lunedì 31 gennaio 2011

Esorcismi

E
sorcizzare il Lunedì è un problema, provare a farlo un dovere. Il weekend appena trascorso ha portato la neve. Fortunatamente si è trattato di una debole spolverata,tuttavia abbastanza consistente a generare in me il timore di iniziare la settimana con un bel fastidio. Ed invece questa notte è scivolata via in modo tranquillo e stamane ( stranissimo a dirsi ) ho persino timbrato il cartellino in anticipo sul solito. Pochi fiocchi, quanto basta per dare un aspetto completamente diverso ai panorami che scorrono al di là del solito finestrino. Quella coltre bianca, gli alberi immersi nella foschia mattutina a scorgerne i rami secchi e spogli; un’immagine che la mia vista mal sopporta, da sempre proiettata sui colori del verde e dell’azzurro intensi. Niente di preoccupante. E’ stato proprio quel panorama desolante delle campagne innevate a suggerirmi l’odierna tecnica di esorcismo del Lunedì. Si sa, il treno stimola l’intelletto, la fantasia, aiuta ad apprendere le più svariate tecniche di sopravvivenza. Non vuoi ascoltare il vicino rumoroso? Iniettati un po’ di musica. Vuoi provare ad addormentarti? Comincia a leggere. Pensa, puoi persino pensare, immaginare il testo del tuo prossimo articolo. Come? Guarda dal finestrino. D’un tratto, irretito dagli spifferi, dalla porta cigolante che immette al corridoio, adirato per il riscaldamento ai minimi, ho rivolto il pensiero al futuro prossimo. Pensavo che il 1 Maggio potrebbe essere la data giusta. E ovviamente ho creduto fosse opportuno dare ad essa un tono celebrativo inserendo un bel contatore nel blog. Non lo troverete ancora, ma arriverà a breve. In fondo la stagione è la migliore, la mia preferita. Adoro l’estate ma è solo Maggio a regalarti l’alito forte ed intenso del primo caldo, a farti innamorare dei colori e dei profumi della primavera. Maggio, il mese delle rose. Si, è proprio il periodo giusto. Voi che ne dite? Il freddo, la neve, provocano una reazione allergica che, nel mio caso non lascia segni sulla pelle, ma sul cuore. E così, via! Il primo Maggio darò ufficialmente il via alla mia stagione sulle due ruote. Ma cosa avevate capito? Lo so, penso che ve lo chiederete in molti: “Ma come si fa a pensare a certe cose durante uno squallido, freddo, insulso Lunedì mattina?” E come darvi torto. Intanto anche questo Lunedì se n’è andato. E anche in questo caso non avevo programmato di scrivere nulla. E’ bastato qualche fiocco di neve. Naturalmente, nel caso abbiate bisogno di un esorcista capace di rendere i Vostri Lunedì più sopportabili, chiamatemi. Proverò a trasmettervi un po’ delle mie fantasie mattutine.


domenica 30 gennaio 2011

Un po’ d’ordine

N
on avevo previsto di pubblicare qualcosa oggi. Complici la neve che scende là fuori, la luce soffusa della mia lampada da scrivania, il sonno che non arriva, eccomi qui. Stamane ero lì a lamentarmi proprio del sonno: è possibile che, pur alzandomi ogni mattina alle 5.30 io non riesca a recuperare qualche ora nel weekend? Dormo poco, o almeno così sembra. Perché, di norma non vado al di sotto delle mie 7 ore di sonno durante la settimana e questo è sufficiente a mantenermi lucido ed attento. Il Sabato e la Domenica mattina invece, quando dormo molto non oltrepasso le 9. E non faccio bisboccia la sera precedente. Può essere dunque che tutto sia nella norma e non mi preoccupo. Sono invece piuttosto preoccupato per l’inizio di questa nuova settimana, e non solo per le avverse condizioni del tempo che potrebbero rendere i miei viaggi alquanto problematici. A rendermi piuttosto irrequieto è ancora ciò di cui sono ignorante, tutto quello che ancora mi manca in termini di nozioni e tecniche di lavoro. Sebbene ( come più volte da me ripetuto ) io ci metta del mio, autoflagellandomi e sottostimando il mio apprendimento, ci sono altre situazioni da cui mi è difficile prendere le distanze. Prima fra tutte, la disorganizzazione. Ritorna un concetto ( l’ordine ) al quale io sono particolarmente affezionato. Ne ho spesso e volentieri trattato, tessuto le lodi, elevato a criterio imprescindibile per apprendere e ottenere attenzione ed apprendimento. Se navigo in acque agitate non mi cruccio, finchè sono consapevole del fatto che una tempesta è in fondo, qualcosa di imprevedibile ed incontrollabile. Mi piace meno muovermi nel traffico sapendo che, chi potrebbe dirigerlo, non lo fa. Dunque sono sempre le solite cose ad intimorirmi. Vorrei poter agire secondo disposizioni, magari anche rigide. Mi trovo meglio, reagisco positivamente a fronte di un comando preciso, netto, che punta al mio arricchimento. Ed invece no, ancora confusione. Sento comunque di aver bisogno ancora di molto tempo per separare nettamente lavoro e vita privata. A quel punto questi weekend saranno una valvola di sfogo da cui non potrò separarmi. Penso ( troppo ) anche quando non dovrei farlo. Forse è tutta qui la ragione del mio sonno ancora disturbato. Un piccolo particolare non va trascurato: la vita sociale è, e permane, piuttosto asfittica. Sono sicuramente nella condizione di colui che ha pane, ma non ha denti. Pazienza, vado oltre. Al momento la mia vita è il lavoro, e non va bene. Posso solo migliorare.


