venerdì 29 aprile 2011

Amo i chihuahua

S
ono esasperato. Non ho proprio voglia di lasciarmi andare ai soliti noiosissimi, melensi e silenziosi articoli sull’Io e roba varia. Mi sono stancato di girare intorno alle cose, di cercare un perché, di provare ad essere un uomo vero, con le palle. Sono stanco di autoconvincermi che nella vita l’umiltà paga, che l’educazione porta educazione, che la dedizione alla causa rende orgogliosi. Io sono davvero stufo. In Italia esiste una consistente dose di persone che ruba l’aria al prossimo, toglie braccia all’agricoltura, ma ancora peggio priva dello stipendio chi lo merita. E’ il popolo dei fancazzisti, quelli che purtroppo agiscono sotto tutela da parte di coloro che si riempiono la bocca di belle parole; sostengono infatti di tutelare i lavoratori. Certo che lo fanno, peccato che scelgano chi tutelare e costoro sono sempre i soliti: i fancazzisti. Come soliti sono coloro che sanno, vedono, potrebbero e non fanno. La connivenza in questo caso è un crimine vero e proprio. Sono maledettamente stanco di essere preso letteralmente per il culo. Io sto contando i giorni che mi separano dal quel momento in cui, qualcosa cambierà. Ogni volta che mio padre o mia madre mi ricordano che il mio destino è nel carattere, mi va il sangue al cervello. Ma perché adesso, non essere capaci a fare il fancazzista è un delitto? Io non voglio e non intendo in alcun modo essere vittima di ciò che sono, sono in fase di ribellione, non posso pensare che io non abbia le palle per alzare la voce. Credo di aver già dimostrato a sufficienza di essere maestro nell’arte di farmi seghe mentali. E io non voglio accettare il fatto che per quanto io possa impegnarmi non riuscirò mai ad essere un bravo fancazzista. Perché mi brucia dirlo ma nella pubblica amministrazione, ci sono tantissime persone che si fanno un mazzo tanto ma altrettante che andrebbero prese per il collo e cacciate a pedate. Non sto di certo scoprendo l’acqua calda e lungi da me fare della retorica. Io parlo per me, parlo della mia situazione personale e di come risulti davvero snervante doversi accettare come agnello sacrificale. E preciso di non essere il solo, e che ( ne sono convinto ) l’unione farà la forza. A buon intenditor. ….Non c’è alcun dubbio, sono finito al momento giusto nel posto sbagliato. Fino ad ora non ho fatto che fare molta fatica a nascondere di non essere affatto soddisfatto. Di essere stato anche fortunato, è vero, ma al tempo stesso terribilmente sfigato nell’aver trovato ciò che temevo di trovare. Disorganizzazione, occhi volutamente chiusi, orecchie altrettanto volutamente tappate. Belle parole di accoglienza, sorrisi falsi, rassicurazioni mendaci. O mio Dio, in fondo 51 giorni non sono poi così tanti per imparare a diventare come loro. E non mi si dica che il carattere non me lo permetterà mai. C’era una volta un nano che volendo imitare i simpaticissimi chihuahua, per farsi ammirare decise di voler passare alla storia al grido di :“Al bando i fancazzisti.” Ma mi faccia il piacere, adoro sempre di più i chihuahua.

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giovedì 28 aprile 2011

Varie ed eventuali

E
poi capita che la notte porti veramente consiglio. E che senza un segno tangibile od un’illuminazione tu riesca a fare “mente locale” e ad abbracciare la vita. Errare è umano, dimenticare di soffermarsi sull’essenziale, su ciò che si ha, è decisamente diabolico. Non ho scoperto il senso della vita, ma di tanto in tanto ci si accorge che per capire quale sia la ricetta della felicità non ci vuole molto. Basta una notte, un’insignificante notte, corta come sempre, trascorsa nell’attesa di quella vibrazione che da sotto il cuscino ti ricorda che sei vivo. Così capita che ti alzi, e ti chiedi se due giorni trascorsi quasi interamente con la propria famiglia abbiano un senso; certo che lo hanno, e guai al mondo se ti permetti di rendere il tutto inutile. C'è dunque sempre un modo per afferrare la felicità, per impedire che ciò che con essa non ha nulla a che vedere ( il lavoro, ad esempio , ti renda sempre costantemente una persona scontenta. Quella mattina mi sono svegliato e, sebbene facessi fatica a trovare la direzione del bagno, trangugiassi due fette di pane e marmellata per puro istinto di sopravvivenza, ho capito che sarebbe stato importante fare qualcosa di utile per me. Ad esempio tutte le mattine, ricordarmi se ho goduto appieno di ciò che la giornata precedente mi ha offerto. Se mai, anche solo per un attimo, ho perduto tempo, magari discutendo per qualcosa di assolutamente inutile. Stare molte ore fuori di casa e tornarci sapendo di trovare qualcuno, è già qualcosa per cui vale la pena sentirsi fortunati. Lo so, sembrano riflessioni scontate. Negli ultimi tempi non ho fatto altro che lamentarmi, sono stato un incredibile rompicoglioni ( passatemi il termine “forte” ), ossessionato dall’idea di dover a tutti i costi riempire il tempo con qualcosa di solo apparentemente importante. E dimenticando che a volte, quelle poche ore a disposizione andrebbero mangiate e masticate molto lentamente. Una collega di lavoro la quale mi ha ormai “fotografato”, scherzosamente si diverte ad ammonirmi e a ricordarmi che nella vita esistono anche le “varie ed eventuali”. In effetti, come darle torto. Ci ho dormito sopra, continuerò a dormirci sopra fino a che non lo capirò. “Enzo, smettila di darti addosso, smettila una volta per tutte di pensare che tutto debba avere un senso e seguire un ordine preciso”. “Chi te lo dice che anche tre ore di vita al giorno non siano poi una carta da giocare a tuo favore?” Questione di approccio, di predisposizione. Sono ancora in tempo: ma mi viene istintivo giungere alla seguente conclusione: “ Il giorno in cui, senza alcun preavviso, senza quegli annunci che manifestano insicurezza io, smetterò di scrivere, ecco, quel giorno sarò guarito. Ora, se la mia collega leggesse ciò che ho scritto, con il suo solito fare diretto e conciso direbbe: “Enzo, ma vaffanculo!”.
 
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martedì 26 aprile 2011

L’osservazione

V
allo a capire, l’inconscio. Riconosco di stare facendo buoni progressi nella gestione delle giornate…diciamo….libere. Sto cominciando a capire cosa significa “lavoro” e cosa invece “vita”. Tracciare una netta linea di demarcazione tra le due cose probabilmente non è possibile, ma diventa necessario almeno provarci. Nonostante mi senta molto meglio e la sveglia cerebrale non mi costringa più ad aprire gli occhi all’alba (quando sono a casa), faccio sogni piuttosto agitati. Colpa dell’inconscio? Le ultime tre notti sono state piuttosto convulse in termini di attività onirica. Mi è capitato di sognare di trovarmi in situazioni nelle quali le sensazioni predominanti erano: paura, smarrimento, angoscia. Ma perché poi? In fondo sono tranquillo e non riesco davvero a capacitarmi di tanta e convulsa “vita” notturna. Non capirò mai il significato dei sogni sebbene l’argomento mi interessi tanto. Mi accorgo che trascorrono lunghi periodi durante i quali nulla o quasi sogno, di rilevante; altri invece in cui tutto ricorre con eccessiva frequenza. L’inconscio mi sta dicendo che la mia sensazione di benessere potrebbe essere solo apparente. E che magari la frustrazione e il disagio degli ultimi tempi li sto reprimendo troppo. Questo è quello che ho dedotto io, che è tutto ma può anche essere niente. Conta ciò che io sento ed è una piacevole ed inusuale sensazione di benessere. Voglia di vita, e di propormi: ciò è quel che avverto. Faccio tuttavia più fatica del solito ad analizzarmi, segno tangibile di una ancora intensa invasione del lavoro ( e delle sue grane ) nell’ambito della sfera privata. Mi sto illudendo che, quando finalmente riuscirò a scindere le due cose, avrò calma ed energie sufficienti per tornare a capire chi sono e cosa voglio. A voler essere cinici e realisti al punto giusto mi duole dire che ciò forse non accadrà mai. Potrò si, dilettarmi in qualche opera di scavo all’interno della mia coscienza ma sarà tutto fine a sé stesso. Se mi guardo intorno prendo atto che la mia vita va in una precisa direzione e che su quella strada continuerò il mio cammino. A cosa mi servirà ancora cercare spiegazioni? Semplicemente al solo scopo di trastullarmi e non perdere contatto con il mio Io. Guai, dico, permettere ad un evento (per quanto piacevole esso sia ) di distoglierci dall’osservazione interna. E’ il nostro punto di partenza per affrontare sempre nuove sfide. E allora provo a fidarmi dell’inconscio, provo a dare una spiegazione a quei sogni, cerco di interpretarli. Tranquillo? Forse si, forse no. Ho proprio bisogno di continuare ad osservarmi, a capire. Allora dico che è sempre meglio rimanere nel dubbio. Se credessimo di aver raggiunto una piena consapevolezza di noi stessi, saremmo vittime della superficialità e della noia. Sarebbe bello andare fieri della propria immagine interiore. Alla faccia di Narciso.
 
