domenica 30 giugno 2013

Cena col fantasma

N

on ricordo quante volte ho pubblicato manifesti sulla piazza virtuale affinché tutti fossero informati della mia dipartita. Persino i morti ( quelli veri ) li piangono non più di tre giorni, almeno chi ronzava loro intorno spacciandosi per amico o non so cosa. Ma i cadaveri della piazza virtuale non li piange proprio nessuno, nessuno se li fila. Rido a crepapelle pensando alla stupidità di qualche mese fa, quando convinto dell'esatto contrario, pensavo che mi sarei dovuto “uccidere” per attirare l'attenzione. Il tempo mi toglie molto e altrettanto mi dà in termini di consapevolezza, lo ripeto da sempre. Ed è grazie al tempo che io, senza rendermene conto, sono finito fuori dal giro, dal circolo vizioso, dall'illusione. Non devo ringraziare nessuno (ovviamente) perché nessuno merita tanto, devo solo rendere merito a quelli incontrati sulla piazza che, in parte dolosamente, in parte con negligenza, mi hanno aperto gli occhi. La frase che mi parte subito in testa è: “ le amicizie non finiscono perché le amicizie non iniziano.” Tutt'al più le amicizie, vivono.. E vivono di una straordinaria intensità che lascia il passo ad incredibili ed inaspettate capriole fino alla caduta fatale. Io non so cosa muove i fili delle relazioni, ma so per certo che tutti coloro che ho criticato, che ancora ( in certi momenti ) disprezzo, sono uguali a me. E faccio ammenda dicendo che loro sono liberi di pensare la stessa cosa del sottoscritto. Chissà cosa mi ha portato a scrivere qui di un argomento, l'amicizia, di cui ormai ho esaurito le teorie possibili e immaginabili. Forse il fatto che io sono pur sempre un uomo solo, pienamente solo quando lascio che sia il cuore a ricordarmelo. Disperatamente solo quando so che potrei vivere una serata d'estate in modo diverso. C'è sempre una notte, è quello che mi frega. La notte mi prende e mi trasporta verso nuovi propositi di sopravvivenza, nuove ipocrite promesse di cambiamento. In realtà io non voglio cambiare e non sono cambiato. Probabilmente ho assorbito la botta e fisiologicamente sento la necessità di starmene bello spaparanzato a non pensare. Non devo fossilizzarmi su certe facce, certe parole, certi ricordi; in questi casi riesco a provare rancore. E chi me lo fa fare. Certo, ci saranno altre serate di fantasmi, quel che conta è bastarsi ed esserne convinti.

 
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sabato 29 giugno 2013

E vissero tutti felici e contenti (?)

I

n questo pomeriggio Novembrino ( avete capito bene, ho detto Novembrino ) il grigio soffitto di nuvole riporta alla mente pericolose rimembranze. Saranno i fantasmi che tentano di squarciare il cielo? Vorrebbero per caso ricordarmi che tutta questa leggerezza di cui mi vado vantando è solo frutto di una povera illusione? No, non è così, mi stanno solo dicendo che c'era un Enzo che ora non c'è più ma Enzo esiste, è vivo, è positivo e di questo non deve farsi alcuna colpa. Eccolo il nocciolo della questione. Stamattina “corricchiavo” sul tappeto in palestra e guardando oltre la porta finestra verso il fiume, secondo voi cosa potevo fare se non pensare? E dove andavano i miei pensieri? Volevo capire se una buona parte del mio benessere attuale fosse dipendente dall'aver liberato la coscienza di un bel po' di zavorra. Mi riferisco ad un mio agire slegato dalle solite regole mentali, più ardimentoso, teso al solo scopo di vivere senza pensare ad ogni possibile ripercussione delle mie azioni. Detto così, sembra io abbia scoperto il mondo o, ancor più, trapela una poco attendibile immagine di Enzo trasgressivo. Non esageriamo, niente di tutto ciò. Mi riferisco in generale al modo in cui mi sto approcciando ai rapporti e alle dinamiche che governano l'amicizia. Del resto questo è sempre stato il leit-motiv alla base delle mie paturnie. In questo senso Enzo non cambia, sempre lì a chiedersi il perché ed il percome: se non fosse così ora non sarei qui ad interrogarmi sui motivi di tanta manna. Non posso certo dimenticare il passato anche se è ancora dietro l'angolo, talmente giovane da non potersi nemmeno definire tale. Ci sono persone che entrano ed escono dalla vita di ognuno di noi, ed altre che rimangono anche quando si cambia e si trova la strada giusta. Siamo critici verso gli altri e poi generalmente, commettiamo i loro stessi errori. Perché nessuno è al centro di nessuno, giocoforza le dinamiche e i cambiamenti sono difficili da seguire. Non sono cambiato nella misura in cui faccio fatica a dare consistenza ad un rapporto, sono sempre impalpabile, inattendibile. Che colpa ne ho? E che colpa ne ha chi subisce la mia volubilità? Ma se quando attraversi momenti difficili tutti ti augurano che passino, ora che sono passati dovremmo essere tutti felici e contenti. Oppure no?

