sabato 27 agosto 2011

La Sfinge (ovvero l’ultimo post)

A
desso basta. Ma basta veramente. Sono anche stufo di mettermi qui e scrivere delle solite cose. Perché sono soprattutto stufo di indignarmi, sono anche così coglione da indignarmi. Se riuscirò a campare almeno fino a 60 anni, continuerò fino ad allora ad indignarmi. Allora: questo blog non ha colpe, come non hanno colpe Facebook ed altra roba varia. Ma io voglio e devo eclissarmi. Parlare, parlare, parlare. Sfogarsi, sfogarsi, sfogarsi. La dico tutta, ora. Si tratta di squallidi e meschini strumenti per attirare l’attenzione. Ma di chi? Ma non lo so neanch’io!!! Perché io ho bisogno di vita!!! Qualcuno mi attacchi ad una flebo che mi inietti entusiasmo, voglia di vivere e di spaccare il mondo e poi vedrete che non scriverò più nulla! Continuo a richiudermi in me stesso ogni volta. Due giorni di strano entusiasmo ( non si sa neanche poi per cosa ) e dieci di angosciosa riflessione su quella che è la vita di oggi. Non ci sto io con la vita di oggi. Non ci sto. E’ colpa mia se continuo a farmi seghe mentali? Se mi sento solo e non lo accetto e mai lo accetterò? E’ colpa mia se a 43 anni io devo riprendere in mano di nuovo la mia vita e fidarmi di qualcuno? E poi, fidarmi?? Ma di chi???? Continuo a parlare male del genere umano e può darsi che tutto il peggio del peggio sia passato da qui. Beh? Non posso farlo? Lo faccio eccome, perché mi va di lamentarmi, si, voglio lamentarmi!!!!! Tanto questo è l’ultimo post che scrivo. Lo richiede la mia mente. E io voglio dimostrare, almeno una volta nella vita di volermi bene. Comincio dal non esternare più nulla che sia una mia sensazione, nemmeno la più semplice. Voglio essere un libro sigillato e non comunicare. Lo so che così facendo non attiro certo l’attenzione di nessuno. Ma non è questo il mio obiettivo. Io non sono come alcuni ( attenzione tu che sai e che di tanto in tanto leggi…mi riferisco a te ) che fanno finta di esserti amici per poi cosa????? Oh mio Dio preferisco lasciar perdere per rispetto verso la persona anche se non lo merita affatto. E visto che è l’ultimo post, ribadisco ancora che io sono io, pieno, pienissimo di difetti, ma se mi incroci nella tua vita, sappi che da me hai tutto. Guai a te a farmi del male, a farmi soffrire. Avete mai provato a fare incazzare una persona quieta e disponibile? Beh,avrete visto la reazione. Stop. Blog, magari ci rivedremo quando avrò ripreso fiducia nel genere umano, dunque….Ah ah rido di me stesso perché non si può essere così idioti. Ma adesso, sarò peggio della Sfinge.
 
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venerdì 26 agosto 2011

Lo sciacquone

T
rovo che sia incredibilmente rilassante stare qui, gambe incrociate e posizione yoga, sul mio letto. E’ come se per qualche minuto, facciamo almeno sessanta, io riuscissi a svuotare il mio cervello di tutto quello che esso accumula durante la settimana. Immagini, voci, parole senza senso compiuto, volti. Per usare un paragone non proprio delicato, è come tirassi lo sciacquone del water. Sebbene qualcosa o qualcuno meriti sempre di essere salvato, per staccare completamente la spina occorre svuotare. E’ vero, è estate, come si fa a passare una sera d’estate in posizione yoga sul proprio letto con la sola compagnia del computer. Starò perdendo tempo? Potrei approfittarne in modo diverso? Ma se fare questo mi regala un sottile piacere, perché guardare fuori? Sono intimamente chiuso nel mio angolo di pace, ancora e sempre quel malefico ventilatore a fare da sottofondo. Il cielo sta diventando pericolosamente grigio, ora che giro gli occhi verso la finestra. Probabile che questo tempo strano rovini i miei già precari piani per il fine settimana. Non penso riuscirà ad impedirmi di pedalare, per il resto il programma non prevede nulla di eccezionale. Dunque, tutto normale no? E’ finita anche questa settimana, quella Africana come l’ho definita io. Di questi giorni voglio assolutamente rimuovere parole ed atteggiamenti che non mi sono piaciuti, e mi riferisco al lavoro. Voglio altresì rimuovere la mia caparbietà nel commettere sempre gli stessi errori. Agisco ancora con eccessiva disinvoltura ma, ed è un passo avanti, mi accorgo dello sbaglio molto prima che esso abbia provocato sconquassi. Attenzione, nulla di irreparabile, ma si sa, il sottoscritto pretende il massimo da sé stesso. Non lo ottiene mai e crede di essere un fallito. Piccola ma efficace descrizione del mio essere. Riesco fortunatamente a scorgere nell’ambiente di lavoro ( che è l’unico a consentirmi di pormi in relazione con il prossimo ) tracce di umanità. Riesco ad intravedere persone vere. Non per esaltarmi, ma in quelle persone, nel loro modo di porsi e di agire anche solo sul lavoro io rivedo me stesso. Con i pregi e, ahimè, con i difetti. Esiste ancora chi dotato di buon senso e capacità, si prodiga per la causa e puntualmente viene mortificato. Fosse capitato a me quel che ho visto, sinceramente mi sarei sentito una merdaccia. E mi dispiace, mi dispiace moltissimo dover nuovamente affermare che tutti siamo utili e nessuno è indispensabile. Non chiediamo ringraziamenti, NOI. Non ci aspettiamo lodi e trionfalismi, ma nemmeno calci nel sedere. Questo post è anche dedicato ad una persona che, di tanto in tanto mi legge e che si sarà riconosciuta in quello che ho scritto. Lei però, a differenza di me, ha grinta da vendere. Io sono ancora dietro, affannato e con il fiatone ma ci provo a farmi una scorta di ragione. Ne avrei da vendere. E qualcuno finirebbe nello sciacquone.
 