NARCISO

domenica 24 aprile 2011

Mamma quanto è alta! (Pasqua)

B
uona Pasqua, anche se tra qualche ora avremo archiviato anche questa. C’era da immaginarselo che ce l’avrebbe giocato qualche scherzetto, il tempo. All’inizio del mese, caldo estivo e puntualmente, quando serve, del sole nemmeno una traccia. Pazienza. Il cielo grigio, di questi tempi può anche starci, Pasqua non mi rende certo malinconico quanto Natale. Sembra sia sempre colpa della festa se ci sentiamo più nostalgici o altro ma in realtà a fare la differenza, nel mio caso, è il tempo là fuori. Natale piomba nel pieno della stagione grigia, quando il tepore del sole e gli alberi fioriti sono ancora molto distanti, troppo. E tutto fa brodo, come si dice. Pasqua, per quanto “bassa” sia, capita in un momento nel quale il cuore e la mente si aprono a nuovi orizzonti, nuove esperienze, per farla breve alla vita. Ragion per cui non mi sta rendendo lamentoso e nemmeno piagnucoloso questa Pasqua in solitario, sdraiato sul letto con la musica a fare da sottofondo. Perché mai dovrei sempre stare lì a piangermi addosso? Nella nostra famiglia le feste comandate non hanno mai un sapore particolare, non impongono cerimoniali di sorta o visite ai o di parenti. Siamo sempre qui, un po’isolati dal resto del gruppone di famiglia che se ne sta laggiù a 900 chilometri di distanza. Mi sento abbastanza bene, qualche giorno fa ho rivisto Elisa, dopo quasi tre mesi di assenza e sono rimasto rinfrancato oltre che notevolmente spronato a continuare sulla strada intrapresa. Mi accorgo che sono incredibilmente desideroso di parlare di tutto quello che mi è capitato negli ultimi tempi. Al di là di questo diario, raramente ho la possibilità di farlo. Il mio lavoro implica un costante rapporto con il pubblico che, se spesso risulta logorante, alla fine della fiera sviluppa ulteriormente la mia predisposizione al dialogo e al confronto. La mia responsabile mi ha più volte ( bonariamente ) ripetuto di non fare di ogni situazione che mi si presenta allo sportello un caso personale; di non farmi troppo coinvolgere. Parlando con Elisa abbiamo spesso fatto uso di un sostantivo che, a suo dire, ben mi si addice: umiltà. Sono effettivamente entrato in punta di piedi, ho fatto tesoro di esperienze passate, ho imparato che quel grande regalo che i miei genitori mi hanno donato, l’educazione, fa di me una persona rispettabile. Perché non è che valga molto la pena rendere la giornata lavorativa un tour de force fatto di litigi o malintesi continui che mi porterei poi, considerata la mia spiccata sensibilità, a casa. Si è inoltre parlato delle mie ultime preoccupazioni relative al tempo che sembra sfuggirmi dalle mani. Inevitabile che, superato il periodo di adattamento in cui ben poco ho razionalizzato di ciò che accadeva, io ora cominci a “ragionare” e a fare calcoli. Ho bisogno di non lasciarmi prendere dall’impulsività. E di riposare, quando ne ho l’occasione. E allora questa Pasqua mangereccia all’insegna dell’accidia, mi torna utile. Buona PASQUA a tutti voi.

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sabato 23 aprile 2011

Sfogliando Facebook

R
icordo che, tempo fa, appena iscritto a Facebook cominciai un’opera di ricerca di persone che comportò uno sforzo di memoria incredibile. Fui colto come da un raptus di morbosa curiosità. Andai alla ricerca di nomi e cognomi che in qualche modo avevano fatto parte della mia vita, provai a fare mente locale su situazioni, eventi, momenti condivisi con qualcuno che ormai con me e la mia vita non aveva più nulla a che vedere. Come molti pensai di avere trovato la gallina dalle uova d’oro. Che possibilità, quella di poter riunire tante facce con un solo click. Da allora però il mio rapporto con il social network più famoso, ha attraversato fasi alterne di amore-odio; la ragione l’ho individuata nell’approccio al mezzo, spesso sbagliato soprattutto se si sta attraversando una fase difficile. Ora che vivo con la necessaria leggerezza il mondo virtuale, cerco di trarre dalla rete quel che di meglio può offrire. Talvolta però ho come dei flash che mi riportano alla mente nomi, cognomi e situazioni. Istintivamente mi catapulto su Facebook e provo a cercare. E’ quello che è capitato ieri quando mi è capitato di trovare ( di ritrovare ) una persona cui sono stato molto legato. Non ho mai trattato della mia esperienza di “insegnante privato”, vero? Cominciai subito dopo aver conseguito il diploma e mi accorsi che non solo mi sentivo portato a farlo, ma la cosa mi faceva anche divertire. Non ricordo esattamente quanti ragazzi e ragazze ho seguito lungo le vacanze estive, o addirittura durante l’intero percorso scolastico. Ognuna di queste esperienze mi ha arricchito tanto. Rapportarti con i bambini, con i ragazzi lascia un segno se hai la fortuna di farlo in un ambito privilegiato come quello dell’insegnamento “personale e dedicato”. L’esperienza che sicuramente più ha segnato è stata quella di Andrea, un ragazzo dai mille problemi, dalle grandi difficoltà di apprendimento legate ad una situazione familiare “particolare”. Furono tre anni “pieni”, spesso arrivai ad essere coinvolto nella sua situazione quasi più di quanto risulterebbe un padre. Quando, arrivato alla fine del suo percorso, decise di smettere di studiare, ne fui dispiaciuto. Persi le sue tracce per poi ritrovarlo un giorno d’estate: mi raccontò di avere iniziato a fare sport, di cercare di studiare per imparare un mestiere. Ieri l’ho cercato. E l’ho trovato: la sua bacheca mostra foto nelle quali stento a riconoscerlo. Lo ringrazio per aver ( forse inconsapevolmente ) reso pubblici i suoi album fotografici. Rivederlo mi ha “toccato”. Ora ha quasi 19 anni, io l’ho lasciato che ne aveva 12. Chissà, spero per lui che tutto vada per il meglio. Certo che Facebook a volte, qualche bella sorpresa te la regala. E soprattutto mi ha dato lo spunto per parlare di un’esperienza, quella dell’insegnamento, davvero importante e formativa. Ciao Andrea e in bocca al lupo per tutto.


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giovedì 21 aprile 2011

Caro amico ti scrivo...

