sabato 30 luglio 2011

Obiettivi di un’estate

O
biettivo principale era quello di tenermi lontano il più possibile dal blog e da ogni forma di contatto virtuale, almeno lungo tutto il percorso dei miei quindici giorni di vacanza. Non è che non volessi far sapere come stavo trascorrendo questa fase, semplicemente avevo bisogno di vivere al massimo la realtà. Che poi quest’ultima avrebbe avuto un non so che di beffardo, questo io non potevo immaginarmelo. Sono a metà del mio percorso “reale” e a questo punto mi sono sentito in dovere di gettare qualche pensiero al riguardo. Pur sapendo che di vacanza vera non se ne sarebbe potuto parlare, ho inizialmente affrontato la sfida con il piglio giusto, buttandomi a capofitto in quelle che sono le mie passioni più grandi, a cominciare dalla bici. Rimpiango un po’ di non aver fatto alcun resoconto delle uscite da Venerdì ad oggi, perché ce ne sarebbe da raccontare. Bado al sodo e dico che io della mia bici sono sempre più innamorato. Sono davvero cotto. Non so come spiegare l’amore che provo nella pedalata. Guardarsi indietro, scoprire che sarà impossibile che passi un’auto su quella strada e cominciare in tutta libertà a fare qualche gimkana osservando, alzandosi in piedi sui pedali lo spazio circostante. Eh, non ce n’è. Questa è liberta'. E ancora devo dare, ancora devo scoprire nuovi percorsi. Quel contachilometri segna già quasi 500. Prendere un po’ di colore, avere un aspetto più consono alla stagione è poi un ulteriore piacere cui non mi sto sottraendo. Frutto di pomeriggi trascorsi nelle varie piscine della zona che, devo riconoscere a volte ti fanno dimenticare di essere in città. Vedi tanta gente, e capisci che poi, non tutti sono là, in qualche paradiso tropicale a spassarsela. Tornare a casa, vivere a casa più ore del solito ha provocato qualche cedimento a livello emotivo, lo ammetto. Evidentemente questa fase vacanziera si sta rivelando un ottimo test; mi sto rendendo conto di quali e quanti benefici il lavoro mi sta portando. Per carità, la mia famiglia non ha colpe, ma spesso mi sono soffermato a pensare e a chiedermi come mai, pur avendo tanto tempo libero a disposizione io mi senta fin troppo solo. E allora, quella vita di cui mi lamento non poter vivere a causa del lavoro? Esiste poi? Forse no. E questi giorni ne sono la riprova. Sono tornati spesso i fantasmi di un tempo, sono tornate le elucubrazioni. Attenzione, si è trattato di momenti assolutamente passeggeri ma che, come sempre mi hanno fatto riflettere. Se si ha una vita da vivere, quale migliore occasione di una bella vacanza per farlo? Per recuperare tutto. L’obiettivo è stato e sarà sempre star bene ed in pace con me stesso. Obiettivi di un’estate. Provare dunque a capire cosa è bene e cosa no, ma mai dimenticando che sono io, il punto di partenza. Riparto, e mi vado a godere altri nove giorni di relax.



 

