioni che non ci sono più. E mi chiedo il perché sono qui a scrivere quando potrei mettere il pc in valigetta e farmi una bella dormita. Ok, ora stacco tutto, “straccio” il foglio e chi si è visto si è visto. In fondo, stare qui dopo 8 ore di terminale e gente incazzusa provoca ulteriore stress. E’ da folli. Più continuo a scrivere più mi rendo conto che non era il caso. E se avessi davvero esaurito gli argomenti? E se da Luglio a questa parte avessi sciorinato tutto lo sciorinabile? Paura di aver capito tutto e vissuto tutto nella vita da non aver più nulla da dire? Stanchezza accumulata, dai. Ma perché rendere tutto pubblico ed erudire la piazza della mia mente ormai davvero stanca? Ieri, dopo il viaggio di ritorno ho inforcato la macchina e nei cinque minuti che separano la stazione a casa mia sono riuscito ad adirarmi a tal punto con un’automobilista da rischiare un litigio furibondo. Ma perché? Vorrei capirlo anch’io. E’ davvero tutto qui? Ahi ahi, caro tempo tiranno e traditore, ti ho sempre difeso e accolto a braccia aperte anche quando, tutto mi era contro. E adesso che fai? Sul più bello mi costringi ad odiarti? Tempo che manca, tempo che stringe, tempo che faticosamente afferro e vivo. Adesso qualcuno mi dica quale strana ragione mi porta a dover rendere tutta questa assoluta confusione di idee, pubblica. Oggi, avrei potuto parlare di tante cose di una leggerezza infinita, ed invece… I neuroni? Non avevo detto all’inizio del post che avrebbero dovuto divertirsi? Non sono capace di vivermi il presente. A questo punto temo di avere ben chiaro un intento, per tagliare le sbarre di questo blog ed evadere. Alla prossima.
 
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mercoledì 23 marzo 2011

Autonomia precaria

A
dire il vero non so se riuscirò a portare a termine questo articolo. Ho acceso il computer circa mezz’ora fa, e date le sue ormai infinitesimali prestazioni in autonomia, temo che tutto andrà a rotoli. So che esiste un “Salva con nome” che mi metterebbe al riparo da ogni cataclisma per cui, provvederò subito a mettere in memoria pezzi di articolo. Il problema, come sempre è che non parto necessariamente per scrivere qualcosa a meno che non cominci ad avvertire il solito impulso irrefrenabile a farlo. Come si manifesta questo istinto? Le parole, le frasi, i concetti arrivano fluttuanti al cervello allo stesso ritmo con cui il cuore pompa il sangue; non potendo parlare da solo a voce alta, devo pur sempre mettere qualcosa per iscritto, no? Insomma, oggi la giornata è scorsa senza grandi patemi d’animo. Per il sottoscritto, sportellista all’Ufficio Iscrizioni Anagrafiche di una grande città, le giornate tranquille sono quelle in cui il tabellone degli utenti in coda non oltrepassa la doppia cifra nell’arco delle 8 ore. Il che ha del miracoloso. E oggi accettiamo di buon grado questo evento pronti a pagare dazio nei giorni successivi. Sembro spesso un ebete. Sono le conseguenze del pendolarismo che ti fa vestire a strati alle 5.30 del mattino per poi patire una straordinaria sudorazione alle 17. Ora, io mi esalto al solo pensiero di avvicinarmi alla bella stagione ma vorrei di fatto essere già in grado di indossare il minimo indispensabile. Mi sarà vietato l’uso di ciabatte o bermuda per ovvi motivi di decoro, ma che almeno mi sia permesso di alzarmi al mattino e impiegare non più di un minuto netto a vestirmi. Voi che dite? Mi torna in mente quell’estate del 1995 quando, in servizio presso un piccolo comune della cintura Torinese ( Torino, è nel mio destino ) il caldo era pressochè insopportabile. Non so, in un certo senso faccia pure il tempo che vuole, nudo a lavorare non ci potrei mai andare. Ecco, avevo un certo argomento di cui parlare ora che ci penso, ma sono già a più di metà foglio e ormai è fatta. Dicevo di questo Mercoledì apparentemente tranquillo; è bene non esaltarsi troppo perché le situazioni di calma apparente appunto, son quelle che più temo. La settimana vola, non mi posso lamentare. Devo confessare una cosa. Si, l’istinto a fare andare le dita sulla tastiera è sempre più forte; anche di quel simbolino in basso a destra che sta per presentarmi un triangolo giallo di attenzione. Vado ancor più veloce. E ringrazio il blogger Fabio che parlando di questo mitico trattino lampeggiante ha sfondato una porta aperta. Questo post, è anche frutto del suo contributo. Attenzione però, solo in termini di spinta e incoraggiamento. Le cazzate che ne costituiscono il contenuto sono assolutamente mie.
 
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martedì 22 marzo 2011

Giudizi affrettati

O
gni giorno una lezione. E non finisci mai di imparare. Il bello della vita in fondo è proprio questo, scoprire che siamo del tutto fallibili e che ciò che è, spesso non è come lo avevamo dipinto o viceversa. Insicurezza fa rima con diffidenza. Più pensi di essere attaccabile ed indifeso più ti rivolgi al mondo con gli occhi del critico più feroce. E finisci per essere ( o meglio, per sentirti ) vittima sacrificale. Credo di aver imparato questo oggi. Suppongo che le conclusioni a cui giungo molte volte si rivelino azzardate. Non metto mai la mano sul fuoco sull’attendibilità di chi mi trovo di fronte, ma mi pare di capire che il mio darmi a prescindere, finisce per condurmi su valutazioni poco attendibili. Che fare allora? Magari cominciare a credere che il mondo non è poi popolato solo da squallidi pressapochisti e doppiogiochisti ma anche di persone che agiscono così perché così naturalmente viene loro. Pensare pertanto che ci sia sempre e solo un secondo fine nell’agire altrui apre le porte al criticismo cosmico, alla valutazione generalista. E questo rende prigionieri, regalandoci un punto di vista assai ristretto sul mondo. E’ bello rendersi conto che chi avevi giudicato male poi non è così terribile come lo avevi dipinto. Noi tutti siamo alla mercè del giudizio altrui, semplicemente perché le relazioni sociali lo determinano. Ma la valutazione che ognuno di noi fa dell’altro è non solo soggettiva ma spesso fortemente condizionata dal proprio Io, e dal proprio regresso. Imparo oggi una lezione che magari mi era già stata insegnata, di cui avevo già appreso le basi ma che avevo evidentemente dimenticato. Con questo non voglio assolutamente affermare che mi rimangio tutto ciò che penso sul genere umano ma faccio un necessario e doveroso “mea culpa”. Mi piace riconoscere di aver sbagliato e sono altrettanto felice di capirne la ragione. L’insicurezza. Ma perché mai qualcuno dovrebbe cambiare la valutazione su di te nell’arco di pochi giorni? Perché tu dovresti apparire prima così e poi colà. E’ pur vero che ci vuole tempo ( e forse non basta mai una vita ) per farti un’opinione su Tizio o Caio, ma in linea di massima un’idea è , e quella rimane. Io quando scopro i miei limiti ( e ne trovo sempre di più ) mi plaudo. Significa che a prescindere dall’età sto ancora maturando ed una visione più armoniosa delle persone aiuta sicuramente a vivere più serenamente. Sarebbe davvero bello partire dalla convinzione ( un po’ megalomane ) per cui sei una persona ben voluta e quindi non devi temere nulla. Gli atteggiamenti delle persone spesso non hanno un motivo plausibile ma guai pensare che tu sei sempre agnello e gli altri sempre lupi. Oggi ne so qualcosa in più in merito. Una giornata di quelle assolutamente ordinarie può regalare uno sprazzo di certezza in più. E se tutto questo serve a crescere interiormente, non c’è male. Insicurezza. Non esiste cura. Alzo la testa e petto in fuori. Almeno una parvenza devo darla.