N
el corso della mia lunghissima esperienza di corrispondenza epistolare, prima cartacea poi elettronica, ho conosciuto moltissime persone. Una consistente parte di esse non hanno mai avuto un volto animato, spesso tutto si fermava all’impatto emozionante che provocava la busta dallo spessore insolito: quella busta conteneva una foto. L’avvento della posta elettronica ha bruciato il senso ed il gusto dell’attesa ma ha centuplicato le possibilità di contatti. Ho provato ad immaginare quante parole, quanti francobolli, quante battiture ho accumulato in questo lungo periodo e quanto, tutto questo “lavoro” abbia giovato. Il tempo ha permesso una selezione naturale che ora mi vede ancora in contatto con quelli che io ormai chiamo “gli amici di sempre”. Quel lungo elenco di persone presenta tuttavia un denominatore quasi comune: si tratta di amici lontani dal mio luogo natio e dove attualmente vivo, persone con cui per molte volte ho sognato di trascorrere anche una sola giornata in compagnia. Può non essere così strano e paradossale il fatto che la maggior parte di quelli che io reputo amici non siano fisicamente a me vicini, a tal punto da non aver mai nemmeno visto un’espressione disegnarsi sul volto. In un periodo della mia vita nel quale sento enormemente il bisogno di dialogare ( mi basterebbe una di quelle serate passate davanti ad una birra, poi ad un’altra ed ad un’altra ancora..), provo ad immaginare a quante persone potrei dire grazie. E non mi lamenterei mai più, ne sono sicuro! Molte di loro mi hanno spesso messo in guardia dal fatto che un’amicizia epistolare ad un certo punto richiede qualcosa che la completi: un incontro. Spesso per colpa mia, per via del mio umore ballerino e delle problematiche che mi affliggevano, rendevo tutto inutile. Volevo, desideravo enormemente divagare, andare al di là del mio solito mondo fatto di nulla, ma poi, al momento opportuno, mi ritraevo. Oggi potenzialmente posso dare di più. E oggi, mi diverto a pensare di poter riunire in un unico momento tutte queste persone attorno a me e ne conterrei davvero tante. Potrei essere davvero soddisfatto di me stesso, di come sono stato paziente e capace di creare una fitta rete di gente con cui ho parlato di tutto. Siccome io sono bravo a cercare sempre in me stesso la causa del proprio male, mi sono detto che in fondo questa strada me la sono scelta io. E che se ad un certo punto della mia vita ho fatto della corrispondenza una fonte dalla quale abbeverarmi senza limite, ora devo accontentarmi. Che poi, sapere di avere persone su cui poter contare sempre non è accontentarsi. Di paradossale c’è che non sono riuscito a gestire i rapporti più facili, quelli nati qui, quelli che “ti vedi, ti senti, ti fai una birra insieme”. Pazzesco. Sono giunto alla conclusione che la corrispondenza mi ha aiutato a farmi conoscere partendo da dentro; cosa che spesso, le amicizie del luogo o che vivi quotidianamente non ti consentono di fare. Ma è la mia idea. Ho ancora tanti amici con cui provo disperatamente a rimanere in contatto nonostante il tempo. Vorrei incontrarvi tutti, anche una sola volta. Lo meritate, sarebbe sempre un’emozione impagabile.
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martedì 19 aprile 2011

Che barba che noia..

I
l mio professore d’Italiano non digeriva i miei temi. Ne ho già parlato, forse dedicandogli un articolo all’interno del mio vecchio blog. Non so, non mi piace richiamarlo alla memoria perché non era nemmeno simpatico. Ora, io non ricordo affatto come scrivevo quando avevo tra i 15 e i 18 anni; probabilmente lasciavo andare la penna con la stessa scioltezza con cui uso oggi la tastiera ma, a differenza di allora noto un particolare. Ed è un particolare non di poco conto: leggo e rileggo ciò che ho scritto, prima di pubblicarlo. Con ogni probabilità questo importante accorgimento mi sfuggiva a quel tempo; la voglia di riempire il foglio e l’assillo di doverlo consegnare nei tempi facevano il resto. E’ vero che questo non è un tema, ma semplicemente una personalissima esposizione di sensazioni ma provo a mettermi nei panni del mio prof e immagino di dover non tanto controllare la forma dello scritto, quanto la sostanza. Mi sono riletto molto negli ultimi tempi, e mi sono davvero annoiato. Questo blog continua ad essere il mio specchio, non mi tradisce affatto. Probabile che se non avessi l’accortezza di rileggermi non mi accorgerei di quanto certi pensieri sono pesanti da leggere. Ma più che preoccuparmi del lettore ( chiedo venia, non è per egoismo… ) dovrei seriamente temere per l’autore. Eh si perché parlo di me, e quel che scrivo non sono fregnacce, ma la pura verità. “Che barba che noia”, davvero. “Ah Enzo ma quanto sei palloso”. Ma credetemi, me lo ripeto in continuazione. Dovrei cominciare a non rileggermi più: al diavolo la forma, tanto non devo certo partecipare ad un concorso letterario, no? Ma la sostanza…Eppure, come faccio a negare importanza al mio diario personale; magari a volte ci trovo anche dei consigli, ma spesso finisco con il non sopportarmi. Ma questa scoperta mi piace, davvero! Quante volte ho desiderato di conoscere qualcuno capace di affrontarti con onestà, utilizzando l’arma della franchezza e quella sfacciata sincerità che è tipica della persona che realmente ti vuole bene. Esiste qualcuno di tal fatta? Dubito. E allora mi leggo e qui trovo la persona che con grande sensibilità, senza sotterfugi e in modo lampante mi dice le cose. Mi dice cosa faccio, dove sbaglio, mi suggerisce le soluzioni. Questa persona sono Io. Bene, ci voleva tanto a capire che questo blog non è altro che la mia coscienza? Continua a leggerti Enzo, continua a raccontare noiosissime tematiche esistenziali che magari ai più poco interessano, ma fallo! Se proprio mi tocca ascoltare il mio Io qui, comodamente accucciato su un fetido sedile di prima declassata, poco importa. Tutto ha del paradossale: sarebbero ben altri i momenti, totalmente diverse le situazioni che conciliano un dialogo con la nostra coscienza. Io lo faccio così. Un attimo….rileggo ciò che ho scritto…………Credo che il mio Io ne abbia le scatole piene di dovermi rendere conto. Se smettessi di interrogarlo forse si sentirebbe meno perseguitato. Accidenti, non posso farne a meno.