 
bimba, libro

giovedì 27 giugno 2013

Con il minimo sforzo

E

' sempre tutto molto relativo per cui, ciò che ora mi appare un'impresa, probabilmente dovrebbe essere ridimensionata a quella che si definisce “ordinaria amministrazione”. Perché l'autostima ( bassa ) è il mio male e gli obiettivi che mi pongo sembrano montagne: quando riesco a raggiungerli mi dico “bravo” ma non mi rendo conto di non aver fatto nulla di importante. Continuo a rimanere prigioniero dei miei limiti, legati in modo particolare all'incapacità di affrontare le situazioni che rompono gli argini del programmato, del ben definito soprattutto a livello mentale. E' la totale paura dell'inaspettato, della variabile. Nel lavoro si, ma diciamo pure anche nella vita. Giungo così alla considerazione finale di sentirmi forte e capace sebbene io non abbia la più vaga idea di ciò che è e di quello che io potrei essere in grado di fare. In sostanza, non ho capito un cazzo. Ma nel mio piccolo mondo godo delle piccole vittorie, come ad esempio l'aver superato una settimana che immaginavo critica. Che bravo, ce l'ho fatta ma chissà se poi è stato solo merito mio o se non si sono verificate le condizioni tanto temute. Facciamo così, guardiamo il risultato e poniamoci questa domanda : “Enzo, come ti senti?” “Bene”, rispondo io. Tutto a posto dunque, devo comunque ritenermi soddisfatto. Quella della relatività è una teoria pericolosa per chi considera se stesso una nullità o quasi; perché si rimane incagliati nella propria visione delle cose, della propria capacità di affrontarle e si crea una scala personale molto (troppo direi) di autovalutazione. Le piacevoli sensazioni di questi ultimi giorni non nascono certo da alquanto opinabili successi lavorativi, ci mancherebbe; penso vadano ricercate in uno stato di benessere mentale che non ha una ragione concreta. I pensieri stanno scivolando via come incontrassero uno strano marchingegno capace di deviarli verso una destinazione ignota, la mente rimane libera di muoversi nel niente. Non so chi sia Enzo in questo momento: ne esiste uno o più di uno? Se non fosse che una buona parte delle persone che mi legge non mi conosce a fondo ( e non potrebbe essere diversamente ) potrei chiedere loro quale Enzo preferisce. Io mi piaccio così, non sono cambiato di una virgola ovvero: poco cuore, poco trasporto. Ma conta il risultato no? Con il minimo sforzo.

 
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martedì 25 giugno 2013

Oltre lo spazio

L

ontano, molto lontano, quasi lontanissimo. Mi sforzo di capire come rendere l’idea del mio stato di forma mentale e forse ci sono arrivato con l’incipit di questo articolo. Sono i dettagli a fare la differenza, spesso nemmeno visibili all’occhio inesperto. Considerando che nessuno di noi è tanto prezioso per l’altro da diventarne oggetto di studio, è del tutto improbabile che qualcuno sia dotato di tale sensibilità e spirito critico da notarne le piccole evoluzioni. Lontano. Ma cosa vuol dire? Sono sempre qui e per fortuna la mia idea di libertà non è associata ad una lontananza fisica. Ciò significherebbe ulteriore frustrazione, l’ennesima beffa, la sempiterna contraddizione. Non voglio volare, l’aereo mi terrorizza. Penso di poter morire e non mi piacerebbe accadesse per soddisfare un mio piacere personale. Poi penso che domani, potrei pure essere investito, potrebbe cadermi un vaso in testa. Dunque? Non voglio volare; si sono un bambino capriccioso , testardo e ben poco fatalista. Ma volo, statene certi, eccome se lo faccio. Lontananza non vuol dire alienazione. Non odio il mondo ora, mi ci cullo sopra e mi dondolo piacevolmente ben sapendo che non esiste alcun motivo per odiarlo. Che magnifica sensazione. Amo le mie passioni ma non per questo ora rappresentano una scorciatoia infelice per dire che sto bene. In questo senso sono lontano da qui, lontano dalle persone, ma vallo a far capire o meglio, cerca di spiegarlo in modo corretto. Semplicemente volo senza paura di cadere esattamente lì, dove ho iniziato a prendere quota. Sono a migliaia di chilometri da qui nella misura in cui tutto mi appare omogeneo, tutti ( e dico tutti ) sono perfettamente allineati. In fondo ne sto guadagnando in credibilità, evitando così di finire nel solito tunnel dell’improvvisa affezione cui segue un altrettanto repentino allontanamento, quasi mai spiegabile razionalmente. Mi sento in equilibrio, soprattutto emotivamente. Notato la differenza? No? Ho parlato di equilibrio emotivo, non di azzeramento. Lascio dunque spazio se non proprio al cuore, se non proprio all’affetto, quanto meno alla possibilità di far entrare nel mio vocabolario la parola “rapporto”. Credo che tutto sia recuperabile, persino riciclabile a miglior vita, anche i rapporti. Forse basterebbe non esasperarli, mantenerli ad uno stato di perenne attesa senza per questo farli morire. Ci vuole abilità, o solo un animo sereno. Ho tutto dalla mia parte.

