venerdì 30 luglio 2010

Passione

Qualche anno fa un’amica mi affibbiò la curiosa definizione di “ragioniere dei sentimenti”. Ai suoi occhi apparivo troppo razionale, pragmatico e poco incline a (come si suole dire) “lasciarsi andare”. Mancavo dunque, secondo la sua personale opinione, di passione. Quasi quasi ci cascavo: tutto ciò che arriva alle orecchie di un insicuro ha il sapore della verità. Passione, passione, e ancora passione: io, figlio di meridionali, istintivo per natura, amante della schiettezza ( anche di quella cruda che sa di verità ), potevo essere definito uomo senza passione? Stiamo parlando di ciò che muove il mondo: l’amore non è nulla senza passione, una vita senza interessi, non è vita. E allora mi chiedo se all’epoca ( stiamo parlando di circa tre lustri fa ) io fossi una sorta di Siberiano trapiantato in Piemonte. So per certo ciò che sono ora, ovvero si un uomo pensante, razionale, di quelli che vorrebbero una spiegazione logica a tutto. Ma c’è anche passione, eccome se c’è. E’ curioso notare che come sempre, dentro di noi si nascondo qualità doti e abilità di cui spesso ignoriamo l’esistenza. Mi sono accorto di avere la passione per lo sport ( praticarlo intendo ) casualmente così come ho capito di avere la passione per la fotografia quando ho cominciato a viaggiare non per il solo gusto di farlo. E che dire della scrittura? Ricordo bene ( e vi ho dedicato un post nel mio vecchio blog ) quale fosse l’opinione del mio professore d’italiano riguardo i miei scritti. Suppongo che mi riesca facile ora trasmettere sensazioni e stati d’animo perché tutto avviene per diletto, per il puro desiderio di scrivere. Tutto avviene per passione. La grinta e l’entusiasmo con cui facciamo le cose che ci piacciono regalano grandi soddisfazioni. Dunque, io, ragioniere? Avessi una bilancia su cui poter poggiare da un lato la ragione e dall’altro la passione, forse starebbe in equilibrio. Ma, a dirla tutta, passione è sinonimo di istinto e l’istinto “chiama” il rischio. Si, a conti fatti, ho ancora bisogno di un po’ di passione.




giovedì 29 luglio 2010

Autostima

Grazie all’ ”input” di un amico affronto la questione “autostima”. Non sarà il primo né l’ultimo articolo al riguardo. E’ una tematica complessa, non ho sicuramente le competenze tecniche per argomentare con semplicità, ma come sempre posso partire dalla mia esperienza personale. Mi riesce tremendamente difficile ( non avendo il dono della sintesi ) definire in poche righe il ruolo ed il peso che ( in termini negativi ) la scarsa conoscenza delle proprie capacità ha giocato su di me nel corso della mia esistenza. Ma credo di poter distinguere due fasi ben precise caratterizzate l’una, da insuccessi su differenti fronti , l’altra più coinvolgente e connotata da progressivi miglioramenti a livello morale e pratico. Cosa è successo nel frattempo? Probabilmente, come spesso accade ho fatto delle scelte, e queste si sono rivelate produttive. Mi piace constatare che spesso sono proprio quelle casuali o necessitate ( quasi mai quelle coscienti ) a rivelarsi le più gratificanti. E’ accaduto dunque che, ad un certo punto del percorso qualcosa ha cominciato a funzionare. Frutto solo del caso? Ritengo che tutto muova da avvenimenti esterni ( io li chiamo “rinforzi”) che anche inconsciamente provochiamo e che vanno a risvegliare aspetti della nostra personalità più nascosti, che noi facciamo fatica a riconoscere. Cosa aumenta l’autostima? Il raggiungimento di un risultato, di un obiettivo, seppur piccoli. Il segreto sta nell’avere aspettative commisurate alle proprie possibilità, nel rendere tutto raggiungibile, anche se l’obiettivo pare insignificante. Il risultato gioca un ruolo determinante; dietro ogni grande aspettativa spesso purtroppo si nasconde una potenziale grande delusione. Aspettative ed autostima corrono parallelamente. Tornando al sottoscritto, continuo a ricercare quei piccoli successi che possono rendermi ogni giorno più consapevole. Vivere la quotidianità è un altro piccolo segreto, ma sull’argomento finirei con l’annoiarvi troppo.