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mercoledì 24 agosto 2011

Ingredienti base

E
sistono due aspetti della nostra personalità che, a questo punto, ritengo essere patrimonio essenziale per sentirsi orgogliosi di sé stessi. Sto parlando di umiltà ed autostima. Ne abbiamo bisogno come il pane, e guai perderne anche una parte. Sono ingredienti base, sul lavoro come nella vita. Io lo sto verificando ultimamente proprio sul luogo di lavoro. Che scherzi può giocare l’eccessiva sicurezza: è incredibile! Cominci a seguire meccanicamente certi passaggi ( e spesso non è sbagliato ) ma questo rischia di causare sconquassi facendo si che si dimentichi il ragionamento e la capacità di analisi. Capita questo al sottoscritto. Insomma, hai imparato un tipo di procedimento, credi di saperlo a menadito e poi? E poi capisci che così facendo spesso dimentichi di porti dei quesiti, di chiederti il perché di questo o di quello e tac….arriva l’errore. Fatto il mio solito mea culpa e fustigatomi a dovere posso ripartire. Attenzione però, qual è la lezione da imparare? Chiedi, Enzo, chiedi. Perché di imparare non si finisce mai. Che c’entra l’autostima in tutto questo? Beh, se solo perdessi anche un briciolo del rispetto per me stesso ( e non è moltissimo ), finirei per sprofondare. Perché spesso capita di sapere di aver fatto bene qualcosa e nonostante tutto continui a dubitare; lo fai a tal punto da non avere il coraggio di far sentire la tua voce, di affermare le tue convinzioni. Imparare e far leva su ciò che già si è acquisito. A volte penso di non aver ancora imparato nulla del mio lavoro, di credere di saperlo fare nonostante io avverta lacune paurose. Ora, si tratta della solita eccessiva umiltà o dell’altrettanto proverbiale assai ridotta autostima? A questo punto tutto mi è chiaro: non conosco le mezze misure. E continuo a non trovare quella che poi sarebbe la soluzione ideale per andare a testa alta, almeno sul lavoro. Credo l’umiltà non mi manchi, direi piuttosto che il problema sta sempre lì: Enzo, non ti valuti abbastanza. Mi piace pensare che sto facendo un bel percorso concreto che mi permetterà di migliorare, almeno sotto l’aspetto della personalità. Comincio ad avvertire anche un sottile fastidio verso certi atteggiamenti che definisco, strani. E mi piacerebbe mi tornasse naturale esserne completamente indifferente. Se penso che oggi è stata una giornata piuttosto pesante, che il treno è arrivato in ritardissimo, che mi sono pure fatto la barba, ha del miracoloso stare qui a scrivere. I risultati si vedono, ma questo mi rende orgoglioso di me. Visto che l’autostima è già aumentata?
 
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martedì 23 agosto 2011

Filantropia latente

L
’esperienza acquisita non mi ha tuttavia consentito di sviluppare anticorpi sufficienti a combattere quegli attacchi di filantropia cui sono ancora soggetto. Sebbene io abbia nel corso del tempo raccolto indizi e prove sufficienti ad inchiodare gran parte del genere umano, non riesco ad essere giudice inflessibile e severo. Si fa sempre presto a dire di aprirsi, di provare, di mettersi a disposizione del mondo. Non è sbagliato, non sia mai. Si accetta consapevolmente il rischio della delusione. Partire con i piedi di piombo questo si, ma se non sei di legno, non mi venire a dire che non ci stai un po’ male. Qui si vuol far passare tutto in modo superficiale, come se il fatto di stare al di qua di uno schermo significhi non provare nulla. Allora è sbagliato il sistema? Ci sono altri modi per far conoscenza? Al giorno d’oggi sembra tutto ruoti intorno al web. E va bene. E credo sia giusto, più che giusto ed opportuno, che tutto venga mantenuto su di un basso profilo. Colpa mia se ho delle aspettative? Che poi, pensare semplicemente ad un minimo di sensibilità ed umanità, significa avere aspettative esagerate? Si tratta di un discorso trito e ritrito. Non ci posso far niente se ogni volta in cui mi imbatto in qualche soggetto strano, io debba poi sfogarmi. Credetemi, senza frequentare siti quanto meno particolari, trovo gente che, imbarazzante è dire poco. Io sotto certi aspetti mi diverto perché talvolta si tratta di persone che vivono una vita apparentemente normale ma che poi…Mica ho scoperto l’acqua calda no? Quel che ancora mi fa arrabbiare ( e mi sento idiota nel farlo ) è la totale fugacità del tutto. Cominci a fidarti, pare normale no? Appena hai varcato la soglia della tua riservatezza, ti rendi conto di aver commesso un terribile errore. Fidarti, appunto. Io so, so perfettamente che il rischio che corro è grande, fino a quando mi getterò a capofitto qui dentro. Io non voglio essere filantropo nemmeno però un potenziale misantropo. Provo una certa avversione verso un sistema di cui anch’io faccio parte e si tratta dell’eterna contraddizione. Ci sei dentro, spesso ci stai male ma, masochisticamente ci rimani. E allora ritorniamo sempre al concetto di vuoto, che ( concetto ritrito anch’esso ) non significa solitudine ma carenza d’affetto. Spesso la realtà non ti regala occasioni da sfruttare, perché da lì parte tutto. E fino a che punterò sul buon senso, sui valori reali, troverò delusioni. Pazienza, masochisti si nasce.
 
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lunedì 22 agosto 2011

Sarò di parte..

C
alendario alla mano, non saranno poi molte le occasioni per una nuova pedalata. Diciamo non più di due ragion per cui, si ritiene opportuno ( anzi necessario ) programmare con dovizia. Come è tradizione, l’ultima uscita mi porterà alla collina del silenzio, quella che per il sottoscritto è diventato ormai un luogo caro. Per tradizione inizio e termino la stagione facendo tappa lì. Non ho dedicato molti articoli a questa estate sui pedali nonostante li meritasse alla luce degli storici traguardi raggiunti. A cominciare dal numero dei chilometri che, probabilmente toccherà quota 800. Si è trattato quasi sempre di uscite finalizzate a liberarsi di quelle solite zavorre che appesantiscono schiena e mente. Ogni volta ho premuto su di un fantomatico acceleratore che, parlando di bici, ha un solo nome: gambe. Di anno in anno penso che il successivo sarà sicuramente mento entusiasmante, più faticoso; mi sto sbagliando, e probabilmente la ragione sta nel fatto che la rabbia, il desiderio forte di lasciarsi alle spalle tutto, trasmette un’energia incredibile ai muscoli. Beh, non sono certo bionico per cui quando mi esalto lo faccio prendendo come riferimento quelle che sono comunque le mie possibilità. Ma si sa, quando si riesce ad andare oltre ( anche di poco ) ai propri obiettivi, non si può che essere soddisfatti. Come dicevo non ho accuratamente documentato ogni passeggiata come avrei invece dovuto. E’ vero, quel che conta sono le immagini che ormai mi si sono inchiodate in testa e difficilmente riuscirò a dimenticare. L’estate ha la cadenza dei miei piccoli ma intensi viaggi lungo percorsi ancora avvolti da un piacevole silenzio. Ore e ore immerso in quel piacevole abbraccio che solo i colori e i suoni della natura ti possono regalare. Non posso nascondere che quest’anno, ogni chilometro percorso ha avuto un suo preciso significato. E se da sempre io pedalo per lasciare alle spalle le solite turbe, l’estate 2011 mi ha dato un ulteriore motivo ( se mai ce ne fosse stato bisogno ) per amarla, la mia bici. Qualcuno potrà pensare che si tratti di soddisfazioni superficiali e di poco spessore. Beh, sappiamo tutti che colui il quale è privo di uno dei propri sensi, inevitabilmente sviluppa maggiormente gli altri. Allo stesso modo, in assenza ( al momento ) di altro che possa gratificare anima e corpo ecco che finisco per apprezzare qualcosa di apparentemente superfluo. Ripeterò fino alla nausea quanto, osservare il mondo da un punto di vista privilegiato (come se tutto andasse a velocità ridotta), studiare i particolari di una realtà spesso sfuggente ai nostri occhi ,regali splendide emozioni. Vabbè il solito elogio alla bici. Sono di parte.
 
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sabato 20 agosto 2011

Che ci faccio qui ?