sabato 29 gennaio 2011

L’impasto

A
quanto pare tutti possono fare il mestiere del cuoco. In Tv non si vede altro, a qualsiasi ora del giorno. Non solo cuochi, ma anche autori di libri di cucina; chissà poi chi glieli scrive. E così, pure io ho deciso di darmi da fare in tal senso, inventando una ricetta. Siete pronti? Prendete una buona dose di umiltà, aggiungete una sostanziosa porzione di autocritica ed infine ( quella non può mai mancare come il prezzemolo ) la solita manciata di scarsa fiducia nei propri mezzi. Ne otterrete un composto assai malleabile al tatto, decisamente modificabile ed in grado di assumere qualsiasi forma voi vogliate. Attenzione però, quando l’impasto avrà assunto una forma precisa risulterà alquanto difficile dare ad esso forma ed aspetti diversi. Passatelo in forno. La temperatura deve essere piuttosto alta perché esso ha grande capacità di resistenza. Addirittura sembra riesca a sopportare vere e proprie lingue di fuoco, ed ambienti nei quali il livello di calore spesso risulta insopportabile. Povero impasto. Non può certo lamentarsi del fatto di essere stato, prima girato e rigirato tra le mani e poi messo lì, a sopportare in silenzio ciò che nessuno vorrebbe sopportare. In questo periodo mi sento un impasto. Complici gli ingredienti di cui sono composto, penso di essere qualcosa di molto malleabile e piacevole a vedersi ma di contro ho sicuramente un sapore ributtante. Quando cucinate qualcosa e usate gli ingredienti nella giusta dose, pur non essendo cuochi provetti, potrete ottenere ottimi risultati, nell’aspetto e nel gusto. Guai però, al di là della tecnica di manipolazione, sbagliare in modo evidente le quantità. Ne sono la prova provata. Esco da questo tunnel di metafore culinarie altrimenti non mi farò capire. In sostanza: l’umiltà è una grande qualità, in via d’estinzione. Ti regala un aspetto “morbido”, liscio al tatto. Guai al mondo impastare umiltà e autocritica sbagliando il dosaggio. Essere poco indulgenti con sé stessi rende il tutto ancor più bello agli occhi altrui ma genera un meccanismo autodistruttivo che conduce al totale annullamento di sé. Tocca a me, a questo punto, fare in modo che ad un aspetto invitante si accompagni un sapore decente. Come fare? Devo assolutamente fermare questo meccanismo di autodistruzione e cercare di alzare la testa. Un impasto venuto male si può buttare via, non certo un essere umano. Proviamo a modificare le dosi “in corso d’opera”. Ah, dimenticavo, nel caso qualcuno dei miei lettori si riconosca nell’impasto che ho descritto, si accettano consigli. 


martedì 25 gennaio 2011

Dal finestrino

G
uardo dal finestrino. E penso. Il treno delle 17.20 sta lasciando la stazione per portarmi a casa. E’ un anonimo Martedì di mezzo inverno, un giorno apparentemente privo di senso, quelli di cui potresti fare a meno e guadagnare ventiquattrore di gioventù. Ed invece il tempo scorre e vorresti a tutti i costi dare ad esso un senso, non importa quale, purchè tu possa essere soddisfatto e orgoglioso di te stesso. Ed ecco che, proprio volgendo lo sguardo al finestrino, noto qualcosa di nuovo. Finalmente le case. Non vedo più riflessa sul vetro la mia immagine, non più il buio la fuori a rendere insopportabile il neon di questo corridoio sporco e malsano. Mi godo una buona mezzora di paesaggio finchè comincio nuovamente a rivedere la mia faccia stanca riflessa sul finestrino. E’ buio, ma cosa posso pretendere? Le giornate stanno piano piano riappropriandosi di luce come è naturale che sia. Ed è questo il senso di questo Martedì di mezzo inverno. Ci sono giorni in cui sembra che nulla abbia ragione d’essere, giorni che pensi potrebbero anche non esistere. Ritorno con la mente ad un passato non troppo lontano e riconto le giornate trascorse a cercare di capire cosa potesse significare attendere qualcosa. Troppo facile forse, ora, con il senno di poi dire che quell’attesa, un senso l’aveva. Eppure da quando ho cominciato a concentrare ogni mio sforzo mentale e fisico su ciò che è tremendamente attuale, ne traggo beneficio. Guardo dal finestrino. Più mi avvicino a casa più riscopro il senso di questo mio viaggiare. Sarebbe più giusto regalare sonno alla notte, qualche ora di luce ad una passeggiata. Lo so. Non ci penso, non ci posso pensare. E davanti a chi si meraviglia e non si capacita del fatto di autofustigarsi in questo modo per una ( pur nobile ) causa, io rispondo con un sorriso. Magari stanco, magari pensieroso, quasi triste. Ma pieno di voglia di guardare oltre a quel momento di inevitabile abbattimento, di accettazione della cruda realtà. La vita è oltre quel finestrino, è ben al di là di un maledetto treno sporco, e perennemente in ritardo. Lo so. Tutto perde senso se, anche solo per un attimo mi lascio andare. Dove trovo tutta la forza di cui ho bisogno? Oltre quel finestrino; quelle case che di giorno in giorno riuscirò sempre più a scorgere fino a quando arriverò a destinazione Qui troverò la mia forza. Un anonimo Martedì di mezzo inverno porta con sé pensieri positivi, alla faccia di questo freddo, di questo treno, di queste facce stanche che fissano punti invisibili. “Siamo in arrivo a Alessandria”. Odio questa fredda voce computerizzata che non conosce nemmeno la grammatica”. In questo Martedì di mezzo inverno, ci sta.