mercoledì 28 luglio 2010

La tartaruga


Uno degli indizi più schiaccianti per riconoscere un “vero” amico sta sicuramente nel fatto che, quasi sempre non ti dirà mai ciò che tu aspetti un amico ti dica, ossia quello che ti piace. Sarebbe troppo comodo, no? Lui invece, con spiazzante sincerità e trasparenza il più delle volte ti “illuminerà”, ti aprirà gli occhi sulla realtà. Quando, come il sottoscritto, si cade in una sorta di ciclico torpore e si finisce per fare qualcosa giusto per farlo (senza uno scopo preciso e per giunta con la consapevolezza che non porterà a nulla se non a delusioni) l’amico, quello vero, non ti asseconderà per farti piacere. Ci sono fasi in cui il torpore è tale che tutto diventa meccanico, anche il voler ostinatamente credere in qualcosa che ormai non ha più tempo di esistere. Mi fa male pensare che vi sia un’età per ogni cosa; se da un lato, come più volte ripeto, questo è il momento in cui si comincia a tirare una bella riga in fondo alla colonna delle esperienze e se ne fa la somma, dall’altro mi sto accorgendo di risultare piuttosto anacronistico. Mi riferisco ad alcuni valori che ai tempi dei miei genitori e dei miei nonni avevano un ruolo importante. Mi sento dunque collocato in una dimensione spazio-temporale che non è la mia e ciò mi rende tutto più difficile; il fiato si fa corto quando cerchi di stare dietro ad atteggiamenti, ad usi e costumi che cambiano alla velocità della luce. Sono una tartaruga che cerca di inseguire una gazzella. E così, quando magari molte argomentazioni hanno ad oggetto l’amicizia, la ricerca di un rapporto ideale, il sottoscritto finisce per risultare fuori dal tempo. L’amico “vero” oggi, mi ha svegliato da un sonno profondo nel quale ero caduto,  durante il quale stavo inseguendo l’impossibile. Mi ha svegliato dicendomi che, probabilmente quando si rimane delusi dalle amicizie, non ha molto senso continuare a cercarne. Basterebbe convincersi del fatto che ad un certo punto la tartaruga, dovrà per forza raggiungere la gazzella, quel tempo che fugge così velocemente non aspetta, e allora non c’è tempo per cercare ancora, prendo coscienza di questo e faccio tesoro di ciò che ho. Grazie “amico vero” per avermi svegliato, la tartaruga sta provando a correre.

martedì 27 luglio 2010

Indifferenza


Ci provo a provare indifferenza. Ci provo e non ci riesco. Mi consolo al pensiero che questo “non-sentimento” non è privilegio di  tutti. Capita infatti di fare una passeggiata nella grande piazza di Facebook e trovarsi circondati da un numero incredibile di links a trasmettere i sentimenti più disparati. Mi pare di capire che, oltre all’amore, vadano di moda la delusione, il risentimento, talvolta l’odio. Proviamo dunque ad immaginare anche solo per un attimo che la community per eccellenza rappresenti uno spaccato della nostra società : ne esce un quadro piuttosto triste. Tante le persone deluse, tanti i rapporti finiti, tanta la voglia di mandare tutti a quel paese. Non sono dunque solo, la compagnia è grande, e ognuno a proprio modo manda il suo messaggio subliminale a chi lo merita. Se l’indifferenza fosse di tutti probabilmente la piazza di Facebook si svuoterebbe rapidamente. Anch’io, come mi è capitato di affermare, sono un sostenitore del messaggio “indiretto” e non per vigliaccheria. Di fronte ad un ostinato silenzio, la community diventa paradossalmente il veicolo per comunicare. E quando, di fronte ad un più o meno mascherato invito a reagire ricevo indifferenza, riesco ancora ad indignarmi. E nello stesso tempo provo una sottile invidia verso questi soggetti che, sentendosi “toccati”, rimangono immobili come statue di sale. “Ma perché non parli?”, disse Michelangelo al suo Mosè. Ma quante statue ci sono al mondo? E non parlo di quelle che adornano piazze e musei… Probabilmente sto lottando contro i mulini a vento e sono anche piuttosto recidivo. Il mio è ancora una volta un appello a sostegno del dialogo, della sincerità della schiettezza. Parlate gente, siate anche crudi, ma parlate. Quanto vi costa? Portare avanti dei rapporti, parlare di amicizia, richiede consapevolezza di ciò che si fa e si dice. Non lasciate morire tutto nell’indifferenza. Ah, l’indifferenza..