E
’ una calda, caldissima serata di Agosto. Cosa ci faccio qui, sdraiato sul lenzuolo del mio letto a scrivere? Non lo so, non ho una precisa risposta al quesito. Non credo tuttavia che, starmene qui a dissertare su argomenti vari, sia frutto di una scelta. Ritengo sia necessario bypassare quelle che sono le ragioni di una realtà assolutamente inconfutabile. E’ rarissimo che mi metta a scrivere a quest’ora della sera: durante la settimana in questo esatto momento ho già chiuso gli occhi. Nel corso del weekend sinceramente mi auguro di fare altro. E a volte capita. Si, a volte. Poche. Cosa c’è di meglio di un comodo letto, di un ventilatore rumoroso ma efficace e di un cortile eccezionalmente silenzioso, per fare un piccolo resoconto della situazione? Del resto, i momenti di vera riflessione io li relego alla prima declassata, quando stanco dal lavoro provo a focalizzare quelli che sono gli argomenti da trattare. Ora invece sono avvolto dal totale silenzio di casa, seduto a mò di Buddha sul letto e con il mio foglio elettronico di fronte. Via, allora, partiamo. Mio padre è a metà del suo percorso. Ai miei occhi lui appare sempre più indifeso e ancora quasi incosciente di ciò che gli sta accadendo. Ma il suo essere riservato, in fondo lo aiuta. Non si lamenta, procede come sempre ha fatto nella vita, ovvero a piccoli passi ma sempre decisivi. Io ho superato il periodo peggiore, quello della presa di coscienza della situazione. Siamo una famiglia, anche se spesso non lo dimostriamo scannandoci per le più grandi stronzate e lasciando che l’ansia ci travolga. Io sto imparando tantissime cose da questo 2011. Non ricordo più a quale fase sia giunto sul fronte del lavoro. Sono un’altra persona, lontana migliaia di chilometri da quella insicura e timorosa degli inizi. Sono giunto al punto in cui ritengo necessario un calcolo freddo ma deciso di quelle che sono le mie possibilità di svolta. Sono ancora a zero o quasi sul fronte relazioni sociali. Mi sto adoperando puntando su strade che potrebbero condurmi a grandi, grandissime delusioni, ma ci devo provare. Non so quanto io possa ancora contare su ciò che ritenevo uno scoglio assolutamente sicuro a cui aggrapparmi. Meglio non fidarsi troppo. E poi questa estate. Che strana. L’ho sempre amata, ma come faccio ad amarla, questa estate 2011? Non ci riesco. Sono orgogliosissimo dei miei 700 km raggiunti sui pedali. La rabbia, la voglia di rivincita sono stati determinanti nel raggiungimento di questo obiettivo. In questa calda sera di Agosto provo ad affacciarmi oltre il mio naso ( e non è facile date le dimensioni). Provo a guardare, vedo qualcosa di indistinto come sempre, qualcosa che fa ancora paura. E’ il futuro. Ma sono curioso a questo punto, di sapere cosa mi riserva. Io sono prontO.

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venerdì 19 agosto 2011

E’ un bel dilemma

C
osa significa fare il doppio gioco? Avere una doppia faccia? Dirti belle cose davanti e poi tirare merda non appena ti giri? Avere una finalità bieca in ogni cosa che fai a discapito degli altri? Insomma si, è chiaro cosa significhi essere un doppiogiochista. Non si può pensare che in ogni ambiente in cui tu sei costretto a convivere con qualcuno non esistano voci su di te. Normale, scontato. Altrettanto normale è che tu poi sia oggetto di valutazioni più o meno superficiali che finiscono per fare il giro delle sette chiese. A quel punto tu sei quello. Qualcuno, non tutti, sarà pronto sempre a difenderti o a credere a quel poco che ha conosciuto di te. Altri invece cominceranno a vederti in quell’ottica e per te sarà la fine. Provo a capire, scrivendolo, quanto di mio c’è nelle voci che si formano sul mio conto. Qualcosa c’è. Sono mica un puro, nemmeno un angelo senza peccato. Il mio difetto più grande? Parlo. Parlo troppo. Il mio prof di Italiano si raccomandava sempre di non essere troppo prolisso perché più si scrive più sono alte le probabilità di incorrere in errori di forma. Nel parlare il rischio che si corre è diverso. Inevitabile la voce su questo o quello, il giudizio del momento, magari pure l’antipatia manifestata apertamente in tono confidenziale. Più si parla però più si corre il rischio che quanto detto venga riportato e riadattato alle esigenze di chi ti vuole danneggiare. A questo punto occorre piazzare una strategia. Ho perfettamente individuato quelli/e che sono assolutamente da evitare per quanto concerne il dialogo in chiave più personale. Via, stop. Ho altresì puntato contro quelli che da me avranno meno possibile soddisfazione: qualcuno ad esempio cerca in modo chiaro di cavarti male parole su Tizio o Caio. Devo fermare questa linguaccia. E’ biforcuta a volte, non risparmia chi lo merita ma è il modo con cui la uso che è sbagliato. O meglio, inopportuno. Se devo dire qualcosa trac, subito al diretto interessato no? Nessun giro largo, magari anche senza cattiveria. Perché comunque le parole fanno dei giri immensi. Può, uno che spesso si sente un coglione sul lavoro, passare per doppiogiochista? Ditemi voi, sono compatibili entrambe le cose? Prendo un abbaglio io nel sentirmi così, o loro nel definirmi un voltagabbana? Non ho paura ad ammettere di essere uno coglione, e preferisco sentirmi tale piuttosto che passare per un bastardo. Nel senso che la prima mi viene naturale. Ora penso, sono sulla strada per diventarla davvero, una merda. E se mi ci metto…
 
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giovedì 18 agosto 2011

Che Giovedì!

C
he giovedì, ragazzi. Io non so se ho qualche dote di preveggenza ma continuo a ripensare a tutto quello che è accaduto oggi. Attenzione, io magari esagero perché quando ci sono di mezzo le emozioni non mi risparmio; ma per uno come me un Giovedì così ha un sapore particolare. Ci sta che già dalle prime luci dell’alba uno possa avvertire la sensazione che sarà una giornata un po’ strana. Ci sta pure che dopo un paio d’ore di lavoro io ne abbia già la conferma. Qualche casino, situazioni particolari da gestire, notizie anche preoccupanti. Beh, me lo sentivo no? Quindi perché preoccuparsi. Capita che questa settimana mangio da solo e frequento un locale che quasi mai mi vede anche per la non eccelsa qualità del cibo. Capita pure che la mia pausa pranzo inizi a mezzogiorno ed io sia perfettamente puntuale. Quando sei solo al tavolo la tristezza non ti lascia mai, cerchi di fissare punti nel vuoto, smanetti ( cosa odiosa ) con il cellulare. Ed ero immerso nei miei pensieri quando ti vedo di fronte una persona che a me, pare incredibilmente familiare. La seguo con gli occhi…ma cacchio Andrea! Ma quante volte abbiamo progettato un caffè, una birretta, due chiacchiere? E quante volte non siamo riusciti? Ma è lì Andrea, guardalo! Ah ah, roba da matti ragazzi. Mi metto nei suoi panni: tu programmi una sorpresa e alla fine te la faccio io! Perché tu sei venuto a cercare me e io ho trovato te. Amicizia. Strani giri che fa. In un Agosto che più caldo non si può due amici che mai, dico mai, si erano visti o sentiti, si incontrano e chiacchierano come se si fossero visti fino a qualche giorno fa. Che Giovedì. Non è finita, perché la mia pausa pranzo, della durata di uno starnuto, ci ha concesso dieci minuti netti di racconti vari. E poi, via, tu Andrea a cazzeggiare e io a fare pratiche. E naturalmente non poteva essere finita. Ancora un po’ di stranezze, qualche lampo di genio: non so spiegarmi come alle 16 io potessi avere lucidità sufficiente per rendermi conto di un piccolo errore occorso ore prima. E allora vai a ragionarci su a capire cosa avessi combinato. Ma Enzo sono le 16! Si ma oggi è un Giovedì particolare, ci può stare tutto. E dire che avrei voluto postare l’ennesimo post paturnioso. Tiè, terribile ed ordinaria quotidianità che mi perseguiti, ti ho fregato.