martedì 19 luglio 2011

Tortellini, salame e cioccolata

U
ltimamente il 16.20 sembra aspettarmi. Tutto frutto del caso, naturalmente. Entrata al lavoro senza “sforo”, pausa pranzo senza “sforo”, l’autobus che arriva nell’esatto momento in cui tu esci. Con tutti questi indizi a favore, a volte dubiti che il destino ti possa giocare un brutto tiro. Quando sali sul 16.20 l’impatto è devastante; è un treno in partenza, quindi i posti da occupare sono veramente pochi. Ben altra la musica sul regionale che parte un’ora dopo e che io ho sempre l’onore (?) di “abitare” per primo. Ma si sale, perché arrivare a casa prima non ha prezzo. Oggi mi sono seduto sul primo sedile libero, al fianco di una signora ( credo diretta al capolinea – Piacenza -) che sembrava avesse già intavolato un certo tipo di discorso in tema di tortellini con quella seduta di fronte. Non avevo voglia di ascoltarla e mi sono iniettato musica nelle orecchie. Solitamente, una volta giunto ad Asti il treno si vuota. Ed è stato così, ma non per le due signore dalla chiacchiera facile che, dai tortellini erano nel frattempo passate al salame felino. Roba mangereccia, discorso interessante, ma non quando il tuo unico desiderio è cibarti di silenzio. Faccio che alzarmi e passare al lato finestrino del trittico di sedili a fianco. Ora che ci penso, non mi siedo mai sul sedile lato finestrino: ho preso questa abitudine in inverno, per evitare di essere esposto agli spifferi. Mi sono seduto dunque, e in posizione di mento sorretto dal pugno mi sono messo ad osservare fuori. Non ho distolto lo sguardo un attimo; osservavo, pensavo e osservavo. Le due signore continuavano a parlar di cioccolata, ma io nel frattempo ero in uno stato di trans come se fossi un ciccione che non può ascoltar parlare di cibo se no ingrassa. Le nuvole erano grigie e basse. Di tanto in tanto un minuscolo spicchio di azzurro che produceva un magico risultato: una strana luce riflessa sui colori della campagna, ne esaltava i contrasti. Piatta questa campagna. E poi guarda che tempo, a Luglio. Riflessioni in merito ad una pazza estate che viaggia in perfetta sintonia che con le mie, di bizze. E allora magari ci sta tutto: ci sta che in una pazza estate io mi trovi a vivere una serie di situazioni fuori di testa. Mal comune mezzo gaudio, tutti i pezzi sembrano incastrarsi perfettamente fino a formare un puzzle la cui immagine finale è il caos. Ma voglio salvare questa mezz’ora di riflessioni davanti al finestrino, complice una luce prolungata di cui sarebbe meglio godere fino a che ci è concesso.
 

domenica 17 luglio 2011

Istruzioni per l’uso

N
on è il caso di raccontare l’uscita di oggi. Il cielo era di un grigio scurissimo osservandolo dal balcone lato cortile. Affacciandomi però su quello lato strada, i nuvoloni lasciavano spazio a qualche squarcio di sereno. Ci ho provato, e mi sono messo in strada. Ma non si può pedalare con la paura che al primo tuono tu sia costretto a tornare indietro. Dunque ho subito abbandonato la prospettiva di raggiungere la meta prevista; rimanendo vicino a casa ma pedalando comunque in modo intenso avrei potuto ottenere un buon risultato. E ce l’ho fatta. Trentadue chilometri e soprattutto non una goccia di pioggia. Ah, a proposito, i nuvoloni sono ancora lì ma niente acqua. Questa pseudouscita in due ruote non ha intaccato più di tanto il mio morale. La prospettiva di quindici giorni di ferie smorza ogni possibile pericoloso abbassamento di umore. Nella mia situazione la parola “ferie” produce un suono stridente. Ma credo che, con un minimo di organizzazione potrei ottenere un risultato soddisfacente. Precedenza assoluta ai pedali: sto progettando di uscire un giorno sì ed uno no, rigorosamente al mattino per evitare colpi di calore e produrre il massimo. Importanza anche al sole, e quindi approfitterò di intere giornate per starmene spaparanzato su di un lettino ascoltando musica o leggendo un libro. Devo prendere colore, l’abbronzatura mi mette di buon umore e mi aumenta pure l’autostima. Insomma, mi piaccio di più. Sto inoltre progettando un paio, forse tre, uscite per visite varie. Come ogni anno farò la mia puntata verso le Cinque Terre, una delle zone marine che io amo di più. E vorrei inoltre non privarmi della possibilità di respirare un po’ di aria di montagna. Tante idee, e dai, è bello sfogliare la guida anche solo per una gita di un giorno. Non mancherà la visita culturale e in previsione c’è il Castello di Agliè, nel Torinese. Insomma le idee non mancano. Ferie: parola grossa. Mi piace solo l’idea di organizzarmi tutto in completa solitudine o quasi, che poi il più delle volte è la condizione migliore per viaggiare in santa pace. In fondo questa è un’estate del tutto particolare e ogni piccolo viaggio sarà come un momento di respiro ad interrompere l’apnea che dura ormai da mesi. Proviamo a goderci fino in fondo questi giorni allora, le istruzioni per l’uso le ho . Ah, piccolo particolare: ho ancora una settimana di lavoro…Bleah.
 