lunedì 26 luglio 2010

Saper osare

Oggi ho inforcato la bici. Il tempo invogliava eccome, da qualche giorno infatti l’afa da queste parti ha lasciato il posto a cieli tersi e temperature più che accettabili. Le condizioni ideali per salire sui pedali e provare magari ad osare. Ero tuttavia piuttosto timoroso, quasi impaurito: la notizia dell’ennesimo ubriaco al volante che ha travolto alcuni ciclisti non mi ha certo lasciato indifferente. Non amo percorsi trafficati, porto con me l’attrezzatura necessaria ma, ogni volta che senti il rombo di un motore avvicinarsi non sei tranquillo. Dopo qualche chilometro ho pure avvertito una forte fitta al fianco che mi stava quasi convincendo a mollare, ma ho deciso di rischiare. Ho fatto bene. Mi capita di pormi una destinazione, di scegliere il traguardo poi, una volta arrivato cerco di capire se è cosa osare oppure no. E oggi, ho raggiunto Masio ( 23 km in pianura ) facilmente. Un ponte sul fiume Tanaro è stata la mia area di sosta, giusto il tempo di scattare un paio di foto e valutare l’opportunità di proseguire. Ne avevo ancora nelle gambe, un paio di frecce indicavano le successive destinazioni a non più di 12 km poi sarei tornato indietro. Niente, troppa paura, quella fitta al fianco ogni tanto tornava a farsi sentire. Guardiamo come al solito il bicchiere mezzo pieno: si è trattato di una piacevolissima immersione nel silenzio della campagna, ancora un’iniezione di pace, una ricarica di forza mentale. Il ritorno è stato tranquillo, le gambe hanno retto bene, alla fine il display segnava km 53.20. Si, mi è dispiaciuto non osare. Tendenzialmente non amo il rischio, ma penso sia sempre questione di una valutazione sottostimata delle mie possibilità. La prossima volta butterò il cuore oltre l’ostacolo, Agosto è dietro l’angolo poi, appenderò la bici al chiodo. Non voglio pensare a quel momento, ho ancora troppo bisogno di pedalare, di accumulare immagini e scenari che mi torneranno utili quando i cieli tersi lasceranno spazio alla nebbia e alle tinte scure dell’inverno.

domenica 25 luglio 2010

Questione di stile


Carissimi lettori, continuo a chiedermi cosa c’entrino i libri e quella mela verde in cima alla pila, con il mio blog. Non riesco a darmi alcuna risposta. Tutta colpa dell’ostinata ricerca di qualcosa che in un certo senso mi rappresenti ( le mele acerbe però non mi piacciono..) e sia al tempo stesso stilisticamente armonioso. Bel problema eh? Da pazzi perderci anche solo un paio d’ore della propria domenica, lo so, soprattutto se i risultati sono quelli che voi vedete. Si, d’accordo, i contenuti sono importanti anzi essenziali, direi. Quindi potrei chiudere qui, e accennare ad un liberatorio “chissenefrega dell’intestazione!”. Manco sicuramente di fantasia, mi cruccio di questo. Ero un pessimo disegnatore alle scuole medie, o almeno quando si trattava di rappresentare anche solo un paesaggio con casa, albero e un soggetto. La mia insegnante era solita “incoraggiarmi” dicendo che il mio sole pareva un uovo fritto. Ma può una mente pensante e razionale come la mia riuscire a rinunciare senza aver trovato una soluzione? Se cominciassi a capire che non esiste una spiegazione per ogni cosa, che la soluzione perfetta non è di questo mondo, allora accetterei più candidamente le sfumature. Dunque con tutta probabilità quella mela e quei libri non rimarranno lì per molto tempo ancora. E allora, su cosa far cadere la prima scelta? Puntare sull’armonia dei colori? Che tipo di immagine associare al testo? Non so se è giunto il messaggio ma questa è una non ben mascherata richiesta d'aiuto, consapevole del fatto che esistono persone così fortunate da non essere imprigionate all’interno di schemi razionali e troppo definiti. Perdonate la pochezza di questo articolo, riesco a impanatanarmi facilmente nelle situazioni apparentemente più semplici.

venerdì 23 luglio 2010

Momenti

Quando l’autostima sale, l’orgoglio prende il sopravvento e la dignità si fa largo fino a rendermi uomo, avverto una piacevolissima sensazione di superiorità. Che, si badi bene, è ben lontana da ciò che viene comunemente chiamato egocentrismo. Ciò che provo è essenzialmente quel senso di sicurezza tipico di colui il quale non ha bisogno di niente e di nessuno. Solo in questi frangenti, assai rari purtroppo, mi piaccio, capisco e realizzo con gioia che non ho bisogno di prostrarmi, non sento la necessità di chiedere il perché delle cose, dei comportamenti, dei silenzi. Probabilmente questo è l’Enzo più puro, quello che solo gli eventi hanno reso più fragile, molto più incline al compromesso, spesso incapace di far sentire la propria voce. Questi sono indubbiamente i momenti in cui so dare il meglio di me, non ho remore di sorta nell’affrontare il nuovo, nel gestire le situazioni, nell’essere totalmente me stesso. Dovrei a tutti i costi sfruttare questa mia predisposizione positiva perché solo così avrò materiale su cui lavorare e nuove esperienze da cui partire. Aspettare un momento di vera serenità per affrontare la vita reale nel modo giusto potrebbe rivelarsi controproducente. Quando si fa un percorso interiore, di tanto in tanto un test valutativo non guasterebbe. Mi sento dunque piacevolmente attratto dall’idea di dare senso compiuto ad alcune situazioni che al momento hanno un valore solo teorico. Mi sento piacevolmente disponibile ad accettare il nuovo nella mia vita. Ho un sogghigno stampato sul viso. Ho dunque provato a trasmettere con le parole questa sensazione; so che (come tutto ciò che scrivo) risulterà alquanto difficile da interpretare. Ci provo con le parole, ma la mia anima rende meglio l’idea..

giovedì 22 luglio 2010

Disturbo?