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lunedì 21 marzo 2011

Respiriamo l’aria

S
vegliatevi bambine, è primavera! Respiriamo l’aria e viviamo aspettando primavera. E finalmente ci siamo. Dopo tanto penare eccola qui, magari non proprio primavera ma qualcosa nell’aria c’è ed è qualcosa che a me piace tanto. La luce, innanzitutto. Tra poco avremo in dono quell’ora che magari inizialmente saprà di amaro, privandoci di qualche sogno notturno in più ma che poi finiremo per amare. Quando le serate cominceranno ad essere avvolte dalla piacevole brezza marina ( per chi ha la fortuna di viverci, al mare ) oppure dalla luce persistente attraverso il finestrino (per chi le serate le passa in buona parte sul treno ). Ma diamo tempo al tempo. Siamo solo all’inizio e il bello deve ancora arrivare. I mandorli in fiore, ahimè anche la mia fastidiosa allergia alle graminacee. Tutto però passa in secondo piano perché la luce e i colori che faranno da cornice alle prossime giornate daranno nuova linfa al mio umore, alle mie giornate che da “no” diventeranno almeno “ni”. Tutto ci guadagna quando la fuori c’è luce, luce vera. L’arrivo della primavera mi spinge in là con il tempo mi fa guardare oltre il singolo giorno come da molto invece sono abituato a fare. Ho voglia di godermi il mondo là fuori. Qualche breve gita, un weekend ben organizzato, persino una visitina al mare. Ve la ricordate Niki? Mamma mia, se penso che è da circa tre mesi chiusa in quella custodia e ancora attende di essere svezzata. Quale migliore occasione per metterla alla prova. Cieli azzurri, contrasti intensi di colori che rendono tutto più bello, quasi patinato. Insomma, è una primavera diversa questa; se aggiungiamo al fatto che solitamente questo periodo segna il mio risveglio dal letargo invernale, la grande carica emotiva che sto vivendo per la mia nuova avventura beh, è tutto detto. Sembra che i prossimi mesi saranno così vivi da non lasciare spazio ad ogni genere di riflessione negativa. Forse sto esagerando. Nessuno di Voi lettori sarebbe pronto a scommettere di non leggere più su questo blog pagine piene di riflessioni cupe, esageratamente introspettive, pesanti come macigni. Farò di tutto per sgombrare la mente. Per liberarla così come libererò il mio corpo dai vestiti pesanti. Via i maglioni, via i cappotti, via le sciarpe. Benvenuta leggerezza in tutti i sensi. Vedo già le gambe libere di muoversi su quei pedali che ancora sono là, fermi ed impolverati. Vedo già quegli occhiali da sole schermare il primo sole che ti lascia sulla pelle la sensazione di rinascere a vita nuova. Stupidaggini probabilmente ma, sensazioni. Le mie. Ben venga uno spirito nuovo. Ben venga anche se fosse solo per oggi perché un inizio è importante. Tutto questo è primavera. Tanta voglia, tanto spirito, tanto desiderio di liberarsi di quella ragnatela, di quel sonno accumulato. Ora si, è tornato il momento di respirare l’aria. Buona primavera a tutti.
 

domenica 20 marzo 2011

Tempo intermedio

E
sono tre. Oggi “tocco” il traguardo dei 90 giorni dall’inizio della mia avventura Torinese. Sono dunque a metà del cammino, inteso come periodo di prova. Sebbene tutti dicano si tratti di una mera formalità, preferisco non fidarmi e come sempre, tenere i piedi ben ancorati al suolo. Eviterò di dilungarmi ( per il mio bene e per quello dei lettori ) su valutazioni, impressioni, giudizi, conclusioni. Le ho infatti centellinate quasi quotidianamente rendendovi partecipi di tutto o quasi di questo percorso allo stato embrionale. Tuttavia mi preme soffermarmi su di un aspetto più che evidente. Non ha poi grande importanza il fatto che non ho mai avuto occasione di festeggiare materialmente l’evento; lo avrebbe meritato data la straordinarietà di un avvenimento che attendevo da tempo. Ma se comincio a pensare alle ragioni per cui ciò non è accaduto, mi deprimo. Cambiamo di corsa discorso. Mi fa specie tuttavia che da tre mesi a questa parte io non senta su di me quei benefici effetti che un fatto del genere dovrebbe provocare; parlo di euforia e di un senso di maggiore leggerezza. Che poi, finiscono con il tradursi in una progressiva sempre minore tendenza all’autoanalisi e all’introspezione. Che poi, il tutto, regalerebbe anche maggiore superficialità oltre ad una visione più ottimistica della vita. E allora c’è qualcosa che davvero non torna. Si tratta forse solo di pazientare, di aspettare che prima o poi tutto prenda senso e arrivi naturalmente. Oppure, sono solo fuori tempo massimo. Nel senso che il treno è arrivato, ma in leggero ritardo. Certo, se fosse arrivato qualche anno prima tutto sarebbe stato perfetto, ed invece… E allora che faccio, devo pure lamentarmi? No no, per carità, sono felicissimo è che ho troppa voglia di recuperare. L’età. Mi spiace citare una fonte non del tutto letteraria, ma il buon Max Pezzali ( poverino, anche lui usa metafore di una povertà immensa..) dice che ora, inizia il suo secondo tempo. Io ho battuto il calcio d’inizio della ripresa, e devo dire che ho avuto la fortuna di segnare subito un gol molto importante. Dovrei a questo punto chiudere la partita, mettere al sicuro il risultato. Non devo ( e non voglio ) precipitare le cose anche se spesso il tempo non mi è amico. Ma questi 90 giorni sono volati in un istante, regalandomi qualcosa di cui ( come sempre ) faccio fatica ad accorgermi. Non può di certo essere finita qui. Se fosse solo l’inizio? Dunque i conti ancora non tornano oppure io sono il solito perfezionista che vuole tutto abbia un ordine ed un senso preciso. Temo di non poter guardare oltre, di non poter pensare che quello che vivo è qualcosa di secondaria importanza. Ma, messo in cantiere il bottino più grande, ora mi manca ciò che sembrerebbe più semplice da ottenere. E’ come trovare un forziere con all’interno un immenso tesoro e poi scoprire di trovarsi su di un’isola deserta. La domanda sorgerebbe spontanea: “ E adesso?”.
 