domenica 23 gennaio 2011

Di necessità…molta virtù

T
utto si può dire di me meno che, pazienza e fiducia nelle proprie possibilità facciano parte del mio carnet di virtù. Non si acquistano per via ereditaria, sono tratti del proprio carattere e come tali, risultano fortemente condizionati dall’ambiente esterno. Più esso è negativo, tendente alla colpevolizzazione, più alcuni aspetti della propria personalità finiranno per assumere tratti di un certo spessore ( in negativo, ovviamente ). Non sono mai stato una persona paziente, almeno io così mi sono sempre definito. Ma, a bocce ferme, ora mi sento di affermare il contrario. Forse lo sono sempre stato, ma non ho mai avuto la possibilità di dimostrarlo. Quando mi è capitato di aiutare i bambini nei loro compiti a casa, laddove mi sono trovato a lavorare in ambienti stimolanti e con persone a modo, ciò che agli occhi altrui è emerso è stato proprio questo: “Enzo, sei una persona rilassante che infondi un senso di calma”; “Hai una voce dal tono piacevole”. Bei complimenti. Ho sempre reagito a queste parole come sono solito fare a fronte di un apprezzamento, abbassando lo sguardo. Non sono avvezzo a parole di stima, preferisco non sapere se qualcuno pensa bene di me; ma se lo esterna, mi imbarazzo. E così mi sto scoprendo paziente. Le persone che mi ruotano intorno in questo periodo me lo stanno facendo notare ancora. Allora sarà vero. Oppure sto semplicemente facendo di necessità, virtù. E di sicuro, ( non è un mistero ) non sono mai stato una persona capace di credere in sé stesso. In questo caso l’ambiente nel quale ho vissuto ( e vivo ) non ha giocato a mio favore. C’ è stato tuttavia un momento di svolta in questo senso ed è stato quando ho finalmente deciso di iniziare un percorso di lavoro interiore che ha dato ottimi frutti. L’ho iniziato troppo tardi ma, al culmine di tutto è arrivato ciò di cui avevo bisogno : una situazione ( lavorativa ) che mi permettesse di mettermi alla prova, di dare un senso a questo lungo tragitto. Impaziente ed insicuro. Avrò bisogno di molta pazienza e di grande fiducia nelle mie capacità per attraversare questo secondo mese lavorativo senza particolari danni. In questi ultimi giorni mi è capitato di dover apprendere nozioni importanti da una persona fortemente insicura e piuttosto confusionaria. Non è il massimo, ma credo che potrebbe essere l’occasione giusta per emergere, perché le mie capacità possano mettersi in luce più facilmente. Di necessità, virtù. Le mie conclusioni: l’ambiente in cui si vive, ci si forma, si lavora, può giocare un ruolo determinante in entrambi i sensi, positivo e negativo. Se la personalità non si eredita ma la si costruisce giorno per giorno, saremo fortunati a trovare persone capaci di valorizzarci, di far emergere le nostre qualità. Lavoriamo su noi stessi, impariamo a conoscerci. E con l’aiuto del “caso” a volte si riesce a recuperare, a dare un’immagine di noi che credevamo inesistente. Che bello…….paziente e fiducioso. Ora ci credo.


giovedì 20 gennaio 2011

Complimese

O
ggi, 20 Gennaio, sono esattamente 30 giorni che lavoro a Torino. Fare bilanci mi sembra eccessivo, lasciare per iscritto qualche impressione raccolta in questo mese invece, assai doveroso. E’ o non è un diario personale questo blog? Oggi mi sento particolarmente ispirato e credo che i pensieri scivoleranno abbastanza velocemente. La sensazione dominante è ancora la stessa: confusione. Penso sia normale, quasi naturale non aver ancora tutto chiaro riguardo ciò che andrò a fare, quali saranno le responsabilità cui dovrò far fronte. Ho sempre saputo organizzarmi, la confusione materiale e mentale mi hanno sempre messo a disagio. Vorrei fosse tutto a posto, rigorosamente classificato in qualche contenitore, razionalmente spiegabile. Quando non posso essere io a mettere le cose nella loro giusta collocazione , mi aspetto sempre che, chi di dovere, lo faccia per me. E, attualmente io ancora mi sento in balia delle onde. Non posso correre, non posso precorrere i tempi, devo saper aspettare. Non posso soprattutto prevaricare. Ho molta ansia di apprendere, ma mi trovo a dover accettare scelte che (almeno ad una prima valutazione) appaiono quanto meno “strane”. Non posso sindacare, non mi conviene e non mi è consentito. In certi momenti penso che potrei parlare, proporre, fare qualcosa nel mio interesse ma non ne ho il coraggio. Scelgo questa strada: mi lascio trasportare dal vento (chi soffia ha i titoli per farlo, io no) e aspetto. Probabilmente prendere iniziative non è conveniente. Sento di aver fatto progressi, di essere apprezzato, credo di aver però fin troppo espresso giudizi su persone che non ho conosciuto abbastanza e questo non è da me, non mi piace, potrebbe essere controproducente. A questo punto è tutto chiaro: d’ora in procederò attenendomi alle direttive, cercando di non farmi trasportare dalla smania dell’”osserva e valuta”. Passerò per un automa, passivo e incapace di tirare fuori gli attributi. Ma penso che al momento sia opportuno agire in questo modo. Fisicamente sto meglio. Gli occhi e il viso sono sempre molto tirati, complice lo snervante contatto con l’utenza ed il numero davvero impressionante di nozioni e situazioni da assimilare. Ma per il resto mi sento piuttosto soddisfatto di come il corpo sta rispondendo agli stimoli. Mangio più regolarmente, ho ripreso ad andare in palestra. Potrà sembrare stupido ma una parte dei miei pensieri prende la forma di ciò che potrà essere la vita domani, tra un mese, tra sei mesi. Provo cioè a dare una sbirciata al futuro, programmando in modo fantasioso qualche sfizio da acquistare, una piccola vacanza da godere. Sembra, e dico sembra, che tutto in linea generale abbia ancora un senso. Mi sto tristemente accorgendo ( ma non mi meraviglio di ciò ) di quanto alcuni rapporti umani ( una piccola parte ) abbiano ancora un’anima e siano degni di essere chiamati tali mentre altri finiscano nel grande calderone della bella facciata dall’interno spoglio e mal ridotto. Pazienza. Buon complimese, Enzo. 


martedì 18 gennaio 2011

Trasformazioni ?