Più volte mi è capitato di disturbare il passato. Se ne stava lì tranquillo, immobile, e a dirla tutta non voleva essere svegliato.  Alla fine si è preso una bella rivincita. Ho imparato a caro prezzo quanto sia difficile ( e controproducente) far rivivere a tutti i costi persone o situazioni che hanno una precisa collocazione temporale nella nostra vita. Per una volta però, ad essere “richiamato” dal passato è stato proprio il sottoscritto. Continuando sul tema delle date difficili da dimenticare, posso sicuramente menzionare il 9 Dicembre del 2009. Devo tornare però indietro di circa 8 anni quando, quella che doveva essere una vacanza memorabile nella meravigliosa terra di Sardegna, si trasformò in un incubo. Quattro persone divise in due squadre, schierate una contro l’altra. Io scelsi di parteggiare per la parte più debole e non mi fu perdonato. Decisi così di correre da solo, sapevo che avrei dovuto iniziare daccapo. Tutto quello che è accaduto da quell’Agosto 2001 al 9 Dicembre 2009 per ovvi motivi di spazio, lo ometto. Ricordo che stavo passeggiando all’interno di un centro commerciale, quando all’improvviso una forte stretta al braccio mi fece girare di scatto. Non ci potevo credere. Per un attimo ho pensato che avesse sbagliato persona poi, tutto è filato come se ci fossimo visti la sera prima. “Come stai?” “Tutto bene” e via dicendo….Ma cosa si possono raccontare due persone che non si vedono da 9 anni e che si erano lasciati da acerrimi nemici. Inutile dire che quella sera i miei neuroni giravano a mille. Le domande si sprecavano, ma una in particolare si ripeteva: “ Cosa porta una persona, dopo tanto tempo ad agire così?” Il tempo sana tutte le ferite allora? Il tempo permette di far vedere le cose in un’ottica diversa? E' tutto merito del tempo? Si può sotterrare l’ascia di guerra e allo stesso tempo non essere ipocriti dimostrando un sentimento sincero? Tutto questo però mi piace. Mi piace pensare che ci sono sempre margini di cambiamento, che se si vuole si può. Torno sul concetto del non dimenticare. Non si può, quel che è fatto è fatto. E allora forse bastava un gesto, una parola, un abbraccio al momento giusto? Oppure doveva andare così.. Non importa e mi ricredo: talvolta disturbare il passato, aiuta.

mercoledì 21 luglio 2010

Spiagge Hi-Tech

Stessa spiaggia stesso mare, un tormentone ormai sorpassato. Non sono solo gli Italiani a cambiare la meta delle loro vacanze ( alla faccia della crisi gli alberghi sono pieni - n.d.r. -), ora anche le spiagge si “aggiornano”. Passino quelle attrezzate per i nostri amici a quattro zampe ( sono sacre!), passino quelle in stile Miami beach con palestra e servizi vari per la cura del fisico, ma sul wi-fi proprio no, non ci sto. In tempi non sospetti la spiaggia era sinonimo di vacanza e vacanza sinonimo di “stacco tutto, basta, relax a manetta”. Poi, sono arrivati i cellulari , e con loro tutti quei deliziosi bagnanti a renderci partecipi dei loro fattacci personali url..chiacchierando sotto l’ombrellone. Adesso arriva il wi-fi. Ma scusate, volete perdervi la magia della coda allo stabilimento per ottenere la magica password d’ingresso? Vorrete per caso partire senza avere la possibilità di sbirciare ciò che sta accadendo su Facebook? Siete solo dei folli, retrogradi e per giunta demodè se, insieme all’asciugamano, alla crema solare e a tutto il resto non avrete con voi il vostro inseparabile lap-top. A questo punto, bandite le partite a racchettoni sul bagnasciuga, bandite le appassionanti gare di beach-volley, nulla di tutto questo. C’è un tavolo che aspetta, c’è un bel posto dove, anche in vacanza potersi spremere gli occhi non al sole, ma al salutare riflesso di un monitor lcd. Ma volete mettere? Dunque, sarò monocorde e ripetitivo come sempre, magari anche ipocrita e retorico, ma le considerazioni vengono spontanee. L’evoluzione tecnologica ci sta, tutti, nostro malgrado ne siamo complici e ne godiamo dei vantaggi. Dove sta il controsenso? Siamo tutti più vicini, riusciamo ad essere incredibilmente a contatto con tutti in qualsiasi momento e ovunque ci troviamo. Tutto, rigorosamente "virtuale". Ci stiamo adeguando ad un cambiamento nelle abitudini che passa attraverso un’alienazione dalla realtà, anche quella semplice di una giornata in spiaggia trascorsa nel modo più tradizionale. E’ vero, tutto va dosato e probabilmente un uso non smodato delle novità, degli aggiornamenti, non farà male. Ma mi chiedo se sarà poi così.. Parlo da quarantenne, i ragazzi di oggi hanno ciò che io, ragazzo degli anni '80 non avevo e, con il senno di poi, sono felice di non avere avuto. Non ne faccio loro una colpa, anzi, quasi passo per invidioso. A voi le considerazioni…