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venerdì 18 marzo 2011

Chi ha pane non ha denti

I
l prepotente e mite sole di oggi ha aperto uno squarcio tra le nubi che hanno offuscato la sera di ieri. Mi è parso di tornare ai vecchi ( e non così piacevoli ) tempi in cui il mio cielo si annuvolava frequentemente provocando tempeste emotive della forza di uno tsunami. Ora che qualcosa è cambiato le nubi di tanto in tanto arrivano e anche solo per una sera finiscono con l’innescare il solito meccanismo autolesionista. E così, la notte è arrivata a spazzare tutto regalandomi poi un mattino illuminato di sole e speranza. Attenzione però, quei frangenti di cielo grigio che hanno accompagnato il mio pre-sonno non sono trascorsi inutilmente. Ho pensato agli ultimi tre anni di vita, quelli che mi hanno visto protagonista di un fitto lavoro interiore che, gradatamente ha smussato i miei angoli vivi. Piano piano, ho gettato nel cestino una consistente quantità di orgoglio, rabbia sopita, istinto, impulsività finendo con il trasformarmi in una persona riflessiva, ( fin troppo ) analitica, assai meglio predisposta verso il prossimo e soprattutto, paziente. E scoprirmi capace di aspettare, persino capace di sperare, è stata la chiave del mio successo. Attendere, sperare, quando tutto sembra giocarti contro porta a vivere inevitabili momenti di crollo, ed io ne ho avuti. Eccome. Aspettavo, speravo, sognavo. E quando il treno è passato, l’ho preso in corsa e ho scoperto quanto fosse bella la sensazione di chi, trovato anche il posto si siede, e inizia il viaggio sapendo di stare comodo fino a destinazione. Ora sento di avere bisogno di una buona dose di pazienza in più. Ora che mi è finalmente concesso di scegliere, ora che mi sento legittimato ad avere i miei momenti di assoluta libertà, mi ritrovo a dover fare altri conti. Ho bisogno di trovare tutto ciò che darà un senso al frutto del mio lavoro. Attorno a me tutto è fermo e immobile come sempre, e chiacchierando di tutto questo con mia madre è saltata fuori l’espressione “Chi ha pane non ha denti”. Mi sento un uomo “in fieri”. Sono in continuo divenire, la mia vita è iniziata solo ora, e ho la stessa energia e voglia di vivere ( anche se dal tono di certi articoli non si direbbe..) di un ragazzino. Ma probabilmente sono un po’ fuori dal tempo. Ho preso questo treno e ci sono salito, con il fiatone e tanta voglia di sedermi senza essere disturbato. Ora, aspetto la prossima stazione e sinceramente se proseguisse tutto più lentamente non mi dispiacerebbe. Mai ritardo sarebbe così gradito. Pazienza, allora. Aspettare non mi costa nulla, e, con il senno di poi potrebbe rivelarsi davvero produttivo. Il sole prepotente e mite di oggi, ha squarciato le nubi. Ieri è solo un ricordo ma finchè riuscirò a tirare fuori il meglio anche da questi momenti, ci sarà sempre un nuovo sole ad illuminarmi la strada. E oggi, vedo bene, molto bene.
 

giovedì 17 marzo 2011

Il sarto

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ia madre è sarta. Cuce, ripara, confeziona da quando era una ragazzina e ancora oggi, ago e filo sono i suoi strumenti di lavoro. Mi sono sempre lamentato del fatto che confezionasse però solo abiti femminili per cui, mia sorella ne ha tratto un indiscutibile vantaggio. Ma volete mettere una giacca od un cappotto che ti cadono a pennello? Che non fanno quegli orribili segni e spiegazzature nei punti dolenti quali le spalle ad esempio? E magari un bel pantalone che non tiri troppo nel sedere. Mia madre di tanto in tanto mi fa qualche ritocchino, ma di creare su di me, nulla. Da anni però io porto un abito che mi è stato cucito addosso e che non fa una grinza. Riempie perfettamente le forme del mio esile corpo, mi dona, non fa una piega; tuttavia io quest’abito ora non lo voglio più. Mia madre me lo ha cucito negli anni, facendo si che assomigliasse perfettamente all’idea che lei si era scolpita nella mente. O che lei portava di suo già addosso. Perché, come già detto in passato, quando io mi specchio vedo la sua immagine riflessa. Quel che sono (e di cui mi continuo a lamentare negli ultimi tempi) è quello che sono diventato. Mia madre? Per carità, lei non ha colpa. Lei mi può anche aver cucito addosso un abito perfetto, voluto secondo il suo gusto. Ma ora che sono cresciuto quel vestito “tira” dappertutto. Un vestito che chiamo…”personalità” o “carattere”, fate voi. Lo ereditiamo dai, inutile nasconderci. Siamo un po’ quello che i nostri genitori sono o hanno cercato di farci essere. Ma loro, lo ripeto non hanno alcuna colpa in questo. Un bambino cresce, si presume diventi un adolescente responsabile ed un uomo maturo. Io probabilmente ho provato a starci dentro a quel vestito per troppo tempo, senza rendermi conto che prima o poi si sarebbe squarciato. Ed è così arrivato il momento di cambiarlo. Posso anche scegliere di acquistarne uno alla moda, che si adatti perfettamente alla stagione, all’ambiente, alle esigenze del momento. Ho bisogno di un abito piuttosto sobrio, che non dia all’occhio, che passi quasi inosservato ai più, che al momento opportuno mi faccia apparire come un esemplare austero, criptico, senza fronzoli. Ammesso e non concesso che l’abito non fa il monaco, allora il mio abito sarà indossato in quelle occasioni nelle quali non ho bisogno di essere ciò che realmente sono. Che colore potrei scegliere? Sicuramente ce ne sono tanti in giro capaci di trasmettere una certa immagine di sé. Devo lavorarci sopra. Ma se non riuscissi ad arrivare a comunicare soggezione, distacco, indifferenza, menefreghismo quanto meno mi riprometto di apportare modifiche a questo abito. Ahimè mia madre non potrà aiutarmi in questo; lei, il suo lavoro su di me lo ha già fatto. Sarebbe anche ora che anche io andassi un po’ di ago e filo.


mercoledì 16 marzo 2011

La ragnatela

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irei che ho bisogno di scrivere. E devo farlo in fretta, prima che la batteria mi muoia tra le braccia. E’ una di quelle giornate alla fine delle quali, vorresti avere subito la possibilità di sfogarti, di chiedere consigli, di raccontare le mille emozioni vissute in poche ore. Ma non posso farlo, almeno fino a quando non varcherò la porta di casa e finalmente troverò ciò che cerco. Eccomi qui, allora. Il mio blog è la mia piccola stanza buia illuminata solo dalla lieve luce di una candela. Ci sono solo io. E i miei pensieri. Che dire. Si può nell’arco di otto ore lavorative passare dal massimo dell’esaltazione per la propria efficienza, all’inconscio timore di non aver poi fatto abbastanza? Non ascolto la mia coscienza e faccio male. Perché quello che mi dice è che io come sempre, dò il massimo se non tutto. E allora chi mi inculca quella stupida paura? La risposta la trovo ancora una volta dentro di me: ciò che mi frega è cio’ che io dimostro di essere. Sempre. Disponibile, capace di quell’unico movimento della testa che corrisponde all’annuire. E dunque, da qui la convinzione ( o meglio, la paura ) che io debba sempre dare il massimo, anche quando sembra non mi venga chiesto. E allora vai con i sensi di colpa: “ Ma avrei dovuto fare anche quello?”, “Ho fatto poi realmente tutto il possibile?” “ E se venissi giudicato male per il mio comportamento?”. Paure, probabilmente ingiustificate, assurde che stanno già minando un lungo ponte che voglio invece vivere in totale relax. Passo davvero per stupido, me ne rendo conto. Ma dovevo pur parlare, dovevo pur raccontare, esternare tutto. Non mi preoccupo di risultare a tutti gli effetti un paranoico. E che così facendo pongo sempre le basi per vivere male. E dire che tutto è tremendamente chiaro: mi fa paura il fatto di aver già scoperto le carte. Voi pensate che riuscirò a liberarmi di questo piccolo momento fino a Lunedì? O finirò con il preoccuparmi di un’ eventuale rimostranza al mio ritorno? E se invece io passassi quasi per megalomane? Magari la mia presenza o la mia assenza in un momento importante non sarà neanche stata notata. Beh, che dire, a creare il solito sconquasso è sempre la stessa incredibile, assurda paura. Che sotto certi aspetti è motivata visto che io sono ancora sotto “periodo di prova”. Ma il problema sta da un’altra parte, questo è chiaro. Il problema come sempre è dentro di me. Ah, quasi dimenticavo..Tra le sensazioni di oggi merita menzione il fatto di essermi sentito così utile alla causa da pensarmi idiota. Liberarmi della ragnatela che mi sono tessuto intorno negli anni non è facile; ho lavorato molto per rendermi un uomo maturo che ancora però deve imparare tanto dalla vita. Può essere che tutto quello che sta accadendo piano piano mi aiuterà a liberarmi dell’intreccio di fili che mi avvolgono. Che arrivi presto il 20 Giugno.