 
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lunedì 24 giugno 2013

Con la giusta calma

E

’ raro poter approfittare di una tale calma per scrivere qualcosa. Non sono in vacanza o forse si. A Torino è festa patronale e noi, dipendenti pubblici privilegiati, possiamo godere di un po’ di (meritato) riposo. E chi, a quel “meritato” storce il naso all’idea che si è fatto in questi anni dell’impiegato pubblico, può andare a quel paese. I lavori sono tutti ( o quasi ) onorevoli, la differenza la fanno sempre le persone e chi generalizza è nel torto. Parlo proprio io che in nome dell’integralismo, ad esempio verso il mondo virtuale, ho fatto mie, crociate e campagne denigratorie. E’ il tempo della moderazione, perché è giunto il momento di guardare il mondo imprigionato nella rete con l’occhio di chi, ormai non ha più voglia di capire. In realtà ho capito tutto in questi mesi, nonostante scriverne riveli l’esatto contrario. Ho ben inteso l’importanza di pesare la propria esistenza senza però poggiare sull’altro piatto della bilancia quella degli altri. Ho appreso a fatica che si può vivere un’amicizia a prescindere dalla presenza fisica costante: basta non considerarla tale, è sufficiente pensare che una persona in più nell’ambito delle conoscenze non guasta. Ho fatto un madornale errore di valutazione di cui chiedo venia a me stesso, se non altro per il patimento morale cui ho sottoposto il mio povero cervello. A volte tornano le immagini di Enzo seduto davanti al pc, l’abat-jour accesa alle sue spalle a formare una silhouette senza corpo né testa. E quando riemergono i ricordi, la domanda sorge spontanea : “ Come ho fatto? “ Certo, come ho fatto a sentirmi così abbandonato, a piangermi addosso, a voler a tutti i costi chiedere aiuto? Chissà se parlo così solo perché la luce dell’estate mi regala la sensazione della libertà, della totale indipendenza. Devo pensare a tutti i costi che si tratti di una fase passeggera? Può darsi che l’incontro recente, l’aiuto di E. stiano giocando a mio favore. Non ricordo cosa sia un senso di colpa, questo si che è un passo avanti. Ma ancora pare strano, all’Enzo che siete abituati a leggere, sentirsi leggero. Sono volubile, imprevedibile, inattendibile. Il fatto è che quando scrivo riporto fedelmente ciò che arriva da dentro nell’esatto momento in cui lo faccio: questo blog è inattendibile nella misura in cui a distanza di dieci minuti dalla pubblicazione dell’articolo, potrei sentirmi in maniera del tutto diversa. Ma che c’è di più bello del fatto di dire esattamente cosa si sente salvo poi prendersi il lusso di non scolpire nella pietra le sensazioni? Anche questa è libertà.

 
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domenica 23 giugno 2013

La testa sul comò

N

on è sempre così. Anzi, non è mai cosi. E’ come se un potente getto di acqua cristallina avesse d’un tratto rimosso la patina di sporco che ricopriva il mio viso. Seppur per poco ( troppo poco) tempo ho aperto gli occhi, tutto era nitido, la testa messa lì a riposare sul comodino. Ed io lì a dispensare sorrisi compiaciuti, a non vergognarmi di farlo, a non preoccuparmi che non sarebbe stato per molto. Perché mai avrei dovuto pensarci? Sono passati quasi otto mesi da quell’ultima occasione di vita, dall’illusione che avrebbe potuto rappresentare un nuovo inizio; ebbene non è stato così per cui , perché perdersi in fantasticherie o facili entusiasmi. Era del tutto giusto godersi l’attimo. E così ho fatto. Ho la straordinaria capacità ( o terribile difetto ) di dimenticarmi di tutto e tutti, nemmeno scrivere mi è mancato anche se solo per due giorni. Un difetto si, non una dote. Probabilmente se conducessi una vita soddisfacente, se questo privilegio mi fosse stato concesso da tempo, non avrei avuto bisogno né di cose né di persone. Ma la mia non è strafottenza od utilitarismo. Sono semplicemente convinto assertore della presenza come imprescindibile condizione per il mio ( anche estemporaneo) benessere. Dunque io sto con chi mi guarda, mi sorride, mi abbraccia. Poi magari se ne va, ma la soddisfazione è impagabile. E’ tutto merito mio se sono riuscito a dileguarmi dalla virtualità senza proclami di qualsiasi tipo, in silenzio, lasciando che fossero gli eventi (e non io) a determinare il percorso. Lasciando soprattutto che fossero “quelli” ad accorgersi della mia assenza e non io a ricordarglielo. E sto bene per questo motivo, perché so di non avere sbagliato, di non avere tradito nessuno. Non sono felice, e forse nemmeno sereno. Ho aperto e chiuso una nuova esperienza, giusto per ricordarmi di essere quel burlone, logorroico casinista che nessuno conosce a meno di pestarmi i piedi o versarmi da bere tanta è la vicinanza. Cose che già so, cose che ho provato a dimostrare nel modo più assurdo e stupido, attraverso uno schermo per poi finire a piangermi addosso. Si dirà che è evidente, sono uno sfigato. Mi capita così raramente di vivere che, quando lo faccio, attacco manifesti ovunque. Non sono qui a celebrare necessariamente un incontro, una persona, un momento, una giornata d’estate. Sono venuto qui stasera per ricordarmi che vivere è ben altro. Io mi accontento ma così mi piaccio. E comunque grazie a chi sa.

