mercoledì 29 dicembre 2010

In alto i calici

A
ncora quarantotto ore ( o poco più ) all’impatto. Non sarò mosso a compassione nel momento in cui questo 2010 esalerà l’ultimo respiro.. Lo lascerò andare via così come l’ho fatto entrare: in punta di piedi. Mi sono sempre chiesto se chi alza i calici allo scoccare della mezzanotte lo faccia a ragion veduta. Ci sarà un motivo di tanto trambusto, vero? Alziamo i calici per gioire, suppongo. Di qualcosa dovremo pur essere felici: dell’anno che se ne va o di quello che arriva. C’è per caso qualcuno che festeggia a comando, perché lo fanno tutti? Non credo. Allorchè gioissimo per il nuovo che avanza peccheremmo temo, di eccessiva lungimiranza. Siamo umani e in quanto tali del tutto ignoranti del futuro. Ben più consapevoli siamo di cosa ci si lasci alle spalle. E abbiamo in questo caso ottime e documentabili prove dei danni provocati dal 2010. Ne continuo a sentire tante, a tal proposito. Se unisco i pezzi realizzo un puzzle fatto di eventi più o meno spiacevoli che l’anno in corso ha saputo regalare ad alcuni di noi. Non tutti per fortuna. Direte a ragione: “Parla per te”. Appunto. Non faccio bilanci né propositi. Proprio mentre stavo per dargli il colpo di grazia, questo soggetto morente ha saputo regalarmi ciò che attendevo da tanto. Come se si fosse ricordato, prima di abbandonarsi a miglior vita, di rivelarmi dove stava custodita la mappa del tesoro. L’aveva nascosta benissimo, mi ha reso pazzo, ma ne è valsa la pena. A differenza degli ultimi anni trascorsi non ho bisogno di fare propositi; credo e sostengo con fermezza che l’azione valga molto più delle parole, che la pratica annienti la teoria e che ciò che deve arrivare arriva, se lo si vuole con fermezza. Non potrei mai fare a meno di pensare e, questi articoli, sono(anche se non sembrerebbe) frutto di un qualche lavoro cerebrale. Concretezza e pragmatismo saranno i miei punti di forza per questo nuovo anno. E le parole? Beh, penso che tenere un diario come sto facendo io, sia una delle soluzioni migliori per dare alle parole un senso compiuto, per renderle vive, concrete, persino a volte, utili. E su questa strada continuerò. Quel giorno di Maggio in cui decisi di dare corpo ai pensieri rimarrà uno dei più bei momenti di questo anno. Alzerò il calice e lo farò con orgoglio, allora. Ogni tanto una scelta azzeccata la faccio. Grazie, infinitamente grazie a Voi amici, lettori, anche solo di passaggio per questo diario; lo devo anche a Voi se il blog continua a vivere. Alzo i calici alla vostra salute. Buon 2011 e ….ci vediamo l’anno prossimo…..

Buon Anno!

martedì 28 dicembre 2010

Ruote e Valigie

F
inalmente il mio blocco per appunti e la mia penna. Il “buco” di orario sul treno del ritorno mi regala (si fa per dire) circa cinquanta minuti di attesa in stazione, prima della partenza. A questo punto ho diverse alternative: girare a vuoto tra i negozi della stazione (li conosco ormai a memoria però), uscire e farmi due passi in Via Roma ( fa troppo freddo); terza opportunità, prendere posto sul treno già pronto al binario. Avete già capito per quale delle soluzioni ho optato; di certo è quella più appropriata per scrivere qualcosa di leggibile, almeno spero. Ogni mattina, scendendo in garage per recuperare la macchina, non posso evitare di dar un rapido sguardo a quel lenzuolo che mestamente copre la mia amata due ruote a pedali. Sarà che già di mattina presto i pensieri più strani mi assalgono ma guardare quella ruota che timidamente fa capolino da sotto il lenzuolo, mi mette di buon umore. La sbircio, e salgo in auto. Fuori siamo ben al di sotto dello zero ma tra me e me penso che se toccassi quella ruota, la sentirei ancora calda, quasi rovente. La sensazione di calma e pace è intensa. Avevo già accennato al potere del pensiero positivo, a quanto alcune immagini su cui ci concentriamo, possano arrecarci notevoli benefici. Il grande albero al centro del grande campo, ed ora anche una semplice, inutile ruota. Sto di fatto aprendo gradatamente quella valigia nella quale, durante i mesi estivi ho riposto accuratamente sensazioni ed immagini uniche. Perché uniche: perché frutto di momenti vissuti in totale solitudine immerso nella natura. E chi se non la mia due ruote poteva darmi tanto. Oggi è stata una di quelle giornate in cui la testa viene bombardata di nozioni, procedure, dati, e via dicendo. Ho provato ad inglobare tutto nonostante l’attenzione non fosse ai massimi. Il fatto è che oggi mi sono portato dietro la valigia e, di tanto in tanto provavo a prendere qualcosa: un po’ di quel silenzio stridente, un po’ di quel sole a picco che ti frena la salita, un po’ di quel contrasto di verde e blu ormai dimenticato. Il treno è appena partito, un’altra sensazione di calore mi avvolge. Che poesia, il riscaldamento ogni tanto, funziona.