sabato 16 luglio 2011

Fallo da dietro

A
vevo programmato un weekend tutto sole e relax. L’idea era quella di trascorrere il Sabato in piscina per cominciare a dare colore ad una pelle riflettente per poi proseguire, Domenica, con una salutare pedalata. Ebbene il primo piccolo progetto è saltato. Cielo grigio e temporali in vista. E finalmente dopo tanto mi faccio una bella e sana risata. Riesco a malapena a capire ( ma ci provo con tutte le mie forze ) che di tanto in tanto il dispetto di Dio ( sia esso assolutamente veniale, sia invece di difficile sopportazione) debba essere in qualche modo esorcizzato, magari con una risata. Mi prenderete per pazzo, ma a me viene anche un po’ da ridere. Quella famosa nuvoletta Fantozziana…..E sarò anche ripetitivo nel ricordare a me stesso che sono umano e non alieno, e che quindi come tutti gli esseri umani non potrei programmare nulla della mia vita, neppure il giorno successivo a quello che sto vivendo. Perché non si sa mai… Visione catastrofica? Ma figuriamoci, tremenda realtà. Ma cosa sarà mai un pomeriggio in piscina saltato per colpa delle bizze del tempo? Nulla, una tremenda cazzata. Ma cosa sarà mai una vacanza saltata o le ferie andate a quel paese per un paio di dispetti di Dio, mica tanto poi veniali.. Non è nulla, ce la dobbiamo prendere? E con chi? E allora provo a tagliare trasversalmente la sequenza di eventi affrontando tutto con autoironia, dandomi del Fantozzi. Ci sono cose peggiori nella vita no? Ad esempio quando Dio ti sgambetta da dietro, a tradimento. Tu non lo vedi arrivare, il suo passo è felpato però ad un certo punto, mentre cammini tranquillamente ( lamentandoti quasi della monotonia di una vita ordinaria ) ecco che …”TAC!” una bella falciata. Ci sono, ora comincerò a ridere di ogni cosa che mi capiterà, qualunque sia il colore del codice, bianco giallo o rosso. A me non importa molto di risultare tedioso in questi giorni. Questo diario deve specchiare perfettamente ciò che sento perché io, questo diario lo vado spesso a rileggere e così farò sempre. Io prendo lezioni dalla vita, le metto giù su questi fogli e, qualora mi fossi perso qualche passaggio, vado a dare una bella ripassata. Dunque, come sempre mi perdo nei meandri di pesanti elucubrazioni. Ero partito così bene, limitandomi a qualche goccia di quotidianità ( Sabato in piscina, Domenica in bici )e ho finito per fare il solito panegirico. Ora è anche uscito un minuscolo raggio di sole. Pazienza, mi rendo utile, accompagnando mamma a fare un po’ di spesa. Provo ad organizzare una bella pedalata mattutina per domani??? Nooooo, non sia mai. Se ce la farò, ne avrete una prova qui.
 

giovedì 14 luglio 2011

Il giorno più lungo

I
l 14 Luglio di un anno fa dedicavo un post a questa data, ricordando un piacevole incontro a coronamento di una bella amicizia epistolare. Esattamente 365 giorni dopo mi tocca “celebrarla” nuovamente, per ben altri ( e meno piacevoli) motivi. Mentre stamattina, immerso nella pace delle 5.45, attraversavo a piedi i viali silenziosi che mi conducono alla stazione ho avuto modo di pensare: “ Ho percorso, mi dicevo, questo viale quel caldissimo 14 Luglio del 2003”. Ero sereno. “Ora invece avverto un mix di sensazioni tra lo sconcerto e la rassegnazione”. Venti minuti mi separano da casa al treno e guardando qua e là i palazzi ai lati del viale continuavo a chiedermi il perché. Perché di tutto questo susseguirsi di eventi concentrato in così poco tempo, perché un disegno così preciso e dettagliato da impedirmi di individuarci un seppur minimo errore. Tutto sembra perfettamente organizzato affinche’ io pure debba raggiungere livelli di perfezione mai pensati. Affinchè io possa attraversare questo mare in tempesta con la sola forza della mente. Oggi sapevo che sarebbe stata una lunga giornata. Probabilmente il giorno più lungo da quel 2 Ottobre, quando mio zio se ne andò. Sapevo che oggi sarebbe stato difficile lavorare e fare la solita bella faccia. Ho prodotto molto come al solito, molto più di altri. Ma a darmi la spinta non è certo il senso del dovere. Lavorare lontano da casa, in attesa di notizie, potendo a malapena distrarsi da un maledetto lavoro per il quale ti chiedono di dare tutto in nome di un obiettivo, diventa snervante. Le notizie sono arrivate, e non sono così belle. Oggi ho toccato il fondo. Ho mangiato poco e male, sono uscito dall’ufficio scegliendo una passeggiata rigenerante che si è però rivelata un boomerang. Il caldo e il mal di testa hanno fatto il resto. Non credo, anzi sono sicuro che questo 2011 non mi darà tregua. Sono ben lontano dall’Enzo forte che si beava della propria capacità di gestire tutto, anche solo per la necessità di aiutare chi ha bisogno. Il giorno più lungo. E chi si dimentica questo 14 Luglio. Ti ho celebrato di nuovo, evidentemente dovevo farlo per sfogarmi come sempre. Io comunque continuo a chiedermi il perché di tutto questo, conscio del fatto che non avrò risposte. Ma sapete, fermarsi anche solo dieci minuti nella disperata ricerca di una spiegazione mi fa sentire padrone della situazione. Anche se so bene quanto poco o niente dipenda da me, da noi in generale. Sono sul 16.20, preso al volo. Non so cosa pensare. La nave tiene, ma temo cominci ad imbarcare acqua.

