domenica 26 gennaio 2014

Passaggio a Wordpress

Cambia lo stile, non certo il contenuto. Ho scelto la sobrietà, l’essenziale del contorno per valorizzare solo i contenuti. Il blog non chiude, non muore ma continua a vivere altrove. Cercatemi qua, miei cari lettori.

http://enzoedintorni.wordpress.com/

venerdì 24 gennaio 2014

Nel modo giusto

F

inisce una settimana assurda, pazza, odiosa. Finisce con uno sprazzo di blu e le montagne in bella vista, appena girato l'angolo che mi porta su Via Garibaldi. L'aria secca, il sole quasi tiepido, ma è quel cielo terso a cancellare d'un botto cinque giorni di carico pesante e nervi a fior di pelle. Basta poco. Ma è un attimo, nemmeno il tempo di goderti l'aria del Venerdì che sei già subito sotto terra; la metro non aspetta, poi risali ed eccolo là, il trenino. Chiuso nelle solite scatole di acciaio, provo a riordinare le idee; non è facile, forse il Venerdì mi aiuterà a pensare a ciò che di positivo il weekend porta con sé, ovvero i tempi che si allungano, le gambe che si fermano. Il cervello? Macché, quello vola sempre e non fa certo gite di piacere, ma sempre viaggi tortuosi. E' stata una settimana in cui non è mancato il dialogo, nel vero senso della parola. Quello che ti apre gli occhi sulla reale consistenza delle cose, su come dovrebbero essere ed invece non sono. Quando parli con una persona vera, la guardi negli occhi e in quegli occhi scopri di essere ascoltato. Bisogna guardarsi, porca miseria, usare le mani e soffermarsi sui gesti, dire un buongiorno e nel frattempo poggiare una mano su di una spalla. Tutto il resto sono balle. Sono lontano anni luce dall'accontentarmi di una chiacchierata virtuale: perdonatemi, forse mi pentirò ma ho già più volte detto che ho bisogno di dosare le parole. E devono essere importanti, profonde, dirette, reali. Il virtuale mi ha insegnato a teorizzare, facendomi dimenticare di avere una vita ( sebbene vuota ) e spingendomi nel baratro di una pseudo-realtà nella quale ho aumentato ulteriormente la percezione della mia solitudine. Cambiano le idee, muta la visione delle cose, non certo la sostanza. Ieri ad esempio mi sentivo all'inferno. Anche stamattina ho aperto gli occhi ben prima della sveglia e nella testa hanno girovagato i soliti fantasmi portatori di pensieri pesanti come macigni. La legge del più forte vince sempre ed il vincitore è sempre lui, il tempo. Mi alzo, faccio colazione, inizio l'ennesimo replay di un film già visto. Speranzoso di qualche spazio pubblicitario fatto di gesti e sguardi. Mi accontento, lo sto facendo nel modo giusto.