domenica 26 dicembre 2010

Un senso

C
alma, calore umano, relax. Tre semplici parole per definire il mio Natale in famiglia. Molte persone di mia conoscenza spesso si lamentano del fatto che, con l’arrivo delle feste, si debbono osservare rigidi clichet che comprendono: visita presso parenti, cerimonie di apertura regali, case invase da zii, cugini, eccetera. Io provo invece una certa invidia verso queste persone poichè, almeno una volta in tutti questi anni, avrei voluto sedermi attorno ad un tavolo affollato di persone e godere del calore speciale della famiglia “in grande stile”. Probabilmente poi, con il ripetersi dell’evento anch’io sarei diventato insofferente. Ieri, abbiamo comunque “allungato” la tavola per far spazio alle portate speciali, agli antipasti, ai dolci. In fondo questa intimità, il ritmo compassato, la specialità di una tavola fuori dall’ordinario hanno restituito parte dell’atmosfera Natalizia di cui si era persa traccia nei giorni precedenti. Natale speciale per me. Lo ricorderò; quando accadono eventi memorabili, si tende a memorizzare perfettamente dove ci si trovasse in quel momento, persino cosa avessimo addosso e si stesse facendo. Mi spiace non aver avuto il tempo di godere di questo evento memorabile lasciando che l’adrenalina svolgesse il suo compito anche se in effetti, a parte la famiglia, non avrei trovato terreno fertile per poter realmente condividere questa gioia. Se dunque, dentro di me sta iniziando un percorso che (mi auguro) porterà ad una evoluzione positiva dei pensieri e delle sensazioni, al di fuori di me, nulla è mutato e non potrebbe essere diversamente. Il vuoto, il deserto totale. Ieri, avevo voglia di uscire e con meno dispiacere del solito ho convinto un amico ad andare a bere qualcosa insieme. Pensavo toccasse a me raccontare di ciò che era accaduto, avevo voglia di farlo. Ed invece mi sono ritrovato io ad ascoltare, a dover sentire discorsi inutili di cui poco o niente mi interessava. Mi sono sentito persino tirato in causa quando questa persona ha fatto la seguente considerazione: “Ma perché certe persone, pur non conoscendoti, prendono una confidenza tale da raccontarti la vita?” A questo punto gli ho rivolto io una domanda: “Cosa pensi di queste persone, pensi abbiano problemi?”. La risposta è stata vaga, ma mi è giunto chiaro il messaggio. Solo qualche giorno fa mi sono ritrovato a raccontarmi, più del dovuto, ad una persona appena conosciuta; per poi pentirmene quasi subito. In fondo questa strana uscita serale, un senso l’ha avuto.


venerdì 24 dicembre 2010

A parte tutto..è Natale

N
atale con la pioggia suona strano. Un po’ meno il solito, l’ennesimo travaso di bile mattutino causa soppressione treno delle 5.48. Inserisco il tutto all’interno di una settimana che non posso certo dire di aver vissuto da buon Cristiano che aspetta la nascita di Gesù. Anzi, per la mente è passato di tutto in termini di cattiverie senza però mai sfociare nel sacrilego a livello verbale. In fondo sarò perdonato se non ho “sentito” il Natale quest’anno; tanto è vero che ha scelto bene di cadere di Sabato. Mi autogiustifico. E’ dunque tutto avvolto da un non so che di strano, di atipico. Ho un rapporto quasi amichevole con ciò che appare e poi non è, con tutto quello che dici : “ Secondo me il tipo/la tipa è così cosà…ed invece….mi devo ancora ricredere”. Incontro sempre io situazioni di tal fatta. Mi si parano davanti anche provando a schivarle, mi cercano. Mi chiedo se mi sia concesso meravigliarmi per la inevitabile (come ho detto mi si parano davanti) situazione strana da gestire. Lo spazio per le turbe e interrogativi vari è sempre piuttosto esteso all’interno del mio emisfero sinistro, lo sapete vero? Incontro e conosco persone strane, tutto qui. Meravigliàti di tanta sintesi? Chi sono le persone strane? Sarà poi giusto definirle tali? Parto dal mio spiccato senso critico e autocritico: valuto, studio, osservo, faccio piccole deduzioni. Pur mangiandoci insieme anche solo un paio di volte, inquadro perfettamente gli atteggiamenti tipici e le reazioni agli stimoli delle persone che ho di fronte. Dunque, noto nell’immediato una qualsiasi variazione e generalmente queste stesse persone non si accorgono che ho già mutato idea su di loro. Autocritico lo sono eccome: logorroico, noioso, un libro aperto. Io sono questo. Allora: una persona con la quale per ragioni di lavoro vai a pranzo nel complesso tre volte, alla terza mostra evidenti segni di disinteresse e vola via, sfuggente e sparisce. Strana la gente….. Per il breve tempo della riflessione che mi ha portato a scrivere questo articolo ho pensato di essere io l’insopportabile. Ho avuto un piccolo cedimento. Vi aspettavate un melenso articolo sul Natale? No, vi regalo il solito scrigno di paturnie. Ma non posso esimermi dall’inviare a tutti Voi, amici lettori affezionati, il mio più sincero e affettuoso Augurio di Buon Natale. Che gioia e calore invadano i vostri cuori. E grazie di cuore per i Vostri auguri qui, sul blog.


giovedì 23 dicembre 2010

Tempo al tempo

P
er la prima volta provo a scrivere il mio articolo mentre sono in viaggio verso casa. Mi inietto un sottofondo musicale a distogliere l’attenzione dai rumori molesti di passeggeri fracassoni e maleducati. Di gran lunga meglio qualche nota rilassante per stimolare le solite riflessioni. Oggi è stata una giornata positiva. Constato con piacere di stare facendo mia progressivamente, una positiva concezione del tempo. Mi piace pensare al tempo come una coperta che viene rimboccata piano piano a proteggermi dalle insicurezze, dal timore dell’ignoto che ogni mio domani, in questa fase, rappresenta. Muovendomi quotidianamente, dovendo per forza di cose lottare con il tempo, vengo spesso portato ad elaborare un’accezione del tutto negativa di esso. Maledetti minuti che si sprecano senza che il treno si muova, maledette ore di sonno buttate al vento. Ho un nuovo amico: il tempo, nella sua accezione più positiva. Passa, eccome se passa ma necessariamente e doverosamente lo fa, per aiutarmi ad acquisire nuove conoscenze, nuove consapevolezze di cui sino al giorno prima, avevo paura. Mi suggerisce di tanto in tanto frasi del tipo: “Tempo al tempo”, “Ogni cosa a suo tempo”. Questa esperienza ancora allo stadio embrionale regala quotidianamente impressioni, visi, immagini, situazioni. Non amo più fidarmi del primo impatto: riguardi un soggetto, un luogo, un atteggiamento, un modo di porsi. Ho bisogno di tempo, tanto ora mi è amico. Passare il tempo pensando al tempo che verrà è una inutile perdita di tempo. Ho riscoperto stasera il piacere di scrivere alla vecchia maniera. La penna scivolava via come le dita ora sulla tastiera, a ricopiare pedissequamente i miei appunti. Ne sono felice.