 
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giovedì 20 giugno 2013

Un solo vincitore

S

ono sulle gambe, ma pur sempre vivo e combattivo. Nessuna concreta prospettiva di miglioramento, nessun progetto tale da spingermi a lottare, sto solo facendo ciò che corpo e mente richiedono per sopravvivere. Sono istinto, riesco abilmente a non soffermarmi troppo sulle singole problematiche. Quando sento di avere energia sufficiente divento una macchina potente, tutta muscoli e cuore ( inteso come passione ). E tutto serve a questo mondo per stare con la testa fuori dalle sabbie mobili quotidiane. Non è più una sfida con il tempo, è solo lotta con se stessi. E' con se stessi che poi si gioisce, di se stessi si diventa orgogliosi. Non si fa fatica a capire che in questa eterna fase della mia vita sono sempre più solo, di una solitudine neanche cercata, ma di sicuro necessaria. Ho strettamente bisogno di questo, di sentirmi protagonista della lotta, non ho tempo per smancerie, superficialità; so che intorno, cercando bene, troverei persone potenzialmente capaci di darmi affetto ma ora non ne sento la necessità. Non me ne voglia nessuno, in fondo mi duole ricordare un concetto già ripetuto fino allo sfinimento. Amicizia utile. Vedete, faccio i conti con la mia umoralità: ieri sera sono improvvisamente sprofondato nello sconforto, questione di qualche ora. Sufficiente però a fare la solita carrellata di facce, il solito “rewind” su parole, promesse, assenze. Poi, l’odio. O meglio, l’avversione verso ciò che non c’è, non è presente in quell’esatto momento, in quell’istante in cui solo un abbraccio ben dato può rigenerarti. Tutto passato, in fondo la notte arriva per questo, per darti la compagnia silenziosa di un amico invisibile. Forse tra qualche mese tornerò sui miei passi, forse avrò nuovamente bisogno anche solo di una presenza virtuale ma ne dubito davvero. E’ ancora tutto sfuocato, ho solo paura di non godere appieno di questi due mesi come vorrei, magari solo pedalando oppure lasciando che il sole dipinga sul mio viso un po’ di spensieratezza. Ma sto lottando. A volte penso che non si può avere tempo materiale per essere amico di qualcuno, non esistono regole nella vita. Si può essere soli ma non certo per non avere letto il manuale d’istruzioni su come annaffiare l’orticello dell’amicizia. Sono balle ragazzi. La vita è casualità, non ci sono programmi, l’amicizia non è una pianta. Lascio tranquillamente che sia, per fortuna non esistono regole da rispettare. Sono solo ma mi assolvo per insufficienza di prove e vinco. Ancora.

 
giustizia

martedì 18 giugno 2013

Impreparato

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on è un periodo fortunato. Da qualche giorno il caso vuole che mi capiti di avere compagni di viaggio non proprio….come dire…profumati. Mi sono ritrovato a pensare se poi, tutto sommato, sia meglio fare il pendolare d’estate oppure in inverno. Propendo per la seconda, sebbene certe condizioni meteo aumentino il rischio ritardi. Considerazioni a margine di una giornata non molto diversa dalle ultime, da un mese a questa parte. Io l’avevo detto che forse solo a Settembre, mi sarei ritrovato a tirare le somme, a fare odiosi bilanci. Adesso mi lascio trasportare, dosando lo stress e provando con tutte le mie forze a non lasciarmi provocare. Voglio stare bene, me lo ripeto ancora, voglio stare bene. Sto provando ad usare qualche tecnica consigliatami da E. in merito al tempo. Non ha potere, non può e non deve riuscire a rendermi tutto difficile, a schiavizzarmi, a togliermi persino il piacere di stare qui a buttare giù due pensieri. Tutto fine a se stesso, scrivere e pensare. Ma va bene così. Oggi ho parlato di autostima, discorso che mi coinvolge sempre e sempre mi porta a diventare incredibilmente logorroico. Mi rendo conto di parlare troppo, di farmi prendere dall’enfasi di far capire chi sono. Come se a qualcuno interessasse. Ma credo sia un istinto naturale di coloro che sentono comunque il bisogno di far sentire la propria voce; non sono scuro sia finalizzato ad intavolare relazioni, forse no. Diciamo che esistono persone di un certo spessore ( umano ed intellettuale ) le quali spesso sono relegate ai margini a causa dell’ipersensibilità. Ed il contatto con un certo tipo di mondo, accentuando il disagio, le ghettizza. Io ad esempio. Perché mai scrivo? Perché mai ho voglia di parlare di me? Secondo voi lo faccio al solo scopo di trovare qualcuno che mi assecondi? Che mi compatisca? E anche se così fosse, cosa mi servirebbe? Lo faccio per dire che ci sono , magari per un confronto, magari per realizzare di non essere il solo. Mi manca una consistente parte del capitolo “vita”, mi sento del tutto impreparato. Ignoro la lezione sulle prese di posizione, sull’ azione, sulla voglia vera di cambiare. E allora torniamo al solito quesito: “ma veramente voglio questo?”. Non so. Di certo, bella o no che sia la mia vita, la sto vivendo alla giornata usando tutti i mezzi a disposizione. Di più non so, forse devo ancora studiare.

