sabato 29 settembre 2012

Fase quattro.

C

i ho provato ad evitare il post del Sabato sera. Se sono qui il motivo è il solito, trito e ritrito. Vi pare sia il caso di stare a ricalcarne le cause? Avevo in mente di scrivere qualcosa in merito alla fase 4. Da quando è iniziata l’avventura Torinese, questa è sicuramente la più importante, soprattutto per la solita densità di incertezze e tensioni che porta con sé. Chissà perché quando parlo del mio lavoro, uso l’espressione “avventura Torinese”; sembra io abbia la consapevolezza che si tratti di qualcosa di passeggero destinato prima o poi a finire ( o meglio a cambiare). Probabilmente nel mio inconscio avverto un recondito desiderio di avvicinamento, di miglioramento della mia attuale situazione di vita. E non sarebbe nemmeno del tutto assurdo, no? Sarebbe dunque opportuno che il passo che sto per compiere andasse nella giusta direzione verso una ritrovata serenità, almeno sul posto di lavoro. Si dice che ci sono cose o persone per le quali si prova un rapporto di odio-amore. Lo sportello è stata una di quelle cose. L’ho maledetto, ma l’ho amato esattamente come si ama e si odia qualcuno di cui non ci si riesce a liberare. E come sempre accade, è arrivato al momento giusto: non posso negare che ho ricavato un gran beneficio dal contatto con il pubblico. Per quanto diversificata e a volte davvero ingestibile, l’utenza così variegata ti aiuta a gestire le tue soglie di sopportazione, i livelli di ansia; talvolta fa miracoli rendendo loquace anche il più ostinato dei timidi. Di contro, ho sempre guardato al back-office come un luogo più difficile da vivere, soprattutto per ciò che concerne i cosiddetti “tempi morti”. Ma come sempre, la domanda che dimentico di pormi è: “Cosa è meglio per te, Enzo?”. Sei convinto che la strada sia quella giusta? Avverti un senso di leggerezza a pensarti nella nuova dimensione oppure no? Non lo so. Ma, di certo provo le stesse emozioni che mi assalivano ad ogni nuovo step di questa avventura. Fino ad ora, il tempo mi ha detto che l’ansia non aveva giustificazione alcuna di esistere, che poi tutto è andato bene. Sono maturato, mi sono fatto le ossa via, si parte. Concludendo, è un dato di fatto che proprio il lavoro continua a rappresentare l’unico aspetto in evoluzione di questa mia scarna esistenza. Per i sentimenti, c’è ancora tempo. Si, ma quanto?