mercoledì 22 dicembre 2010

Punti fermi

N
on so quale strano istinto mi abbia condotto qui, davanti allo schermo. Sono stanco, molto stanco. Da domani la sveglia suonerà alle 5 ma ho una gran voglia di lottare e combattere. Le mie riflessioni odierne sono totalmente positive nonostante anche oggi qualche piccolo momento di cedimento morale non abbia tardato a manifestarsi. Se c’è sempre un grande spiraglio di ottimismo nelle mie parole è merito del potere della mia famiglia. Lo riconosco e ne vado orgoglioso. Quando torno a casa, anche solo raccontare ciò che è successo ti aiuta a focalizzare bene i problemi e a non giungere a conclusioni affrettate. Sono pienamente consapevole del fatto che questo evento che mi ha toccato è stato un grande, grandissimo colpo di fortuna. Non lascio molto spazio alla riflessione durante la giornata semplicemente perché non mi è possibile farlo. Come già ho accennato ieri, potrei rifarmi mentre me ne sto seduto in attesa che il treno mi porti a casa. Per ora però non riesco piu’ di tanto a causa della stanchezza; quando sarò pienamente entrato nel ritmo “pendolare”, accadrà. Mi è capitato in questi pochi giorni di ambientamento di parlare. Forse anche troppo. A volte non riesco a capire questa mia innata incapacità di trattenermi quando prendo confidenza con qualcuno. Mi bastano poche ore per raccontare fin troppe cose del mio privato e del mio mondo. Penso ciò sia dettato dall’estremo bisogno di solidarietà in un momento nel quale la condivisione necessaria di una situazione solletica la voglia di sentirsi tutti nella stessa barca. Insomma, devo frenarmi. So che in questo momento di inizio ho estremamente bisogno di punti fermi a cui appoggiarmi ed è quello che realmente sto facendo. Pensare ai miei affetti, mi aiuta a vedere tutto sotto una luce molto diversa, a darmi energie sempre nuove. Io mi sento bene. Almeno in questo momento in cui, sono qui a scrivere di getto come piace al sottoscritto. Ma io sapevo che ogni giornata, d’ora in avanti sarà foriera di innumerevoli emozioni. Non riuscirò a star loro dietro, ma cercherò di fermare qui, su questo diario, quello che mi esce dal più profondo del cuore. 


martedì 21 dicembre 2010

Primo impatto

I
o da questo blog non riesco a stare lontano. Quando mi siedo sul treno del ritorno a casa, occupare il tempo è la mia preoccupazione più grande. Di dormire non se ne parla, la stanchezza a volte è tale che non te lo permette. Oggi ad esempio ho iniziato a leggere “Il vincitore è solo” di Paulo Coelho. Poche pagine, sia chiaro, ma giusto per rompere il ghiaccio. Ho sempre con me il blocco degli appunti ed una stilografica a me molto cara; posso anche scrivere se voglio, nonostante il vociare dei passeggeri e il trillo dei cellulari. Lo farò, penso di avere molte occasioni ancora da qui a fin quando sarò un impiegato del Comune di Torino. So che questa settimana non è facile da affrontare, soprattutto per uno come me che di fronte al nuovo ( ad un nuovo così grande poi..) non riesce a calarsi nei panni del soggetto dotato di sangue freddo e fermezza. Tutto è ancora da scoprire. Continuo ad essere tremendamente realista. Non ho avuto il tempo materiale per festeggiare, anche solo condividere con qualcuno la gioia di questo lavoro, e forse è stato meglio così. Via, si parte e non c’è tempo per parlarne. Ah, quasi dimenticavo: sabato è Natale. Quel che vedo sono luci, negozi addobbati, qualche panettone che penzola nelle mani dei passanti. Sto osservando il Natale come se vivessi in un’altra dimensione. Non riesco ad accorgermi di nulla ma questa sera ho avuto una bella sorpresa al rientro a casa: i miei genitori hanno deciso di fare l’albero. Soprattutto dopo gli ultimi eventi di questo mese, l’atmosfera a casa mia era piuttosto fredda, distaccata. Probabile che mio padre sia stato mosso a tanto da questa bella notizia che mi ha riguardato. Bene. Due giorni sono comunque sufficienti per apprezzare il gusto del ritorno, per godere della cena e parlare di ciò che è successo durante la giornata. Per la cronaca, oggi sono stato destinato alla Direzione Servizi Civici del Comune, precisamente all’Anagrafe Centrale. Domani, come sempre, ne saprò di più. Per ovvie ragioni terrò lontane dal blog considerazioni su persone ed altro attinenti al lavoro. Rimarranno le mie solite paturnie, più interessanti per quanto ripetitive.