mercoledì 13 luglio 2011

Il muro

V
ago senza meta. Sono completamente assorbito dal lavoro, vengo spremuto e strizzato. Qualcuno “importante” ha detto che sto tirando fuori il carattere. Ci devo credere? Non ha tutti i torti. Sono piuttosto nervoso sin dal mattino per cui se mi provochi, trovi terreno fertile per essere decorosamente mandato a quel paese. Sto tirando fuori il carattere nel senso che ci sono voluti 40 anni ed un posto di lavoro fisso per rendermi una persona forte e capace di dire No, facendosi rispettare. E siamo solo all’inizio. Probabile che se mi trovassi ad avere a che fare con persone di un certo tipo nella vita di tutti i giorni oggi saprei come barcamenarmi. Diventare forti ( io direi piuttosto, freddi ), porterà dei vantaggi. Ma il rovescio della medaglia c’è sempre. Sono freddo, stanco, e soprattutto apatico in ogni forma di relazione sociale. Mi sento talmente forte da non provare sentimento alcuno. Ho chiaro un obiettivo: trascorrere quindici giorni di ferie in assoluto relax. Altro che prenotare alberghi, sfogliare riviste di viaggi, decidere cosa mettere in valigia. Non è cosa di quest’anno. Dopo che mi sarò riposato si tornerà alla solita vita lavorativa di merda. Ahi, non posso cominciare a ragionare in questo modo, finirei per autocommiserarmi. Quindi soffermiamoci come sempre sullo stato di fatto e facciamo ordine: sto tirando fuori le palle, non c’è dubbio. Vorrei non farlo visto che il prezzo da pagare è trascorrere 8 ore litigando. Vabbè, dobbiamo soffermarci sull’aspetto positivo della cosa. Probabile che debba ancora fare un bel po’ di gavetta, e credetemi, le occasioni non mancheranno. Ora proviamo ad isolare il lavoro dalla vita di tutti i giorni. In questo preciso momento della mia vita, essere freddi e impassibili aiuta molto ad affrontare situazioni delicate in cui l’eccessiva emotività potrebbe giocare brutti scherzi. Mi preoccupa la freddezza con cui sto gestendo alcuni rapporti datati con persone ( poche ) alle quali devo molto. Sento cioè di non avere tempo per loro, di dover pensare solo a me e a tutto il casino. C’è quindi qualcosa che non torna. Ricordo il mio obiettivo di qualche mese fa: riuscire ad innalzare un muro tra vita e lavoro. Non riesco a lavorarci su questo progetto. E intanto sto mandando a benedire situazioni a cui tengo. Cavoli, è un bel casino.
 