mercoledì 22 gennaio 2014

Non mi resta che ridere

D

a quel che scrivo non si direbbe; e chi mi osserva sarebbe pronto a smentirmi. Ma in questi giorni io rido molto. Lo faccio di nascosto, in silenzio, quando la stanchezza mi prende e appoggio la testa al sedile del solito regionale. Rido perché è l’unica soluzione. E’ una reazione al momento del tutto istintiva e autoprotettiva, finalizzata a non oltrepassare i confini dell’istinto sfociando nella rabbia. Che si può fare se non ridere quando la vita ti mostra solo contraddizioni? Vita vuota, lavoro troppo pieno e allora guai, mio Dio, guai fermarsi e…razionalizzare. Io che amo il cervello, mi compiaccio quando riesco a tenere le cose sotto controllo e voglio dare una risposta a tutto, devo difendermi. Perché sono la cosa più preziosa che ho e devo conservarla al meglio. Viene dunque il tempo in cui non puoi concedere alla testa e alla razionalità i momenti neutri della giornata; parlo di quegli spicchi di tempo davvero infinitesimali in cui ti viene concesso di alzarti da terra e guardare tutto dall’alto, con obiettività. In questi frangenti devo ridere. Rido di un riso indubbiamente sarcastico se non isterico. Perché quando penso alla realtà dei fatti non trovo un filo logico; non vedo la strada sotto i miei piedi, cammino spinto da qualcosa che chiamerei istinto di sopravvivenza. E forse è così che deve andare. Non sono mai stato il genere di persona capace di esternare sentimenti, non lo so fare a parole e nemmeno con i gesti; ma sono tremendamente emotivo e quando sono solo, dò il meglio di me stesso. E sebbene mi senta perso, senza un briciolo di senso dell’orientamento; sebbene abbia una paura tremenda del futuro, di ciò che potrà accadere a chi mi circonda e a cosa io potrò andare incontro, io rido. Faccio bene? Non prendo per i fondelli nessuno. Meno che mai me stesso. Non devo rendere conto ad alcuno del mio stato interiore e questo è un grande privilegio. Avevo proprio voglia di scrivere queste poche righe, a fronte di giornate davvero intense che scoperchiano una voragine fatta di contraddizioni ed inaccettabili stati di fatto. Perché prendermela con il lavoro? Perché lamentarmi di uno stato di cose che snerva, deconcentra, sfianca? Perché dire che sono stanco e non ce la faccio? Meglio ridere. Come lo so fare io, in modo discreto, quasi in un angolo. Dai, mettiamola così. 



lunedì 20 gennaio 2014

Benvenuto Lunedì

S

arebbe bello se funzionasse come tecnica: conto fino a dieci e poi penso all’opportunità di mettere nero su bianco, come faccio ora. La trovo un’ottima soluzione allo scopo di evitare reazioni istintive oppure farsi prendere dall’ansia. Arrivo qui e mi sfogo, niente di più semplice. Ormai la mente è fredda, le parole hanno perso consistenza e risulteranno moderate, comprensibili, niente affatto odiose e rabbiose. Questa mattina passeggiavo sul marciapiede nell’attesa di salire in carrozza e mi sentivo quasi contento che fosse Lunedì. Il weekend infatti se n’era andato con il suo carico di niente. Emotività ai minimi, partecipazione alla vita pari a zero. E allora benvenuto Lunedì, accogliamo a braccia aperte una nuova settimana di lavoro; la mente è occupata ed eviterò di pensare alle solite paturnie. Poi ti arriva tra capo e collo una di quelle giornate che non t’aspetti, che ti fa anche tornare indietro di qualche tempo, quando lavoravo a stretto contatto con il pubblico. Maledicevo la gente ma poi pensavo che era proprio rapportandomi a loro che la giornata scivolava via. Contraddizioni. Oggi ho pensato la stessa cosa: “Posso maledire un Lunedì che fino a qualche ora prima consideravo la panacea di tutti i mali?”. Perché il lavoro è il luogo dove butto tutto me stesso, forse troppo. Ed ho paura a dire quello che sto per scrivere. Forse il lavoro è la mia vita. Orribile, inaccettabile e persino falso. No, non lo è. Così torno a casa e mentre mi avvicino al treno ripenso a questa mattina: lo benedico o lo maledico questo Lunedì? Per quanto tempo ancora credo di andare avanti conducendo una vita assurda fatta di scartoffie e niente altro? Non so come mi sia venuto questo post, forse avrei dovuto provare il mio rasoio nuovo ed avrei evitato di buttare giù pensieri confusi. Ma se avessi deciso di scrivere qualche ora fa, probabilmente il tono dell’articolo sarebbe stato completamente diverso. Ho persino paura a pensare che con il tempo io stia diventando meno istintivo. Guai se quel briciolo di rabbia che ancora mi rimane lasciasse il posto ad un’inaspettata saggezza. Non posso accettare tutto, non posso far si che diventi regola. Oggi ha vinto la compensazione, domani si vedrà.