sabato 18 dicembre 2010

Dotazioni necessarie

A
rmatura del pendolare: un nuovo lettore mp3 da 8 gb (espandibile), un libro di Paolo Coelho, un blocco note per appunti vari. I viaggi, i volti, le voci, le stazioni, le corse: sto tornando prepotentemente indietro nel tempo e questo articolo è per me una sorta di auto-incoraggiamento ad affrontare la vita del viaggiatore quotidiano. Correva la fine del 1994 quando ricevetti la conferma che la mia domanda di obiezione di coscienza era stata accettata; la mia destinazione, Caselle Torinese. Ebbi pochi giorni per capire, per realizzare che non sarebbe stata una passeggiata raggiungere quel piccolo paese a nord del capoluogo. Un treno, un tram, un pullman. Gli inizi furono massacranti. Ricordo perfettamente il treno delle 5.40 con le prostitute che, terminato il turno occupavano gli scompartimenti urlando come fosse mezzogiorno. La mia brioche consumata con un occhio aperto e l’altro semichiuso. Il tram per Corso Inghilterra mi portava dritto alla stazione dei pullman. Qui, l’attesa per il trasferimento a Caselle. Dopo circa tre-quattro mesi, tutto mi divenne amico, persino il frastuono delle “ragazze” che tornavano a dormire. Io andavo a fare ciò che avevo chiesto di fare, per la grande cifra di 157.000 lire mensili che ovviamente, mi servivano per pagare i vari abbonamenti ai trasporti. Quando l’esperienza finì, stetti male. A distanza di quindici anni ad essere ancora fortemente impresso nella memoria non sono le corse per acciuffare una coincidenza, le voci delle turnanti notturne, i treni guasti, il pullman imbottigliato nel traffico. Ben altro mi sovviene: le voci dei bimbi festanti durante le mie attività di laboratorio ad esempio. E poi Dario, il bimbo che voleva essere sempre preso in braccio prima di andare a fare il riposino pomeridiano. Come posso dimenticare la tristezza sul volto di Angelo, il ragazzo disabile che accompagnavo a casa ogni giorno a fine scuola, quando seppe che me ne sarei andato. So che certe esperienze sono uniche. Mi piace appigliarmi ad un ricordo, autoconvincermi che quando si trovano motivazioni tutto può assumere una forma ed un peso differenti e determinanti. E in questi giorni che precedono la nuova avventura, quel fantastico 1995 mi è tornato spesso alla mente. Cosa fa la differenza ora? Un mp3 da 8gb, un libro di Paolo Coelho, e un blocco appunti. Per ora. 


giovedì 16 dicembre 2010

La solita minaccia

G
iuro che la smetterò con ringraziamenti e convenevoli. E’ che sono rimasto davvero incredibilmente compiaciuto dall’ondata di affetto e di incoraggiamento che mi avete dimostrato. Lo apprezzo ancor di più sapendolo del tutto disinteressato. Pochi di Voi mi conoscono, a nessuno di Voi ho chiesto di leggermi, so che lo fate con piacere. E questo è il bello, anzi il “bellissimo” del blog. Mi si passi questa espressione che con l’Italiano nulla ha a che vedere ma a volte non si trova altro modo per definire la propria soddisfazione. E metto da parte la gioia, la confusione mentale e l’insieme di sensazioni legate al piacevole evento di ieri. Mi riferisco all’orgoglio di aver scelto un mezzo per comunicare qualcosa e di essere riuscito nel mio piccolo a farlo: a comunicare, appunto. Doppio il mio piacere : nello scrivere, e nel rendermi conto di aver fatto la miglior scelta possibile per circondarmi di persone davvero speciali. Ora che il tempo da dedicare a questo blog sarà inevitabilmente ridotto ( sarei già felice di pubblicare un articolo a settimana ) sentirò ancor più l’esigenza di dedicarmi alla scrittura “concentrata”. Come una bella passata di pomodoro, succosa ed essenziale. Non dimenticherò certo i miei amici di penna, soprattutto quelli con i quali lo scambio epistolare poggia ancora su solide basi . Non sarà un ritardo a far pensare loro male, ora sanno e comprenderanno. E non dimenticherò Voi. Insomma, finiranno le turbe esistenziali?? Qualcuno si era illuso che dopo questa notizia tutto sarebbe filato liscio? No! Come posso non continuare ad essere Enzo. Enzo è sempre il solito complicato arzigogolatore, colui che prova un nascosto piacere nel salire su tutto ciò che regala movimenti ondulatori del corpo e dell’anima. Sicuramente il fatto di essere catapultato in una nuova realtà mi renderà ancor più produttivo, ancora e sempre più attento ad ascoltare ciò che cuore e anima mi detteranno ogni fine giornata. Mamma mia, mi sento una minaccia per Voi. Sento già che sarò un fiume in piena. E, e non lo ripeterò più, ancora GRAZIE.


mercoledì 15 dicembre 2010

Una nuova avventura

D

ue articoli a distanza di poche ore. Cosa sarà mai successo? Qualcosa di importante, di realmente importante. L’attesa è finita, Lunedì 20 Dicembre inizierà per me una nuova avventura. Inizierò dunque a lavorare al Comune di Torino, e questo è sicuramente l’articolo più difficile da scrivere. Perché in questi momenti vorresti fare di tutto. Ridere, piangere, abbracciare, urlare, fantasticare. Vorresti condividere ogni attimo con chi in tutto questo tempo ti è stato/a vicino con chi ha creduto in te, ti ha spronato a non cadere, a rialzarti qualora fosse successo. Vedere la luce dopo lunghi chilometri di tunnel ti regala un’insostituibile sensazione di liberazione ed il bagliore accecante quasi ti stordisce. Sono stordito. Si. C’è un pensiero che più di ogni altro attraversa la mia mente: è il pensiero di avere accanto a me le persone più importanti della mia vita e sono sicuro che a loro devo tanto, tantissimo. Li abbraccio tutti in modo corale. Qualcuno mi ha insegnato che gli eventi della vita vanno affrontati di petto, a testa alta, rimanendo umili e timorosi al punto giusto. Ed è così che mi va di andare. Cosa cambierà nella mia vita? Quante domande, quanti timori solo un mese fa. Ora stranamente non ho più paura perché so che al di là di quello che sono e sarò, io non cambierò mai, io sarò sempre Enzo. E non permetterò a niente e a nessuno di togliermi ciò che ho di più caro. Che confusione eh? Già sconclusionato di mio, non mi sto rendendo conto di cosa scrivo, di quello che magari di stupido potrei ancora dire. Vivo questo momento come un bambino che ha aperto il suo regalo più bello. Amici carissimi che mi leggete e mi avete sempre dato con le vostre parole un conforto davvero importante, Vi ringrazio. Di cuore. Questo blog continuerà ad essere il mio scrigno, il mio rifugio. Ci tenevo davvero a rendere il più possibile plausibili le mie emozioni. Avessi fatto passare la notte probabilmente non sarebbe stata più la stessa cosa. Non pensate di liberarvi di me. E’ una minaccia.