mercoledì 17 agosto 2011

Tu sei tutto matto

C
he poi, a pensarci bene la cosa è anche divertente. Lo è persino il fatto che qualcuno si preoccupi per te, ipotizzando ci siano tutte le condizioni per un ricovero al primo reparto psichiatrico disponibile. Chi si fa un miliardo di seghe mentali, chi in modo del tutto gratuito si ostina a conoscersi, a capirsi, finisce per imboccare strade pericolose che, ai più, paiono quelle destinate alla follia. Ai più, appunto. Chi sono i più? La maggior parte di essi non sa chi sei, loro malgrado, perché di te non conoscono il passato, e del presente hanno una visione del tutto superficiale. Ed io finalmente mi accorgo che chi mi legge e non mi conosce, magari mi dà del matto, o perlomeno lo pensa. Assolutamente complicato, paranoico, affetto da fisime più o meno limitanti, il sottoscritto non riesce ad evitare di farsi male. Ma, giunto a questo punto non so cosa sia più dannoso: farsi male nello sforzo di conoscersi e capirsi o farselo allo scopo di conoscere gli altri? Converrete che analizzarsi è faticoso e richiede tempo. Ma l’unico rischio che si corre quando ci si studia ( magari troppo) è quello di limitare l’azione, di rimanere statici, immobili mentre tutto là fuori, scorre. Completamente diverso e assai più intenso è l’impegno che si richiede nel cercare di capire gli altri. Attività cui, per molto tempo ( avendone troppo a disposizione) ho dedicato molte delle mie energie per non cavare un ragno dal buco. E allora meglio passare per pazzi che diventarlo nell’ostinata ricerca di trovare qualcosa di buono negli altri. Non posso negare che spesso il peso di queste parole è considerevole, a volte io stesso faccio fatica a rileggermi. Non so se a questo punto ci provo gusto, ma quando mi capita di parlare “leggermente” con alcune persone che non mi conoscono, mi stupisco. Sono una piattola e provo sempre a mantenere il livello della conversazione su standard medio bassi. Guai se mi ficcassi in qualche tunnel introspettivo; lo so, mi darebbero del matto. Quel che inoltre appare agli occhi altrui è una certa staticità unita ad un immobilismo frutto del troppo pensare. Che mi manchi il coraggio per buttare all’aria tutte le seghe mentali e finalmente buttarmi a capofitto nella vita? Mah, io poi così immobile non mi ci vedo, anzi, mi reputo molto propositivo e voglioso di agire. Volontà frustrate dal vuoto intorno. Attenzione, il vuoto a cui mi riferisco è un vuoto affettivo e non mancanza di contatto umano. Beh, a proposito di vuoto, questa prima declassata in totale solitudine io la gradisco.
 
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martedì 16 agosto 2011

Pausa pranzo

I
eri ho letto su Internet un servizio nel quale si diceva che, serbare rancore, provare frequentemente un sentimento di rabbia e via dicendo, costituiscono fattori che aumentano il rischio di contrarre malattie. E puoi capire, hanno scoperto l’acqua calda. Si fa fatica ad arrabbiarsi, a prendersela per qualcuno o qualcosa; ad esempio io ho il mio punto debole localizzato nello stomaco. Ogni volta che qualcosa o qualcuno ( ed è assai frequente ) mi fa girare le scatole, avverto una forte contrazione proprio lì; e allora mi passa la fame. Si fa fatica a provare rabbia e rancore. Ci costa un bel po’ di energia per poi ottenere cosa? Sarebbe proprio bello non avere mai motivo per incavolarsi, ma il solo fatto di vivere all’interno di una società ce lo impedisce. A questo punto potremmo scegliere di iniziare una bella vita da eremiti, vivendo del solo strettamente necessario, rifuggendo ogni contatto umano. Oggi ho trascorso una piacevole pausa pranzo in compagnia di una collega; mezz’ora può definirsi una pausa pranzo? Forse no, ma in trenta minuti netti abbiamo sciorinato un po’ di teorie sulla personalità, adducendo ciascuno la propria tesi e quelli che sono i propri mezzi per vivere bene. Ne è saltato fuori un quadro confortante; entrambi ( ma penso e spero non essere gli unici) abbiamo una buona capacità introspettiva, riusciamo a guardarci dentro e conseguentemente ad osservarci dall’esterno. Se dunque non possiamo evitare lo scontro e le incazzature, possiamo sempre usare l’arma più efficace che abbiamo per evitar l’insorgere di disturbi psicosomatici: quell’arma siamo noi. Sono sulla buona strada. Da tempo prometto a me stesso di ridurre al minimo la rabbia, di non provare sentimenti negativi verso questa o quella persona per più di un certo tempo. La filosofia del quieto vivere non esclude il rispetto per sé stessi e della propria dignità per cui occorre sempre dosare tutto. Mi sono comunque accorto che lasciando da parte sentimenti bui agisco con più lucidità e mi sento meglio. Le persone non si possono cambiare, te le tieni oppure scegli drasticamente di abbandonarle. Il reciproco buon senso: questo manca. Mi sono permesso di passare sopra a diverse situazioni negative e dannose per me: in alcuni casi, con coraggio me le sono buttate alle spalle. In altri in nome della stima e del rispetto per l’altro ho limitato la mia autostima. Ma se tutto questo agisce positivamente anche sul mio corpo, va bene così. Pausa pranzo foriera di consigli: il tutto in ventisette minuti netti.
 
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lunedì 15 agosto 2011

Oh mamma, è ferragosto..