domenica 19 gennaio 2014

Castello di carte

C

i sono serate che entrano nel tuo piccolo mondo urlando e senza nemmeno bussare. Lo fanno per ricordarti che il tuo non è altro che un castello di carte destinato a cadere al primo alito di vento. A quel punto mi alzo indispettito dal letto e corro nell'altra stanza a chiamare l'orgoglio. Se non ci fosse lui sarei perso; il suo consiglio questa volta mi induce a non cadere nell'errore di cercare qualcuno, di far sentire il peso della mia solitudine. Sarebbe come ricominciare daccapo un cammino travagliato del quale da poco ho visto finalmente il traguardo. Così ringrazio il mio vecchio portatile che si surriscalda e si spegne. Quasi un segno del destino. Chiudi il mondo di plastica e vattene a dormire, sembra dirmi. E' quel che faccio. Non c'è persona in quella scatola che abbia mai potuto capire chi sono, ma non c'è alcun problema; ora ho finalmente un amico fidato, presente, immortale: si chiama orgoglio. Avranno magari ragione certe serate, quando mi sbattono in faccia la cruda realtà e sembrano sussurrarmi all'orecchio: “ lo sappiamo che vorresti essere fuori da qui, a farti venire un po' di quelle belle rughe che stanno al lato degli occhi”. Non le ho, lo so. Non le ho perché non sorrido mai. Avranno ragione. Il castello di carte sta miracolosamente in equilibrio, ma crollerà, ovvio che lo so. Potrei rimediare, potrei abbracciare la vita prima che sia lei a risucchiarmi nel vortice dell' “Oddio, cosa ho fatto?”. Dovrei chiudere bene le porte e serrare le finestre per evitare che certe sere mi vengano a trovare così ben armate di sincerità, di strafottenza, di verità. Non cerco, non chiedo, o almeno non è mia intenzione farlo mettendo nuovamente il piede nella palude del virtuale, da dove non riuscirei più ad uscire. Allora riparto da questa mattina uggiosa e statica, da dove sono rimasto prima di ieri, dall'assoluta indifferenza. L'ostentazione del malessere non giova, ancor meno l'esibizione costante degli alibi. Conta chi sei e cosa senti mentre spegni tutte le luci e vai a letto. E' lì che dovresti essere illuminato dalle soluzioni, dalle decisioni. E invece a volte ti addormenti ed è già di nuovo mattina; pazienza, ho paura che il castello di carte possa crollare, ma nel frattempo ho bisogno di restare in piedi. Io, e l'orgoglio.