martedì 20 luglio 2010

Non dimenticare!


Se è vero che c’è un’età per tutto, sono ben felice di essere arrivato a quasi 42 anni. La maturità, la saggezza, non sono tuttavia doti che si acquisiscono in modo automatico una volta giunti ad una “certa età”. E’ la vita, sono gli eventi della nostra esistenza a renderci maturi più o meno precocemente. Il più grave delitto che si possa commettere è sicuramente quello di non saper cogliere in ogni accadimento un significato, un insegnamento. Se si possiede una sensibilità sufficiente penso non sia così difficile diventare adulti. Ma ognuno di noi ha una storia, ognuno di noi percorre una strada e non tutti hanno la lucidità per rendersi conto di ciò che a volte accade, ci coinvolge, ci travolge. Il tempo della  saggezza credo sia per me giunto. Lo dico con una punta di orgoglio che potrebbe essere facilmente scambiata per vanità. Fare un percorso interiore non è cosa semplice; occorre innanzitutto sapersi guardare dentro, scandagliare il proprio intimo senza vergogna, individuare i punti deboli e quelli di forza. Quando ci si guarda dentro, probabilmente si perde un po’ coscienza della realtà del momento essendo troppo concentrati su se stessi; tuttavia il lavoro non è mai inutile. Piano piano , conoscendo meglio se stessi, anche le persone che ci circondano appaiono diverse ai nostri occhi. E non solo le persone, ma anche gli eventi, siano essi passati o attuali. Apprezzo molto coloro che che, seppur dopo molto  tempo, riescono a vedere e valutare le cose da un diverso punto di vista. E’ un segno di grande maturità. Non si tratta di dimenticare , non si può dimenticare. Tutto è in funzione del nostro crescere ma guai se non avessimo la capacità di ricordare, di non dimenticare. Saremmo probabilmente privi del nostro passato che, comunque la si veda, è per alcuni uno scoglio cui aggrapparsi durante le tempeste dell'incerto presente.

lunedì 19 luglio 2010

Il fine giustifica i mezzi

Le gambe sembravano impazzite, decisamente sugli scudi. L’uscita settimanale con la mia compagna fedele si è rivelata proficua e gratificante. Ben detto caro Niccolò ( Machiavelli - n.d.r. -), il fine giustifica i mezzi. E quando si parla di “fine” nel mio caso s’intende: “silenzio”. Non è necessario ricorrere a stratagemmi particolari per godere di un piccolo angolo di pace mentre tutto intorno è un continuo, incessante frastuono a fare da sottofondo alle nostre giornate. Bastano mezzi semplici, a volte proprio il più semplice dei mezzi di trasporto e tanta volontà. L’età gioca il suo ruolo, le gambe danno ciò che possono dare ma il fine, quel fine ripaga di ogni sforzo. Sempre più in linea con il mio desiderio di godere di piccoli momenti di solitudine a contatto con la natura, ho provato a salire ancora. Il percorso prevedeva , come sempre , un tratto abbastanza pianeggiante per poi diventare più impegnativo. Man mano che sali cominci a voltare la testa a destra poi a sinistra per ammirare ciò che solo una veduta privilegiata consente. Ma devi anche concentrarti sui pedali, non devi perdere i ritmi, non puoi certo permetterti di scendere: devi innanzitutto arrivare. Entrando in paese a Castelferro si respira l’aria di tanti piccoli nuclei abitati della mia provincia il cui tratto distintivo è l’immobilità: arrivato finalmente nella piazza principale vedo, il solito “baretto” con qualche pensionato, una giostra in costruzione per l’imminente festa patronale, la Chiesa. Mi accomodo su una vecchia panchina per un breve riposo ed una signora, seduta all’ombra del giardino di casa sua mi osserva quasi fossi un alieno ( “Si!!! Io sono un alieno, non si sbaglia! – Avrei voluto dirle..- ). E’ già tempo di tornare, ma le gambe oggi mi spingevano oltre ogni limite d’età e di fiato. Nel mio piccolo mondo, queste sono grandi soddisfazioni.