lunedì 11 luglio 2011

Un anno di parole

I
l mondo di Enzo nasce l’11 Luglio di un anno fa. A dire il vero la mia esperienza di blogger parte un paio di mesi prima con “Tutto ciò che ho dentro”. Ricordo che la scelta di cambiare il titolo non fu pensata od elaborata per un particolare motivo. Semplicemente, essendo io alle prime armi con linguaggio java e altro, trovai un po’ di difficoltà nella gestione del modello e, decisi repentinamente di cambiare. Sono un istintivo a volte, anche se si stenta a crederlo. Così nacque “Il mondo di Enzo”. Un titolo non certo originale, ma semplice e diretto. I contenuti sono importanti no? Un anno di parole, di pensieri e contorcimenti. Ho più volte modificato il modello, ho inserito e poi eliminato un’immagine di intestazione, insomma non ho mai lasciato tranquillo questo diario. Ma di una cosa sono sicuro: non l’ho mai tradito in quelli che sono i contenuti. Mi è sembrato opportuno riuscire a ricordare il suo compleanno, visto che non ho potuto celebrare quello relativo alla mia nascita come blogger. E allora, buon compleanno, mio caro diario. Ne abbiamo passate delle belle, non ricordo con quanta frequenza ti ho esaltato e poi denigrato. Una menzione particolare ( non me ne vogliano gli altri..) voglio dedicarla ai miei primi lettori che poi non sono altro che quelli il cui contributo alla prosecuzione del progetto è stato fondamentale. E’ vero che un diario è un diario per cui non si è necessariamente alla ricerca di consensi. Quali poi, visto che questi scritti sono riflesso di un’anima come tante altre. Io le cose le scrivo, a mio modo, ma le scrivo . E non chiedo che ciò debba avere un riscontro. Eppure c’è stato un momento nel quale stavo per cadere nel tranello: quando ho cominciato a chiedermi se il mio blog piaceva, se quello che scrivevo poteva magari annoiare il lettore. Un grazie infinito ai lettori, lo meritano tutto. Un commento, un passaggio, costituiscono sempre un incentivo a lasciarsi andare con la tastiera. Ma guai pensare che tutto questo sia fondamentale per la sopravvivenza del blog. L’ho capito, finalmente. Un anno di parole è un anno di racconti , di esperienze e di tutto quello che la vita ci regala in termini di sensazioni positive e negative. Solo chi ha un blog, o meglio, solo chi ama la scrittura come forma superiore di espressione del proprio pensiero sa quanto è davvero importante avere questo mezzo per comunicare. E siamo in tanti a farlo. A testimonianza del fatto che c’è una gran voglia di farsi sentire, chi per un motivo chi per l’altro. Ecco, questo articolo, più che celebrare un anno del mio blog, vuole ricordare tutti quelli che attraverso questo mezzo vogliono far sentire la propria voce. Beh, dai, una candelina la vogliamo accendere? Buon compleanno!
 

domenica 10 luglio 2011

La vendetta

A
vete presente quel sentimento di vendetta che coviamo lungo tutto il nostro percorso scolastico? Stare al di qua della cattedra, subire di tanto in tanto vessazioni senza poter replicare genera in noi un certo tipo di pensiero: “ Vedrai quando sarò al tuo posto, diventerò un carnefice e userò le stesse armi con i miei studenti”. Che poi la vita ci porti a stare al di là della cattedra, non è sicuro. Ma credo che ognuno di noi si rifaccia in qualche modo di ingiustizie e soprusi (più o meno gravi ) subiti , magari con chi ne può nulla! Insomma, è come se scaricassimo la zavorra, per salire con la nostra mongolfiera. Ma che cavolo centra questo discorso? Beh, immaginate di essere costretti a dover guardare quotidianamente bellissime immagini di campagne dai colori splendenti. E di doverlo fare alla velocità della luce ( oh Dio, parlando di treni pare esagerato ) attraverso finestrini sporchi o, nella peggiore delle ipotesi, colorati da graffiti. Lungo tutta la settimana lì, fisso a guardare il mondo circostante. Senza potere fare nulla. Ad un certo punto del tragitto la ferrovia passa molto vicino ad un piccolo comune abbarbicato sulla collina. A separare il treno dal mondo, un fiume scorre placido. Mi ero proposto di raggiungere quel punto esatto in cui il campo di girasole incontra la ferrovia. Ecco, stamattina, l’ho fatto. Dopo una ventina di chilometri, guardala là, quella maledetta linea ferrata. Stranamente silenziosa, ma certo, è Domenica mattina e forse anche i treni riposano. A quel punto salgo su di una piccola collinetta che mi consente una visuale perfetta per poter immortalare il luogo. Mi fermo, la fisso intensamente la ferrovia, e penso: “Hai visto? Sono io ora a guardarti, ti guardo e sogghigno perché per una volta non sei tu a dettarmi i tempi, non sei tu a decidere della mia vita." Vista dalla collinetta, la ferrovia provoca un senso di nostalgia. Ma che dico, adesso mi ci sono pure affezionato? Ma no, è solo che un po’ mi appartiene, che ci posso fare. Ma niente, assolutamente nulla può rendermi giustizia più di questa piccola vendetta, consumata in un’afosissima mattina di Luglio. La mia collinetta, il mio punto di vista, il potere nelle mie mani. Cara ferrovia, come puoi vedere, nutro quasi un senso di compassione nei tuoi confronti. Forse non riesco ad odiarti, ma la soddisfazione di oggi è tale che va bene anche così.
 