Rifugi

S
crivere, leggere, di tanto in tanto fotografare. Sono questi i miei rifugi. Di questi momenti di attesa provo a far tesoro dedicandomi a tutto ciò che mi fa stare bene. E così mi vado a rifugiare in un libro che apro solo dopo essermi letteralmente stiracchiato nel letto ed aver acceso l’abat-jour. Su il cuscino e via. Mi accorgo con una punta di disappunto che non riesco più a trarre benefici leggendo un romanzo in lingua. Quel “God’s spy” di cui potete vedere qui la copertina ormai da tempo immemore, non è affatto un romanzo noioso. Ma, il dover continuare a fare esercizi ginnici per aprire il dizionario ad ogni paio di parole non aiuta a godere del piacere della lettura. E soprattutto, non mi aiuta a star dietro allo svolgersi degli eventi come vorrei. Provo dunque ad accantonarlo, promettendo a me stesso di tenere alta l’attenzione sugli esercizi di grammatica che la mia enciclopedia a fascicoli contiene a dismisura. Ho già un’idea di cosa probabilmente andrò a scegliere per accompagnarmi tra le braccia di Morfeo; non appena lo avrò in mano sarò qui a scriverne, questo è certo. Se sono qui, con il mio diario tra le mani è perché come sempre ne sento il bisogno. In questa stagione dell’anno scrivere mi trasmette quella stessa sensazione di protezione che avverto quando mi raggomitolo sotto le coperte sperando che arrivi presto il sonno. Ci sarà poi differenza tra pensieri estivi e pensieri invernali? Ricordo che, quando l’autunno era ormai alle porte, la cosa di cui mi preoccupavo era l’incupirsi progressivo dei pensieri che la stagione del torpore avrebbe provocato. Ma poi ci ripenso e dico che non sono il sole o le nuvole a rendere radiosi o tetri i nostri pensieri. A ben guardare, il torpore e il calore dell’inverno rallentano di gran lunga i ragionamenti, ma non per questo li intristiscono. Come sempre è importante trarre un beneficio da ciò che si fa. E io mi lascio avvolgere piacevolmente dalle mie elucubrazioni. Non nascondo che mi piace fotografare cieli limpidi, adoro immortalare i forti contrasti del verde, del giallo e dell’azzurro di cui solo l’estate ci fa dono. Trascurare la fotografia in inverno allora? Ma non sia mai. Da quando Niki è entrata a far parte del mio mondo l’ho piuttosto bistrattata, e me ne dispiace. Al di là dell’apprendimento delle tecniche essenziali, non ho intorno a me qualcosa di realmente bello da immortalare. Ben lontana l’ipotesi di un viaggio ma prometto che prima o poi, pubblicherò qualcosa ( fosse anche un primo piano di una mela!). Tre rifugi, i miei preferiti. La stessa sensazione di calma e di calore, quanto mai necessarie in questi ultimi due giorni di trepidante attesa.


lunedì 13 dicembre 2010

Un altro giro di giostra

P
asso di qui quasi per caso. E’ una fase concitata, non vi è alcun dubbio e mi ero ormai rassegnato all’idea di rimanere lontano dal computer e dal blog per un po’ di tempo. Approfitto dunque di questo momento di relativa calma per mettere per iscritto alcuni pensieri; mi scuso se sarò inevitabilmente confusionario e di difficile lettura. Non pretendo di rendervi noto tutto quello che è seguito all’incidente sul piano prettamente emotivo. Non ci riuscirei, diciamo più che altro che ho un sonno molto disturbato che mi tocca indurre tramite qualche calmante. E’ una fase ancor più concitata se penso alla solita attesa di cui ho parlato e vi ho tediato fino alla nausea. Se Dio vuole, alla fine della settimana tutto prenderà una certa forma: non so se quella della felicità o della delusione se non altro però, sarò liberato da quel senso di impotenza legato al non sapere e al solo immaginare cosa potrebbe o non potrebbe essere. Bene o male questa fase è da accettare come tale, come un’ennesima dimostrazione che le montagne russe non si fermano. Sono sulla giostra. Quando scenderò (perché scenderò) la ragione si impadronirà finalmente di me e ne trarrò persino beneficio. Come si è chiaramente capito sono proprio i momenti ad alto tasso adrenalinico a rendermi di una fragilità disarmante, a farmi tornare bambino. Ho paura di tutto, persino della mia ombra. Le paure e le ansie relative a ciò che non si sa, a quello che non si conosce mi assalgono prettamente di notte. Se mi sveglio, faccio una grande fatica a riaddormentarmi. Vi svelo una stupidaggine che mi riguarda: se mi capita ( e succede spesso ) di svegliarmi in piena notte e di non riuscire a prendere sonno provo a fare qualcosa di diverso dalla classica conta degli ovini. Chiudo gli occhi e provo a fermare alcune delle immagini che più mi trasmettono serenità. La più tipica è quella che mi vede al centro di un grande campo di grano, sdraiato sotto un altrettanto grande albero. Poi ne seguono altre che non sto qui a dire. In coda a questo articolo voglio ringraziare di cuore tutti coloro che con un semplice commento mi sono stati vicini, l’ho apprezzato molto. Vi mando un forte abbraccio. Ah quasi dimenticavo…nel marasma del tutto mi sta venendo voglia di scrivere qualcosa: un romanzo, un racconto. Ci penso, mi piacerebbe davvero.


venerdì 10 dicembre 2010

Alcool test al mattino, grazie.