S
tamattina mi sono alzato alla buon’ora, tanto sapevo di non avere nulla da fare e non c’è niente di meglio che cazzeggiare in casa. Ho fatto colazione con due fettazze di pane e nutella, mi sono mangiato il mio yogurt ai frutti di bosco poi, sono andato in centro. C’è un solo giorno all’anno nel quale godere dell’immenso privilegio di non vedere alla guida i soliti deficienti che ingombrano le strade con i loro suv del cavolo. Totale silenzio. Passo dal mio amico edicolante, quello che dice che lavora ed invece è sempre in giro a fare trecento colazioni per i vari bar. Dico due cavolate, per rimanere a livello dei suoi argomenti di basso profilo e riprendo a pedalare. Si fa fatica a farlo con il vecchio catorcio di papà; abituato alla mia Ferrari si ha l’impressione di stare sulla 600 multipla. Sono già rientrato dal mio giretto. Ammazza che caldo, stiamo intorno ai 28 gradi. E’ arrivata adesso l’estate vera, ora che non mi può fregare di meno se c’è il solleone o se tira giù ramate d’acqua. Tanto sempre a lavorare devo andare. Ho provato intanto ad accendere la Tv. La Rai, perde un sacco di occasioni per tacere e così sforna un’ulteriore prova del fatto che, pagare un canone è un sopruso vero e proprio. Eccoti un bel servizio sulla vigilia di Ferragosto a Rimini. Sono masochista, e per tre minuti pieni assisto allo scempio. La maggior parte degli intervistati risponde alla classica domanda su come passerà la notte, così: “ Disco poi , tanto bere, tutta la notte”. Tutto questo all’indomani di quel maledetto incidente costato la vita a 4 turisti francesi. E’ successo qui, dalle mie parti. Un albanese ( con il Suv , altro che carretta del mare ) con le sue simpatiche amiche russe ( una si chiama credo Tatiana – Tatiana..Chi è Tatiana?????) imbocca ubriaco l’autostrada in contromano dopo aver trascorso la serata in discoteca. Ora è libero. C’è da stupirsi? Fate ancora campagne contro l’uso di alcool. Ma certo continuate a farle: non serve a un emerito cazzo. Ah, naturalmente poi, piazzateci subito un bel servizio sulla notte riminese dove un puttanaio di gente viene intervistata mentre scola il bicchierone. Io non so cosa sia il servizio pubblico. A chi fa comodo? A cosa serve? E chissenefrega della notte di Ferragosto. Ubriacatevi pure, cazzi vostri. Miei, qualora imboccaste l’autostrada in contromano e io mi trovassi a passare da quelle parti.
 
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domenica 14 agosto 2011

E’ un mondo difficile

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utta la rabbia nei pedali. Ho tirato come un disgraziato, ho rischiato il collasso affrontando una salita che mai mi sarei sognato di affrontare in condizioni normali. Morale della favola: quando sei nella merda, viene fuori tutto di te; il peggio, innanzitutto, ma anche una considerevole dose di palle, quelle che poi sono fondamentali per affrontare le difficoltà. Se tutto il rancore che provo in questi giorni si potesse tradurre in forza fisica negativa, probabilmente avrei messo k.o. anche un campione di pesi massimi. Sappiamo bene che spesso la rabbia trasforma corpi esili in macchine da guerra. Bene o male a livello del corpo stamattina ho sfogato quasi tutto. Cosa succede però quando la negatività si manifesta attraverso la parola? Il detto dice “ Ferisce più la lingua della spada”. Io so di essere molto pericoloso quando decido di far male usando la lingua. Detto sinceramente, giunto a questo punto della mia vita, ho sempre meno da perdere; basta guardarmi intorno per capire che potrei tranquillamente insultare e ferire chiunque io ritenga una persona non adeguata alla mia altezza senza provare alcun rimorso di coscienza. E’ un periodo in cui la mia avversione verso il genere umano lavora come una di quelle bastarde terapie chiamate “chemio”. Ti fanno credere che risolvono il problema ma intanto ti distruggono e danneggiano anche ciò che è sano. Anch’io sparo veleno, forse anche verso chi non ha colpa, ma godo di questo. In fondo sparo a chi non conosco e ciò mi rende immune da rimorsi di coscienza. La mia crociata avverso l’umanità di questi tempi ha come destinatari i rapporti virtuali. Normalissimo. Se il mio mondo reale è pieno di niente, esigo pretendo richiedo totale stima e rispetto da quello che viene definito il mondo di oggi. Ormai una consistente parte di umanità non vive più nella realtà, bensì all’interno di una rete del tutto illusoria di pseudo-rapporti. Non mi si venga a dire che si è tutti felici e che passare ore e ore al computer non ha alcun fine se non quello di svagarsi. Non siamo ipocriti. Siamo tutti alla ricerca di una compensazione ad una vita piuttosto insoddisfacente. Perché se fossimo tutti tranquilli e sereni, vivremmo solo di ciò che abbiamo. Anni fa come avremmo fatto? Allora, chi ancora crede che la propria vita sia il massimo, non faccia l’errore di pensare che dall’altra parte dello schermo non esistano persone. Ci sono, e spesso soffrono. Ma come si può pretendere umanità? Come si può pretendere comprensione? E’ un mondo di merda. Sparo a zero. Non ho bisogno di consigli. Tutti siamo consapevoli della nostra grande ipocrisia.
 
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sabato 13 agosto 2011

Le vacanze sono sacre

A
i bei tempi andati, quando ancora avevo la classica compagnia di amici, la vacanza aveva un unico fine: divertimento e magari, un pizzico di trasgressione. Ero intorno ai venticinque. Poco avvezzo al sole, non mi interessava più di tanto che il mare fosse più o meno cristallino. Il gruppo: c’era il gruppo. E solo questo contava. Ricordo però che già a quel tempo l’incombenza dell’organizzazione ricadeva sempre sul sottoscritto. Mi prendevo volentieri carico di questo compito, consapevole del fatto che mi sarei dato da fare con la consueta precisione e determinazione. La motivazione muoveva tutto. Con il passare del tempo sono cambiate le esigenze ed il gruppo si è completamente dissolto. Ho sempre avuto le idee chiare su cosa cercare, ma ha cominciato a farsi largo il problema del “con chi” condividere la vacanza. Sono abituato a godere in totale solitudine di quelle che sono le mie principali passioni, bicicletta e palestra su tutte. Ci sarebbe qualcosa di male se provassi a fare lo stesso con una vacanza? Le ferie sono sacre, sempre più sacre per un motivo molto semplice: i soldi sono pochi, il tempo d’estate è sempre più bizzarro e, fare una vacanza per bene vuol dire avere dalla propria parte una fortunatissima combinazione di elementi. Io sono stato per certi aspetti “discriminato”. Ho paura dell’aereo, so perfettamente di non avere grandi prospettive a causa di questo limite, ma detto sinceramente non mi frega nulla. Guai al mondo se pensassi di dover vincere una paura atavica solo per compiacere qualcuno. Lo farei solo per me. Ma visto che non ho alcuna intenzione di buttarmi in questa esperienza al momento, temo che opterò per qualcosa di sicuramente più gratificante: la vacanza in completa solitudine. Ma volete mettere il piacere di scegliere, organizzare e godere di tempi ed abitudini in assoluta autonomia? Eh si perché poi, come sempre, il fine deve essere il totale godimento di pochi giorni all’anno di libertà. Mi sto tuttavia muovendo alla ricerca di persone che abbiano qualche interesse in comune eccetto quello di doversi per forza ficcare dentro un tubo d’acciaio a 8000 metri di quota. Mi sa che si tratta dell’ennesimo annuncio mascherato. Si sa, l’età avanza ed è sempre più difficile “raccattare” qualcosa che sia in linea con i nostri standard. C’è sempre il solito compromesso da accettare. So quanto sia quasi del tutto improbabile organizzare una vacanza con persone che non conosci. Non appena comincio a fidarmi di qualcuno qui, nella rete, trac, ci casco come un deficiente. E allora proviamo questa strada. Vi saprò dire..
 