 
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lunedì 17 giugno 2013

Pensieri al fresco

D

iciamo subito che giornate “africane” come questa annientano ogni velleità cerebrale. Vanno letteralmente a farsi benedire paturnie e seghe mentali di ogni tipo, in fondo ciò che dovevi dare lo hai dato (al lavoro). Ti resta un pietoso ritorno sul regionale che comincia a diventare, giorno per giorno, un forno puzzolente pieno di persone la cui traspirazione sale paurosamente oltre il limite della sopportazione umana. Che ci sto a fare qui, mentre l’accappatoio post doccia sta provocando l’ennesima sauna? Per lasciare il solito segno, la solita traccia esistenziale, un possibile “ago nel pagliaio” nell’apparente nulla quotidiano. Ci sono giornate che meritano di essere ricordate solo da chi le vive, solo da chi segue minuziosamente le proprie acrobazie interiori, i contorcimenti e le possibili ( spesso improbabili ) evoluzioni. Miglioramenti dunque: se ce ne sono, sarebbe sempre opportuno farne menzione per ricordarli a chi scrive, magari per trarne una fugace lezione ed un sorriso abbozzato di soddisfazione. Poi, domani si vedrà. Sono qui a regalare la scena alle piccole rivincite di Enzo come uomo sempre debole, del tutto permeabile allo stress e alle situazioni in continuo mutamento. Enzo è abitudinario, stanziale. Ha bisogno di un luogo sicuro e quando l’ha trovato, guai a modificargli l’ambiente, le condizioni di vita. Perde sicurezza, ha bisogno di protezione, si sente sperduto. Enzo ha grandi limiti caratteriali. Può bastare una giornata senza cedimenti, senza crampi allo stomaco, senza lo sguardo fisso all’orologio; può bastare a dire: “Enzo, oggi stranamente ti vedo tranquillo, nonostante tutto”. Piccoli traguardi, alla fine di un giorno da pressione azzerata, da maledetti pantaloni lunghi che ti si appiccicano alle gambe e tu vorresti denudarti lì, e chissenefrega di chi c’è. Solo l’inizio. Ma riflettendoci ancora bene percepisco la sensazione di avere in mano il coltello dalla parte del manico: gioie, momenti di crisi, pianto, felicità. Sempre io e solo io posso decidere. Ma da quanto tempo avrei dovuto capirlo? E’ troppo tardi per cominciare o per abbozzare una timida rivincita? A questo punto, a questo benedetto punto, no. Il regionale inibisce ogni forma di approccio umano, ogni tentativo di studiare l’ambiente circostante. Dovevo per forza guardarmi dentro: non ho visto granché ma ho respirato vita ed un alito di refrigerio. Ogni tanto capita.

 
Treno in moto

domenica 16 giugno 2013

Salite

P

aura è una delle parole più ricorrenti del mio vocabolario esistenziale. La ritrovo spesso anche nei discorsi di spessore che mi capita di fare ( sempre più di rado ) guardando qualcuno negli occhi. Di me stesso, del nuovo, degli spostamenti, di ciò che non conosco. Paura delle salite. L’esercizio fisico associato alla passione ha un potere miracoloso sulla psiche, sul cervello, sul corpo. Porsi piccoli obiettivi è sintomo di grande umiltà ma non deve mai sconfinare nel timore di pretendere di più. Io non so cosa vuol dire andare oltre perché non conosco quali sono i miei limiti o forse li conosco troppo bene: dovrei solo provare a scoprirlo, rischiando magari di non sentire più né le gambe né i polmoni. Eppure io so bene che, quelli che vedo ed interpreto come obiettivi improbabili, sono quasi sempre alla mia portata anzi, rappresentano un punto di partenza. Questione di autostima. Nella vita serve tutto: corpo, testa, cuore, muscoli, sangue freddo. Ogni volta in cui metto alla prova me stesso non lo faccio mai consapevolmente ma grazie a quella commistione di stati di fatto che chiamiamo contingenza. Mai una decisione ferma, al solo scopo di migliorare me stesso…“Figuriamoci, sto bene così, cosa vorrei di più?” Tutto vorrei, tutto potrei, tutto e anche di più se, almeno una volta decidessi di buttare sul tavolo da gioco ciò che ho, senza nasconderlo. La bici da corsa non tradisce: ti spinge fino dove puoi e oltre, come avessi un gancio attaccato all’anima che la (e ti ) spinge oltre ogni possibile limite. La bici è una scusa, ma è pur sempre vita, o parte di essa; è rifugio, è voglia di vincere la partita con una certa parte di vita che non c’è. Non posso trovare pretesti, non posso avere paura. E poi, paura di cosa? Di cominciare a sentirmi uomo? Di smetterla di credermi felice solo quando ho i piedi piantati al terreno? Non posso avere paura di ciò che mi aspetta sul lavoro nei prossimi due mesi, non posso nemmeno aver paura di un incontro, non posso temere di guardare la mia vita, prendere una direzione diversa. Neanche dovessi scalare una montagna: non è una montagna, è semplicemente una salita; che la percorra sulla bici, a piedi, o solo con la testa rimane pur sempre una stupida salita. Tanto poi ce ne sarà un’altra. E un’altra ancora. Tanto vale rischiare.