casavianello

lunedì 18 aprile 2011

Contraddizioni

I
ncredibile come un’ora, anche una sola, possa sembrare un’eternità. E lo dico in senso positivo. Un treno che quasi mi aspetta, nonostante io me la sia presa comoda non avendo affatto voglia di correre e di arrivare trafelato pur di arrivare a casa un’ora prima. Mi sono detto che, se proprio avessi dovuto farcela, non avrei dovuto rischiare l’infarto. E ce l’ho fatta. Arrivare a casa un’ora prima del previsto capita assai raramente, e mi permette di respirare, persino di rilassarmi prima di mangiare e ritornare a dormire. In quest’ultimo periodo continuano a ronzarmi intorno voci che vorrebbero il mio bene e che mi consigliano di trasferirmi a Torino. Posso dire di non avere voglia in questo momento di prendere una decisione così importante. Sapevo che arrivato a questo punto del percorso, il lavoro e le sue grane avrebbero costituito la normalità, il solito tran tran che ad un certo punto sarebbe diventato “abitudine”. Non mi sbagliavo. Forse ancor prima del previsto tutto sembra essere sotto controllo, ritengo dunque di aver raggiunto quella stabilità che agognavo e che mi avrebbe poi permesso di concentrarmi su altro che non fosse necessariamente una pratica di residenza. Così è infatti, altrimenti non avrei ricominciato a parlare e a trattare in modo pedissequo di vita sociale, di pochezza di stimoli, di noia e di apatia. Insomma, è il solito giro di giostra, per dirla citando il buon Terzani. Questo giro sull’ottovolante iniziato quattro mesi orsono sta terminando e come sempre la sensazione è quella di un forte giramento di capo accompagnata dal timore che ora, per un altro lasso di tempo indeterminato io ricominci a viaggiare sul solito binario morto. Non ho mai pensato che un così grande regalo come il posto di lavoro avrebbe cambiato radicalmente la mia vita. Sapevo che, se mai si fosse realizzato questo sogno avrei avuto dalla mia parte un bel bagaglio di opportunità. Nel senso che mi sarebbe stato concesso di scegliere. Se ora quel che mi si chiede è una scelta di vita, beh, mi prendo tempo. Sono tristemente consapevole che, come ripetuto mille volte, non ho nulla da perdere a tagliare i ponti con il passato. E’ il momento di guardare oltre, e non ho paura di prendere decisioni, semplicemente ora non me la sento. A volte penso che io voglio cio’ che in realtà non voglio. Desiderare qualcosa di nuovo, ambire ad una nuova vita di relazione costituiscono bellissimi propositi e legittimano anche una certa dose di arrabbiatura quando non vengono confortati da risultati concreti. Ma a me capita pure che, di fronte ad una flebile possibilità di cambiamento, io mi ritragga. Che stia poi bene nel mio guscio? La qual cosa oltre a preoccupare rende il sottoscritto l’essere contraddittorio per eccellenza.
 
contraddizione

domenica 17 aprile 2011

Peccati capitali

V
oglio dedicare questo articolo all’apatia, all’astenia, all’accidia, alla noia, allo scazzo. Sono qui, come un deficiente davanti a questo insulso schermo, cercando di fare zapping tra i soliti siti che ormai conosco a memoria. Sto raschiando il fondo del barile. Devo trovare qualcosa di utile da fare per occupare il pomeriggio, magari potrei fare ordine in qualche armadio dove regna la confusione. Parlo di vecchi cellulari, vecchie macchine fotografiche, vecchie radio. Tutto è vecchio e tutto è stato nel frattempo sostituito con qualcosa di nuovo, totalmente inutile, ma nuovo. La legge della compensazione. Voglio proprio vedere cosa riesce ad uscire, cosa riesco a scrivere succhiando la totale apatia di questo momento. Un altro inutile weekend se n’è andato. L’illusione la coltivi inconsciamente durante la settimana: perché alla fine del tran-tran lavorativo pensi che tu abbia diritto ad avere piacevoli momenti che ti aiutino a liberarti di pesanti zavorre. Ma so bene che, tra una pratica e l’altra, quando l’orologio segna le 16, quando quel maledetto elimina code dice che nessuno più è in attesa, nulla succederà da lì a qualche giorno. Ho voglia di lamentarmi oggi. Ieri beneficiavo di una particolare predisposizione al ricordo, e mi sono anche addormentato facilmente. Questa Domenica ha un altro sapore. Mi risveglio pensando che forse avrei fatto un bel po’ di ore di straordinario al lavoro; avrei avuto una giustificazione e ci avrei anche guadagnato. L’apatia e l’astenia prolungate stanno lentamente montando su la voglia di dare un taglio netto. Potrei trasferirmi. Io a questa città non chiedo nulla, non devo nulla, nulla ho da perdere qui. Ma se quando non avevo la possibilità di farlo sognavo di andare altrove, ora che ciò mi è concesso sto ancora a titubare? Non ho paura di quello che mi riserva il futuro ( ora no ) né mi incute particolare timore il fatto di ripartire da zero. Che qui sono già a zero e non dovrei fare tanta fatica. Quel che forse non si riesce a capire è che se solo qualcuno potesse conoscere anche una sola delle persone che frequento, deciderebbe che tapparsi in casa è il male minore. Nei momenti di lucidità mi rendo conto che la parola d’ordine in questi casi è: pazienza. Ne ho fin troppa. Sono anche stufo di guardare sto bicchiere mezzo pieno, sono arcistufo di cogliere l’attimo, sono del tutto indifferente alla vita sociale. Il dilemma è grande: sicuramente a breve andrò a vivere per conto mio, ma dove? Opterò per la convenienza e l’utilità e mi sposterò vicino al luogo di lavoro o sceglierò di fare questo passo qui, dove in realtà non vorrei nemmeno esser nato? Sono assai lamentoso, negativo, e pessimista. Grazie mio caro blog, che per dieci minuti mi hai dato la possibilità di sfogarmi. Mamma mia ,è ancora molto presto. Dormi Enzo che ti fa bene, dormi.
 
accidia

sabato 16 aprile 2011

Un morbido giaciglio

S
tasera ho tanta voglia di nostalgia. Ho voglia di lasciarmi andare e di farmi cullare dai ricordi, quelli belli. Voglio rilassarmi, non voglio pensare a nulla, nemmeno alla serata in pizzeria volutamente boicottata per evitare si trasformasse nella solita lamentela del dopo, fatta di: “sempre tutto uguale”, “ nessuno stimolo”, “che gente di merda”. Un po’ come chi, per tirarsi su si dà al cioccolato, o si fa coccolare da qualche massaggio tonificante, io questa sera mi lascio avvolgere dai buoni pensieri. Che sono soltanto miei, che apparterranno ormai al passato ma fanno sempre comodo. Siamo o non siamo noi anche un po’ il risultato delle nostre esperienze trascorse? C’è nel passato molto di noi e di come agiamo ora, vero? E allora per una volta mi concedo il lusso di abbandonare quella visione della vita che ti impone di afferrare il tempo, di mangiarlo e trangugiare tutto alla velocità della luce per goderne l’essenza vera. Sarà anche un’ottima filosofia ( di cui in questi ultimi tempi sono un fanatico assertore), ma finisce col bruciarti ogni energia, ogni minimo attimo di riflessione. E chi l’ha detto che, alla faccia di un presente contraddittorio, non ci si possa concedere un bel tuffo indietro nel tempo? Sono dunque nostalgico, e me ne vanto. Cosa mi manca? Mi manca ciò di cui spesso mi lamento, quello che Voi, amici lettori mi avete più volte ricordato prima o poi sarebbe arrivato. E arriverà, lo so. Ma questa sera, a ripiombare nel passato io ci provo gusto perché non c’è alcuna vena malinconica nel mio agire, alcun volere a tutti i costi ciò che è stato e non tornerà. Lo faccio alla faccia della pochezza che spesso mi circonda. E’ come se volessi ricordare a me stesso quanto sono capace di circondarmi di persone positive e che quando ciò è accaduto tutto aveva un sapore buonissimo. E io assaporo quel dolce ricordo che mi regala una sensazione di benessere invidiabile. Si, è vero, vivo perennemente aggredendo il tempo, lo faccio mio, a volte è amico. Manca tuttavia quello che vorrei: avete presente le lunghe chiacchierate in macchina con l’amico o l’amica del cuore? Serate lunghissime che pensavamo non finissero mai, che volevamo non avessero potuto mai finire. Quelle scale salite con la stanchezza addosso ma con il cuore libero, e con la soddisfazione di aver dato e fatto tutto ciò che ci era concesso. Si si, sono nostalgico, ma sorrido al pensarmi piacevolmente immerso in quella vita che ora non è più. Questa sera sapevo che avrei boicottato una serata assolutamente uguale a molte altre. Quando mai mi sarà concesso di sentirmi ancora così? Sarebbe meglio avere meno tempo per pensare e più per agire? Chi l’ha detto. Ci sto bene nel mio lettone di ricordi. La pizza? Sarà per un’altra volta..

giovedì 14 aprile 2011

Sole in faccia (danni permanenti)