lunedì 14 marzo 2011

Leggerezza

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eggerezza è un piatto di pasta con i carciofi al forno e una bistecca ai ferri spettacolare. Leggerezza è soprattutto avere un’ora di pausa pranzo che ti permette finalmente di conversare oltre che trangugiare tutto alla velocità della luce. Leggerezza è un’intera giornata passata ad ascoltare relatori che ti fanno formazione su argomenti di cui a te non frega nulla. Leggerezza è sapere che tutto questo accade di Lunedì e che le 8 ore di sportello non ti toccano. Leggerezza è una splendida giornata di sole che magari ti fa illudere che d’ora in poi tutto apparirà sotto un’altra luce, ma che va bene perché il bisogno di leggerezza è grande. Leggerezza è sapere che mi è stato concesso il giorno di ferie e che mi farò il ponte del 17 Marzo. E chissà poi dove devo andare….Ma perché buttare via un giorno di ferie sapendo che me ne starò probabilmente a casa? Così. Sono leggero, molto leggero, oggi. Come sempre mi capita, faccio molto tesoro di questi momenti di manna dal cielo in cui tutto mi appare tremendamente bello, ed ogni piccolo avvenimento merita di essere vissuto. In queste situazioni si fa sempre strada in me la convinzione che si tratti di uno stato di calma apparente: tutto procede per il verso giusto? Beh, meglio allora cercare di godersi il tutto. Ancora lontana, lontanissima è la data del 20 Giugno, traguardo fondamentale per poter acquisire una maggior grinta e voglia di evidenziare problemi e lamentele. Sono buono. Non mi ribello, accetto tutto incondizionatamente ( o quasi ). Dal 20 Giugno, si vedrà. Leggerezza è sicuramente pensare a chi sono oggi, a come riesco ad afferrare la vita; a come tutto intorno si presenti a me senza incutere alcun timore anzi, infondendomi ulteriore coraggio e voglia di andare avanti. Leggerezza è arrivare a casa, trovare la mia famiglia e pensare che non ci saranno più scontri tra noi per i soliti problemi. Mi accorgo di essere tornato sulla terra e di non essere poi più in grado ( tranne qualche rara occasione ) di scervellarmi cercando di capire il perché o il percome di ogni azione umana. E dire che post di quel tono ancora ne leggerete, ma che posso farci, sono fatto così. Leggerezza è avere il mio libro, la mia rivista e il mio computer a portata di mano: esorcizzare tre ore del giorno regalate a Trenitalia, è un dovere. Ah, dimenticavo….Leggerezza è pensare al prossimo acquisto “compensativo” che poi tanto compensativo non è. Insomma, a furia di parlare di leggerezza quasi quasi riesco ad innalzarmi staccando i piedi da terra e soprattutto la mia schiena da questo lurido schienale di prima declassata. Beh, mi conosco: o tremendi stati di masochismo o deliri di onnipotenza. La via di mezzo non la conosco. Vado a godermi qualche altra ora di leggerezza.

sabato 12 marzo 2011

Complimenti e sviolinate

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on sono avvezzo a lasciarmi andare in complimenti e sviolinate. Almeno a parole. Quelle, preferisco di gran lunga usarle per altri e ben più meritevoli scopi. Solitamente tutto parte dal cuore e quando ritengo che qualcuno sia degno di stima e rispetto, non mi perdo in chiacchiere e prediligo agire, dimostrare con i fatti quanto quella persona sia importante per me. Mi imbarazza ancor di più essere io, oggetto di complimenti e sviolinate varie. Per la stessa ragione: parto dal presupposto, magari sbagliato, per cui ci sono diversi modi per dimostrare apprezzamento e, a mio parere quello delle parole è troppo semplice da usare e non comporta quasi mai, impegno. Lunga premessa, come al solito, per introdurre l’articolo di oggi. Che è dedicato a Voi, cari lettori. Un blog personale, lo ribadisco, è un blog di nicchia. E genera lettori di nicchia. Non privilegiati, non fortunati; perché spesso questi blog ( ed è il mio caso ) finiscono con l’essere di difficile, contorta e pesante lettura. Di nicchia perché dotati di grande, estrema sensibilità e spirito critico. L’osservazione è importante. A Voi, devo rivolgere quelle sviolinate e quei complimenti oggi; e ahimè, lo posso fare solo attraverso le parole. Perché questo è il nostro mezzo di comunicazione, non ne abbiamo altri. E attenzione, i Vostri commenti, le Vostre critiche, i Vostri apprezzamenti nei miei confronti, non scivolano mai via solo perché espressi in parole. In quale altro modo potreste dimostrarlo? La Vostra attenzione, anche solo il Vostro passaggio privo di un commento o di una traccia di Voi è sintomo di grande sensibilità. Quella sensibilità e dignità che chi mi conosce davvero spesso non dimostra. E’ qui la grande contraddizione. Chi può e deve solo usare le parole lo fa quasi sempre con criterio, con onestà con dignità. Chi invece potrebbe fare a meno di ghirigori e girotondi linguistici, sceglie invece questo mezzo; perché il più semplice ma anche il meno dispendioso. Quando scendo qui, nei meandri della mia interiorità e raccolgo materiale per i miei articoli sono di gran lunga felice ed orgoglioso. Ho scelto di rivelare alla piazza il mio deposito segreto nel quale custodisco le più recondite sensazioni. E pensate, talvolta posso addirittura arrivare a sembrare depresso, perennemente triste, malinconico. Niente di più falso. Vedete, amici lettori, nella vita reale si fa presto ad essere ciò che vogliamo a seconda di chi ci si para davanti. Ma ognuno di noi ha un background che può scegliere di tenere sempre al riparo da tutti. Io ho preferito metterlo a nudo. Senza vergogna. Tutto questo per dire che non esiste nella realtà qualcuno che, meglio di Voi ha imparato a vivere e conoscere il mio deposito segreto. A Voi non interessa altro che questo. E ciò significa che Voi, mi conoscete alla perfezione. Quello che sono nella vita di tutti i giorni è ciò che la vita mi fa essere. E lì, probabilmente fareste gradite sorprese. Vi ringrazio di cuore, come sempre. Ringrazio coloro che si palesano con commenti e quelli che passano, leggono e se ne vanno. Sono bravo in complimenti e sviolinate?