I
n questi ultimi giorni lamento la pochezza di contenuti. Se a prendere forma di testo sono sempre stati impulsi interiori beh, vorrà dire allora che la mia anima si sta prendendo giorni di assoluto riposo. Può essere del tutto normale; mente e corpo come già ho ripetuto, stanno viaggiando a pieno regime. In questa pochezza di contenuti provo forzatamente a fare uscire qualcosa, anche di totalmente insensato, da tradurre in parole. Difficile, molto difficile. Oggi pensavo a quando ho iniziato a perdere i capelli; avevo circa ventitrè anni. Ricordo un medico dermatologo da cui mi feci visitare il quale fu piuttosto risoluto: “Ragazzo, è alopecia androgenetica, ce l’hai nel Dna.” Aggiunse poi che, una volta giunto alla sua età ( 40 ndr), avrei accettato tutto con estrema semplicità. Non aveva tutti i torti, salvo passare attraverso una fase psicologicamente difficile da accettare. E se decidessi ora di farmi un bel trapianto di cute? O mio Dio, mi vedrei orribile, non riuscirei ad immaginarmi dotato di crine folta e immortale. Tale sono diventato e tale rimango. E allora, in questo periodo di contenuti che latitano, sfuggono, si mostrano assai superficiali, mi chiedo se potrei mai immaginarmi totalmente assorbito da ciò che è tremendamente materiale ( vedi il lavoro) rinunciando così a quell’immagine interiore di me acquisita ormai con gli anni. Il lavoro interiore che ho svolto negli ultimi anni mi ha regalato la possibilità di formare nel tempo un grande puzzle al quale da tempo mancava l’ultimo pezzo. E questo pezzo, apparentemente introvabile, è arrivato. Ho paura però al pensiero che l’Enzo riflessivo, paturnioso, arzigogolatore corra il rischio di cedere il passo. Non voglio. Per quanto masochista, non amo rivoltarmi nelle paturnie, ma sento che c’è una parte di me che, con l’avvento di questo cambiamento di vita sta cambiando pelle. Cosa c’entra tutto questo con i capelli? Beh, perché quando ti abitui ad una immagine di te, sia essa esteriore o puramente intima, un improvviso cambiamento potrebbe lasciare un certo smarrimento, in alcuni casi produrre sconquassi. Ma se la nuova e folta chioma mi renderebbe ( nella peggiore delle ipotesi ) orribile all’occhio altrui, un’anima spoglia e priva di contenuti toglierebbe linfa alla mia voglia di scrivere. Lasciamo dunque che il tempo faccia il suo corso, che tutto come sempre si svolga in modo tale da acquisire senso. Arrivato a questo punto una grande conquista l’ho ottenuta: capire, scoprire magicamente che non importa quanto tempo dovrà passare, quanto potremo nel frattempo cambiare, quanto benediremo o malediremo ciò che accade. Tutto procede speditamente verso un punto giunti al quale potremo serenamente affermare: “ Ah, adesso è tutto chiaro”.


domenica 16 gennaio 2011

Cane che abbaia…morde

L
a mia vicina di casa ha un cane fastidiosissimo. Abbaia al primo alito di vento, è più sensibile di un antifurto. Io adoro i cani, tutti. Quelli di taglia piccola, soprattutto alcune razze, hanno la prerogativa di abbaiare più di altri; non sono un etologo ma credo che esprimano attraverso il verso, continuo, costante, a volte inutile il loro senso di inferiorità. Probabilmente sanno di essere piccoli e indifesi e manifestano un’aggressività gratuita. Si devono far sentire. C’è un omino piccolo piccolo che, negli ultimi tempi, per emergere dal proprio uno e cinquanta di statura continua ad abbaiare molto forte e a dare tanto, tantissimo fastidio. Ma, a differenza di quelle povere creature indifese che sono i cani, lui è stato dotato ( in maniera ridotta se non inesistente ) di un cervello. E a differenza degli amici a quattro zampe, ha avuto il grande demerito di creare proseliti. Fare proselitismo e’ assai pericoloso, può creare sconquassi cui porre rimedio è impossibile o quasi. La percezione che il cittadino ha del pubblico dipendente è notevolmente cambiata. Per sua natura il cittadino è incazzato. A volte ne ha tutte le ragioni, la vita regala sempre e solo magagne, gatte da pelare, incazzature varie. Quando il cittadino si reca presso un ufficio pubblico e assume le vesti dell’”utente”, si innesca in lui un processo incontrollabile che trova il suo punto di sfogo davanti allo sportello. E io, da poco, sto al di qua di esso. Cosa sto percependo? Che ormai il danno è stato fatto, che alla fine il risultato è stato ottenuto. Che il cittadino “utente” è , a prescindere, un pericolo. Calma: mi riferisco a quella buona parte di utenti del tipo “Io lavoro, ho preso un permesso, tu non stai facendo un cazzo”. Oppure di quelli che ( è capitato qualche giorno fa) passano di là solo per verificare se tutto è a posto ed hanno tanto tempo da perdere da scrivere un bel reclamo ad una collega . Motivo? Parlava di lavoro. Mi sono imbattuto in persone (Italiani e non ) di una squisitezza incredibile. Persone che probabilmente mostrano rispetto per chi lavora, per chi non è come viene dipinto. E ho dovuto fronteggiarne altre che definirei semplicemente “rompicoglioni nulla facenti” con il gusto di rovinare la giornata al prossimo. Anch’io, come cittadino sono perennemente incazzato; quando divento un utente spesso perdo la pazienza. Non dimentico le volte in cui di fronte a me ho trovato impiegati indisponenti, consci del fatto di esserlo. Ma non ricordo di avere mai insultato nessuno. Alla fine è sempre una questione di pura educazione. Quel che mi fa rabbia è questo. Da sempre esiste il cittadino incazzato, stufo di fare code, idrofobo davanti agli impiegati palesemente lenti o irrispettosi. E ci sta. Ma che gratuitamente qualcuno arrivi con toni presuntuosi, con atteggiamenti strafottenti solo perché qualcuno glielo ha inculcato, beh…No. Il cittadino ha una testa, ma credo che ci sia qualcuno che ancora non riesca a capire: non credete a tutto ciò che qualcuno vuol farvi credere. Il rispetto passa anche dalla consapevolezza di ciò che è il lavoro. C’è un cagnolino che continua ad abbaiare. E chi lo segue non sempre è nel giusto.


sabato 15 gennaio 2011

Fase 2

A
vevo bisogno di scrivere, lo faccio ora. In treno. Tre chili in meno, fisicamente sono e mi sento uno straccio. Il mio ultimo giro di giostra ha lasciato segni profondi su fisico e mente. Un giro iniziato circa quaranta giorni fa e, spero, terminato oggi. Perché proprio oggi? Perché ad un certo punto il mio corpo dice basta e raramente lo ripete una seconda volta. Basta. Si riparte per la “fase 2”. Le occhiaie, il viso tirato, i pantaloni che cominciano a “ballare” in vita. Che quadro…Odio sentirmi oggetto di osservazioni del tipo “Sembri uno zombie stamattina”, “Ti vedo proprio magro” . Non è la prima volta che, a fronte di un periodo stressante il mio metabolismo va a puttane, il mio stomaco lavora male, malissimo. L’incidente occorso a mio padre, l’ansia per la chiamata di lavoro, mettiamoci pure un bel virus intestinale: sono stati loro i miei compagni di giostra. Vorrei sorvolare su giudizi e valutazioni legate alla mia esperienza lavorativa. Comincio a prendere coscienza di alcune cose ma, per evitare giudizi affrettati e conclusioni inopportune, penso sia necessario. Voglio anzi, devo pensare che ciò che mi è capitato è una cosa bellissima e che se ora mi sento così è perché non può essere diversamente. Passerà. Domani riprendo a frequentare la palestra e questo è un inizio. Mi sarà concesso andarci una sola volta a settimana, almeno per ora. Il tempo a volte ti avvolge, spesso disegna intorno a te limiti invalicabili. Agisce principalmente sull’emisfero sinistro, non gli concede spazio vitale, non riesci ad emozionarti. Quando però scendi dalla giostra avverti un profondo senso di pace, una irrefrenabile voglia di pensare, di lasciarti andare a quelle riflessioni che accompagnano momenti di vera serenità. E’ indubbio che questo articolo segna per me un momento di ulteriore passaggio ad una fase nuova. Ho desiderio di recuperare e riprendere il controllo soprattutto sul mio corpo. La mente? E’ ancora troppo lontana dall’essere in grado di pensare, di elaborare concetti che esulino per una volta dalla situazione concreta ( e nuova ) che sto vivendo. Il lavoro e la mia vita sono troppo vicini e devono cominciare a viaggiare su binari paralleli. In questi momenti tiro un sospiro di sollievo, tendo la mano a quella mano e appoggio la testa a quella spalla che sono le sole ad apprezzarmi in tutto ciò che sono. E riparto.