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venerdì 12 agosto 2011

A carte coperte

C
onsiderato che la vita non è altro che un continuo, perenne gioco al massacro ove noi siamo semplicemente attori di una sceneggiatura già scritta; considerato poi che siamo erroneamente convinti di poter scrivere il nostro destino solo perché riteniamo che il cervello e la ragione ci consentano di scegliere. Considerato tutto ciò, immaginiamoci seduti ad un tavolo da gioco ove a dominare la scena è il caso. Ebbene, immaginiamo ora che le carte che abbiamo in mano siano le nostre chances da giocare, il nostro minimo bagaglio disponibile per affrontarlo, il caso. C’è una sola cosa che non dobbiamo fare per avere un briciolo di possibilità di vittoria: scoprirle, quelle carte. Ci sentiremmo come minimo deficienti. Eppure nella vita, spesso e volentieri ciò accade. E più di una volta. Ma io mi domando e dico: “ Ma non mi sento un deficiente?”. Ma quante volte avrò agito e, tuttora agisco tenendo in bella mostra i miei assi? Beh, non sono giustificabile. Se proprio, come già ho detto, l’indifferenza non rientra nel bagaglio di armi a disposizione, la furbizia non dovrebbe mancarmi. Seduti ad un tavolo da gioco non far vedere le carte è qualcosa di assolutamente normale. Nella vita però, non siamo mai completamente in balia del caso e se vogliamo quanto meno sfidarlo, dobbiamo adottare delle piccole regole di comportamento. Ma quante volte mi sono lamentato di essere un libro aperto: innumerevoli. Ora, sono sempre alla ricerca di qualche piccolo espediente terreno per accrescere orgoglio ed autostima e per non sentirmi un deficiente. Non ci sono giustificazioni. Tra poco saranno quarantatrè, non ci sono scusanti. Stare quindi sulle mie e giocare le carte quando avverto che è arrivata la tornata buona. Non sono mai stato un giocatore d’azzardo, mi riferisco alla vita. Non amo il rischio, ho sempre troppo calcolato ogni minima probabilità di riuscita per ogni scelta fatta. Ho sempre cercato di far quadrare tutto. Ho sempre creduto nel libero arbitrio. Puah! Allora, proviamo a percorrere l’ennesima nuova strada. Riserbo, carte ben nascoste e poi…zac, la zampata! Queste sono riflessioni che nascono dalla mia perenne difficoltà a gestire i rapporti; adorerei ( ne sarei davvero entusiasta) sentirmi rispettato, vorrei avere quell’immenso piacere di ritrovare negli altri me stesso. Sentire l’armonia di intenti, di obiettivi, di sensazioni. Ed invece ti accorgi che per sopravvivere devi usare tattiche. C’è uno scoramento, uno stillicidio lento ma costante di valori e sentimenti. Il fine giustifica sempre i mezzi. E guai a pensare che il fine sia l’amore o altro. C’è ancora qualcuno che lo crede?

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mercoledì 10 agosto 2011

La via di mezzo

M
e ne farò una ragione. L’indifferenza è un sentimento (?) che non mi appartiene. Nelle mie vene scorre sangue del Sud, è dunque probabile che la spiegazione recondita di tutto, stia nei geni. Sono un sanguigno, un passionale, uno che ama dire le cose come stanno. Non ce la faccio, è più forte di me. Come potrei mai fingere di sembrare un cubetto di ghiaccio quando mi sento un sole caldo e bruciante? Dunque sono anche masochista essendo noto che colui il quale prova sentimenti in modo intenso spesso non conosce mezze misure. Si ama e si porta rancore con molta intensità e la sofferenza che può derivarne è direttamente proporzionale. Ed ecco che talvolta una scelta si impone. Non si può sopravvivere, si deve agire, certe situazioni devono essere affrontate. Scegliere se tenere in piedi o no qualcosa si presenta come un ostacolo insormontabile qualora si pensasse di farlo rimanendo indifferenti alle cose che non ci piacciono. Io non ce la faccio. Appurato dunque di non avere a disposizione un’arma tagliente e terribilmente utile come la freddezza, che si può fare? Sempre più spesso, mi sono chiesto di poter andare in “stand-by”, agognando una sorta di inibizione della sfera emotiva capace di rendermi inattaccabile alle sollecitazioni esterne. Quando lamento il senso di vuoto e di solitudine, mi rendo automaticamente conto che in questa situazione ci sono finito in parte per via del mio assoluto darmi e legarmi a tutto. Sono solito uscire dagli argini della passione e dell’affetto e quando ciò accade cerco (e di fatto pretendo) altrettanta passione e trasporto. Sbagliato. Ma evidentemente l’errore non è il mio, e non sta nemmeno in coloro che mi stanno intorno. Riduciamo tutto ai minimi termini e diciamo che “è destino” oppure…sfiga? Non lo saprò mai, ma siccome occorre sempre non perdere di vista sé stessi si rende opportuno un piccolo censimento delle armi a disposizione per evitare ulteriori, inutili sofferenze. Basta, o si ama, o si odia. A questo punto, ritorna prepotentemente protagonista il concetto di tempo. Quando si ama tanto, il suo scorrere , spesso produce abitudine. Quando si odia, esso ci dà una mano traghettandoci poi nell’accettazione consapevole di tutto. Cosa devo fare a questo punto? Mi chiedo cosa provo ora. Provo un grande affetto per poche pochissime persone. Se ricevo uno sgarbo, un torto, se mi sento preso in giro, come devo comportarmi? Accettarlo? Troncare di netto? Perché non conosco la via di mezzo.
 
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lunedì 8 agosto 2011

Un sapore dolce

N
on c’è nulla di dolce nel rientrare al lavoro dopo quindici giorni di vacanza, di ciò sono perfettamente consapevole. Eppure io, qualcosa di buono riesco anche ad intravederlo. Cosa mai vedrà, direte voi. Come capitò per il giorno che precedeva l’inizio delle mie ferie, anche oggi sono stato colpito dalla maledizione dell’ultima pratica. Beh, se l’impatto è questo, ben venga; vorrà dire che sono partito già forte e che tutto non potrà che essere in discesa. Come potete notare, il mio ritorno nel mondo delle pratiche di residenza mi vede stranamente ottimista. Sono ben complicato. Quindi, sembra proprio che qualcosa di dolce esista. Ieri stavo lì a chiedermi quale sarebbe stata la migliore tattica per affrontare il rientro: “Mi butto subito a manetta, oppure mi lascio prendere dallo scazzo e parto in prima?”. In realtà, dopo aver accuratamente verificato che nessuno avesse messo a soqquadro il mio sportello, non è passato molto perché cominciassi. Si è fatti così. Non esistono tattiche, tecniche o roba varia. Ma come dico, questo ritorno un po’ di dolce ce l’ha. Via, alle spalle quindici giorni di relax, già totalmente dimenticati. Certo è che, se avessi fatto vacanza vera, magari in una località paradisiaca dell’Oceano, oggi non sarei certo qui a trovare qualcosa di buono nell’aver di nuovo a che fare con timbri e carte. Metteteci un po’ di tutto, ma converrete con me nel dire che a qualcosa le vacanze sono servite e a qualcosa servirà essere di nuovo in moto. Già oggi mi sembra passato un secolo da quando ad un certo punto delle mie ferie pensai di essere ripiombato nel torpore e nel grigio dei miei momenti in compagnia dei fantasmi. Chi ci pensa più! E sembra passato un altro secolo da quando ho cominciato a dibattere ( tra me e me, ovvio ) sulla mia qualità di vita e sul fatto che in fondo le vacanze mi avevano rivelato una cosa importante: io, una vita, non ce l’ho. Beh insomma, abbasso le paturnie e la tristezza. Ci è voluto il ritorno al lavoro…Tutto questo sa di assurdo, ma verità delle verità, è così. Attenzione però: io ho ancora una settimana di ferie, a Settembre. Gli obiettivi però sono diversi. Ricordate quando ho parlato di rivincita? Ecco penso che proprio da Settembre avrò modo di mettere in pratica ciò che intendo; non dico nulla ma per il sottoscritto sarebbe un passo importante verso la consapevolezza che, anche da soli, si può fare e si deve fare qualcosa. Beh, ci penserò a tempo debito. La prima declassata non ha un sapore dolce però, eh, ce ne vuole per sentire qualcosa che non sia un terribile odore di sudore…
 