domenica 18 luglio 2010

Messaggi subliminali

Mi piace mandare messaggi subliminali. E’ un ottimo strumento per testare l’attendibilità di quei rapporti di amicizia che io amo definire latenti. Non si contano le persone che si sono “congedate” dal sottoscritto senza una spiegazione plausibile, nel silenzio più assoluto. Sarebbe forse stato giusto che avessi provato io a rompere quel muro di omertà. Se Maometto non va alla montagna…E invece ho scelto di essere complice di tutto questo, forse pensando che non avessi poi molto da perdere, forse per questione di orgoglio, forse perché ritenevo di non avere nulla da rimproverarmi. Rompere il silenzio spesso aiuta, in alcuni casi può essere controproducente. Si deve rischiare? Prima dell’avvento di Facebook, esistevano i telefoni cellulari e gli sms, prima ancora le mails. Tornando indietro fino al paleozoico della comunicazione ritroviamo poi le cabine telefoniche, le lettere cartacee e finalmente…i rapporti umani. Stiamo dunque proseguendo sempre più velocemente verso l’evoluzione massima negli stili della comunicazione. Evoluzione tecnologica si, ma non certo umana. Ora accade che ci sono persone che, ancor prima di essere “amici di lista” erano miei amici. E sono ancora li’ in quella lista. Se ormai è questo l’unico strumento per testare l’esistenza o meno di un rapporto, beh, mi aspetto ormai da tempo immemore che queste persone mi cancellino da quella lista. Chiedo loro di dare un taglio ad una condotta ipocrita e puerile. Perché mi aspetto che lo facciano loro? Sempre per gli stessi motivi che ho citato sopra. Non voglio rompere il silenzio ma riesco ancora ad innervosirmi di fronte a certi non-comportamenti, a certe non-azioni. Lancio così messaggi subliminali, a volte poco subliminali e molto diretti. Niente da fare. Cari Andrea e Romina, pensavate che fossi così vigliacco? Non andate a decantare amicizia in ogni dove, non usate paroloni ad effetto. Siate amici con i fatti. Tutti sbagliamo, siamo umani, no? Ora, sto già meglio.

sabato 17 luglio 2010

Magia del lago

Ieri ho visitato Orta San Giulio. Orta è sicuramente, tra le diverse minuscole località situate sull’omonimo lago, la più rinomata e visitata. Da Alessandria la si raggiunge dopo circa 120 km di cammino autostradale; siamo in provincia di Novara, non molto distanti dalla sponda Piemontese del Lago Maggiore. Il borgo è accogliente e silenzioso quanto basta per apprezzarne gli innumerevoli scorci caratteristici e le piccole botteghe. Pochissimi sono i turisti Italiani, ho contato invece moltissimi Francesi. L’immagine è quella di un luogo che probabilmente in questo periodo dell’anno offre il massimo sia per la dolcezza del paesaggio che per i colori pastello delle case e dei giardini adornati di ortensie. Siamo lontani anni luce dai ben più rinomati ( e giocoforza più caotici ) centri lacustri del “Maggiore” e del “Garda”; qui si respira ancora un’aria più familiare, tutto appare più lento e visibilmente raccolto. Raggiunta la piazza principale, ad attenderci i piccoli motoscafi che effettuano la tratta che porta all’isola di San Giulio. E’ probabilmente questa la vera “attrattiva” del luogo. Dopo cinque minuti di navigazione eccoci davanti alla Chiesa dedicata al Santo e dopo la visita all’interno, iniziamo un cammino che ci porterà a percorrere l’intera circonferenza dell’isola pervasi dal rumore assordante del silenzio. San Giulio è per denominazione l’isola del Silenzio. L’abbazia occupa il corpo centrale dell’isola poi se si eccettua un piccolo negozio di souvenir, ed un ristorante, nient’altro. Piacevolmente immersi in questo silenzio irreale ne assorbiamo i benefici effetti ben sapendo quanto sia raro goderne una volta tornati in città. Il caldo si è fatto sentire ma non è bastato a fermarci. Torno soddisfatto da questo ennesimo breve viaggio. Negli ultimi tempi mi trovo piacevolmente attratto dall’ambiente lacustre, spero di poter fare tappa sul Garda a breve. Ho ricaricato batterie ed energie mentali, ci voleva. Pronto a ripartire…