 
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sabato 15 giugno 2013

La via scomoda

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mare è una cosa semplice, basta un cuore. Amarsi è un gioco al massacro, un infido percorso nelle viscere del proprio Io, un cunicolo buio da cui non si sa, come e quando, si uscirà. Da buon masochista ( ma forse anche da vigliacco ) ho maturato la decisione di buttarmi sulla strada più difficile, lasciando morire sul nascere ciò che rischiava di arrivare là, dove batte l'emozione. Questo il motivo per cui ho un cuore quasi nuovo; il tempo ha lavorato per me, colmando i vuoti, richiudendo quegli spazi ancora aperti a possibili invadenze. Troppo lontane le ferite al cuore, ma anche troppo pesanti da sopportare per riprovarci ancora. La nuova via, quella dell'amore per me stesso, è stato l'ennesimo tentativo di dimostrare di esserci, di vivere. Brutta storia però. Ricordo bene quei cinquantanove chili, quell'anno di buio passato ascoltando solo le voci dentro. Giovane come lo può essere un poco più che ventenne, sognatore come solo chi crede di essere immortale. In realtà ero già morto. A vent'anni di distanza, sono qui più che mai innamorato di me, e del mio corpo. Oggi sono un quarantacinquenne orgoglioso della sua apparenza di uomo forte e potenzialmente ( attenzione, solo potenzialmente ) capace di distruggere il mondo. L'amore fisico è pura materia, insulsa sostanza, fugace impressione di piacere. Ma mi amo in questo senso e, solo in questo senso io sono un uomo superficiale, materiale, inetto, assolutamente frivolo. La strada dell'amore per se stessi è impervia, e lo so, eccome se lo so. Qualcuno dirà che non è altrettanto gratificante, coinvolgente, passionale come solo può essere darlo, l'amore. Non ci vuole cuore per sentirsi importanti, per dire che nulla ci distrugge e che in fondo, possiamo stare anche da soli. Ci vuole testa, Dio mio, testa e basta. Per giungere ad un rapporto completo con noi stessi l'unica precauzione da prendere non è un preservativo, basta non avere occhi per gli altri, sentirsi unici anche tra migliaia di persone. Mi adoro a volte. E a volte mi odio. E quando vorrei picchiarmi, insultarmi capisco di essere ancora a metà del cammino. Amare è una cosa semplice, basta un cuore. Ce l'abbiamo tutti e tutti possiamo amare. Io ho scelto il percorso inverso ben sapendo che non è né gratificante né onesto dare se non siamo in grado di riempirci di attenzioni, fino all'egoismo. Non mi piace vincere facile.