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venerdì 11 marzo 2011

La maschera dell’indifferenza

I
l fatto di alzarmi tutte le mattine alle 5.30 e rientrare a casa alle 18.30 è ormai un’abitudine. Lavoro. La routine è e sarà questa. Come avevo previsto, il mio metabolismo e il mio corpo si sono perfettamente adeguati al cambiamento repentino di ritmi e stress. Bene, non posso che esserne felice. Mi faccio bastare una seduta di palestra a settimana ma noto che ha sempre effetti meravigliosi su corpo e mente. Detto questo, mi preme sottolineare che sto usando armi diverse per esorcizzare la mia giornata lavorativa, almeno sul luogo deputato ai miei compiti. E, tra queste, l’ironia e l’autoironia. A volte mi chiedo come io faccia a mantenere così alto l’umore e come riesca ad intavolare rapporti con i colleghi ispirati sempre ad un placido quieto vivere. Di sicuro ragiono in questi termini poiché sono un novellino che, pur avendo già capito molto del sistema, dell’ambiente, delle persone, ha bisogno di auto-irradiarsi energia per poter andare avanti. La mia energia è l’ironia, sottile, arguta. E l’autoironia. La voglia di prendermi in giro, di scherzarmi addosso, convincendomi poi del fatto che un po’ Fantozziano, lo sono. Quando paleso determinati atteggiamenti me ne chiedo sempre il motivo. E io un motivo ce l’ho, l’ho appena illustrato.Così passo dall’essere un lamentoso pignolo, ad una specie di macchietta. Ma dove sono le vie di mezzo? Uno dei miei obiettivi è quello però di essere finalmente “mascherato” al momento opportuno. Passi dunque l’essere serio e riservato, passi la macchietta per ragioni prettamente di sopravvivenza. Ma con certe persone no, proprio no. E’ davvero arrivato il momento di rendermi odioso. Del resto non mi si chiede di sforzarmi di essere simpatico con tutti, perché tanto qualcuno a cui stai sulle balle a pelle c’è sempre, no? Oggi ad esempio mi si è parata davanti una persona che, ha cambiato molto i suoi atteggiamenti nei miei confronti in breve tempo. Io certe piccolezze le noto, anche se ai più sfuggono. Sono un preciso in quel senso e, sebbene ciò mi provoca dolore, dovrei almeno ricavarne un beneficio: eliminare da subito certi contatti. E così, pur con un movimento pesante e fastidioso allo stomaco, mi maschero da indifferente, provo a sorvolare e a non vedere. Più volte nella vita mi è capitato di intavolare rapporti che poi sono scemati nel totale silenzio senza una ragione. La ragione c’è quasi sempre, ma io, di fronte al silenzio altrui, decido di essere connivente e mi adeguo. Non saprò mai per quale ragione esiste una fine, posso soltanto immaginarla. Ma noto che situazioni di questo tipo tornano a presentarsi. Pazienza. Un saluto in meno, una scusa per girarsi dall’altra parte e piano piano, tutto passa. Dannata sensibilità. Ma ormai ho un set di maschere da indifferente a portata di mano….

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giovedì 10 marzo 2011

Percorsi evolutivi

C
omincio a non sopportare questa forte escursione termica. Temperature molto rigide al primo mattino, epiche sudate nel pomeriggio. Rifletto e teorizzo sul “secondo fine”, tipico di ogni azione umana. Penso alle amicizie estemporanee, a sequenze di comportamenti che paiono andare in una direzione e che poi improvvisamente ne prendono un’altra. Io amo parlare di stranezze. Mi sto riferendo a quei bruschi ed inattesi voltafaccia che, evidenziano, ex post, un evidente secondo fine iniziale. Quando penso che la maggior parte delle persone agisce sempre per il perseguimento di un fine nascosto ( anche il più banale ) mi sento (orgogliosamente) più bestia che uomo. Ogni amorevole animale agisce quasi sempre in nome di un istinto primordiale, la sopravvivenza. Ed ogni mezzo gli è concesso in nome di quell’essenziale obiettivo. Ah, gli uomini. Loro sono ben equipaggiati. Hanno un bel cervello, di dimensioni variabili in termini di neuroni, ma pur sempre un cervello. E allora parliamo dei danni che un optional di tale portata può causare. Ad esempio un cervello permette di pensare. E pensare provoca ( può provocare) catastrofi di dimensioni apocalittiche. Supponiamo che un uomo dotato di cervello in fase evolutiva però ancora embrionale, decida di pensare. Potrà dunque arrivare al punto di perseguire un fine stupido quale quello di beneficiare di una compagnia momentanea per riempire spazi temporali comunque limitati. In nome di questo fine, il suo cervello lo porterà ad elaborare atteggiamenti gentili, convincenti. Poi, raggiunto l’obiettivo, tornerà ad essere un’entità ( sempre dotata di cervello), soddisfatta per l’obiettivo conseguito. Ognuno di noi è titolare di un potere che gli è stato semplicemente attribuito a prescindere; nessun controllo però, può essere esercitato su come esso venga utilizzato. Da sempre sostenitore della razionalità, della logica, da sempre desideroso di recuperare anche un istinto animale perdutosi con gli anni, vorrei tanto tornare ad una fase evolutiva embrionale. Vorrei cacciare, vorrei muovermi, vorrei fare tutto ciò che posso per un fine nobile e necessario. Ed invece mi scopro umano e penso. Penso quindi sbaglio. Posso anch’io permettermi di essere viscido a tal punto da agire per circuire, da muovermi per ottenere qualcosa che è ben lontano dall’essere nobile. Questo articolo è un caos. E continua ad alimentare dubbi su quello che io sono veramente. Ragione? Si. Cervello? Spero di si. Istinto? Ah, questo sconosciuto. Stronzo e bastardo dentro? Ah ah, facciamoci una bella risata sopra. Per concludere: accetto a pieno titolo la mia condizione di umano pensante e come tale fallibile. Il giorno in cui mi concederò “un secondo” fine avrò completato il mio percorso evolutivo. Beate bestie… 


mercoledì 9 marzo 2011

“Tanti auguri a te” (parte seconda)