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domenica 7 agosto 2011

Io non c’entro niente

D
omenica mattina, sono qui. E’ il mio ultimo giorno di libertà ( detto così sembra io debba andare in prigione..), da domani tutto torna come sempre. Ieri sera, per non pensarci più di tanto ho deciso di uscire. E puntualmente si è ripetuto il solito triste rituale con il sottoscritto a dover condividere quelle poche ore dedicate a cena e gelato con probabilmente l’unica persona disponibile. Da tempo ho toccato il fondo, da tempo mi sono imposto di reagire a questa triste situazione, da tempo non faccio però altro che ricevere le solite delusioni. Troppo semplice affermare e consigliare di aprirsi, di scoprire cosa c’è intorno a me. Sembra che sia io il problema, che sia io a non volere dare una svolta a questa pochezza di situazioni e contenuti. Credetemi la mia è una situazione paradossale, grottesca, assurda. Come si fa? Hai una voglia matta di uscire di farti una bella cena, di berti una bella birretta e parlare di vita, sorridere. Il tempo, se trascorso con le persone giuste, passerebbe fin troppo velocemente. Ieri è stata invece la solita solfa, la solita nenia. Io ad ascoltare stupide argomentazioni sul calcio di cui, posso dirlo, a me non frega poi più nulla. Ma chissenefrega se l’Alessandria verrà ripescata, se in giro per Acqui ci sono i giocatori del Genoa in ritiro! No veramente, non sono io il problema! Ora, sappiamo benissimo quali sono le possibili soluzioni a questo problema. Buttarsi a capofitto nel mondo virtuale. Ci sto provando attraverso canali più “filtrati”, diciamo quasi “tematici” per poter restringere il campo ad una scelta più selezionata. Non ho bisogno di perditempo, ho bisogno di persone seriamente intenzionate anche solo a farsi una bella vacanza rigeneratrice. Mi sa che sto sfruttando il mio blog per lanciare annunci d’incontri, no? A parte gli scherzi, il perditempo è una delle specie più diffuse sul web, mi sembra di averne già parlato a sufficienza, per cui eccomi pronto a nuove delusioni. Ma sennò altrimenti?? Tornare al lavoro ha il suo risvolto positivo: aiuta a lasciare questi problemi in una sorta di dimenticatoio. E come se li coprissi con un lenzuolo per non far loro prendere polvere. Il problema deve continuare ad esistere, se lo dimenticassi finirei per accettare con rassegnazione questa pietosa situazione. No no, io non c’entro niente. Potrei solo evitare sempre tutto questo godendo della mia totale e completa solitudine. Ma io non voglio! Quanto mi piacerebbe ( e mi ripeto ancora ) essere una bandiera al vento, ficcarmi ed accompagnarmi a chi capita senza dover necessariamente pretendere sincerità e dedizione. Tanto così va il mondo. Provo, dai ci provo.
 
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venerdì 5 agosto 2011

Il mio cielo

L
’uscita sui pedali di oggi può essere paragonata ad uno squarcio di sole in un cielo sempre troppo nuvoloso. E’ stata l’ultima, prima del rientro al lavoro, ragion per cui avevo tutta l’intenzione di renderla quanto meno speciale. Ma come? Ho cercato di andare oltre, davvero al di là delle mie possibilità e del mio livello di resistenza. Avevo un chiaro obiettivo, una meta che quasi sempre mi prefiggo di raggiungere la volta successiva quando il fiato, sconsolato, mi dice: “Torna, che è meglio”. Ho dunque “allungato” rispetto all’uscita precedente ben consapevole che un po’ avrei pagato tutto a caro prezzo. Non è di certo la mia uscita finale, ma di sicuro è l’ultima di una serie di almeno sette, effettuate durante un periodo di riposo quasi totale. La settimana lavorativa ti riduce ad uno straccetto e questo porta ad avere meno entusiasmo sulle gambe al Sabato. Ma il solo pensiero di concedermi altre pedalate mi rende radioso. Stamane sono partito intorno alle 8.30 per arrivare a destinazione intorno alle 10. Il bello è che arrivi, dopo circa 33 chilometri e cominci a dare un’occhiata alle frecce. Paesi sconosciuti a non molta distanza, e la voglia è grande. Ma c’è sempre un ritorno. E ci sono delle gambe da tenere bene in forma. Beh, questo è stato un grande squarcio di sole. Il cielo come sempre è nuvoloso, a volte ho la sensazione che non si tratti di nuvole che prima o poi scaricheranno pioggia regalando quasi un senso di liberazione. Il mio è un cielo diverso; avete presente quelle giornate afose, senza uno sprazzo di sole ma con un soffitto grigio tanto pesante che sembra debba crollare da un momento all’altro? Il mio cielo è così. E questi spiragli luminosi che solo, e ripeto solo, la mia bicicletta mi sa regalare io, li afferro al volo. Ad un certo punto, sulla via del ritorno incrocio un piccolo boschetto sul lato della strada con all’interno alcuni tavoli e panche di legno. Un’oasi di ombra a cui non poter rinunciare quando, il sole delle 11 si fa già sentire. Mi ci infilo subito dentro, e qui prendo a farmi un po’ di foto con l’autoscatto. Terminato il servizio fotografico via, di nuovo sui pedali. Io di questa estate non serberò certo un bel ricordo, ma non posso lasciar vuota la mia ormai proverbiale valigia di immagini. E strizzo l’occhio a lei, la mia bici. L’inverno, quei finestrini al di là dei quali poter solo immaginare panorami pieni di colori, avrà il sapore dolce del ricordo. Merito tuo, mia cara due ruote.
 