A
vvicinarsi al luogo di lavoro non è mai qualcosa di entusiasmante. Io in un certo senso me la prendo comoda, mica guido io. Raggiungere Torino ha comunque un certo fascino, le montagne ti si parano innanzi piano piano, ti regalano uno speciale benvenuto. A volte penso a quanto siano ipocrite: si manifestano in tutta la loro bellezza quando i cieli tersi ne svelano la magia incantata poi, diventano cornice e scenario del tuo luogo di lavoro. Ma che colpa ne hanno loro? Trofarello è situata sulla linea ferroviaria Alessandria-Torino e annuncia l’ingresso in provincia. Qualche giorno fa la mia testa ciondolava paurosamente; solitamente quando decido di leggere ho un’autonomia di circa venti-venticinque minuti, quando invece mi sparo musica a palla nelle orecchie resisto quasi fino a destinazione. Un paio di giorni orsono era il turno del libro; a svegliarmi un potente quanto piacevole raggio di sole che sembrava puntasse solo il sottoscritto ( a dispetto del famoso detto secondo cui l’astro per eccellenza bacia i belli..). In quel preciso istante, al di là della bellissima sensazione provata ho dato spazio alla fantasia e mi son detto: “ Pensa se il sole potesse decidere di illuminare ogni giorno una persona a suo supremo ed insindacabile giudizio, oscurando tutti gli altri”. Ognuno di noi probabilmente avrebbe la possibilità di godersi totalmente quella unica possibilità, giocando tutte le proprie carte, rischiando tutto il possibile senza timore di essere giudicato ( gli altri, tutti, sono in ombra ). La luce ci guiderebbe, non subiremmo alcun condizionamento, finiremmo finalmente per essere noi, per volere ciò che realmente vogliamo. Mi piace pensare che per essere davvero sé stessi in fondo occorre essere anche un po’ megalomani, e credersi illuminati da una luce particolare che nasconde nell’oscurità il mondo che ci circonda. So che si tratta di affermazioni astruse e senza alcun senno, ma non voglio creare metafore che poi hanno nella retorica il loro tratto tipico. Sto solo lavorando di fantasia, provo a mettere insieme qualche idea partendo da un evento del tutto normale. Sappiamo bene quanto noi, le nostre idee, il libero arbitrio siano purtroppo fortemente condizionati da ciò che sentiamo e vediamo. Probabilmente bisognerebbe ciascuno sentirsi illuminato da luce propria; essa ci condurrebbe su di una strada che è inevitabilmente quella. Ma così non avremo più possibilità di scegliere, di confrontarci, giusto? Noi e solo noi, vivendo a compartimenti stagni. Soluzione inumana, innaturale. Abbiamo bisogno di altre luci, abbiamo bisogno di guardarci intorno. Allora perché ho fatto tutto questo ragionamento? Per contraddire me stesso? Ma no, ho solo voluto cercare di inculcarmi il convincimento che in effetti, tutti abbiamo bisogno di tutti, ma quando è il momento delle scelte, delle decisioni, bisognerebbe spegnere l’interruttore e guardare avanti. Noi luce, gli altri, oscurità. Vogliamo essere noi stessi sempre e comunque? Non facciamoci accecare dagli altri soli, facciamo finta che siano tutti in ombra. Ma cosa ho scritto? Probabile che quella vampata di luce sul viso mi abbia provocato danni permanenti.

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martedì 12 aprile 2011

Stallo

N
on succede nulla o almeno ne ho l’impressione. Nulla sembra che accada intorno a me in quello che chiamo il mondo materiale. Uomini, donne, persone che si muovono a ritmi frenetici che si spostano affannati da un treno all’altro, che si dannano l’anima sul posto di lavoro ( o almeno alcuni di essi ). Non accade niente di nuovo quindi. Questa è la vita ordinaria, abitudinaria, battuta in modo scontato dai soliti tempi. Io sono parte di questa grande sceneggiatura e recito il mio copione. Che è un po’ uguale per tutti. La giornata finisce in men che non si dica, per la gioia indescrivibile delle mie meningi, per la pace delle mie orecchie. Se dico che nulla accade di nuovo, credetemi, è così. Leggo Tiziano Terzani da qualche giorno e cerco di farlo con la concentrazione necessaria per apprendere il meglio di questo libro che mi fa compagnia durante le scorribande ferroviarie. Prendo il mio posto quando il treno è ancora vuoto per cui spero sempre la fortuna mi assista e non mi appioppi rumorosi e rompiballe tipo studenti universitari che a fine giornata hanno solo voglia di svaccarsi ed urlare. Apprendo molto da questa ultima lettura. Ciò che accade di nuovo è tutto qui. E traggo spunto da un breve passo per ricordare a me stesso che è importante provare a guardare la situazione attuale ( e tutto ciò che essa regala in termini emotivi ) con gli occhi con cui la guarderei magari tra dieci anni. E mi sento leggero, mi scivolano letteralmente addosso le grane, le idiote affermazioni di capi incompetenti, le grottesche situazioni che nascono dal non voler vedere la realtà, dal non voler sentire quelle che sono le ragioni di una situazione difficile. Il lavoro è questo. Non me ne frega nulla, lo sto guardando con occhi diversi. Forse se quattro mesi fa, preso dal terrore e dalle angosce di ciò che è nuovo ed ignoto avessi imparato a guardare tutto con gli occhi di adesso, avrei sofferto meno. Pazienza. C’è tutto un mondo intorno e io un po’ me ne sbatto. Il corpo suda, gli occhi sono stanchi, questa è la situazione. Dimentichiamo dunque ciò che è materiale, si tocca, si vede e passiamo a ciò che è invisibile. La situazione sembra apparentemente tranquilla. Sto cercando di non forzare in alcun modo le riflessioni, non voglio spingere la sonda troppo giù perché probabilmente troverei modo per far risalire alla luce qualche problema. Ma se scrivo questo articolo è perché ( come sempre ) ho voglia di scrivere. Passa magari un giorno senza farlo poi mentre sei sull’autobus e ti guardi intorno, pensi; vedi e rivedi le stesse facce, le stesse case, gli stessi negozi che ormai hai fotografato fin nei minimi particolari. Divago allora: la realtà al momento è questa. Nulla di nuovo. Se fosse il lavoro a suggerirmi argomenti di riflessione mi preoccuperei seriamente; ho imparato molto in questi mesi, in questi ultimi anni. Solo cuore ed anima: le fonti da cui solitamente attingo sono a secco. Vedremo, ogni giorno è una scoperta, eccezion fatta per il regionale per Torino, per il 52 e per le rotture di scatole lavorative.
 