T
empo di festeggiamenti. A distanza di due giorni da quello di mia mamma oggi è il compleanno del mio papà. Già da tempo avevo pensato di dedicare qualche scritto alla mia famiglia. Quale migliore occasione se non quella di un compleanno; mi riesce sicuramente più difficile parlare di mio padre e non perché io non abbia un buon rapporto con lui. Potrei utilizzare qualche aggettivo per iniziare a definirlo: ermetico, riservato, pratico, a volte ombroso e riflessivo. Mi sono sempre chiesto come lui e mia madre abbiano potuto trovare un motivo per sposarsi. Loro, così incredibilmente diversi. Gli opposti si attraggono? Io lo trovo uno dei tanti luoghi comuni. Direi piuttosto che gli opposti hanno una discreta possibilità di incontrarsi data l’unicità di ognuno di noi. Non troveremo mai di fatto il nostro clone bensì qualcuno/a che al più si avvicina al nostro sentire, pensare, essere. Il che non significa che poi si vada d’accordo. Insomma, sono diversissimi. Il punto di forza di mio padre è sempre stato il suo senso pratico e la proverbiale calma che ne ha fatto uno dei pochi esseri viventi al mondo a non essere vittima di stress. Lui non ama e non ha mai molto amato la compagnia delle persone. Gli piace vivere il suo mondo fatto di ( ora che è in pensione ) televisione, lettura, e qualche partita di calcio. Un uomo dunque che, nonostante il lavoro lo abbia sempre posto a contatto con gli altri, ha preferito vivere la propria vita senza dover per forza condividerla con qualcuno che non fosse la mamma. La pensione, le giornate tutte uguali abbattono e rendono insofferenti la maggior parte delle persone. Lui? E’ immune a tutto ciò. Le sue parole risuonano continuamente: “ Enzo, devi aver pazienza che tutto s’aggiusta”. E lui, di pazienza ne ha avuta tanta. Il lavoro duro, la forza nelle mani che si sporcano di grasso. Le serate passate a rimuginare su come avrebbe potuto risolversi questo o quel problema. Mio padre, ha iniziato a lavorare molto giovane, come molti della sua generazione. Dalla Puglia alla Germania, poi Genova e infine, Alessandria. Ed io che, scherzosamente ogni giorni gli faccio pesare la sua scelta definitiva: “ Ma perché Genova no e questo lugubre luogo si?”. Scherzi. Lo vedo sereno ora. Ora che anche io l’ho alleggerito dell’ultimo fardello per il quale non riusciva a darsi pace. E questo compleanno sarà per lui diverso. Non lo dice, non lo dirà mai. Perché ad uno come lui, certe frasi non riesci a tirarle fuori. Te lo dirà con uno sguardo o con il compiaciuto silenzio con cui generalmente risponde alle sollecitazioni positive che vengono dall’esterno. Ride poco mio padre. Sorride, se mai. E con mia madre riesce a dare al suo timbro di voce un tono greve quando, si scontrano per ogni tipo di inezia. Così diversi, ma così uguali. Coppie di altri tempi. Beh, buon compleanno anche a te, papà. Ah, l’ho detto anche alla mamma: “Continua così”.


martedì 8 marzo 2011

In attesa di Morfeo

C
apita a volte che hai già deciso quando scriverai il prossimo articolo e a quale argomento lo dedicherai. So già per certo il contenuto del post di domani ma mi trovo qui, comodamente in tenuta da letto e seduto davanti al mio troppo fedele amico: il pc. E sebbene io non senta il bisogno di dissertare di qualcosa in particolare, avverto quello di far andar le dita sulla tastiera. Riempire il tempo che mi conduce tra le braccia di Morfeo non è tuttavia difficile. Dal momento in cui arrivo a casa con il treno delle 17.20 a quando poggio le membra sul letto passeranno non più di quattro ore. Se mi dovessi soffermare sul budget di tempo a disposizione per respirare o meglio, per percepire un fiato di vita beh, finirei con il deprimermi. Ma afferro ogni singolo momento per la giacca ( ma il tempo indosserà mai qualche abito?) e lo trattengo a più non posso. Cosa mi sento in questi frangenti.. beh, posso dire che sono questi gli attimi in cui apprezzo il gusto del calore di casa. La tavola comunque si anima, gli argomenti a volte sono fin troppo gli stessi e questo per colpa del sottoscritto. Come già ho più volte affermato, la tempesta di novità che mi ha travolto nell’ultimo trimestre è stata ed è piuttosto violenta. Roba da riempire fiumi di fogli o da stordire i miei poveri genitori. E’ con loro, a tavola, che mi “diverto” a raccontare. E’ un Martedì che si spegne avvolto da un piacevole e rassicurante silenzio. Le giornate lavorative talvolta ti accompagnano fino a che non poggi la testa sul cuscino, altre volte rimangono là, chiuse negli uffici. E tu hai la chiara sensazione di essere uomo e vivo oltre che impiegato e stressato. Ecco, questo post è una dimostrazione più che concreta di come si afferra il tempo, di come lo si traduce a proprio favore, liberando la propria mente attraverso qualche parola scritta. Mi piace andare di getto, anche se così facendo mi riesce difficile dare un ordine preciso ai pensieri. Tutte le mattine in treno incrocio gli stessi occhi, le stesse espressioni stanche ed è normale che trovi in quel “mal comune” un “mezzo gaudio”. Facce stanche si, ma persone comunque vive, almeno credo. E io? Lo confesso, sono lontani i tempi dello zombie e delle occhiaie. Non che sia un fiore, questo è certo. Ma il tempo mi sta dicendo che è sempre mio amico, purchè non mi ostini a volerlo a tutti i costi dalla mia parte. Mi sarà fedele compagno solo se imparerò a non aspettarlo troppo e ad afferrarlo al momento giusto. C’era una volta un ragazzo che aveva paura della propria ombra, del tempo che trascorreva inarrestabile senza che lui sapesse che farsene. Ora ha la sensazione di dominarlo, di farne ciò che è meglio per lui. Com’è possibile? Questione di tempo. Morfeo, arrivo.


domenica 6 marzo 2011

“Tanti auguri a te”(parte prima)

I
n fondo siamo due gocce d’acqua. Non tanto nei tratti somatici quanto piuttosto in quelli caratteriali. Non ricordo quante volte, scherzosamente le ho rimproverato di essere speculari e che ciò non ha sempre giocato a mio favore. Lei ama parlare, circondarsi di persone, sebbene lo continui a negare. In fondo la sua vita sono le sue passioni, il cucito, l’amore per la casa. E’ incredibilmente iperattiva e poi si lamenta che si sente spesso ansiosa, nervosa, che soffre d’insonnia. Ma tutto ciò lei lo vive con grande ottimismo, sempre con il sorriso sulle labbra. Non ama soffermarsi a pensare più di tanto, non vuole che il tempo scorra inutilmente. A volte sembra un robot. E poi se la vedi alzarsi alle 6 del mattino ed andare a letto a mezzanotte, guai se provi a rimproverarla. E’ la sua vita, e le va bene così. Non ho sicuramente recepito la sua visione della vita non del tutto aderente alla realtà e forse proprio per questo, tendente ad un (a volte) insano ottimismo. Glielo faccio notare molto spesso: “ Mamma tu vivi fuori dal mondo, bisogna entrare nelle situazioni, capirle a fondo e poi valutare”. E su questo siamo sempre in disaccordo. Non credo che l’idealismo sia poi sinonimo di irrazionalità: si può sempre vedere il bicchiere mezzo pieno e non per questo passare per scemi. Di sicuro a lei tutto ciò giova. E mentre scrivo di lei mi accorgo che poi non siamo così uguali. Ma senza alcun dubbio è stata ed è tuttora la mia miglior amica e confidente. Perché entrambi abbiamo sempre bisogno di tirare fuori tutto, di provare, attraverso il dialogo, a cercare una soluzione. Sono cresciuto, sono un uomo. Per lei però sarò sempre il suo bambino, colpa anche del sottoscritto che per diverse ragioni, ancora vive a casa. Ma quale bamboccione d’Egitto. Valutare, prima di parlare. La mia mamma si cala sempre ( troppo ) nei panni altrui. Come sempre accade ne prende le sembianze a tal punto da annullarsi e in questo mi ricorda qualcuno (!). Non riesco a giudicarla da questo punto di vista, ma mi specchio in lei quando mi accorgo che la gente le ha già preso più delle due braccia di cui dispone. E dire che le aveva solo dato una mano.. E’ ancora convinta che l’amore salvi il mondo, che siamo tutti capaci di stare bene se solo siamo onesti, limpidi, amorevoli. Ma come darle torto, la sua è una generazione di fenomeni, di alieni. Fino a quando potremo contare ancora su quelle parole, su quei consigli che, a prima vista ci sembreranno anacronistici, lontani anni luce dal mondo di oggi, pensiamo che siamo fortunati. Buon compleanno mamma! Ah, continua così, mi raccomando..


sabato 5 marzo 2011

A.A.I.