 
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venerdì 14 giugno 2013

Pedalate celestiali

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a forse anche il paradiso (continua dal titolo del post precedente). Provo a ricordare a me stesso che (forse) rimarrò deluso dopo aver fatto la mia ultima valigia. E non saprò con chi prendermela quando scoprirò che, quel tanto atteso mondo di nuvole, angeli e luce bianca non esiste. Forse. I nostri personali stati d'animo, le nostre piccole realtà sono assai più credibili e almeno tangibili. Li associamo convenzionalmente all'inferno, e mai al paradiso ma è ovvio, visto che ci lamentiamo sempre di ogni cosa. Quel regno degli angeli è lontano, lontanissimo dalla realtà che viviamo. Invece il paradiso ( il mio ) è qui, vicinissimo a casa, vicinissimo a me, dentro di me; e solo nel momento in cui faccio una cosa che amo più di ogni altra e che più di altre riesce quasi a toccare il cuore. Si, il cuore! Ce l'ho, è solo ancora nel suo imballo originale. Penso sia custodito da quelle strane confezioni con le palline d'aria che poi ci divertiamo a scoppiare. Ecco, le sto scoppiando, quando avrò finito, il cuore sarà pronto all'uso. Il paradiso ( senza timore di esagerazione ) torna ogni anno sulla stessa strada che ogni anno, torno a fare mia per godere di un punto di vista privilegiato sulle cose. Cose semplici, quotidiane, quelle che non osservo ma mi limito a guardare per il solo fatto di passarci vicino. Oggi è stato diverso, e sarà diverso fino a quando mi sentirò di volerne godere, fino a quando mi renderò conto che la passione porta anche in paradiso se si ha la voglia di coltivarla. E allora, forse, ben venga uno stato di fatto che ti annichilisce lasciandoti senza un briciolo di forza mentale per affrontare il destino; ben venga lo stato delle cose perché è lì che si deve trovare l'appiglio per rialzarsi. E' l'altalena delle emozioni; la mia è ormai vecchia, da oliare, forse da sostituire perché non c'è spinta in grado di farla volare. Ritrovo il paradiso, ritrovo l'amore per me stesso nel momento in cui, curvo sui pedali, mi rendo conto che le gambe viaggiano da sole, sospinte dalla sola forza della passione. Camminiamo da soli, ogni giorno. Ci illudiamo di vivere e trovare la forza per farlo nelle parole altrui, nei gesti che cerchiamo, nella presenza che desideriamo. Mi accorgo che non è così, io sono comunque vivo. Me lo dicono gli occhi pieni di stupore ed il più bel silenzio che potessi mai ascoltare, mentre al centro di una strada, pedalo.

 
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giovedì 13 giugno 2013

L’inferno è qui

E

allora c'è ancora da lavorare, buono a sapersi. Giornate come quella di oggi dicono che Enzo ha ancora limiti caratteriali evidenti ai quali non è possibile far fronte con un semplice “ormai, la personalità è questa, non c'è più niente da fare”. Vale la pena di lottare se non altro per dare un senso pratico ad un'esistenza che si sta riducendo al necessario per respirare. Ho provato e riprovato a ragionare per compartimenti stagni, ad affrontare i problemi uno ad uno. D'altronde lo scopo è sempre stato quello di evitare la commistione dei mondi e la loro reciproca contaminazione. Vita da una parte, lavoro dall'altro. L'obiettivo è sempre stato questo Enzo, vero? Non alzo bandiera bianca e riparto dalla mia ormai cronica intolleranza; dal punto di vista generale il lavoro ( o almeno le dinamiche interne ad esso ) deve avere un ruolo impalpabile. Il lavoro non è vita, ancor meno la vita è lavoro dunque dell'ufficio non mi deve fregare nulla. Al momento però è proprio quello il posto dove le mie debolezze tornano a farmi ciao, e a sorridermi beffardamente in segno di scherno. Ed io lì, indifeso come sempre, improvvisamente senza forze, mentalmente azzerato. Sento di essere appeso ad un ramo ormai rinsecchito, penzolante su di uno strapiombo. Comunque non è finita. Non mi aspettavo davvero che sarebbe stato l'ufficio a ridarmi carne da mettere al fuoco delle mie riflessioni. Come ben sapete non ho da parlare di vita, di relazioni, di quegli aspetti che dell'esistenza di un uomo dovrebbero rappresentare le cosiddette “valvole di sfogo”. La mia paturnia odierna è un pretesto per far scivolare le dita sulla tastiera quasi a voler non piangere, a non cadere nell'errore di lamentarsi, di piangersi addosso come sempre. Giornate come queste ti invitano a non avere paura della paura, a non prevedere l'inferno prima ancora di averne sentito il calore assassino. Spesso è facile a dirsi, decisamente ardimentoso e presuntuoso da farsi. Possiamo studiare bene la parte, come faccio io quando mi metto qui, a mente fredda. Poi, una volta in scena, il copione studiato va a farsi benedire ed ecco rimediata la solita figuraccia. Ma allora quanto vale prepararsi? E quanto lavorare su se stessi se poi l'attore principale finisce schiacciato dal ruolo invadente del regista? Tutto questo per dire che oggi è stato l'inferno, faceva caldo dentro e fuori. E ora, solo ora sento il piacere di un alito di vento che mi accarezza la mente. Troppo poco.