P
rovo a fare ordine tra le poche idee e per giunta confuse. Palese il mio continuo rammarico per una vita piatta, in cui nulla o quasi accade. In questo periodo poi, ci si è messa anche l’ansia per l’attesa di qualcosa che potrei in realtà aspettare con più calma. Se fino ad ora mi sono lamentato, non posso dire che oggi non sia successo nulla. Per colpa di una stronza, ubriaca, ignorante ed irresponsabile, mio padre e mia sorella sono stati vittime di un incidente stradale. Uno ha una leggera contusione all’anca, l’altra deve portare una fasciatura per una sospetta micro frattura alla tibia ( tac a giorni, si spera ). Spavento, rabbia, anche un grande dispiacere per la nostra vecchia Punto con cui il mio papà ed io sbrigavamo le nostre commissioni varie. E' da demolire. Quando sono arrivato sul luogo dell’incidente, mi sono promesso di non guardare nemmeno in faccia la deficiente e ho fatto una bella piazzata. Mi sono sfogato. Io per fortuna non ho da usare molto la macchina, ma odio guidare e odio i guidatori. Sono una manica di folli, accaniti telefonisti, distratti, sempre pronti a rischiare la loro vita e quella degli altri. E poi rendono obbligatorio l’alcool test nei locali. Ma andate a farvi fottere sonoramente! Non serve ad un emerito tubo ( e sono delicato ). L’alcool test allora fatelo anche al mattino, all’uscita di ogni casa, ovunque ci sia qualche bastardo/a che si mette alla guida ( per giunta con un bambino piccolo ) senza cognizione. E, nonostante mio padre e mia sorella fossero in una situazione difficile, la stronza, non si è nemmeno avvicinata per capire come stavano. Lei e la sua maledetta Citroen Picasso, stavano lì, tanto come sempre degli altri chissenefrega. Bene, bene, adesso passiamo all’azione e considerando tutte le grane che in una famiglia semplice, queste cose possono provocare, si farà di tutto per spillare alla signorina i debiti. Ma io mi domando e dico: “Ma che cacchio siamo diventati?” “Ma è mai possibile che oggi non si possa uscire di casa, mettersi al volante e non rischiare di tornare a casa in stampelle?” Qualche giorno fa a Milano, un autista di pullman, nonostante il traffico e il fondo stradale insidioso, si è permesso di rispondere al cellulare, guidare con una mano e al termine, stiracchiarsi pure lasciando il volante libero. Ma andate a farvi fottere. In Italia è sempre la stessa storia: si parla, parla, parla. Prevenzione sui giovani: “Eh, non devono bere, facciamogli un bell’alcol test così non creano problemi”. Ah ah , ma non mi fate ridere. In Italia il male è nella testa di persone, giovani e meno giovani. Lassismo nel rilasciare patenti, lassismo nel non rinnovarle quando è opportuno, controlli inesistenti. Poi, accade quel che accade. Dovevo sfogarmi. Che periodo di merda.


giovedì 9 dicembre 2010

Austerità

S
e per forza di cose Dicembre è il mese della frenesia, io mi sforzo di andare in controtendenza. Del resto, non ho regali da fare ( ed è un bene, sia per le tasche che per il sistema nervoso ), non ho auguri da rivolgere per cui risparmierò anche sugli sms; quest’anno non ho fatto neppure l’albero. Riuscire a non essere ipocriti nel periodo Natalizio è un’impresa non da poco. Per cercare di rimanere in linea con una condotta il più possibile coerente e sincera cercherò di dedicarmi alla riflessione silenziosa, attività che per altro mi riesce molto bene. Ho infatti deciso di risparmiare anche sulle parole. Cosa vuol dire tutto ciò? Significa che lascerò da parte i ghirigori, i ricami, e baderò all’essenziale. Voglio rinchiudermi nel guscio protettivo della mia famiglia, vivere nel modo più intimo possibile la festività, lasciare da parte caos e frastuono. Nessuno mi impone di fare auguri che non sento, nessuno mi ordina di fare regali solo perché spero di riceverne altrettanti. La mancanza dell’albero di Natale in casa suona tuttavia come un vero segno di cambiamento. Evidentemente nessuno qui ha realmente voglia di esteriorità, di apparenza, di dover per forza sottolineare il fatto che siamo a Natale. Ed infatti, l’8 Dicembre, giorno predicato a palle e festoni se ne è andato come se nulla fosse. A casa mia le parole non mancano mai, il tono della voce è sempre molto alto, rari i momenti di quiete; quale occasione migliore per fare un po’ di silenzio? Sto riscoprendo il lato più pragmatico della mia personalità, quella essenzialità di contenuti e di fatti che pensavo di aver perso. Non nascondo di amare talvolta le arzigogolature, le greche, il superfluo, almeno per quanto riguarda i miei scritti. Ma se riuscissi ad essere più sobrio anche nei fatti, forse ne trarrei beneficio. Dunque, austerità. Provo a buttarmi in questa nuova fase, l’ennesima delle migliaia che hanno attraversato la mia vita. Ogni adattamento alle situazioni provoca talvolta frustrazione, senso di fastidio. Natale è proprio una di queste ed io non voglio adattarmi. Basterà tutto questo a riacquistare una serenità più pura e semplice? 


mercoledì 8 dicembre 2010

Non mi sei mancato

D
a quando ho iniziato la mia avventura di blogger sono state davvero poche le volte in cui ho dovuto rinunciare a pubblicare qualcosa per più di un certo tempo. Quasi sempre sono state cause di forza maggiore a tenermi lontano dal mio diario e quasi sempre ne ho avvertito molto la mancanza. Riuscire a pubblicare qualcosa quotidianamente non richiede poi così grande disponibilità di tempo; diverso è il quadro se si vuole cercare di mantenersi informati attraverso la lettura di altri blog o di aggiornare esteticamente il proprio sito. Quindi, quando è capitato di non scrivere per più di due o tre giorni è perché mi sono tenuto lontano dal computer per un’intera giornata. Fatto del tutto strano quanto in controtendenza con il sistema odierno. Eppure negli ultimi tempi sentivo di dovermi fermare e come sempre accade, certe cose non arrivano mai per caso. Ossigenare il cervello: di questo avevo di gran lunga bisogno ed è stato importante riuscire a scappare, e dal mio ambiente di vita fisico e, da quello virtuale godendo appieno delle gioie di qualche giorno di piena condivisione”reale”. Quindi, forse per la prima volta, il mio blog non mi è mancato. Non ho avuto crisi di astinenza. Sono consapevole del fatto che se Dio vorrà, tra qualche tempo ( più o meno vicino ) questo spazio non sarà,per forza di cose, uno strumento vivo capace di parlare ogni giorno di ciò che mi attanaglia e mi turba. Diventerà anzi, un angolo di pace dove godere magari di un attimo di serena riflessione al termine di una settimana snervante. In un certo senso me lo auguro non perché voglia male a questo strumento ma perché ciò significherà avere una settimana piena, così piena da non avere neppure il tempo per pensare. Sono assolutamente stufo di questo periodo: da quando ho sostenuto l’orale del Concorso, non ho fatto altro che attendere, fare calcoli. L’errore più grande è stato poi quello di iscrivermi ad un forum che ha ulteriormente accuito la mia ansia per l’arrivo di notizie positive. E’ finito il tempo dell’attesa. Devo ripartire come se nulla fosse successo: se dovesse arrivare quella famosa telefonata, la mia vita cambierà. Ma non ci posso e non ci devo più pensare. Che arrivi presto il 20 Dicembre, termine ultimo per la mia speranza. Se tutto dovesse svanire, riprenderò come sempre il mio percorso; intanto il mio blog è sempre qui, e qui tornerò ogni volta che ne sentirò profondamente il bisogno.