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giovedì 4 agosto 2011

Pareti rosa

U
n pugno allo stomaco, poi un senso di profondo smarrimento. Sono le principali sensazioni che si avvertono entrando nel reparto di oncologia di un qualsiasi ospedale ed uscendovi dopo una mezza giornata trascorsa al suo interno. Sono in vacanza ancora per qualche giorno ed ho accompagnato io mio padre questa mattina per il secondo ciclo di chemio. Le pareti del corridoio sono dipinte di un rosa tenue, il reparto è quasi nuovo di zecca. Siamo pur sempre all’interno di un ospedale e riesce davvero difficile dire che l’ambiente è accogliente. Mio padre ed altri due pazienti anch’essi in terapia hanno preso posto in una tranquilla saletta con giornali e televisore. Io, ho cominciato ad essere piuttosto insofferente alla sedia sin dalle prime battute e non ho fatto praticamente altro che passeggiare. Anche se non vuoi per questione di delicatezza, non riesci a non “sbirciare” all’interno di quelle camere. E poi, i discorsi, ah, che tipo di discorsi si possono sentire.. Beh, lo stomaco si stringe ad immaginare chi si trova in quelle condizioni. A far da contrappeso a tanta sofferenza nei volti e nei corpi ecco l’immagine radiosa di una giovane ( giovanissima ) dai capelli completamente rasati che in compagnia della sua flebo, mi augura un sorridentissimo “buon appetito” mentre addento una ciabatta con cotoletta. Ed ecco che la mente a questo punto si apre e comincia ad elaborare; penso e dico che dopo aver visto questo potrei anche stracciare uno ad uno ogni articolo del mio blog, o almeno tutti quelli nei quali le paturnie costituiscono oggetto dominante del racconto. Ma si, è retorica, ne sono cosciente. Se ci sforzassimo di pensare ogni giorno (anche solo cinque minuti del nostro fottutissimo giorno) ad alcune realtà, avremmo risolto l’80 per cento dei nostri problemi. Non ci riusciamo, io compreso. Le ore passavano, mio padre aveva un’espressione tranquilla; come sempre i nostri ruoli si invertono in questi casi: è lui a preoccuparsi per me. Continuando nella mia opera di osservazione, non mi è di certo sfuggito di zoomare su lavoro del personale e degli addetti. E quante volte a lamentarmi delle mie disavventure allo sportello con persone più o meno arroganti. Insomma, mentirei nel dire che da ora in poi mi farò meno seghe mentali. Ma quando mai! Perché non è che si dimenticano certe sensazioni, il senso di confusione e la consapevolezza della fugacità del tutto. Tutto ciò resta dentro.  E’ la fuori il problema, la vita che scorre, spesso ignara di ciò che accade in certi luoghi; e noi siamo trascinati da tutto, e non abbiamo il tempo per riportarci alla memoria certe immagini. Anche un corridoio dalle pareti beffardamente rosa, può venirci in aiuto.
 
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mercoledì 3 agosto 2011

Rivincita

P
er quanto mi riesca difficile, uso questo blog per trasformare in parole, emozioni e sensazioni. Questo è palese. Meno noto è il fatto che nel farlo, io mi diverto. Qualcuno dei miei lettori immagino abbia storto il naso, considerando il tono generale dei miei scritti, spesso melenso ed introspettivo. Evidentemente ciò che non riesco a trasmettere è quello che provo dopo aver pubblicato il mio articolo, ovvero un senso di piena soddisfazione. E quasi sempre si tratta di un sospiro di sollievo accompagnato dalla convinzione di aver prodotto un’altra prova di ciò che sono e di ciò da cui dovrei trarre insegnamento. Dunque il mio è principalmente un gioco, oltre che un bisogno ed una passione. Tengo a precisare che a volte, soprattutto quando ho a portata di mano un foglio ( di carta od elettronico ) la trasposizione è assolutamente immediata. Ad esempio, in questi giorni sono stato per un po’ lontano dal blog perché sono in ferie e ho cercato rifugio nelle parole, quelle dirette, pronunciate a voce chiara guardando qualcuno negli occhi. Avere il tempo di farlo è qualcosa di magico. Poi, mi sono riavvicinato ai miei fogli, perché in fondo qualcosa da dire c’era e c’è. Oggi mi frullava nella testa una parola, e allora mi sono detto che avrei fatto subito tesoro di questa illuminazione, scrivendone qualcosa. La parola in questione è : rivincita. Nonostante si viaggi ancora in acque agitate, posso e voglio permettermi di guardare oltre. Voglio in un certo senso sfidare il destino che in questo periodo non è stato particolarmente benevolo, pensando al momento in cui potrò guardare indietro con un senso di pace addosso. Prendersi una bella rivincita contro il destino è impresa non da poco; è qualcosa di impossibile. Perché poi si ha paura che, guardando al di là di esso (come se si potesse decidere di impedirgli di infierire), si finisca con il soffrire ancora. Il mio desiderio di rivincita poggia su basi prettamente razionali che, in questi momenti, sono l’unico scoglio a cui appigliarti. C’è un forte desiderio di saltare il fosso e da lì ricominciare a correre, il più velocemente possibile. Mi piace pensare alla rivincita nei confronti delle mie residue paure che pare, costituiscano pure un limite ( assurdo ! ) alla sopravvivenza di alcuni rapporti. Mi piace pensare alla rivincita verso la mia incapacità di accettare certe condizioni e situazioni come tali. Ho ancora molto da lavorare sulla via della tranquillità; tuttavia questi giorni di vacanza unitamente all'inconsapevole agire di alcune persone, si sono trasformati nel mio trampolino di lancio. Bello parlare di rivincita. Sa di sconfitta si, ma di tanta voglia di rialzarsi.
 

lunedì 1 agosto 2011

Una bandiera al vento

C
’è qualcosa di orrido nei rapporti virtuali: sono virtuali. Per me che da sempre agogno l’esclusiva, coltivare rapporti virtuali rappresenta l’ennesima frustata sulla schiena. Nessuno ha l’esclusiva su nessuno, quindi occorre scordarsi di poter essere più amico di Tizio o di Caio solo perché nel marasma del web sembrano essere le persone più decorose. Non ci sono migliori o peggiori all’interno di una rete virtuale. Esistono figure che regalano un’apparenza, tutto qui. Se poi, le delusioni arrivano anche dal mondo reale, il gioco è fatto. Non so più cosa scegliere a dire il vero. Ho per molto tempo provato a dare fiducia a chi parla, parla, a volte promette, lancia proposte. E allo stesso tempo mi sono fidato anche di chi sai poterti fidare, mettendo la mano sul fuoco. Cacchio, io continuo a bruciarmi. Voglio pensare e sperare che sia la situazione contingente a rendere il mio giudizio un po’ annebbiato. Ma non è che posso sempre dare la colpa a ciò che accade fuori; la vita è fatta di imprevisti che bene o male ci costringono ad attraversare momenti di maggiore o minore serenità. Ed è proprio nelle fasi “down” che vengo pervaso da una profonda avversione verso il genere umano. Se è quello reale a deludermi, mi butto nel virtuale. Ma poi scopro che la rete spesso offre il peggio di sé quando si tratta di dare corpo e sostanza ai rapporti. Ma di chi ci si deve fidare? Assolutamente di nessuno. Probabilmente sono un bastardo dentro perché ( e così finalmente mi svelo ) mi diverto a pensare a tutti coloro che credono di poter pretendere attenzioni quando sono i primi a non darne. In fondo il web è terra di tutti e di nessuno. Siamo tutti assolutamente uguali, tutti perfidi e bastardi, tutti gentili e pieni di buone parole. Ma solo per un secondo, perché si fa presto a dimenticare tutto. Il male della società odierna è la solitudine dei cervelli pensanti, di quelli che credono in qualcosa e che hanno sempre la sfortuna di sbattere contro una modesta masnada di scatole vuote che fanno solo tanto rumore. Esiste fondamentalmente una tecnica di cui i più sono geneticamente dotati ed è il totale menefreghismo verso ogni cosa o genere di situazione. Ma chissenefrega se Tizio o Caio ci rimane male del mio comportamento. Ma vi rendete conto quante volte mi sono chiesto se il mio comportamento fosse corretto o meno? Ma per chi? In nome di chi o cosa? Insomma, ferie o non ferie, io mi sono preso cinque minuti del mio prezioso tempo dedicato al cazzeggio per tirare fuori l’ennesima paturnia. Rimarrà come sempre fine a sé stessa o porterà a inattesi cambiamenti? E quali sarebbero? Ad esempio io, una bandiera al vento.
 
 

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