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domenica 10 aprile 2011

I furbetti del quartierino

I
o non amo i “furbetti del quartierino”. Ce ne sono tanti, nelle alte sfere così come tra i comuni mortali. Io ne conosco molti e ultimamente giocoforza, mi imbatto in quelli “da treno”. I furbetti in questione sono alcuni Universitari sbarbatelli che si possono permettere di stare tutta la settimana fuori sede e che al Venerdì, tornano a casina. Salgono sul “15.20” o sul “17.20” in attesa a Porta Nuova e dopo aver poggiato il loro blasonato sedere sui sedili della solita prima declassata, cominciano a distribuire oggetti vari su quelli circostanti. Chi vuol intendere, intenda. Insomma, a Porta Nuova salgono un fottio di pendolari che stanchi e magari trafelati perché imboccano il treno all’ultimo momento, girano alla ricerca di un posto. Alla domanda “Sono liberi quelli?”, la risposta è sempre la stessa : “No, sono occupati”. A Porta Nuova ieri pomeriggio sono passati circa 50 -60 passeggeri ( li ho contati ) che, a quella risposta, hanno scelto di proseguire alla ricerca di altri sedili liberi. Poi, finalmente è arrivato un omone grande e grosso riccioluto, sudato e probabilmente incazzato il quale all’ennesima odiosa, irriverente risposta degli sbarbatelli risponde con tono greve: “ Occupati? Io non vedo nessuno”. E questi, per niente intimoriti: “Teniamo i posti delle nostre ragazze che salgono a Lingotto”. “Ah si?”, con tono sempre più greve replica il riccioluto. “Ora aspetto che arrivino”. Purtroppo per lui, nel frattempo le due sbarbate giungono. Bacino ai due presuntuosi e..tac, il loro nobile sedere finalmente trova di che riposare. Golia, sconfitto da Davide. Sconfitto da una mania che io mal sopporto e che spesso contagia le signore attempate dei parcheggi ( dei supermercati soprattutto ) che “prenotano” il posto per il marito imbranato alla ricerca di un ricovero per la sua auto. I furbetti del quartierino, ma anche un buon 80% di soggetti disposti a sopportare anche un piccolo sopruso e solo l’1% di coloro disposti a reagire. Solitamente agli occhi dello sbarbatello, o della donna attempata, la reazione del singolo incazzato quasi infastidisce, il più delle volte il tipo in questione passa per il classico rompicoglioni. “No, è occupato”, “No, è occupato.” Che poi ci vuole costanza e una cospicua dose di faccia di bronzo e a ripeterlo. Rimango seduto sul “Torino-La Spezia” circa un’ora prima che si muova, ritardi permettendo. In questa occasione mi è venuto d’istinto scrivere di una della tante scene e situazioni strane che il treno ti regala. Quella del furbetto del quartierino, quella del venditore di disegni, quella della signora che sfogliando un libro di medicina improvvisamente scoppia in una grassa risata, quella del finestrino chiuso a metà, dal quale cadono in successione alcune viti che mi sfiorano il viso. Vagoni che perdono i pezzi, ma che lasciano pezzi di storie da raccontare qui, una calda domenica mattina di Aprile.
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sabato 9 aprile 2011

Duecento!

L
ungi da me celebrare o celebrarmi. Ma questo è il mio duecentesimo post e vorrei evitare di ripetere tutto quanto già affermato in quello che segnava il traguardo “100”. Per curiosità sono tornato a leggerlo individuando nel 22 Settembre la data in cui lo scrissi; dunque sono trascorsi quasi sette mesi da allora e se considero che questo blog nasce intorno alla metà di Luglio posso concludere che scrivo meno, almeno così sembra, calcoli alla mano. Ma si parla di numeri e i numeri qui ( almeno qui, sul mio diario ) hanno la rilevanza che hanno. Questo “duecentesimo” mi permette di fare un evidente quanto scontato raffronto con quel 22 Settembre deducendo che di cose, ne sono cambiate da allora. Dunque, faccio mente locale ( anche se mi basterebbe leggere gli articoli del periodo ) su ciò che in quella fase mi turbava. Si perché, io metto sempre in conto che qualcosa che mi renda un tantino agitato c’è sempre. Ah, ricordo bene che quello non era un gran momento soprattutto a livello familiare a causa delle precarie condizioni di mio zio che, se ne sarebbe andato da lì a 10 giorni. Ricordo tuttavia molto bene come nonostante intorno a me ruotasse un clima di grande tensione, agitazione, ansia e paura io avevo un obiettivo chiaro e preciso da raggiungere. Sarebbe meglio dire, una speranza. Mancavano pochi giorni all’esame orale del concorso e sebbene tutto sembrasse rendere impossibile ogni forma di concentrazione, mi sentivo come un vero e proprio saltatore ad ostacoli. Tutto però potevo immaginare meno che da lì a qualche mese la mia vita sarebbe radicalmente cambiata: preciso bene, solo sotto alcuni punti di vista. Questo “duecentesimo” articolo non vuole dunque essere celebrativo del blog in sé: risulterei contradditorio ed ipocrita nei suoi confronti visto che ne parlo a volte bene mentre in altre vorrei ucciderlo. Voglio solo approfittare di quest’aria particolare che aleggia intorno all’articolo “in fieri” per ricordare e ricordarmi che quel 22 Settembre probabilmente aveva il sapore amaro dei giorni tutti uguali, senza una reale finalità, senza un concreto costrutto. Magari le parole non erano in grado di trasmetterlo ma io so bene come mi sentivo. E sempre probabilmente quel 22 Settembre avrei fatto carte false per ritrovarmi ora, 9 Aprile a scrivere questo post con la leggerezza con cui lo sto facendo, con la mente così dolcemente accarezzata da un sottilissimo vento di serenità. Con la nobile ed insostituibile sensazione di essere finalmente utile, di poter coltivare anche il più stupido progetto. Oggi 9 Aprile, sono 200 articoli: a pensarci bene, non è poi tutto questo merito; che ci vuole a scrivere di sé, a riportare per iscritto ciò che un bravo maestro ( il cuore ovviamente ) detta con precisione svizzera. Tutto facile quindi. Meno per voi che mi leggete.

giovedì 7 aprile 2011

Alta pressione

A
ppena uscito dall’edificio dove lavoro ( erano circa le 16.30) sono stato investito da un’onda di calore spropositata. Potevo scegliere se avviarmi a piedi verso Porta Susa ( poi metro ) oppure salire sul primo “52” che passava. Ho optato per la seconda ipotesi e non l’avessi mai fatto: all’interno ho avvertito una seconda, ancor più intensa ondata di caldo ( misto a sudore ) che ha portato la mia pressione ai minimi. “Cominciamo bene”, mi sono detto. Se il buongiorno si vede dal mattino, quest’estate sarà micidiale. Ora, placidamente accomodato sul sedile in tessuto blu della solita prima declassata provo a mettere in ordine quattro pensieri. Lo faccio più che altro per distrarmi dal gruppone di amici che ha occupato i posti di fronte a me e quelli laterali. Sono totalmente, irreversibilmente stanco. E barbuto. E’ stata una di quelle giornate in cui al mattino pensi che farai una fatica assurda ad arrivare alla fine ed invece succede l’impensabile. Oggi ho avvertito nettamente la sensazione di essere più macchina che uomo. Una pratica via l’altra, richieste di qua e di là, tutte affrontate con splendida lucidità ed efficacia. Chissà poi da dove mi arriva tanto ardore gratuito, talvolta non proprio richiesto e nemmeno frutto della mia proverbiale disponibilità. Penso sia dettato innanzitutto dalla voglia ( legittima e naturale ) che la giornata arrivi presto al termine; cosa che ( devo riconoscerlo ) il lavoro di sportello agevola non poco. Ora è questo caldo a preoccuparmi. Sono mentalmente proiettato al più che imminente esordio sui pedali, ma mi auguro che almeno per quanto concerne i miei spostamenti su rotaia, si attenui. Dicevo della giornata di oggi che mi ha visto macchina più che uomo o semplice impiegato. Che la conoscenza sempre più approfondita del lavoro mi stia rendendo davvero bravo a tal punto da piacermi? E poi perché domandarmelo? Stamattina, stare sul “52” aveva un altro sapore ( e soprattutto un altro odore! ); potevo tranquillamente indossare il mio giubbottino di tela e la mia camicia senza patire alcunchè. Questo mi ha permesso di non affrontare il tragitto inutilmente. Mentre i miei occhi inebetiti fissavano i portici che scorrevano veloci ed il profilo delle montagne nascosto dalla foschia, pensavo che, sono il peggior giudice di me stesso. Quello che in modo meno obiettivo dice chi sono. E credo che gli altri in fondo vedono me come io mi vedo. Ma non sempre. Provavo ad immaginare ( e ciò mi ha fatto sorridere –chissà se qualche passeggero lo avrà notato- ) quanto sarebbe bello sapere che nessuno, nessuno mai mi ha visto e mi vede come in realtà faccio io. Due esseri completamente diversi, quindi. Ci specchiamo in noi stessi e ci sputiamo addosso sentenze inappellabili. Che madornale errore. Incontriamo migliaia di volti nel nostro cammino. Forse basterebbe l’opinione di uno solo di essi per farci ricredere. Io sono io per me, un altro io per gli altri. Possibile no? Il gruppone è finalmente sceso. Godo di questi ultimi minuti di silenzio prima di abbracciare una doccia rigeneratrice. Non fate caso ai miei pensieri, prendete sempre tutto con le molle. Oggi sono macchina e poco uomo.
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mercoledì 6 aprile 2011