 
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martedì 25 settembre 2012

Come dentro un film

H

o sempre pensato che l’avvento del lavoro mi avrebbe trasformato, del resto non mi sono mai piaciuto, giocoforza le aspettative erano piuttosto consistenti. Desideravo con tutto il cuore smetterla di essere un uomo con l’esperienza di un infante, pregavo di finirla col giustificare al mondo perché o per come quell’uomo non fosse sincronizzato né con il mondo tantomeno con se stesso. Non avevo un vissuto sufficiente a giustificare le mie mancanze, i miei "non saper cosa dire" di fronte alle solite domande: “Cosa fai nella vita?”, oppure “Ti sei sposato, hai figli”? D’altronde prima o poi il castello di bugie sarebbe crollato e mi sarebbe finito addosso seppellendomi. In cuor mio sapevo che realizzarmi professionalmente avrebbe fatto di me un uomo, almeno al passo del mio tempo di vita. Poi, il resto sarebbe venuto da sé. Il resto. Eccolo il problema. Sono cambiato, ma non perché mi sono realizzato professionalmente, semplicemente ho dato un primo senso alla mia vita. Un significato ancora troppo venale, materiale. La strada da compiere è ancora molto lunga. Tutto cambia, niente cambia. Gli stravolgimenti non esistono, almeno a parole. Ci vogliono i fatti. Oggi, ho passato una brutta giornata. Non vedevo l’ora di ritrovarmi seduto sul sedile blu della prima declassata giusto per riguardarmi. Da tempo sostengo che se avessimo una telecamera a riprenderci in ogni nostro momento della giornata e se ( solo noi però )potessimo riesaminare attentamente il nostro comportamento, riusciremmo a capire molte cose. Probabilmente dimentichiamo con estrema facilità. Io ad esempio, non perdo il mio vizio: sono impulsivo. Ho sperimentato nella mia vita che questo tipo di reazione porta solo svantaggi. Ma se andassi a rivedere certe scene del passato ( anche recente) scoprirei che alla stessa provocazione corrisponde la stessa medesima reazione. Dunque non ho imparato niente. Se solo riuscissi a far scendere il valore di rispetto che ho nei confronti del prossimo, se solo mi impegnassi a guardarlo con occhi diversi, e a pesarne le parole con il giusto metodo, le mie reazioni cambierebbero. Sei quello che gli altri pensano tu sia o semplicemente quello che tu ritieni di essere? Non ci sono dubbi no? Il lavoro non mi ha trasformato. Ha solo contribuito a svelare una parte di me, a renderla più facile da esibire agli altri. Gli altri. Lo ripeto troppo spesso. Ho bisogno di continuare a guardarmi e a rivedermi. Gli altri non sono nessuno, io rispondo solo a me stesso.

 
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domenica 23 settembre 2012

Un disco rotto

T

utto quel bisogno di normalità ed abitudine che ho agognato alla fine delle mie vacanze Settembrine è arrivato. E sono già pronto a lamentarmene. Che ridere, sono sempre io , Enzo. Più passa il tempo più riesco ad ironizzare sulle mie contraddizioni ormai note ai più. Cerco disperatamente qualcosa che in realtà non voglio e quando la ottengo, non faccio altro che lamentarmi. Vivo questa eterna contraddizione, come ho detto, con la giusta e necessaria ironia perché ho bisogno di sdrammatizzare. Non è sicuramente questo primo fine settimana di autunno, con il suo grigiore e l’umidità mattutina, a deprimermi. Ci vuole ben altro per intaccare questa corazza di amianto resistente ad ogni agente esterno. La normalità di cui avevo bisogno è in fondo rappresentata dai ritmi lenti delle serate autunnali e delle Domeniche di pioggia. Sto piano piano sprofondando nel mio letargo anche se fisicamente e mentalmente sono sempre iperattivo. Non ho grandi contatti umani, come solitamente accade, qualche volta mi dedico a chiacchierate virtuali mordi e fuggi. Tutto ciò è assolutamente improduttivo, costituisce il più delle volte una perdita di tempo. Ben diverso è, per fortuna, l’approccio a questo genere di contatto. Mi trovo totalmente disinteressato, salvo rare eccezioni. Mi diverto a contare quante persone riescono a mentire a se stesse e agli altri nel breve spazio di un colloquio. Ritorna dunque il discorso della vacuità non solo dei rapporti in generale ma di ciò che dovrebbe farli nascere e mantenerli in vita: parlo del dialogo. Chissà cosa voglio o cosa vorrei. Vorrei magari tornare ai vecchi tempi in cui attendevo impazientemente una lettera e la leggevo con attenzione, sottolineando ciò che mi interessava e quello che avrei approfondito. Vorrei che la normalità fosse il colloquio costruttivo, lento, empatico. Beh, sono solo illusioni. La normalità in fondo è stare qui a ripetere le stesse cose come un vecchio disco rotto. Era per caso questo che volevo? Probabilmente dopo aver vissuto, sentivo il bisogno di tornare a sopravvivere, di riempire questi fogli con le solite nenie, con i soliti contorcimenti. Non riesco a vivere senza. La mia vita è questa, inutile che vada a cercarmene un’altra. Domani è un altro giorno, intanto mi faccio la barba.