giovedì 13 gennaio 2011

Scompartimenti

C
ambiano modi e tecniche di socializzazione. Il treno si adegua ai tempi e lo fa suo malgrado. Una volta era lo scompartimento: un ambiente intimo che poteva ospitare massimo sei persone. Talvolta dava luogo ad una difficile convivenza, altre volte si rivelava un piacevole luogo di chiacchiere. Tutto dipendeva dalla lunghezza del viaggio: provate ad immaginare quei poveretti, costretti a sopportare la presenza di persone maleducate con strani animali al seguito ( io una volta ho visto persino una gallina ). E che dire poi di quelle allegre famigliole con tanto di pietanze e prodotti tipici dall’odore forte portati come souvenir delle vacanze al mare. Nove o dieci ore di viaggio avrebbero potuto trasformarsi in un incubo. Ricordo in particolare gli spostamenti brevi; qualche chiacchierata nata per caso, la persona che in poco più di un quarto d’ora ti raccontava la vita. Su quella che è la maggior parte dei treni di oggi, un lungo corridoio separa due file di ( più o meno sporchi e maleodoranti ) sedili. Si dirà poi che ciò è funzionale a permettere un maggior numero di posti a sedere. L’estinzione dello scompartimento corre di pari passo con l’evoluzione della tecnologia a disposizione del passeggero. Il quale, dopo essersi seduto compie una delle seguenti operazioni: apre un libro, indossa gli auricolari, smanetta il cellulare, accende il computer. Chi prende il treno quotidianamente o quasi non avrà difficoltà a notare tutto ciò. Pure io mi sono lasciato trascinare e sono entrato di diritto a far parte del popolo dei passeggeri asociali; sono dunque anche io vittima di quella forma di isolamento indotto che la tecnologia provoca. Si può socializzare a prescindere dal luogo in cui ci si trova e le occasioni buone sono assai più legate al caso fortuito . Se ho scritto questo articolo è perché ricordo bene alcuni viaggi in treno che si sono rivelati occasioni d’incontro, a volte piacevoli a volte noiose. Quel che mi rimane oggi è la fastidiosa voce del viaggiatore di turno che, di primo mattino si accomoda vicino a me e ha tanta, tanta, tantissima voglia di parlare con l’amico . E mi disturba il sonno.


martedì 11 gennaio 2011

La mano buona

A
h, se solo potessi aprire la porta di questa gabbia; se solo riuscissi a smettere di sbattere le ali inutilmente girando su me stesso; se anche solo mi fosse concesso di scegliere. Frasi ripetute a me stesso nei momenti in cui lo sconforto ti impediva di vedere un appiglio (anche uno) che ti spingesse su, al di sopra del baratro. Ora quelle frasi risuonano come un lontano ricordo ma, nonostante tutto, sono ancora molto vive e riportano alla mente le sensazioni di allora. Cerco di capire chi, cosa mi spronasse a rialzarmi, a crederci, a vedere la luce in fondo al tunnel. E rivedo me, soltanto me. Capisco e orgogliosamente mi rendo conto di quanto possa essere vigoroso l’animo umano, di quanto la mente riesca sempre a trovare un fonte da cui attingere energia positiva. E tutto sembra ora avere un senso “miracolosamente” preciso. Una lunga premessa per collegarmi all’articolo di un amico blogger il quale in sintesi afferma questo: “ Non importa come si inizia un percorso, poco conta se nell’affrontare il tragitto si sbaglia, si inciampa, si cade; ciò che importa è concludere da vittorioso”. L’articolo richiamava la metafora del giocatore e del banco: non abbattersi quando le carte sono a sfavore, prima o poi la mano buona arriva. Per esprimere la mia modesta opinione ritengo che la metafora del gioco presuppone uno stretto riferimento al caso, all’alea, al calcolo di probabilità. Le mani buone arrivano, ma quanto per merito del giocatore? Si attende. Trasponiamo il tutto nella realtà. Può l’attesa della mano buona giocare un ruolo per ottenere un successo? Ed il rischio è importante? Entrambi hanno un peso ma che differenza passa tra gioco e realtà? Io penso che tutto stia nell’azione e nella forza di volontà. Agire, pensare, muoversi verso una direzione, prefiggersi un obiettivo è di fondamentale importanza. E serve a poter dire: “ Io c’ero, ho giocato”. All’amico blogger che attraversa un momento difficile dico: “Gioca, credici, non aspettare che sia il banco a fornirti le carte giuste”. Potrai svoltare, potrai esultare e fiero dirai: “Non è stato solo un caso!”. Siamo tutti seduti intorno ad un grande tavolo da gioco; guardiamo il banco con timore pensando lui possa essere artefice delle nostre sfortune/fortune. Allora continuiamo a guardarlo con rispetto ma non dimentichiamo ma di cercarla, la mano buona. Non tutto forse è scritto.