Il mio nome è Vincenzo

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l mio nome è Vincenzo. La tradizione meridionale vuole che i figli portino il nome dei nonni. Nel mio caso è stato scelto quello del nonno paterno. Ma non avevo grandi alternative: se i miei genitori avessero optato per quello materno mi sarei chiamato Lorenzo. Forse lo avrei preferito. Non so, il suono mi piace di più e non è per una questione personale del resto mio nonno Lorenzo io non l’ho mai conosciuto. Se n’è andato quattro anni prima che io venissi al mondo. E così, benvenuto Vincenzo! Io da sempre sono Enzo per tutti, tranne che per le cartacce e la burocrazia che ti impone di firmare con il nome registrato allo stato civile. Ora che il lavoro mi impone di fare circa una cinquantina di autografi al giorno mi ricordo di chiamarmi Vincenzo. Ho subito messo in chiaro ai colleghi che io sono e sarò Enzo. Ieri, 5 Aprile ho festeggiato il mio onomastico, San Vincenzo. A questo punto mio nonno in onore del quale porto questo nome ha deciso di comparirmi in sogno. Che strana coincidenza vero? Può essere che lo abbia fatto per uno strano gioco dell’inconscio visto che ieri si è spesso parlato di lui. Lo vedevo solo in estate quando con tutta la famiglia ci armavamo di valigie di finta pelle, un frigo portatile per ristorarci e un'auto dalle improbabili prestazioni e via, novecento chilometri in direzione Puglia. I ricordi di mio nonno sono tutti lì, conservati all’interno di sgualcite fotografie in bianco e nero dove io, riccioluto e con occhi da birichino stavo beatamente tra le sue braccia forti. Le sue gambe spesso erano il mio cavalluccio al quale non riuscivo a rinunciare. Mi è tornato in sogno e non ha detto una parola, l’ho visto e mi sono detto: “ Ma, ma, tu sei ..nonno!” Era sereno, camminava all’interno della nostra casa con passo deciso e forte. Mi capita molto raramente di sognare persone a me care che se ne sono andate ma indubbiamente il fatto che lui sia “tornato” proprio ieri mi porta a fare conclusioni di diverso tipo, a sbizzarrirmi nell’immaginare ogni possibile ragione. Dunque, vorrei solo dirgli che Enzo è solo un diminutivo, incredibilmente facile da pronunciare e altrettanto semplice da ricordare. Ma non ti ho dimenticato, nonno. Altri tempi. Cosa dedurre da un sogno? Nulla. Semplicemente mi piace pensare che forse devo smetterla di ricordare ai miei che avrei preferito chiamarmi in questo o quel modo e di aver ostinatamente voluto rispettare una tradizione che ormai è superata. Altri tempi, ancora. Dunque, il mio nome è Vincenzo. Ma ovviamente Voi continuerete a chiamarmi Enzo, tanto mio nonno lo sa bene che non ho nulla di personale contro di lui. Se non ci fosse stato come avrei potuto ricordarmi di quel vecchio chiosco della piazzetta assolata dove per poche lire andavo a comprarmi i soldatini. Come avrei potuto abbracciarlo quel giorno d’estate in cui la nazionale vinse i mondiali nel lontano 1982. Ciao nonno, torna a trovarmi, mi raccomando!

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martedì 5 aprile 2011

La solita solfa

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iciamo che è la solita nenia. L’immagine ormai è quella, sempre maledettamente la stessa: gentilezza, disponibilità, cortesia, quasi totale assenza di movimenti della testa che esprimono un rifiuto. E’ noto e arcinoto che si tratta di qualità del tutto inutili e spesso controproducenti soprattutto sul luogo di lavoro. Di tutto questo sono cosciente ( ed è triste affermarlo ) ma ancora non sono riuscito ad affilare le armi. Io non so quanti di voi (spero il meno possibile) riescano a ritrovarsi in questa tipica immagine di uomo debole, senza alcuna reazione, passivo e del tutto in balia dei propri fili. Quali fili? Quelli che io stesso, burattino, muovo, senza che siano altri a farlo. Incredibile no? Io sono la vittima dei miei stessi movimenti. Ma tutto questo è arcinoto, mi sembra. Chissà se, qualcuno di voi si è riconosciuto in questa descrizione ( continuo a sperare siate in pochi ) e chissà se quel qualcuno, improvvisamente abbia notato quello che ho notato io. Vi è mai capitato alla fine di una serie di “Si, ok, non c’è problema, non mi disturbi lo faccio volentieri” di affermare con decisione un “No”, di lamentarvi pure, di ritenere di non potere perché è obiettivamente impossibile? Cosa avete avuto in cambio? Nel mio caso, un muso lungo, un rimprovero, un’accusa di mancanza di sensibilità e per finire l’evidente intenzione di mantenere le distanze. Me lo dovevo aspettare. E io ho tutta l’intenzione di rivoltare a mio favore tutta questa grottesca manfrina. Ho deciso di rinunciare al trasporto a Porta Nuova via pullman e ne ho approfittato per fare una bella quanto salutare camminata. Ci ho pensato su, e mi sono mentalmente ripetuto più volte: “Sono superiore, sono superiore, sono fallibile e superiore”. Apparentemente ciò parrebbe contraddittorio ma la coscienza della propria fallibilità e un’ottima medicina per l’accettazione non solo degli umani sbagli in campo lavorativo ma anche della propria sensibilità e predisposizione alla sofferenza. Essere superiore o meglio, sentirsi pensante e maturo quanto basta regala poi un’aurea di indifferenza che dovrebbe trasmettersi al prossimo. In questo caso il prossimo è un’anziana collega ( attenzione, uso il termine “anziana” in senso spregiativo ) con la quale d’ora in poi sarò perfido. Ci riuscirò? La devo ringraziare enormemente per avermi ancora suggerito quanto sia davvero stupido apparire in un certo modo. Anzi, quanto sia del tutto sconsigliabile essere sé stessi sul lavoro. La maschera, ancora la maschera. Ma dove cavolo l’ho nascosta? Riuscirò mai ad indossarla? Io diffido di coloro che dispensano complimenti a iosa, senza conoscerti. Sono esseri pericolosi, li temo quasi più di quelli che sempre non conoscendoti, ti giudicano male. In entrambi i casi non sono particolarmente delicato, perché alla base di certe valutazioni affrettate c’è la mancanza di desiderio di conoscerti a fondo. Si tratta dunque di persone che rimangono nel grande cesto dei rifiuti ove ho già gettato molti altri. Il lavoro però è un ambiente nel quale bene o male si deve vivere, non necessariamente convivere. Grazie anziana collega dall’umore ballerino e dalla frustrazione imperante. Come già qualcuno mi aveva ( in modo molto lungimirante ) riferito: “M., se la conosci la eviti”. Oggi l’ho conosciuta e grazie a lei ho conosciuto ancora un po’ il sottoscritto.