sabato 4 dicembre 2010

Non ucciderlo!

U
n amico ieri, attraverso un articolo, ha manifestato l’intenzione di “uccidere” il proprio blog. Leggendo il contenuto del suo passo ho sospirato e mi sono meravigliato di quanto ritrovassi nelle sue parole, le mie. Precisamente quelle che avevo usato in un post di qualche giorno fa e di cui mi ero servito per manifestare tutto il mio ripensamento riguardo l’opportunità di continuare a scrivere. Lungi dal giudicare quelle che sono le motivazioni che hanno spinto Claudio a prendere questa decisione, vorrei provare a fare qualche riflessione al riguardo. A dirla tutta le ragioni non le conosco ma ho provato a dedurne qualcuna leggendo attentamente il testo del suo articolo e cercando poi di fare confronti con il mio vecchio post. Penso che quando si sceglie di impostare nella sua totalità o anche solo in parte un blog ad un livello intimistico, inevitabilmente si apre la nostra anima, la nostra interiorità al mondo. Poi magari nessuno vi pone attenzione ma, poniamo comunque le basi perché qualcuno lo faccia. Dunque il blog è territorio di tutti ma, mi preme dire, è in primo luogo, territorio di chi i propri pensieri su quel foglio, riversa. E come scrivevo nel mio vecchio articolo, questo diario finisce per essere il nostro specchio quotidiano, ci vediamo bene o male la nostra immagine riflessa e magari, finiamo per notarne il mutamento di fisionomia. Insomma, tutto ciò che di nostro, di intimamente nostro scriviamo prende la nostra forma come se fosse una fotografia. Capita che questa immagine noi la andiamo a rivedere più e più volte e scopriamo che ci piace sempre meno, fino a non piacerci più. Io, e parlo per me, ad un certo punto mi sono chiesto se la colpa fosse di questo strumento, dei miei pensieri, o se si trattasse semplicemente del mio timore a rivedermi, magari peggiorato, più melenso, e noioso. Chissà perché non mi dispiace andare a rivedere le mie vecchie foto e notare che sono cambiato, soprattutto, sono invecchiato. Ma rileggermi e ripassare i miei testi non mi regala piacere, anzi, spesso mi impaurisce. E quindi credo che non sia colpa del blog, e nemmeno dei miei pensieri. Guai se tradissi la mia anima, guai se solo ipotizzassi che ciò che scrivo non è reale. Semmai, sono io ad avere paura di me e della mia immagine che cambia. E allora, giusto dare ossigeno alle meningi, giusto prendersi una pausa, giusto anche tirarsi indietro se questo ci fa bene. Claudio, ho solo presuntuosamente ipotizzato le ragioni che ti hanno portato a questa decisione e già solo per essermi permesso questo, ti chiedo scusa. Il tuo articolo mi ha stimolato molto avendo magari anche solo lontanamente vissuto le tue stesse sensazioni; dunque, ho solo “tirato giù" quello che mi sentivo. Ti aspettiamo, ma se puoi, il tuo blog, non ucciderlo.


venerdì 3 dicembre 2010

Tempo sospeso

P
repotentemente è tornata in questi ultimi giorni la sensazione opprimente e talvolta sfiancante dell’attesa. Sto realmente sperimentando sulla mia pelle il lato oscuro di questa particolare emozione. Qualche tempo fa avevo promesso a me stesso che non mi sarei lasciato trascinare troppo in questa cosa, che avrei fatto si che il fato facesse da sè. Troppo facile e soprattutto ipocrita: ero realmente convinto di ciò che stavo affermando? Ne dubito. Non c’è cosa che sfugga al mio sistema nervoso, al mio sempre vessato emisfero destro per cui eccomi di nuovo qui, a vivere questa situazione dovendo a tutti i costi mettere per iscritto qualcosa al solo scopo di alleggerirmi del peso.L’attesa è qualcosa che rimane sospeso nel tempo e con il tempo non ha nulla a che vedere. Corre apparentemente parallela al tempo ma non ne segue il suo veloce correre. E’ là, di tanto in tanto prova a raggiungerlo, ma ciò accade quando lei, con il suo carico di speranza, troverà la sua naturale via d’uscita. Mi sto chiedendo quando questa attesa finirà, se finalmente riuscirà a riprendere il tempo che nel frattempo se ne frega, e corre spedito. Si può isolare l’attesa e vivere fregandosene? Si può, a volte si deve. Perché l’attesa è tempo che può anche andare a male, marcire, ed il tempo, quello vero, se ne frega. Detto questo, sto attendendo una possibile chiamata di lavoro le cui basi ho costruito un paio di mesi fa. Voci che si rincorrono, numeri che ti entrano nella testa e che creano caos. Tutto potrebbe accadere. Oggi mi sento poco propenso ad attendere e distruggo le mie teorie sul piacere di aspettare qualcosa che potrebbe arrivare da un momento all’altro. Questa cosa mi sta sfiancando. Tengo occupato il mio tempo vero ma ce n’è sempre troppo (purtroppo) per pensare. I numeri stanno diventando importanti, più di quanto mi sarei immaginato. Urlo a me stesso di smetterla, di far finta di nulla, di pensare che la notizia inaspettata è quella che regala più emozioni ( soprattutto se positiva, ovviamente). Smettila di aspettare Enzo, piantala di fare calcoli, ce la fai una volta per tutte a far finta che nulla è accaduto e nulla di insolito sta accadendo? Siamo alle solite, mi tocca mettere in standby l’emisfero destro. Per farlo non ho, come già dissi tempo fa un interruttore; devo semplicemente lasciare che quel poco di emisfero sinistro che non è stato bruciato dalle turbe mentali mi venga in soccorso e mi dia come sempre una mano a vedere tutto secondo logica. Freddezza, pragmatismo, ragione. Ci provo, ma non assicuro nulla.