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recisione, ordine, regole, razionalità, realismo, pragmatismo, logica. Ma io sono davvero tutto questo? Il fatto è che non lo scopro ora. Non c’è alcun dubbio, io sono questo e mentirei se dicessi che la cosa mi dispiace. C’e tuttavia qualche piccolo particolare che mi sfugge. Esiste una parte di noi che ha il sapore dolce del sogno, dell’ideale, della fantasia, del sentimento. Può essere che non sia roba per me. Il problema però è grande e di difficile soluzione. Se sei convinto di ciò che sei perché poi nella vita di tutti i giorni ti manifesti in modo del tutto opposto? In questo caso il complesso scenario che è il mondo degli individui potrebbe darti una mano, dicendoti in modo sincero chi tu per loro sei o comunque, appari. Non c’è molto da fidarsi della gente di oggi, sono sicuro infatti ne ricaverei un giudizio superficiale, o nella peggiore delle ipotesi, interessato.Ma io ho bisogno di sapere. Se adoro stare con i piedi per terra, se vado in estasi quando nell’affrontare una situazione scopro che tutto torna, che tutto ha una spiegazione e che due più due fa quattro dovrei trasmettere un’immagine sicura, criptica. Dovrei soprattutto godere del grande dono della sintesi. Niente di tutto ciò. Sogno, idealismo, fantasia, sentimenti. Ho molti dubbi. Non sono un sentimentale, rifuggo le smancerie, sono un portatore sano di concretezza e sobrietà, soprattutto nelle relazioni. Chi mi legge potrebbe avere qualche rimostranza da fare dal momento che ho sempre sostenuto di dare molto, in termini di “anima e core” alle persone. Ma allora sono un crudo calcolatore oppure un deficiente che nel 2011 ancora soffre per gli altri? Sono un' indefinibile creatura aliena. Ne sono arciconvinto. Sono un essere complesso, che non ha nulla da nascondere riguardo al fatto di conoscersi appena. Gli altri. Ho attraversato fasi complesse nel corso dei miei “42”. Gli altri però non mi sono mai piaciuti. Nella fase del vittimismo, li ho sempre tacciati di ignobile crudeltà, di profonda insensibilità. In quella della reazione, li ho ad uno ad uno inquadrati come piccoli obiettivi da colpire, uno ad uno. La vendetta va gustata fredda, no? Ora sono nella fase dell’assoluta indifferenza. Non provando nulla per gli altri, potrei anche rischiare di smettere i panni ( o meglio, la corazza ) di macchina da guerra. Riparto con il cuore? Provo ad essere sentimentale? Ne varrà la pena? Scritto così, sembra che io mi possa permettere di scegliere se usare la ragione o il sentimento. Non per vantarmi ma sono in pieno possesso di entrambi. Mi sento molto padrone delle mie doti intellettive. Sul fronte del cuore, però perdo facilmente il controllo.Ma allora chi sono? Ditemelo. E soprattutto, cosa scrivo? Perché se c’è qualcuno che ha capito qualcosa di questo articolo, allora diventerà socio onorario dell’AAI: Associazione Alieni Incompresi.


venerdì 4 marzo 2011

I miei tesori

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l giorno in cui io e solo io sarò al centro dell’attenzione (la mia, preciso) è ancora lontano. Il giorno in cui rinuncerò a fare il solito passo indietro a favore del prossimo è altrettanto lontano. Quando arriverà il giorno in cui riuscirò a tirarmela, a farmi desiderare, a dire: “ Beh, in fondo tu sei il centro del tuo mondo e quel che ruota attorno a te è solo parte della sceneggiatura”? Io dunque, l’attore principale gli altri, comparse. Se riuscissi di tanto in tanto a focalizzare l’attenzione sulle mie esigenze sarebbe già un bel passo avanti. A quel punto però dovrei inculcarmi fortemente la convinzione ( che poi non è così lontana dalla verità ) secondo la quale la mia soddisfazione personale, non deve necessariamente passare per l’altro/a. Partendo da questo fondamentale presupposto, riuscirei ad adottare quel bellissimo modus agendi che è il “farsi desiderare”. Che poi, è anche un metro reale di valutazione di quanta considerazione l’altro/a nutre nei tuoi confronti. Complice il mio essere tremendamente espansivo con chi mi va a genio, spesso e volentieri gioco le mie carte, mi paleso fin troppo. Il cosiddetto, libro aperto. Anche in questo caso, come in molti altri da me citati, ho sempre predicato bene e razzolato male. Facciamo un elenco? Enzo, devi essere più bastardo ( anche solo “dentro”), devi essere più autoritario, devi essere più ermetico, devi essere più scaltro. Ho elencato solo alcune delle promesse fatte a me stesso e mai mantenute. Lo so, non si può prescindere dall’altro/a, non se ne può fare a meno. Ma nel mio caso, la predisposizione verso il prossimo anziché giovarmi mi ha danneggiato. E non solo perché come ben sappiamo, il mondo è popolato di leoni affamati e viscide sanguisughe; la ragione principale è che aprirmi eccessivamente al mondo ingenera in me aspettative che quasi sempre sono state disattese. Perché? Perché, egoisticamente è come se pretendessi che gli altri agissero e rispondessero agli stimoli in modo eguale al mio. Ma mi accorgo che ciò è impossibile anche se, rientra nel mio concetto di “perfezione” di relazione. L’intesa perfetta è frutto di empatia. Io la vedo così. E l’empatia è una delle più belle forme attraverso le quali si manifesta la perfezione. Sono fissato con questo concetto e credo dedicherò un articolo al riguardo. Su cosa punto allora? Su ciò che al momento mi appare ( ma non è ), scontato, quasi dovuto. Mi riferisco all’affetto della mia famiglia, e di chi rimane una presenza fondamentale nella mia vita. I miei tesori.