venerdì 8 luglio 2011

Ripari

I
l periodo è di quelli tosti. Non c’è dubbio. Le giornate scorrono accompagnate da un fastidioso, assordante, mortificante rumore di gente. Voci urlanti, continuo sovrapporsi di parole di ogni tipo. Basta! No aspettate, mi fermo qui, per evitare di scrivere un post del tutto simile ai più recenti. Dunque è evidente che io aborri il contatto umano, se non altro perché due voci che si sovrappongono già urtano la mia esigua soglia di sopportazione. Torna pertanto di moda il concetto di rifugio, di cui parlai tempo fa nel bel mezzo di un periodo travagliato ( al solito ). Tendo a rannicchiarmi su me stesso in un gesto di autoprotezione, e cerco pace. Normale che il mio rifugio prescinda da ogni forma di affettività o compassione da parte del prossimo. Non è lì che cerco la mia pace interiore. E a distanza di qualche mese dedico un articolo ai miei più classici airbag. A cominciare da questo blog. Ho finalmente capito a cosa serve, quando può tornarmi utile e quando invece debba rimanere bianco. Ho minacciato un sacco di volte di ucciderlo, soprattutto nel momento in cui mi ci sono specchiato dentro e mi sono odiato. Ora ho capito il suo segreto. E se sono qui in questo momento scopro ancora una volta quanto mi sia d’aiuto. Mi rifugio nella mia famiglia. Gli ultimi eventi ci hanno avvicinato. E questo è un bene. Quando tutto fila liscio la famiglia è lì, c’è, tutto normale no? Nei momenti agitati, ci si accorge quanto sia fondamentale unire le forze. E credetemi, tornando a casa, poco mi importa se la mia vita sociale non esiste. Quelle poche ore con la mia famiglia mi ripagano di tutto. Questa strana estate mi vede ancora sui pedali, stramaledettamente voglioso di correre, di avere la sensazione di poterlo dominare il tempo. Il silenzio è una panacea a molti mali. Nel mio caso, (anche adesso, mentre due maledette stronze urlano sboccate senza rispetto per chi sta vicino), immaginare un luogo dove riesca a sentire a malapena il cambio della mia bici, mi strappa un sorriso. Qualche mese fa, prima che arrivasse l’uragano lavoro, comprai una macchina fotografica professionale. Chissà cosa progettavo. Avevo fatto un po’ di conti per evitare una spesa eccessiva ma…Ma? Non avevo messo in conto che da lì a poco quell’acquisto si sarebbe rivelato un bel sopramobile destinato a prender polvere. Probabile che quando la indosserò al collo, sarà un momento di doppia gioia. Vorrà dire che è giunto il momento per godersela, una bella vacanza. Non se ne parla ora. Ma Niki è lì e mi aspetta.
 

giovedì 7 luglio 2011

Da solo

N
on dovevo scrivere questo post. Una giornata terribile mi costringe a farlo. Sogno una vita in totale solitudine, lontano il più possibile dagli umani. Sono e mi sento a tutti gli effetti un alieno, non sopporto le relazioni, non mi piace la gente. Perché sono finito qui? Perché non posso scegliere di vivere di stenti ma con l’insostituibile piacere di non dover condividere nemmeno la fame con qualcuno? Il destino in parte ti è avverso. Quando tu sai di non essere per niente amante delle persone, perché in gran parte ti hanno sempre creato problemi ecco, lui ti piazza a fare un lavoro dove di gente ne incontri a centinaia. Ma io mi sento diverso dalla maggior parte di loro. Mi vanto di non essere mai riuscito ad instaurare un rapporto duraturo sia a livello di amicizie, sia di tipo sentimentale. Perché io adoro la solitudine. Sogno di vivere in una casa sperduta nella campagna più piatta dove a svegliarmi sia il solo rumore della natura. Sogno di trascorrere le mie giornate libere cullandomi tra letture, passioni e hobbies che gratifichino corpo e anima. In fondo non ho bisogno di nessuno. Di un lavoro si; forse. Certo, come farei a vivere e a comprami la casa in campagna? Ci vuole un grande coraggio per cambiare vita, per scegliere di abbandonare problemi che di fatto non sono tuoi perché appartengono ad un popolo odioso che non sa cosa sia rispetto ed educazione. Ma è in generale degli umani che io ho disprezzo. Sono un alieno. Sono fatto a modo mio? Chissenefrega. Non ho bisogno di dire “chi mi ama mi segua”. Chi coltiva la pia illusione che le relazioni umane siano stabili e durature, perde tempo. Sono un represso. E anche oggi ho sfogato la mia rabbia con qualcuno. In fondo mi capita spesso di avercela con Tizio o Caio per mille motivi, ma lascio passare. Poi, approfitto magari dell’occasione più stupida per sfogarmi. Sono fatto così. Ringrazio i miei genitori e la mia famiglia. Io porto totale rispetto solo ed esclusivamente verso di loro. A volte è capitato che li accusassi di non conoscermi. Forse, le difficoltà del momento mi offuscavano la mente. Ora che la mia base emotiva è solida, ogni mia reazione ha un senso, non è mai frutto di una mente poco lucida. Quindi mi fido completamente del mio istinto e delle mie azioni. Costretto, ancora non so per quanto, a convivere con l’umano, devo trovare il modo per sopravvivere. Cosa faccio? Mi affido alla più bella invenzione di cui un umano ( anche un alieno ) può disporre: ovvero, sogno. Sogno una grande casa circondata da un silenzio irreale, che esalti i piccoli, infinitesimali rumori della natura. Sogno di coltivare il mio orto, dar da mangiare ai miei animali. Io. Da solo. Qualcuno prima o poi mi darà spiegazioni. Del perché sono qui, e chi sono tutti questi alieni. A no, l’alieno sono io, l’avevo già dimenticato.
 