giovedì 2 dicembre 2010

Elogio del sole

C
hi se ne importa se fuori piove, c’è nebbia, neve o se il cielo è grigio. Oggi io mi sento il sole. Mi auto riscaldo, mi auto illumino, mi auto irradio energia. Da dove mi viene questo attacco improvviso di egocentrismo ed onnipotenza? Non so rispondere. Mi alletta l’idea di essere io, il solo in grado di garantirmi autonomia e perenne esistenza. E come il sole, oggi mi godo in tutta tranquillità, standomene per una volta beatamente fermo, la terra che si gira e mi gira intorno. La guardo arrovellarsi, imbrigliarsi, autodistruggersi, vittima del suo stesso essere “umana”. Per una volta voglio provare come si vive non avendo tesi da sostenere, non dovendo ascoltare stupidaggini che non condivido, non essendo costretti al contatto umano e sociale. Io mi limito a guardare, vi illumino pure, vi riscaldo, ben consapevole del fatto che avete bisogno di me. Sono il Sole del resto. Mi trovo oggi in una posizione privilegiata: ho infatti, alla luce dell’ennesima cazzata umana, deciso di autocelebrarmi ancora e di salire ulteriormente la scala della mia autostima. Ho dunque deciso di essere il Sole. Quale altro possibile riferimento per definire qualcosa di incredibilmente potente, se non Lui. Non c’è nessuno qui, su questa maledetta terra che può ergersi a Sole eppure io di Soli ne sento molti parlare, altrettanti scegliere un silenzio connivente, altri ancora gridare. Perché dunque non lo posso fare anch’io? Lo faccio, sto provando a farlo. Mi sento ancora troppo terrestre di fronte a tanti (i soliti) Soli improvvisati. Tutto questo panegirico per riprendere quanto lasciato nell’articolo che precede questo. Mi sto riappropriando di me stesso e del mio caro diario. Ho bisogno del solito calore, di un calore che a volte posso essere solo io a regalarmi grazie a questi scritti. Comincio ad essere quasi orgoglioso di quello che sono dentro, del fatto che da circa sei mesi questo blog mi fa sentire bene. E perché? Perché sto imparando per una volta nella vita ad essere “Sole”, a dire, fare, pensare, scrivere in totale autonomia, senza timore del giudizio di alcuno. E’ un elogio del sole, dell’essere sempre sé stessi. E’ una spinta a non aver paura di dire ciò che si pensa. In fondo ci crediamo tutti Soli a questo mondo, no? Ma forse siamo solo….soli.


mercoledì 1 dicembre 2010

La centrifuga

C
i vuole pochissimo ad essere scontati, retorici, banali. E’ quello che mi accade ogni qualvolta esco dai canoni consueti e passo a considerazioni di tipo, diciamo, nazionalpopolare. Non che solitamente mi metta qui a disquisire di scissione dell’atomo o di nichilismo ma, se esco dalla mia interiorità e dai contenuti che mi suggeriscono il mio modesto cuore e la mia anima esasperata, non mi piaccio. Non mi piaccio come scrivo, non mi piace cosa racconto e soprattutto finisco (con una semplicità imbarazzante) con l’essere retorico e superficiale. E’ vero che ci sono momenti apparentemente “vuoti”, io amo definirli “di stallo”. Queste fasi non sono produttive; potrei cercare il foglio continuamente, potrei iniziare e cancellare un articolo mille volte senza ottenere nulla che mi aggradi. Se provassi a riempire questi vuoti del pensiero con testi suggeriti dalla vita quotidiana, da fatti evidenziati dai media, avrei risolto comunque il problema. Sempre che il fine sia, riempire a tutti i costi un foglio. Per fortuna però, dentro di me tutto si crea e tutto si distrugge, tutto si evolve con incredibile velocità come durante una centrifuga; cio’ fa si che, in linea generale, potrei dare un senso a questi fogli in modo persino smisurato. Ma il vortice delle sensazioni spesso e volentieri è più veloce del tempo; in altre parole non ti permette di tradurre nell’immediato ciò che provi. Ne puoi fare un sunto di qualche riga e di questo mi accontento. Il rovescio della medaglia: sarebbe così bello avere un’interiorità che, prendendosi gioco della realtà circostante e degli eventi contingenti, si permettesse variazioni sul tema. Invece, la nostra anima è incatenata al nostro vivere quotidiano e ne esprime spesso, il malessere. Articoli pesanti, in parte noiosi, ripetitivi. Ma se ci pensate non c’è nulla di più bello e coinvolgente di tradurre in parole quello che non si può e non si riesce più a dire a voce. La fretta, le difficoltà e le solite carenze della società odierna. Pensate, oggi avrei voluto parlare di dolci, di cioccolata in particolare e probabilmente ne sarebbe venuto fuori un articolo decente. Ma quando spinge da dentro qualcosa che non puoi frenare, al diavolo i dolci. Vorrà dire che ne parlerò in un altro momento, risultando ovviamente scontato. Cogliere i messaggi dell’anima, inchiodarli qui, mi riesce più naturale. Niente retorica, niente banalità. Mi sento sollevato. Alla prossima “centrifuga”.


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