domenica 3 aprile 2011

Cibo e fiori

I
l weekend non lasciava presagire nulla di buono. Lo sciopero dei treni mi aveva costretto a “giocarmi” un giorno di ferie e a rinunciare alla gita a Mantova programmata già da tempo. Il viaggio di ritorno di Giovedì è servito ad elaborare la piccola delusione e a programmare al meglio i giorni a venire. Istintivamente avevo ripiegato sulla Domenica al mare poi ha prevalso un certo senso del dovere che mi ha imposto un’altra soluzione: il cambio stagione! Non amo molto le fasi “né carne né pesce” come quella che stiamo attraversando. Il caldo ultimamente è davvero esagerato, l’escursione termica particolarmente forte. Quei maglioni di lana, le sciarpe, i pantaloni felpati ormai non servono quasi più per cui… Ho quasi portato a termine l’operazione ingrata quanto necessaria e devo dire che mi sento meglio. Ho ovviamente organizzato tutto in modo da lasciare spazio ad una Domenica spensierata che, partendo da Mantova e passando per il mare, ho trascorso in campagna. Non credo di ricordare l’ultima volta in cui ho pranzato in un ristorante. L’abitudine, la prassi è sempre la stessa: il Sabato sera, cena o pizza. Questa volta, complice la fantastica giornata di sole ho optato per un bellissimo agriturismo a non molto di strada da casa e, una volta tanto, la scelta si è rivelata strepitosa. Ma è incredibile il fatto che a pranzo io riesco a mangiare molto meglio e in quantità più abbondanti rispetto alla cena. Tralascio il menù ( di per sé, spaziale ) e mi soffermo sulle sensazioni, come piace a me. Totale abbandono, questo è quanto. Immerso nella natura, nel silenzio più totale, con i galli e le galline uniche voci a fare da sottofondo. E poi quella assenza ( se pur apparente ) di pensieri, quella unica ed insostituibile sensazione di positività. Ho poi deciso di fare tappa presso un piccolo paese nei dintorni dove si teneva una interessante rassegna ( esposizione ) di fiori e piante. Un brulicare di bancarelle e persone tra le vie del piccolo borgo. Mamma che caldo! Ma che piacere finalmente camminare a passo di gallina e con la luce che ti accompagna fino a tardi. Già mi immaginavo quelle strade deserte al mio prossimo passaggio in due ruote; si perché ho la seria intenzione di modificare molti dei miei percorsi, non dimenticando tuttavia tratti a me cari ma ad alcuni di voi sconosciuti perché nuovi lettori di questo blog. Mancano pochi giorni alla mia prima uscita, so per certo di iniziare (con la nuova stagione sui pedali) un tratto di vita che mi regalerà ricordi ed immagini con cui riempirò la mia sempre cara valigia. Quella che, durante l’inverno ho spesso aperto per portare conforto ai momenti “no”. Io amo questa stagione, amo questo nuovo vento di vita. Sto bene, sono sereno.

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sabato 2 aprile 2011

Un sorriso

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i è capitato in questi giorni di rivolgere il pensiero ad un recente passato fatto di paure, angosce, ignoranza del futuro. Ed ogni volta si è dipinto sul mio volto un sorriso. Un’espressione compiaciuta, consapevole, serena. Mi sono sentito come colui che attraversa un fiume su di un ponte di legno il cui appiglio è una sottile cordicella. Posato il piede sulla sponda opposta, il passo diventa sicuro, la schiena assume una posizione eretta, la testa alta quasi a voler cercare il prossimo ostacolo, l’ennesimo ponte da attraversare. E di quel traballante “passaggio” ? Nulla, solo un piacevole ricordo. Sensazioni che hanno il sapore della maturità, della conquista, mi permetto di dire…della serenità. Quindi, ho imparato tutto? Assolutamente no. Quando credi di aver dominato anche i più acerrimi nemici, quando a volte la vita ti sembra fin troppo facile da vivere ecco, il prossimo ponte. Sarà sicuramente un mattino di primavera avanzata a rendere i miei pensieri così pieni di positività. Mi sono sempre fidato delle sensazioni, di quelle che hanno tale forza e vigore da tradursi in un’espressione del viso che concede un sorriso. Quel sorriso che molti mi ricordano non esibire quasi mai, passando per il solito noioso riflessivo asociale. Rido, spesso lo faccio di gusto. Ma c’è grande differenza tra una bella risata che sintetizza un necessario momento di leggerezza ed un sorriso che nasce da un’emozione. La mia mattina quindi è scorsa tra un lavoro massiccio sul corpo fatto di pesi, corsa e tanto sudore ed un brulicare di sensazioni positive che mi hanno reso, felice. Mamma che parola! Il mio sorriso di stamattina l’ho rivolto ai meravigliosi colori della natura al di là del vetro: mandorli in fiore, magnolie, il fiume che finalmente ha assunto un colore più naturale. L’ho rivolto a quelle strade che tra poco finalmente abbraccerò inforcando la bici. Mi chiedo cosa voglio trasmettere attraverso questo articolo: non è facile. Dovrei essere un bravo poeta od un romanziere affermato per dare un’idea del tutto. Sono rari, rarissimi gli attimi in cui la mente raggiunge livelli di totale abbandono: in questi frangenti il “non pensare a nulla” è una pura illusione. Semplicemente ci sentiamo capaci di vivere i nostri pensieri in totale lucidità, in assoluta obiettività. E' così che, tutto quello che torna alla mente assume un sapore diverso, tanto da disegnarci un bel sorriso sul volto. Non posso che essere ottimista. Altri ponti da attraversare, altre incerte e traballanti cordicelle cui appigliarsi. Qual è il problema? Prima o poi mi si disegnerà un sorriso sul volto. Attendo fiducioso.

venerdì 1 aprile 2011

Cambio stagione

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o comprato un nuovo portatile. Non so se ne avessi poi realmente bisogno per cui posso affermare con sufficiente sicurezza si tratti di uno dei soliti acquisti compensativi. Non sarà così certo per la nuova bici che farò mia il prossimo Sabato. Pedalare è una passione, stare troppo tempo davanti ad uno schermo ibrido e freddo no di certo. Ma come faccio a non riconoscere che questo è il mezzo di comunicazione primario, oggi. E oggi, se non hai il computer ,non interagisci, non comunichi soprattutto non puoi con sistematica contestualità, pensare e scrivere. Mi stavo aggirando per casa durante un anonimo ed insolito Venerdì di vacanza ( a proposito, un ironico “grazie” a Trenitalia lo devo..). Dovevo riposarmi, volevo farlo ma poi, come sempre trovo qualcosa da fare, dalla più sciocca a quella apparentemente più utile. Insomma, mi muovo. In casa, però. Sono poi uscito, e ho fatto il mio acquisto. Mentre mi trovavo in auto fermo al semaforo mi sfreccia un ciclista in tenuta tattica: “ E io che ci faccio in macchina?”, mi son detto. Ah, è vero, sto andando a comprare un portatile che mi costringerà ancor più a perdere molto del mio tempo chiuso tra le mura domestiche. Ecco, farò due acquisti nell’arco di quindici giorni: uno, simbolo di evoluzione ma terribilmente freddo l’altro, archetipo della libertà tanto agognata nei mesi invernali. Come si conviene ad un perfetto cambio di stagione nell’armadio, si dovrebbe, con l’arrivo della bella stagione chiudere e riporre con cura tutto ciò che ricorda l’inverno. Dunque, al bando le serate a casa al calduccio del camino o del piumone, un caloroso ciao alle sciarpe, un sentito grazie ai nostri computer, compagni di tante chiacchierate e momenti di telematica condivisione. Via. Facciamo spazio a tutto ciò che e deve essere vita all’aria aperta, proviamo a recuperare un po’ di aria e ad interagire dimenticando tastiere e mouse. Retorica spicciola. Mi aggiravo da queste parti e, guarda il caso, il pc era acceso. E guarda caso c’era pure una sedia pronta che aspettava qualcuno si accomodasse. E sempre guarda caso, c’era un foglio di word aperto che aspettava solo di essere riempito. Non posso odiare questo strumento. Si certo, sono tanti i momenti in cui mi sono sentito tradito e beffeggiato da uno stupido semplice schermo. Ma poi, ho scoperto che questo foglio di word fa miracoli e che dietro a questo schermo, a parte la parete della mia stanza e la mia vicina di casa rumorosa qualcuno c’è. Basta immaginarselo e lavorare di fantasia. Se poi, alla fine di questo articolo potessi anche solo condividere una birretta e raccontare di oggi davanti ad occhi che ti guardano anziché ad una risoluzione che uccide le mie pupille….Chiedo troppo. Tempo al tempo.

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