 
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sabato 22 settembre 2012

Abat-jour

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’ il momento giusto per un post. La posizione è la solita, gambe incrociate; a farmi compagnia la luce soffusa dell’abat-jour sul comodino, tutto il resto è noia. Guai a lamentarmi, non so più se ne ho ancora i motivi per farlo. Ma no, non lo faccio perché sono tutto sommato sereno, in forma, nel bel mezzo di un cambiamento. Dovrei evitare di lasciarmi andare troppo alle considerazioni, in modo particolare quando l’oggetto del discorso sono io. Finisco col dire molte cose che giustamente, vengono utilizzate contro di me. Non è del tutto vero che ho problemi di bassa autostima. Mi spiace confessarlo ma spesso, nel quotidiano e nei rapporti umani che lo caratterizzano faccio il finto modesto. Ho già avuto modo di ribadire che il mio gettarmi addosso le solite critiche sulla presunta incapacità nel dire e nel fare, potrebbe denotare non insicurezza bensì un modo per attrarre l’attenzione. Perché io sono convinto dei miei mezzi. Lo penso, a volte quando cammino alzo la testa e mi impettisco. Capita quando penso a dove sono arrivato e a quanta fatica ho fatto per esserci arrivato. Mi fanno paura le scelte, i cambiamenti, quello si. E so che ho bisogno del grande amico tempo che, in questi casi, è il miglior traghettatore possibile. In questo quadro dalle tinte tenui e morbide, si staglia il solito sfondo grigio, inerte, pieno di foschia. E’ in atto una trasformazione. Rispetto a qualche anno fa mi sento il vero protagonista della scena, e, cosa ancor più importante, sempre più raramente mi preoccupo della quinta, di ciò che fa da cornice al mio recitare. Ma ecco ( e quando si parla di Enzo è normale ) la solita contraddizione e la solita conclusione. Esiste realmente tutta questa voglia di condividere? Non è che poi, scrivere questi pensieri si rivela sufficiente allo scopo? Non sto reprimendo, non sto soffocando, non sto raccogliendo rabbia, sono sereno. Mi lascio andare alle solite riflessioni perché, e non mi stancherò di ripeterlo, le mie mani e questi fogli sono il miglior amico che conosca. Non ci sto più con le parole dette così per dire, con le promesse da marinaio, con le orecchie da mercante, non ci sto più. Mi rendo conto che in questi due anni di percorso di vita e contestuale evoluzione interiore nessuno è stato in grado di capire, pochi hanno provato a farlo. Non c’è voglia di fermarsi, c’è ancora troppa smania di folla, di caos, di rumore di fondo. Questa luce soffusa e queste gambe incrociate, sapete cosa vi dico? A me piacciono.

 
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martedì 18 settembre 2012

Primo Ottobre

C

ambio lavoro. O almeno credo. In un certo senso a quello sportello mi ero pure affezionato. E non mi posso certo lamentare se, dopo solo due anni finirò a fare “back office”. Che bella definizione eh? Back office. La data fatidica dovrebbe essere il primo di Ottobre, sapete, come quando ai miei tempi iniziava la scuola. Il primo Ottobre. Ci sono stati momenti in cui ho persino maledetto questo lavoro, attimi in cui ho perso il senno perché io, a trovare questo lavoro sono stato bravo ma, si dirà, che c’è anche una componente di culo. Lasciamoli dire. Non so, (o forse si) quello che mi aspetta. E’ da circa un paio di mesi che non si faceva altro che parlarne, addirittura sembrava che la decisione fossi io a doverla prendere. Tutta questa manna, mi sembrava impossibile da ricevere. Di sicuro, questo ulteriore passaggio all’interno del percorso di vita Torinese, ha messo in luce quelli che sono i due principali limiti di Enzo. Parlo della incapacità di fare scelte, e soprattutto di farlo pensando al proprio bene. E così ancora oggi mi ritrovo a pensare che quello che sta per accadere non sia affatto frutto di una mia personale decisione bensì di una più intricata mescolanza di fattori. Come sempre, di fronte ad una ulteriore possibile svolta nella mia vita, mi sento tremare le gambe, ma non più del lecito. Probabilmente non sono una persona ambiziosa, o meglio, non credo nelle mie possibilità dunque non riesco ad immaginare ipotetici scenari nei quali mettere a frutto le mie doti. E’ altresì altrettanto probabile che io non veda nel lavoro che faccio qualcosa di veramente stimolante al punto da interpretare certi “passaggi” come determinanti. A questo punto è importante non tornare a rimuginare su ciò che è accaduto e nemmeno pensare a ciò che accadrà. Sono solo sicuro e lo affermo con piena consapevolezza, di non aver preso una decisione completamente mia. Ho paura, continuo ad averla. Ho paura a dire come la penso, a dire ciò che voglio, a far sentire le mie ragioni. Sono ancora un uomo molto piccolo, che non ha più scusanti. E allora, come un bambino, aspetto il primo ottobre. Sarà come il primo giorno di scuola, con la stessa ingenuità. E non è un vantaggio.