giovedì 15 luglio 2010

Stand-by

Oggi non ho pensieri. O almeno è ciò che credo. Tanto è vero che stavo gettando la spugna lasciando vuoto il mio blog alla data 15 Luglio. Mi impaurisco all’idea di non avere materiale da tradurre in scritto ma forse proprio in questo momento, in questo esatto momento in cui scrivo, produco materiale. Insomma, non so come spiegarlo ma una mente pensante a pieno regime si accorge quando c’è un vuoto nella produzione. E subito se ne chiede il motivo: come vedete ho trovato il mio argomento di oggi. Mi chiedo dunque cosa, seppur raramente, mi porta a sentire la mia mente sgombra, quasi si volesse forzatamente rilassare. Si perché non penso, anzi, sono certo di non stare attraversando un periodo di “leggerezza” tale da rendermi superficiale.. Non sono mai contento; ora che potrei godermi questo attimo di “stand-by” faccio di tutto per rendere le cose più difficili. Bene allora, cari lettori, intitolerò questo post “Stand-by”, pausa. Ma veramente ci avete creduto? Ma sono così bravo nel mentire? Anche oggi ho pensato, state tranquilli, e vedrete che continuerò a produrre tanto materiale da legittimarvi a chiedere risarcimenti per il danno biologico da stress da lettura. Scrivere è qualcosa di istintivo, spesso nasce da un bisogno per cui a volte viene anche normale “buttare giù” tre cavolate messe in croce magari in modo sgrammaticato. Se sono qui è perché avevo realmente bisogno di farlo. Mi piace, anzi è la mia intenzione, fornire qualche spunto per una discussione costruttiva. Non importa, stasera mi sento meno alieno. Non me ne dovrei preoccupare, ma non ci riesco.

mercoledì 14 luglio 2010

L'esclusiva


Tutti abbiamo date che rimangono impresse nella nostra mente. Nel mio recente passato, quella del 14 Luglio ha un sapore particolare, direi “agrodolce”. Fu proprio il 14 Luglio, al culmine della grande estate calda del 2003 che conobbi per l’ultima volta di persona, un amico di penna. La nostra fu una corrispondenza che, malgrado la presenza di Internet, aveva voluto mantenere i connotati del vecchio stile epistolare, carta e penna dunque. Ma fu uno scambio fitto che assunse tratti ben definiti quando Andrea, 24enne cominciò a darmi del “fratellone”. Fu così che iniziò un bellissimo confronto tra due generazioni non molto lontane ma comunque già abbastanza diverse. Dopo circa sei mesi di “interazione” scritta, decidemmo di incontrarci. La nostra mente riesce a ricordare moltissimi particolari legati ad un evento importante; quel giorno era stranamente nuvoloso, il cielo cupo. Ricordo perfettamente cosa indossavo e a che ora partiva il mio treno. Trascorremmo una giornata molto bella, chiacchierando in maniera spontanea e divertita. Sono passati sette anni. Di Andrea, ho perso le tracce: dopo un ulteriore scambio di lettere in cui manifestava il desiderio di entrare nell’arma, sparì. Mi manca di quel periodo e di quella corrispondenza lo stimolo a cercare qualcosa che fosse davvero condivisibile, unico nel suo genere. Sono cambiato io, questo è sicuro. Cosa vado cercando ora in una corrispondenza? Forse sempre la stessa cosa, quella che io chiamo “l’esclusiva”. Inizialmente pensavo che avere tanti amici, molti contatti con cui interagire anche virtualmente fosse davvero utile a colmare vuoti, ad accentuare il mio senso di solitudine. Mi sono dovuto ricredere. Pretendere l’esclusiva non è cosa da poco, soprattutto in tempi di social network dove tutti sono amici di tutti. Confidarsi oggi è molto semplice, spesso si riesce più facilmente a farlo con perfetti sconosciuti. Poi però si desidera di più, si vuole che quei pensieri, quelle confessioni siano sempre più intimi. Tutto ciò è raro nella vita di tutti i giorni, figuriamoci dietro ad uno schermo. Avere l’esclusiva, essere unico depositario dei pensieri altrui, sono un bell’egoista vero? Però quel 14 Luglio mi sentivo, forse stupidamente, unico.