giovedì 3 marzo 2011

Prima declassata

S
e sono ancora qui, presente sulle pagine del mio blog un motivo ci sarà. E in questi giorni una tale assiduità nel pubblicare articoli ha quasi del miracoloso. Ma non c’è stanchezza che tenga. Questo vagone di prima declassata in testa treno è il mio salotto viaggiante e con lui anche i miei pensieri corrono ad una velocità sostenuta. Scrivo dunque ancora per manifestare qualcosa che, solo al termine di giornate ad alto stress, riesce ad emergere in modo chiaro. A fare da sottofondo a questa settimana una incredibile serie di episodi al limite della sfiga Fantozziana che hanno dato colore e gettato un velo di ironia sulla solita confusione di fondo. Confusione: torna prepotentemente ad essere il tema dominante della mia quotidianità lavorativa. Incertezza, problemi irrisolti e pare irrisolvibili, assenza di disposizioni chiare. Credo che, quel punto di non ritorno da me stesso indicato come obiettivo finale dovrà mio malgrado subire una proroga. Con l’inizio della primavera mi ero proposto di giungere ad una discreta conoscenza del lavoro, della realtà circostante. Una conoscenza tale da mettermi al riparo da possibili ulteriori momenti di sconforto. Ed invece pare io debba attendere ancora. E come già detto, ho una precisa volontà: quella di giungere progressivamente a far si che il lavoro non interferisca nella mia vita privata e sociale. Che poi, anche lì, è tutto un caos. Provo a cercare di capire, cosa posso fare per ottenere quella sensazione di benessere che poi so bene essere frutto di una soluzione di mezzo. Isolare il lavoro al momento non è possibile. Probabilmente da qui a poco, la settimana non finirà più al Venerdì ma ci sarà la possibilità che termini addirittura la Domenica. Mi fanno paura le solite affermazioni di circostanza. “Se te la senti”…che nascondono un …ma è meglio che te la senti”. E’ da tempo che ho smesso di guardare oltre la fine di ogni giorno. Godermi il momento del rientro, pensare che finalmente stasera potrò anche sbarbarmi e cenare con le persone a me più care è tutto quello che mi rende sereno. Poca roba? Ora non vedo altro. Perché il mio progetto è ancora in fase di elaborazione, probabilmente sto costruendo le fondamenta e se farò poggiare il tutto su basi solide, ne godrò i frutti. A questo punto provo a spostare il termine ultimo di qualche mese. Il 20 di Giugno, terminerà il mio periodo di prova e ( ci metto la mano sul fuoco) da quel momento in poi, qualcosa cambierà. Lasciamo dunque che la confusione regni sovrana; non ci sono abituato, ma ogni giorno è una scoperta, no? Torna il weekend a chiarirmi le idee, o meglio a restituirmi una discreta parvenza di uomo che ha anche una vita da vivere. Con tutto il rispetto per il mio salotto viaggiante di prima declassata.


mercoledì 2 marzo 2011

Senso di protezione

O
ggi è stata una giornata dai due volti. Per un verso mi è capitato di ridere molto, di gusto, come non facevo da tempo. La sensazione del momento è stata quella di ritrovarmi in una di quelle situazioni che da tempo desideravo di vivere. Persone stimolanti intorno, simpatiche, affabili. E quel momento l’ho vissuto intensamente. Mi affeziono molto di norma alle persone, ma anche alle singole situazioni. Vorrei aggrapparmi ad esse e poter rimanere lì, per più di un singolo momento di condivisione. Probabilmente è tutta colpa della mia fame di socialità, di sana e robusta superficialità. Me la sono goduta e questo basta, voi direte. La vita, è un soffio, le sensazioni piacevoli durano l’attimo di un sorriso, di una complice giovialità. Ma non sarei io se dicessi che mi sono fermato lì, a quel punto, senza poi scorgere l’aspetto più razionale della cosa. E così ho rovesciato la medaglia e ci ho visto la mia solitudine, pur trovandomi circondato da ciò che in fondo ho sempre desiderato. Perché come ho detto e ripeto, a fregarmi è il desiderio irrefrenabile che tutto abbia una durata di non più di un frangente, di un pranzo. Ed invece, eccomi di nuovo sul treno che mi porta a casa. Ho già quasi maledettamente dimenticato tutto quel che di buono questa giornata ha portato. Mi odio quando faccio così. E inevitabilmente il mio istinto è quello di rannicchiarmi su me stesso e cercare protezione, a colmare quel vuoto improvviso a seguito di tanta manna dal cielo. Piegandomi su me stesso, e andando alla scoperta di ciò che mi fa stare bene, prendo il telefono in mano e compongo un numero. Ecco, ora mi sento meglio, mi sento protetto. In fondo il destino fa anche questo. Ti fa nascere e vivere in un luogo che non hai mai sentito tuo. Poi, assecondando quasi un tuo desiderio, ti fa trovare lavoro altrove, lontano da quel posto. E sempre accontentando i tuoi capricci, ti regala anche momenti di ineguagliabile condivisione. Ma ti ricorda anche che quel luogo nuovo non è tuo anche se un giorno potrebbe diventarlo. Mi chiedo se sia il caso di prendere in considerazione l’ipotesi di fare un passo importante. Ma so che forse non è il momento perché mi conosco molto bene e so che le mie emozioni hanno un culmine per poi scemare molto rapidamente. E dunque, razionalmente parlando potrei davvero ritrovarmi a fare una cazzata. Quindi, continuerò a godere di questi momenti. Ne rimarrò aggrappato fino a che sopraggiungerà il bisogno impellente di rannicchiarmi su me stesso. 


martedì 1 marzo 2011

Fuori dalla gabbia

C
ontinua dal post precedente. Se dunque io sono finalmente “io” e posso tranquillamente librarmi in volo nel cielo della spensieratezza, perché non prendermi la libertà di dire finalmente ciò che penso? Lo posso fare senza timore che il tutto mi si ripresenti come una peperonata alle 8 del mattino. Credo che non ci sia cosa migliore di avere la possibilità di fare valutazioni su cose e persone senza il peso di una situazione personale fortemente condizionante. Quante volte ( non le conto neppure..) è stata la mia altalena di umori e sensazioni a pregiudicare un rapporto? Tantissime. Quante volte ho finito per risultare tutto e il contrario di tutto agli occhi della gente? Innumerevoli. Mi piace questa nuova leggerezza che in modo del tutto naturale mi regala una visione incredibilmente chiara di ciò che accade intorno a me. La mia attenzione come sempre si concentra sulle persone. Ed è piuttosto lontano quel mio modo di vivere le relazioni: come ho già affermato, ora che la porta della gabbietta si è aperta e ho cominciato a volare, scopro un mondo nuovo. Lo osservo con occhi nuovi, lo vivo con animo leggero. Attenzione però: questa mia nuova situazione non mi permette di scegliere le persone a me più gradite. Credo che dovrò convivere con alcune forme di compromesso e che dovrò pur sempre spingermi fino all’accettazione di ciò che passa il convento. Finirò, lo so, con l’essere ancora scontento ma sicuramente sul piatto della bilancia potrò porre una maggior superficialità nella visione delle cose. Tutto, insomma, sarà forzatamente leggero. Ricapitolando: leggero io, leggero tutto il resto. Diventerò terribilmente superficiale? Non credo. Semplicemente afferrerò la vita e le persone che ne fanno parte con una maggior scioltezza. Oggi qualcuno mi ha definito: “uomo triste e lamentoso”. Sapete come ho reagito? Sorridendo. Forse passi il lamentoso, ma non certo triste. Chi mi legge da tempo potrà probabilmente definirmi, prolisso, umorale, masochista. E aggiungiamoci realista che, al giorno d’oggi spesso fa rima con pessimista. Ma io non mi considero una persona triste. La voglia di ridere e scherzare hanno sempre fatto parte del mio bagaglio di viaggio. Magari è rimasta troppo tempo chiusa lì, senza possibilità di prendere aria. Prendo coscienza del fatto che la mia predisposizione alle relazioni cambierà e sarà sicuramente priva di aspettative. In fondo sono cambiato io, non gli altri. Vivo, quindi amo, quindi scelgo: di essere finalmente leggero e quel tanto che basta, superficiale.


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