 
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domenica 16 settembre 2012

Matite colorate

G

iusto ieri argomentavo di relazioni sociali. Affermavo di aver ormai imparato tutto, di aver avuto negli anni la possibilità di confrontarmi con le più svariate tipologie di persone. E concludevo dicendo che forse, tutto ciò, finisce con l’incutermi un po’ di timore per il futuro. La rassegnazione è il sentimento prevalente di questi tempi, ed è un sentimento che non fa male. Basta battere i piedi, basta piangersi addosso, bisogna smetterla di volere ciò che non si può avere se per averlo occorre sia perfetto. A sentire gli altri e a guardarmi dentro non nascondo di essere diventato assai bacchettone, acido e intollerante; si dice che sia l’età, ma io non la penso così. Sono quel che sono diventato, per esperienza, come tutti. Siamo il prodotto dei soliti fattori: carattere, condizionamenti esterni, istinto. Il mondo delle relazioni è complesso ed io ho in parte trovato la verità che andavo cercando. Si dirà che sono anche masochista ed in una buona parte è vero: se non fosse così, ditemi voi, perché mai dovrei riempirmi una serata vuota con qualcosa di disgustoso? Perché mai dovrei volermi così male? Credo io abbia bisogno di ricordare a me stesso che ho il coltello dalla parte del manico e che ho ancora strada da fare, che non ho raggiunto un traguardo finale. Che mi basta vedere chi mi porto a cena per capire che sto perdendo tempo, che è molto più costruttivo rilassare corpo e mente con un serata casalinga, in totale solitudine. Ho anche smesso di fare confronti, di guardare chi sta meglio di me, perché so perfettamente che gli idioti vivono la vita con il giusto piglio e conoscono il segreto della felicità. Io ho solo da muovermi. Non riuscirò mai ad utilizzare le parole scritte per descrivere la moltitudine di pensieri che spesso si affolla nella testa, avrei bisogno di un interlocutore. Non ce l’ho. Ma magari parlandone finisco sempre con il perdere tempo. Ci vuole azione, da quanto tempo lo dico? ll disegno non è ancora completo; ammesso che ce ne sia uno divino, mi piace immaginare che da lassù qualcuno abbia appena finito di tracciarne i bordi, ed ora tocca a me riempirlo di colori. Ho le matite, devo solo scegliere la tonalità che più desidero. Per fortuna esistono campi della nostra esistenza ove ci viene concesso un seppur limitato potere decisionale. Possiamo scegliere cosa non vogliamo. Cominciamo da qui. Dopo la lente, vado a comprare le matite colorate. 