mercoledì 6 luglio 2011

Il mio punto di vista

C
redo che ognuno di noi durante il percorso abbia provato ( o stia tuttora provando ) a ricercare la strada giusta per quella che i più ottimisti chiamano felicità. Io preferirei parlare di “serenità”. A prescindere da come la si voglia chiamare, possiamo distinguere due categorie umane: quelli che fanno di tutto per allontanarsi dalla possibilità anche remota di raggiungerla e quelli che spesso oltrepassano i limiti in nome dell’obiettivo. In realtà sono giunto alla conclusione che non esistono altri modi per arrivare al traguardo sognato se non attraverso una inevitabile sofferenza. Voglio dire in sostanza che il punto di partenza per sperare in qualcosa che ci faccia stare bene è acquisire il giusto punto di vista su ciò che ci accade. Occorre cioè che si dia l’esatto valore ad ogni evento contingente. Ci si augura sempre che tutto vada bene nella vita ma sappiamo che non è così. Del resto gli eventi negativi non sono altro che il nostro semaforo verde verso il traguardo della felicità. Possibile? Certo che si. Io sto imparando sulla mia pelle tutto questo. Ho affrontato l’inizio dell’esperienza lavorativa pervaso da ogni tipo di paura sul futuro e sulla effettive capacità ad essere produttivo. Conseguentemente ho finito per perdere di vista il resto, mi sono lamentato molto, non ho saputo isolare il problema contingente. Bene. Anzi, male. In questo periodo mi sento attratto da quel momento della giornata che è il mattino. Sto apprezzando qualcosa di apparentemente effimero eppure portatore di grandi benefici. Pedalo al mattino, ho rinunciato all’auto per recarmi in stazione a piedi. Percorrere un chilometro di strada quando ancora i rumori delle auto non riescono a sovrastare il canto degli uccellini, mi regala un grande piacere. Come si spiega tutta questa accentuata sensibilità? Semplice. Lo sapete, il problema di salute che riguarda mio padre ha immediatamente innalzato la mia soglia di sensibilità portandomi ad apprezzare il minimo. Riesco molto bene sul lavoro. Paradossale in un periodo così, no? Dovrei invece essere distratto e svogliato. Assolutamente il contrario, direi. Perché di fronte ad un problema più grande, lavorare rappresenta un’infinitesimale questione di lana caprina. Pare brutto dire che ti debba capitare qualcosa di brutto per sentirti sereno. Più che brutto, contraddittorio. Ma volevo semplicemente ricordare che tutto è incredibilmente relativo, che il punto di vista delle cose cambia continuamente. Basterebbe provare a vivere ogni problema sdoppiandosi ed osservandosi dall’esterno. A volte, sono sicuro rideremmo di noi stessi. Posso definirmi sereno nonostante tutto? Quasi quasi direi: “ In questo momento, si”.
 