domenica 9 gennaio 2011

Sempre sul tempo

G
uardando ai miei scritti di qualche tempo fa, coerente con la mia visione realistica delle cose, preannunciavo una possibile forzata lontananza dal blog. “Sarebbe già bello riuscire a scrivere un articolo a settimana”, dicevo. Sono sempre il solito. Devo per forza di cose mettere le mani avanti, guardare anche la più piccola sfumatura negativa in modo da non staccarmi troppo da terra ed evitare così, la solita delusione. Se il tempo è amico, e lui per me lo è, ti viene in aiuto. Rido di me, perché rileggendomi mi scopro un essere impossibile. Non si può porre un ulteriore limite di tempo al tempo, proviamo ad adeguarci a lui come il liquido all’interno del suo recipiente e così facendo, godremo di esso. Temo che diventerò insopportabile a furia di disquisire sul concetto di tempo ma al momento non riesco a farne a meno. Corriamo, ci affanniamo, cerchiamo di stare a tutti i costi nel tempo. E così abbiamo la sensazione di esserne padroni; lo sfidiamo, a volte vinciamo a volte abbiamo la sensazione di esserne sconfitti. Ma perché regalare al tempo una vittoria a tavolino, senza nemmeno aver combattuto? E’ quello che ho fatto io quando sommerso dalle preoccupazioni per il futuro, già mi vedevo imprigionato dal tempo, soffocato dai suoi tentacoli. Errore madornale, tipico di chi tende a fasciarsi la testa prima di rompersela. Sono strafelice di riuscire a tenere in vita il mio piccolo diario di bordo, non accetterei mai di vederlo ingiallire e poi, come potrei rinunciare a ridere un po’ di me, rileggendomi. L’autoironia è una gran cosa. Mi sto rendendo conto di quanto sia importante. Nasce dall’accresciuta fiducia in sè stessi e dalla necessità di dover condividere un certo tipo di ambiente con qualcuno. Ringrazio quindi ancora il tempo che mi fa scoprire: a volte ridicolo, spesso autoironico, sempre organizzato. Sono sicuro che avrò ancora occasione di capire cosa il tempo vorrà donarmi: lavora su di me, mi invecchia, mi rende in piccola parte saggio, magari a volte insofferente e pedante. Ma di tanto in tanto lascia spazio ad alcuni aspetti della mia persona che ignoravo del tutto. Abbandoniamoci al tempo. Poi , se qualcuno pensa di sconfiggerlo con un colpo di bisturi, beh, cavoli suoi.


sabato 8 gennaio 2011

A scoppio ritardato

D
icono che l’ozio sia il padre dei vizi. I miei vizi? Pochi, pochissimi. E allora perché una volta tanto non eccellere, non andare oltre i soliti canoni e scegliere il meglio? Se oziare batte tutti, allora ho fatto bene a passare il weekend vittima della totale accidia. Che poi sono convinto che non sia così facile far niente. Ci vuole una certa tecnica. C’è chi è bravo a farlo più sul posto di lavoro che non in vacanza. Io mi considero un iperattivo quindi poco incline ad oziare e soprattutto poco capace di goderne i benefici. Eppure questo fine settimana, complice il tempo uggioso, un continuo fastidio intestinale che mi porto dietro da giorni e la stanchezza arretrata, ho finalmente oziato. Me ne sono reso conto per il fatto di aver dormito molte più ore del solito unitamente ad una intensa attività di zapping. Ho sempre pensato che ozio fosse sinonimo di pigrizia. Eredito da mia madre la sua incapacità a godere del riposo, a capire che in fondo il mondo va avanti lo stesso anche se ci fermiamo per un giorno. Che non è poi del tutto necessario tenere in ordine la casa quotidianamente, che non ci possiamo far prendere dai sensi di colpa per non aver dato nulla alla causa. E’ un elogio dell’ozio vero. Ed è al tempo stesso un elogio alla felicità. E’ passato quasi un mese dal giorno in cui ho ricevuto la notizia tanto attesa: quel giorno non ho provato nulla di definito. Le sensazioni si accavallavano a tal punto da non permettermi di riconoscere quella più importante, la felicità. Se non si è felici in questi momenti, quando allora? A scoppio ritardato, nell’ozio di questi giorni, nella serenità di questo riposo giustificato, io ho riscoperto la felicità vera. Mi chiedevo come fosse possibile non aver un ricordo preciso di ciò che ho provato quel 15 Dicembre, avrei tanto voluto descrivere cosa significa essere felici ed invece niente. A scoppio ritardato lo faccio ora. La felicità sta in un silenzio che per una volta non è riparo da voci urlanti, da fantasmi che assillano la mente. Un silenzio che nasce dal cuore, tuo, meritato. A chi cerca la felicità auguro di trovarla: non preoccupatevi se non saprete come descriverla. A scoppio ritardato, troverete le parole.


venerdì 7 gennaio 2011

Fare la coda? Trendy.

N
on aspettavo altro. Attendere il 6 Gennaio per fare una chilometrica coda e giungere fino alla tanto agognata meta, non ha prezzo. La meta? Ma il negozio di Gucci, non l’avevate capito? Ne vale davvero la pena, sapete? Perché si aspetta un inverno intero per avere il capo trendy e persino fare la coda è trendy. Provate a chiedere al sottoscritto (se solo avete capito quanto io ami stare in coda) quanto ne vale la pena. La moda non è comprare da Gucci o chi per esso, certo questo è fashion; la vera moda è fare la coda. C’è dunque tutto un mondo intorno che sceglie di trascorrere giornate di festa facendo piccoli passetti che alimentano piano piano il proprio desiderio di trovare, una volta entrati nel magico mondo , una mutanda firmata. Non riesco ad entrare nell’ottica. Eppure devo ringraziare il grande mondo dei Tg che di questi tempi ci propina come al solito i soliti servizi sul popolo che affolla outlet e vie alla moda per un pizzico di soddisfazione personale. Perché, si tratta di accrescere la propria autostima e non di soddisfare un reale bisogno. Mi consolo dunque. Non sono l’unico che di tanto in tanto si dà all’acquisto compensativo come gia’ avevo trattato qui. Quel che più mi diverte è proprio assistere ai servizi giornalistici al riguardo; se vedere quella manica di sfigati in coda già mi strappa un bel sorriso, quando li sento parlare non riesco a trattenere una grassa risata unita ad un’espressione meravigliata e sconsolata. Immagino la tristezza di quelle boutique dei grandi centri, così desolatamente vuote durante la stagione ordinaria. Quelle “povere” commesse e bodyguards impegnati al massimo a limarsi le unghie o a far finta di tenere l’ordine in attesa di qualcuno che non entrerà mai. E poi, d’un tratto, finalmente anche un po’ di lavoro per loro. Tenere a bada la fila che spinge, accontentare il cliente esigente che ha atteso mesi questo momento e quindi risulterà anche irritato qualora non trovasse ciò che cerca. Una bella coda. In effetti mi ci voleva perché a differenza delle altre è l’unica che conduce ad un mondo incantato. Susciterò probabilmente un coro di voci in disaccordo con il mio punto di vista e ne sono consapevole. Ognuno in fondo, trae soddisfazione da ciò che più lo rende felice; sia esso un cappello, una borsa, un tablet, un cellulare. E’ la coda che mi rende idrofobo. Mi auguro che per una buona parte di Italiani, questa giornata di saldi abbia regalato un briciolo di autostima in più.