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sabato 15 settembre 2012

Lente di ingrandimento

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er quanto poi io cerchi di nasconderlo a me stesso, sono cambiato. Non so se in meglio o in peggio, questo bisognerebbe chiederlo a quelle persone che hanno conosciuto Enzo prima della svolta Torinese; quelli che attraverso un’amicizia anche solo virtuale lo hanno accompagnato lungo il suo tortuoso percorso. Ed è in particolar modo ai loro occhi che risulteranno più marcati, i cambiamenti; sono sicuro non esiterebbero un attimo a sostenere che la svolta è stata positiva. A non volerlo vedere il nuovo Enzo, è il sottoscritto. E mi riferisco a quella parte di lui che, forse, ha imparato a gestire il mondo e i suoi protagonisti. In effetti mi intimorisce sapere di aver imparato tutto o quasi della vita, e dell’intricato mondo delle relazioni sociali e affettive. La questione è di lana caprina. Mi sono raffreddato, ho perso gli stimoli dunque rifuggo le relazioni ( e allora non ho capito nulla ), ho imparato a voler più bene a me stesso e dò il giusto peso agli altri ( e allora ho capito tutto). Comunque stiano le cose la sostanza coincide con l’assenza di contorcimenti, domande, riflessioni. Che poi è il contenuto di questo blog. Non vorrei cadere in una trappola di cui sono il primo responsabile. Se si intende il blog alla stregua di un contenitore, bene. E’ una scatola, ci butto dentro tutto quello che mi va. Quando deborda, la svuoto. Ma non è la scatola a dovermi dire cosa deve contenere, anzi, se rimane vuota è un buon segno. Tornando alla ragione di questo post, è assai probabile che io abbia raggiunto un traguardo personale di un certo spessore e stia facendo finta di nulla. E’ come se, masochisticamente, io avessi raggiunto la cima, ma voglia provare l’ebbrezza della fatica e decidessi di scendere per risalire. In questo strano concetto si ritrova la vera natura di Enzo. Masochista, severo con se stesso, insoddisfatto, perfezionista. Ma, mai felice. Questi ultimi due anni hanno acceso la luce su tutto ciò che era invisibile ai miei occhi. Ora ci vedo, sono pienamente soddisfatto di me stesso per il lavoro fatto. Mi specchio perfettamente nell’anima che ora è limpida. E ora? Chiudo il blog? Si tratta solo della solita riflessione poi tornerò a contorcermi? Vado a prendere una lente di ingrandimento, mi sa che proprio non riesco a vederlo bene, questo Enzo cambiato.

 
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giovedì 13 settembre 2012

Parole e meteore

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cco, finalmente oggi ho ritrovato l’ispirazione, quell’impulso che ti spinge le gambe verso il treno e che ti fa ritrovare comodamente seduto in prima declassata (pc sulle ginocchia) in un nano secondo. Non c’è stanchezza mentale o fisica che ti impedisca di tirare fuori ciò che hai dentro e di metterlo giù per iscritto. Ho caricato la borsa a dismisura questa mattina, ma non avrei potuto rinunciare al computer. La mia intenzione era quella di dedicare un post alle parole. E dire che, dopo la travagliata mattinata di oggi, potrei parlare di tutto meno che di questo. Qualche giorno fa ripensando ad amicizie forse mai nate (dunque, nemmeno estinte), ho fatto un rapido calcolo delle volte in cui ho buttato parole al vento, frasi di circostanza. Non l’ho mai fatto in totale malafede, semplicemente ne ero in parte consapevole. Se probabilmente limitassimo le parole all’essenziale, saremmo un popolo di muti. Ci sono parole “innocue”, che infiliamo nei discorsi per riempire spazi altrimenti imbarazzanti, ci sono quelle “semiserie” che appoggiamo con cura all’interno di discorsi pseudo importanti. Trattasi di ciò che è in parte necessario per riempire il quotidiano. E poi ci sono quelle parole che occorre saper bene usare perché potenzialmente pericolose: non tanto per chi le pronuncia quanto per chi ne è il destinatario. E allora, ecco le frasi di circostanza: “dai, prima o poi ci vediamo e ci prendiamo un caffè”. “Mi fa piacere conoscerti, dai prima o poi dobbiamo vederci”. Per non parlare di quelle dette in momenti di sconforto: “ Dai amico, prima o poi organizziamo, conta su di me”. Frasi, che contengono parole che a loro volta non hanno né capo né coda”. Voliamo noi, nel tempo, così volano le parole. Rimangono sospese in aria mentre noi là sotto siamo meteore gli uni per gli altri. Le parole spesso sono degli uomini piccoli. I fatti appartengono ad una specie rara. Anche oggi ho sentito molte parole nel mio contesto quotidiano. E a quelle parole io ne ho fatte seguire altre. Ancora una volta l’impressione è quella di trovarmi sospeso mentre tutto mi gira intorno sotto forma di suoni incomprensibili e senza alcun significato. Cosa vuol dire tutto ciò? Che pensiamo poco a ciò che diciamo. O meglio, diciamo ciò che riusciamo a dire ma siamo consapevoli farlo senza sufficiente passione. Anch’io su questo blog, uso le parole. Come le uso? Male, probabilmente. Ma c’è una cosa che spesso distingue scritto e parlato. Qui c’è passione, credetemi. Fermate ciò che pensate per iscritto. Risparmierete fiato e risulterete persino attendibili.