domenica 3 luglio 2011

Il mattino ha l’oro in bocca

R
icorderò l’uscita in bici di oggi. Credo di non aver mai avuto l’occasione di concedermi una pedalata mattutina. Chissà perché, ho sempre preferito le ore pomeridiane, forse per la sensazione di avere più tempo a disposizione e affrontare tutto con la giusta calma. Ma, così facendo ho sicuramente limitato le prestazioni a causa del caldo e dell’umidità. Avevo bisogno di un fine settimana totalmente estraneo a ogni forma di stress. Ho approfittato della mattinata del Sabato per la palestra, ho sfruttato le ore pomeridiane di ieri per un po’ di spesa e, visto che la vita notturna per me è una chimera, ho tratto tutto il vantaggio possibile dalle 8 ore di sonno. Mi sono così presentato in discreta forma al tavolo della colazione quando, l’orologio segnava solo le 7.30. Un pazzo, direte voi. Ma può, uno che si alza ogni giorno alle 5 e 20 non sfruttare la possibilità di dormire? Certo. Basta avere una sveglia conficcata nel cervello. Tre fette di pane e nutella, e via, si parte. Alle 8 l’aria era quasi fresca ma già dopo una decina di chilometri mi stavo rendendo conto di quanto fosse tutto incredibilmente facile. Pagherò, continuavo a ripetermi, pagherò. Ed invece eccomi arrivare al punto di arrivo che mi ero ( modestamente ) prefissato in meno di un’ora. Ottimo allora, si prosegue. Non ricordo quante volte ho alzato il braccio sinistro in segno di saluto dei ciclisti che incontravo sul percorso. Che bella questa cosa. Ad un certo punto, mi trovo davanti ad una improvvisa deviazione che mi consente di pedalare rasente ad una vecchia ferrovia. Qui incontro un altro ciclista che mi ferma chiedendomi se avevo notizia di altri 6 amici dai quali si era slegato! Due chiacchiere, ci si saluta e si riprende il cammino. Un’ultima salita e poi, giù in piedi sui pedali ad ammirare meravigliose distese gialle. Sono loro, i girasoli. Via, mi aspettano venticinque chilometri e poi sarò a casa. Sono una roccia, le gambe vanno a mille. Le ore del mattino mi rendono giustizia, mi fanno capire che posso e devo dare di più. Non sarà un problema, questo è indubbiamente il periodo giusto per tirare fuori tutto, in termini di cervello e di corpo. E allora andiamo avanti. Alla faccia di questo incubo dal quale sono sempre più convinto di uscire.
 

venerdì 1 luglio 2011

Un burattino di legno

M
i sento una cacca in un Venerdì di cacca alla fine di una settimana di cacca. Ripetitivo? Attesto semplicemente una situazione di fatto ricorrendo ad un sottile eufemismo. Sono a tutti gli effetti uno straccio, fisicamente e mentalmente. Ieri sera per la prima volta sono stato colto da un attacco di tristezza infinita. Io sono una macchina, io non voglio non posso e non devo pensare. E dire che si è trattato di un frangente della durata di una decina di minuti. La storia è questa. La mia vita trascorre per buona parte sul treno, per una consistente porzione seduto alla scrivania di uno sportello che gode di una splendida vista su popolazioni eterogenee e diversamente rompicoglioni. La restante, infinitesimale fetta di vita la trascorro a casa, seduto a tavola, sotto la doccia e finalmente in posizione orizzontale nel letto. Tutto qui. Me lo dite dove trovo il tempo per pensare ed essere triste? Infatti non ne ho. Bene quindi. Eppure ieri , fissando per dieci minuti un punto nel muro bianco oltre il divano, mi sono permesso due o tre piccole elucubrazioni del tipo: “ Se mai io mi fermassi a fare considerazioni generali su cosa è la mia vita ora, su quanto il maledetto tempo si sta cibando della mia esistenza, finirei con il cadere nella più totale depressione”. Ed in effetti è quello che è successo ieri. E’ arrivato il pessimismo cosmico. Farfalle allo stomaco, del tipo di quelle pre-esame quando il tuo futuro immediato sembra nelle mani di un paio di soggetti seduti oltre la scrivania. Il mio di futuro,è nelle mani del tempo, e di nessun altro. E ora mi accorgo che quello che una volta definivo un amico, tanto fraterno da doverlo abbracciare e vivere con grande intensità ora mi impaurisce. Fa male in modo particolare accorgersi che le nostre anche piccole abitudini, vanno sparendo, ingoiate dal tempo. Attenzione, attenzione: a questo punto i commenti diventano scontati. Vi anticipo dicendo che ho tutte le ragioni a lamentarmi, che non è vero che ci sono gli amici che ti sostengono. Quei pochi che ho, il tempo se li sta mangiando. E non è vero che sono troppo pessimista. Ieri mi sentivo così, e oggi? Ah ah, bella domanda. Io mi sento a tutti gli effetti un Pinocchio. Un burattino di legno che ha ben poche speranze di tornare a vivere una vita decente. Dovrò mettermi in cerca di una Fata Turchina, pensa te che roba.
 

LinkWithin

Related Posts with Thumbnails