giovedì 6 gennaio 2011

Leoni ed agnelli

N
on avrò scoperto l’acqua calda ma in questi giorni ho notato qualcosa di terribilmente solito. Bastano poche ore al giorno per pochi giorni e non hai scampo: ti si può fare un abito su misura dal momento che sei perfettamente visibile agli occhi altrui. Sei visibile perché con pochi gesti ( per te assolutamente naturali ), con semplici movimenti altrettanto normali, ti sei scoperto. Ho più volte ripetuto di non fidarmi della prima impressione perché, la maggior parte delle persone mi appare in un modo per poi rivelarsi in un altro. Come mai? Perché agli occhi di un semplice, di un credulone quale io sono, tutti a prescindere sono buoni. Soprattutto quelli che paiono tali a pelle. Provo a mettermi nei panni altrui: se è vero che una consistente parte degli uomini che ha vissuto un buon numero di anni è necessariamente prevenuta, cinica, bastarda dentro, allora ai loro occhi sarà semplicissimo notare il cretino di turno. Ce ne sono così pochi…Non mi sento cretino per il solo fatto di essere assolutamente naturale e voglioso di fare bene. Ma so che non è mai bello scoprire tutte le carte ed è altrettanto opportuno rimanere criptici e misteriosi per un po’. Temo di non riuscire ad appropriarmi della capacità di mostrarmi quanto meno indecifrabile. Vorrei magari risultare lunatico, strano, umorale giusto per non darmi in pasto ai pescecani. Niente da fare. Mi chiedo se aver già ricevuto dopo pochi giorni validi apprezzamenti e belle parole di stima sia quindi un fattore positivo su cui fare affidamento o si tratti dell’ennesima riprova di quanto possa essere raro ma pericoloso essere totalmente se stessi. Ero perfettamente consapevole che sarebbe andata così. Su di me posso sempre contare, soprattutto quando si parla di impegno, dedizione, voglia di armonia. La differenza la facciamo noi? Se si parte dal presupposto che si è fatti in un certo modo e difficilmente si cambia, la differenza la possono fare solo loro, gli altri. Non posso biasimarli per quello che vedono e ciò che deducono. Esistono solo sanguisughe, leoni affamati oppure anche umili agnelli? Lo scoprirò ben presto, sperando di non fare la fine del topo.


mercoledì 5 gennaio 2011

Punti deboli

B
envenuto ponte. Ci voleva, perché dopo la nottataccia di ieri ho solo bisogno di calore e relax. Ognuno di noi ha una parte del proprio organismo che solitamente somatizza ansia e stress; la mia è lo stomaco. Con l’andar del tempo è diventato sempre più sensibile ed insofferente alle alterazioni del metabolismo. Posso, è vero, mangiare di tutto, ma non posso mai esagerare. Ancor meno il mio caro stomaco sopporta le mangiate del tipo fast-food. Mi dispiace davvero doverlo sottoporre a tanta pena perché su di me gli effetti sono a volte devastanti (proprio come accaduto questa notte). Durante la sera di Capodanno mi sono permesso di andare oltre (il mio limite è assai basso) con il vino e puntualmente sono stato punito. Insomma, non mi posso più permettere eccessi, triste a dirsi ma è così. Questo freddo davvero intenso, unitamente ad una dieta orribilmente sfigurata dai tempi ristretti stanno azzerando un lavoro certosino che avevo svolto sul mio corpo e di conseguenza sulla mente. Penso di avere bisogno di riprendere certe belle abitudini, e ho sicuramente dalla mia parte lo spirito organizzativo. Ci sono persone che, a causa dello stress mettono su chili ed altre (come il sottoscritto) che si “asciugano”. Non sopporto indossare i pantaloni al mattino e scoprire che il buco della cintura ormai consumato non è più utilizzato e sostituito dal successivo. So perfettamente che si tratta di un momento di passaggio fondamentale in cui occorre pagare dazio e lasciarsi anche un po’ andare, dimenticando la forma fisica. Maledetto freddo, ma quando te ne vai fuori dalle scatole? Potrei riprovare ad aprire la solita valigia e a farmi irradiare da pensieri soleggiati e positivi. Ho incredibilmente bisogno di cieli azzurri, di luce del mattino, persino di lenzuola che ti si appiccicano addosso. Poi qualcuno potrà obiettare. Rinascita di corpo e mente: è deleterio pensare ora a quando si sarà concesso di non perdere una buona mezz’ora per vestirsi. Ma come dice una canzone vecchio stile…”La notte insegue sempre il giorno ed il giorno verrà”….