martedì 13 luglio 2010

Notti insonni

In queste afose notti di Luglio il caldo non è l’unico nemico del mio sonno. Sono uno dei tantissimi mortali che vive in un condominio e dunque giornalmente è tenuto a rispettare le più elementari regole di convivenza. Fortunatamente, mi riesce facile. Non altrettanto posso dire per chi magari, è solito banchettare o fare salotti all’aperto sui terrazzi fino alle quattro. Credo di stare sfondando una porta aperta, e mi riferisco soprattutto a chi non si può permettere il privilegio di una casa propria, magari in campagna, ove il verso dei rapaci notturni è l’unico rumore distinguibile. Mi limiterò a dire un bel :“Beati loro”. Ciò che succede nel micro mondo dei condomini è il punto di partenza per una serie di considerazioni generali in materia di rispetto, convivenza civile e via dicendo. Si parla tanto, a livello politico, di integrazione, solidarietà, rispetto della persona. Si tratta di “paroloni” di cui in molti amano riempirsi la bocca per meglio apparire, per trasmettere un’immagine di equilibrio, di tolleranza e civiltà. Tutto questo è bello, ci dà un senso di sicurezza, ci fa dire: “Viviamo in un paese democratico, ne dobbiamo essere orgogliosi”. Fin qui, tutte parole. Trasportiamo il tutto nelle piccole realtà, all’interno dei quartieri, nei singoli palazzi. Qui, si scopre un mondo nuovo, così tremendamente lontano da quello di coloro che fanno indigestione di belle parole. Qui c’è un mondo di gente che ogni giorno fa un passo indietro per paura, accetta incondizionatamente segni e manifestazioni di inciviltà e anarchia. Noi, che viviamo tutto ciò ci affidiamo a chi dovrebbe tutelarci e che spesso latita con un “ Non possiamo fare nulla”. Fare casino alle 4 di notte in un condominio non è motivo per intervenire. I miei genitori, meridionali, hanno subito discriminazioni e forme di intolleranza già 48 anni fa, quando si traferirono al Nord. Il “meridionale “ era infetto, allora. Non so se loro si sentono ancora “inferiori”, non credo. Il razzismo esisteva ed esiste ancora. Forse stiamo passando da una forma di intolleranza territoriale ad una razziale. Ma se lamentarsi, dolersi della mancanza di rispetto oggi significa razzismo allora mi sento io, discriminato. Ma quante volte si dice che la mia libertà finisce dove inizia quella degli altri? Eppure, vedo tanto silenzio intorno a me, connivenza, chiamatela come volete. Non sono razzista, amo il rispetto. Ma allora, quegli uomini potenti che parlano di integrazione si mettessero in testa una volta per tutte che ci sono persone che NON desiderano essere integrati. E che se una volta sono io a sentirmi discriminato, non è poi un delitto. L’Italia probabilmente è un paese ingovernabile. Non mi piace metterla sulla politica, io la odio la politica. Ma possiamo essere nazionalisti solo quando ci fa comodo? Perdonate lo sfogo. Mi piacerebbe avere testimonianze al riguardo e fare confronti..

lunedì 12 luglio 2010

Bambini

Avevo qualche dubbio circa l'inserimento di un'immagine che facesse da sfondo all'intestazione del blog. Non era facile sceglierne una che sentissi mia, che in un certo senso mi rappresentasse. Poi, mi sono imbattuto in quella che ora voi potete vedere e non ho più avuto dubbi. Il mio animo bambino è ancora molto presente e non mi vergogno a dirlo. Siamo spesso incapaci di "rimpicciolirci" entrando così in una dimensione, quella dei piccoli, ancora pura e libera da condizionamenti di sorta. Quante lezioni sono in grado di insegnarci, loro! Ho un bel rapporto con i bimbi frutto di alcune esperienze lavorative grazie alle quali ho piacevolmente scoperto una particolare predisposizione all'insegnamento e al gioco. Non ho figli miei per cui la mia è di fatto un'esperienza "monca" ma posso dire in tutta onestà che i bambini mi piacciono. Quel bambino che apre la scatola e scopre un mondo magico è Enzo: la curiosità è un tratto predominante della mia personalità. Manifestare interesse per le cose (anche quelle apprentemente più banali ), voler toccare con mano tutto il nuovo che il mondo ci consente di vedere quotidianamente non sono forse espressione primaria dell'istinto "bambino"? Noi, adulti, dovremmo riprenderci un po' del nostro mondo di piccoli di cui  abbiamo perso il lato più bello: la spontaneità. Proviamoci,almeno! 
Mi piacerebbe leggere la vostra opinione al riguardo..

domenica 11 luglio 2010

Ripartiamo?

Carissimi lettori, eccomi a voi in questa nuova veste grafica. Mio malgrado mi sono trovato a dover cambiare lo scenario dei miei pensieri e delle mie( quasi ) quotidiane riflessioni. Ho optato per un modello piuttosto "minimal" e che fosse "leggero" all'impatto visivo. So che, una volta abituatisi ad un ambiente, ogni stravolgimento richiede tempo per essere accettato. Ma, avendo il mio vecchio blog poco più di un mese di vita, sono sicuro non perderete la voglia di leggere. I contenuti del resto sono gli stessi, è pur sempre farina del mio sacco.Sono felice di poter tornare a scrivere, e spero che voi abbiate sempre voglia di leggermi. Grazie e ...buona lettura..

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