giovedì 16 gennaio 2014

Viva il dialogo

I

n questi giorni di pioggia abbondante si segnalano inattese schiarite sul fronte del dialogo. Quello vero. Aggiungerei anche inusuali considerando il contesto nel quale si sviluppano le chiacchierate. Senza fare molti giri di parole, devo dire che questa cosa mi piace. Archiviata ogni speranza di ricredermi sulla possibilità di relazioni umane durature e profonde, mi resta, la voglia di parlare. Mi accontento di momenti fatti di incroci di sguardi, di piacevoli corrispondenze di pensiero, di attenta ed onesta analisi. Momenti, appunto. Ma belli, molto. Ho imboccato con serenità questo nuovo anno all’insegna delle poche parole ma buone, chiudendo in un cassetto lamentele e recriminazioni su questa o quella persona. Chi (vedi il sottoscritto) ha bisogno del dialogo come il pane, deve cambiare dieta. Ad esempio, nutrendosi della semplicità di un frangente, dell’intensità di una circostanza, della consapevolezza che, qualcuno in cui specchiarsi, esiste sempre. Squarci di sereno alla faccia di un cielo gonfio di pioggia e di quei pensieri ormai attaccati al cervello con il mastice. Ecco Enzo positivo, o almeno sereno. Lo dico a chi ne vorrebbe uno almeno propositivo, curioso di tentare altre strade, una volta tanto padrone di sé e delle sue idee. Un piccolo passo, ma pur sempre un passo. Non è facile arrivare al traguardo dove muore l’illusione senza aver sofferto; ancor più complicato accettare la realtà per cui nessuno mai nella vita potrà accompagnarti per così tanta strada da conoscere ogni tuo passo. Chi balzerà sul tuo cammino avrà, suo malgrado, perso un pezzo di te. Ed inevitabilmente darà la sua valutazione personale. Dovrai accettarla o almeno consentirle di fare un pezzo di strada con te. Si, triste realtà. Chi si è ritrovato sul mio percorso spesso ha dovuto affrontare ritrosie e diffidenza, inevitabili e comprensibili. E, in tutta onestà, anche una buona dose di testardaggine. La difficoltà a far conoscere una parte di me a coloro i quali si sono persi un pezzo, non nasce solo dalla paura di rivelarsi, ma dalla convinzione che chi ti circonda è inevitabilmente un egoista, come lo sono io. In altre parole ognuno scarica le proprie turbe sull’altro senza preoccuparsi di ascoltare: il gioco è fatto, siamo tutti soli. E allora, al bando l’illusione della presenza, del gesto encomiabile, dell’empatia. Viva il momento, chiunque tu abbia di fronte. Viva il dialogo. Dove, come e quando poco importa. 



lunedì 13 gennaio 2014

Niente da dire, tutto da scrivere

E

’ sempre bello scrivere quando avevi già programmato di non farlo. Il tempo è sempre ridotto all’osso, senza contare che non sempre hai qualcosa da dire. Nel mio caso, trattandosi di materia che arriva da dentro (da intendersi “interiore”), gli argomenti non cambiano molto di volta in volta. Se aggiungiamo che ormai ho messo in piazza tutto o quasi di me, cos’altro avrei da raccontare? Quanto ancora ho intenzione di sputtanarmi? Dal momento che non ho mai cercato lettori, tantomeno mi sono imposto di avere successo scrivendo le solite cazzate di me, deduco che pochi o nessuno si sia fatto un’idea maldestra del sottoscritto. Perché a pochi o a nessuno interessa. Ognuno di noi avrebbe teoricamente un mondo interiore da raccontare; quasi nessuno lo fa tenendo un diario. Il vero intimista riservato è quello che prima di andare a letto annota qualche appunto su un foglio e poi lo chiude segretamente nel cassetto. Tutto il resto è egocentrismo. Alla fine della fiera io sono proprio questo: un egocentrico. La solita premessa che non sa dove va a parare, l’altrettanto scontata conclusione. La voglia di scrivere è irrefrenabile, a prescindere dal contenuto, dalla missione, da ciò che potrebbe pensare la gente. Questo mio progressivo distacco dalle dinamiche virtuali mi sta giovando assai. Ed è questa una fase in cui osservo i protagonisti della piazza, li vedo e li leggo a volte, non lo nascondo, provando pietà. Io sono istintivo. Stamattina mi è preso lo “sghiribizzo” e ho cominciato a mandare messaggini su Whatsapp a persone che non sentivo da tempo. Poi, una volta chiusa la connessione internet mi sono detto: “Perché l’ho fatto?”. Non è da me farmi sentire, pronunciare un “come stai “ spontaneo. Di solito attendo, paziente, che siano gli altri a cercarmi. Poi quando lo fanno, istintivamente mi ritraggo. E ora sto ridendo. Lo faccio perché non c’è persona più strana di me, così volutamente pazza, decisamente insicura, fragile e straordinariamente imprevedibile. Poi ci si lamenta che non esistono persone interessanti in giro. Il gusto di far andare la penna (le dita) è proprio questo: scrivi sotto dettatura e chi parla è Enzo. Poi lasciate perdere quello che vedete, sentite o quello che vi dà da credere. La verità è qui. In queste parole. 






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