 
meteoriti

lunedì 10 settembre 2012

Normalità

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i chiamiamo “buoni propositi” ed è di questi che amiamo riempirci la bocca allo scoccare di una nuova fase della nostra esistenza. E non è affatto infrequente si tratti di qualcosa che aborriamo o dal quale solitamente rifuggiamo. Moltissime sono le ragioni che ci spingono a porci un obiettivo: un evento, la fine di qualcosa, in alcuni casi si tratta di date o periodi dell’anno (vedi la fine dell’estate od il Capodanno). E noi lì a cercare di guardare oltre, a quello che sarà. Chissà, ci viene spesso naturale. Durante il mio viaggio di ritorno dall’Umbria (dove ho trascorso un piacevole periodo di relax), la mia mente stava già altrove, complice il finestrino e le canzoni alla radio. Pensavo a ciò che desidero, di cui ho veramente bisogno. Normalità, innanzitutto. Sento di dovermi raggomitolare un po’, di riprendere qualche vecchia abitudine un po’ sopita, complice un’estate assolutamente diversa, soprattutto per quanto e come è stata vissuta. Ho la piena consapevolezza di essere stato bravo a gestire i miei momenti di pace e libertà vivendoli come tali. Sono stato bravo a non farmi prendere dalle solite paure. E così il tempo è pure volato, trascinandomi e lasciandomi pochissimi momenti per pensare. Questo blog, la mia assenza ormai cronica, sono la prova inconfutabile del mio vivere che trionfa sulla solita apatica sopravvivenza. Di certo sono felice, ma ora ho bisogno di “marciarci sopra” di godere di un po’ di tanta energia messa da parte per tornare ad uno scrivere sano; introspettivo si, ma costruttivo soprattutto. Mi spiace non aver lasciato su questi fogli un po’ della mia passione e delle belle sensazioni che mi regala. La bicicletta è stata soprattutto compagna di vita nei pochi mesi in cui mi è concesso di utilizzarla. I viaggi. Finalmente non parlerò solo di quelli che sono parte integrante del mio quotidiano, scanditi da orari, sbruffate, arrabbiature. Ho viaggiato per piacere e l’ho fatto sempre con il gusto di scoprire qualcosa di nuovo e di dimenticare le solite preoccupazioni. Tra i miei buoni propositi non c’è il ritorno al blog. Scrivere non è qualcosa che aborro, anzi; ciò significa che tornerà ad essere naturale perché piacevole. Ho solo bisogno di riprendere i ritmi del tempo che scorre piano, come le giornate di autunno. Sono tornato ad amare l’estate, ed amerò l’autunno per ciò che saprà restituirmi.

 
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