martedì 4 gennaio 2011

Tempo di tisane

S
e non fosse che mi sento poco bene, ho mal di stomaco e un senso di spossatezza che fa presagire nulla di buono, oggi sarebbe stata una giornata costruttiva. Mi mancano le mie sedute in palestra. Da circa un mese, per una storia o per l’altra non mi faccio un giro tra macchine, tappeto e bicicletta. E questo contribuisce ancor più a farmi sentire uno straccetto. In questo periodo brucio energie a forza di saliscendi, ma io non ho bisogno di mantenere la linea. Per fortuna posso ingozzarmi, mangiare ciò che voglio e tutto viene bruciato in brevissimo tempo. Si, questa vita di pendolare ti toglie tutto o quasi. Ci penso, ma solo per un frangente al giorno. Qualche giorno dopo l’assunzione un neo-collega, dopo aver appreso che venivo da Alessandria mi ha detto: “Tu ora, vita sociale zero”. Ho assecondato la battuta ma dentro di me dicevo “Ah perché, io ho una vita sociale?” Guardiamo dunque il bicchiere mezzo pieno: posto fisso, ambiente di lavoro piacevole ( almeno per il momento ), stipendio, autonomia e via dicendo. Guardiamo il bicchiere mezzo vuoto: quattro ore al giorno regalate a Trenitalia e ai suoi squallidi treni. Serata all’insegna di tisane e qualche breve lettura. Il weekend esiste ed è reale e qui viene il bello. Se avessi una sfavillante vita sociale probabilmente durante il fine settimana sarei sempre in forma, desideroso di divertirmi e magari comincerei anche a sperperare. Ed invece il problema non sussiste in quanto io non ho una vita sociale. Quindi, la battuta del mio collega si è rivelata del tutto fuori luogo. Collocherò dunque l’assenza di svago nella categoria: “bicchiere mezzo pieno”. Al momento mi manca solo il mio paio d’ore in palestra che ricomincerò a frequentare a partire dal prossimo fine settimana. Io penso che tutto alla fine abbia senso, tutto quadri come sempre. Questo mio cambiamento si colloca in un periodo nel quale posso dare tutto ( o quasi ) alla causa per cui sono stato chiamato. Dare corpo, e anche un po’ d’anima. Mi farà bene, mi aiuterà ad inserirmi immediatamente nel sistema. C’è un tempo per ogni cosa. Ora, vada per solenni dormite e tisane. Mi auguro presto arrivi il tempo del Valium, ma solo per salire sul primo volo. 


lunedì 3 gennaio 2011

Ancòra sul tempo

D
ai e dai alla fine tutto torna, o quasi. Uno dei crucci maggiori del pendolare è far si che tutto coincida, che vi sia perfetta aderenza di tempi tra partenze ed arrivi. Potrei apparire masochista (e ne ho spesso dato dimostrazione) ma ho deciso di fruire di ben tre mezzi di trasporto diversi per raggiungere il mio luogo di lavoro. In fondo sono più comodi di quanto si possa immaginare; c’è dunque una certa soddisfazione nel giungere davanti alla bollatrice e scoprire che non hai “sforato”. Magra soddisfazione, direte Voi. Come già più volte affermato, ho fatto mia l’accezione positiva del concetto di tempo. Quando si parla di spostamenti, lo si maledice, gli sguardi all’orologio finiscono con il diventare veri e propri tic nervosi da cui è difficile liberarsi. Per quanto mi riguarda ho scelto di andare incontro al tempo, di farmelo amico; questo non significa diventarne succube, semplicemente provo a giocarci insieme. In questi primi giorni mi sono permesso di fare diverse prove allo scopo di rendere le mie “alzate” mattutine meno deleterie. E la bollatrice parla in tal senso: essa dice che il mio spirito di organizzazione non fa una grinza. Tutto mi spaventa meno il timore di non sapere come gestire il tempo, men che mai la paura di farmi sopraffare da esso. Stare qui a scarabocchiare il solito foglio a righe mentre attendo che il treno parta, lo dimostra. Che dire poi di quel tempo necessario ad accrescere la conoscenza, a farsi un’idea di ciò che mi compete, a capire il senso delle cose beh, quel tempo è mio fratello. Più passa, più mi aiuta a rendermi conscio di cosa sono, cosa faccio, dove posso arrivare. Una piccola annotazione al margine per il tempo della notte. Niente più occhi sbarrati, niente più pensieri che mi assalgono nella casa di Morfeo. Se mi diventasse amico pure lui, allora sarei in sella. Guardo l’orologio e con un sottile ghigno di piacere mi accorgo che il tempo è volato: il rumore delle porte automatiche che si chiudono annuncia la partenza. Utilizzando questo comunissimo foglio a righe non mi accorgo di quanto scrivo, dunque mi fermo. Non vorrei che il piacere che provo nel far scorrere la penna diventi proporzionale alla Vostra insofferenza.


domenica 2 gennaio 2011

Autonomia

S
e non fosse successo quel che è successo giorni fa, oggi probabilmente sarei tornato qui a lamentarmi di una tediosa ed insipida serata di Capodanno, di situazioni che raggiungono punti di non ritorno. Qualcosa però è successo ed io sono stato in breve tempo proiettato in una nuova dimensione di vita, di pensiero, di aspettative. Dunque la mia mente corre, immagina, progetta alla velocità del suono senza troppo badare al fatto che sotto certi punti di vista nulla è cambiato e probabilmente nulla cambierà. Ieri sera mi sono ritrovato all’interno di una situazione che definire grottesca è riduttivo. Ebbene, me ne sono preoccupato per qualche manciata di minuti, poi la mente ha ripreso a correre verso quella che sarà la mia nuova dimensione. Autonomia. Sarà lei il mio asso nella manica, lei mi regalerà gioie e piaceri incommensurabili quali la rinuncia a compromessi o forzature. Probabilmente l’inizio di una nuova fase di vita porta con se’ sensazioni difficili da tenere a freno soprattutto se tenute in sottovuoto spinto per molto tempo. L’esplosione è inevitabile, il salto in avanti assai lungo. Autonomia. Gestirla sarà importante per evitare di perdere il contatto con la realtà, quella con cui sono stato forzatamente abituato a fare i conti per tutto questo tempo. Enzo è e rimarrà inchiodato a concretezza ed essenzialità ma a lui sarà incredibilmente permesso di sognare e forse, realizzare qualche sogno. Non mi voglio liberare di certe persone che ancora oggi fanno stancamente parte della mia vita, quelle nelle quali ho visto riflesso il mio insuccesso, la mia insoddisfazione. Non le abbandonerò. Voglio tuttalpiù spogliarmi di quella patina di abitudine, di consapevole accettazione di situazioni come inamovibili che mi ha ricoperto fino a formare uno strato piuttosto spesso. Tutto ora si può cambiare, tutto potrà apparire ai miei occhi sotto un’altra luce. Ora io posso decidere, posso scegliere, posso essere felice. Questo articolo di inizio anno pare dunque un inno ad una nuova vita; c’è in me la consapevolezza della scoperta di qualcosa di assolutamente nuovo, qualcosa di cui potrò meravigliarmi di giorno in giorno. Benvenuto allora 2011. Ho imparato a non credere più alle prime impressioni, alla facciata. Ma devo fidarmi, questo è certo. Se saprò dosare facili entusiasmi e razionalità il gioco sarà semplice.


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