 
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martedì 11 giugno 2013

Primi caldi

L

’estate c’è. A sgombrare il campo da ogni dubbio i colori intensi e nitidi della campagna, finalmente in grado di annientare il grigio sporco del finestrino. Lo lascia intendere chiaramente lo scorrere delle immagini che passano veloci sfidando occhi stanchi e orecchie piene di musica di sottofondo: è giunta ora di alzare lo sguardo e puntare oltre. E’ quello che pensavo esattamente questa mattina, sul solito regionale: scrivere non è mai tempo perso, questo lo ribadisco fortemente. Ma le occasioni vanno sfruttate, si riducessero anche soltanto ad una testimonianza fugace, semplice, superficiale di ciò che accade là fuori. E nel mio diario personale quel “là fuori” non esiste o se esiste riveste sempre un ruolo negativo. Ovvio, il mondo non è fatto solo di persone, c’è ben altro se si vuol essere felici o anche solo abbozzare un sorriso di soddisfazione. Ma non sono bravo ( o forse non sono allenato ) a riprodurre fedelmente ciò che non sento mio, ciò che fatico a considerare il mio posto, la mia casa. Io sono io , la mia stanza, le quattro mura, l’abat-jour, lo schermo. E poi il letto, il soffitto, questi fogli. Tutto qui il mio mondo. Ecco che, pur davanti ad uno spettacolo di colori, di luci e di calore io mi imbarazzo e non so più cosa dire, per timore di sbagliare, di essere scontato. Osservando quelle strade di campagna, quei trattori al lavoro, pensavo che finalmente tra poco potrò lasciarmi andare con la mia due ruote e osservare tutto alla solita velocità privilegiata. Non ricordo quando è stata l’ultima volta che ho parlato della mia passione, della bicicletta. Non ho neanche accennato al fatto di averne comprata una nuova, da corsa. Perché c’è un’età che avanza, perché mi ero intestardito all’idea che non sopportavo più essere superato in corsa dai vecchietti. E allora mi sono detto che anch’io avrei avuto una bici da corsa. Faccio molta fatica ad arrivare alle solite trentacinque righe, colpa del fatto che spesso è l’incipit a fregarmi. Avrei voluto parlare dell’estate, del fatto che è decisamente meglio guardare fuori e scriverne, almeno per far capire che non sono cieco e non ho occhi solo per me. So ben guardare cosa mi accade intorno, so compiacermene, so apprezzare ed ammirare. So stare bene, sentirmi leggero, fare progetti. Mi sento pienamente soddisfatto all’idea che tutto ciò prescinde dalla condivisione. Posso, se voglio. E con poco.


treno

lunedì 10 giugno 2013

Il pianeta perduto

C

’era una volta un alieno costretto a vivere in un mondo non suo, oppresso dalla gente e dalla sua stessa presenza. Era convinto di essere finito lì per caso o perché qualcuno così aveva deciso; pensava che l’unica speranza fosse quella di immaginare un pianeta ( alienia ) dal quale egli probabilmente arrivava e al quale, prima o poi, avrebbe fatto ritorno. Chissà se quel luogo immaginario esiste da qualche parte, a noi piace immaginarlo come un posto dove le presenze non sono ridotte a corpi ma a sottilissime linee che viaggiano all’unisono con altre, senza mai toccarsi, producendo movimenti e sensazioni armoniche. Persino l’anima non esiste su alienia, nemmeno il cuore. Solo vibrazioni. Peccato però. C’era una volta un alieno perché ora non c’è più. Troppo lontano il pianeta misterioso, nel tempo e nello spazio; troppo poco invece il tempo qui, in questo strano mondo dove l’unica regola è : adattamento. E così un alieno in meno ed un umano in più, questo è quanto. Ricordo come fosse ieri i tempi dell’alienazione. Tempi duri per la mente, un po’ meno per l’anima sempre solitaria ma di fatto a proprio agio nella solitudine fisica dell’uomo. I viaggi cerebrali verso lidi che di pace non avevano alcuna sembianza se non l’illusione di una vita terrena migliore. Quei percorsi intricati all’esasperata ricerca del senso della vita. Dov’è finito l’alieno? Dove si è nascosto? Sarà mica stato capace di trovare la strada per il pianeta? Macché. Oggi Enzo viaggia fianco a fianco con quegli esseri un tempo denigrati, odiati, derisi. Ne ha ancora paura ma, il viaggio interiore non è stato inutile. Enzo ha abbassato le pretese ma non in segno di rassegnazione, semplicemente perché ha capito che la vita è questa. Con o senza qualcuno da amare, denigrare, odiare. E allora ciao ciao ai gesti eclatanti, alle sparizioni, e benvenuto all’uomo superficiale, sempre aderente alle proprie sensazioni, sempre attento ai piccoli sobbalzi emotivi ma, perfettamente inserito nel contesto umano. Ragazzi miei, sono un viaggiatore senza valige, fermo, impassibile sulle proprie gambe, terrorizzato dall’aereo. E vigliaccamente mi alzo in volo dove so di non provare dolore, di non rischiare di cadere ma dove l’unico a gioire di questo sono io. Questo post è per dire che l’alieno è morto. Che non esiste un pianeta dove pensare di essere felici. E intanto, a mio modo, volo.

 
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domenica 9 giugno 2013

Gran premio della montagna

H

o avuto un piacevole riscontro e provo molta gratitudine verso tutti coloro che passano di qui, leggono, lasciano un messaggio di presenza. Mi fa piacere sapere che alcuni si riconoscono in ciò che scrivo, d'altronde sono io a credermi un alieno quando vivo certe emozioni interiori. In realtà tutti abbiamo un'anima ( chi più chi meno pulita ). La differenza sta nel come diamo ad essa modo di esprimersi: generalmente le forme d'arte più diffuse sono il veicolo attraverso cui il turbamento interiore meglio si manifesta. C'è chi addirittura mette a nudo la propria anima semplicemente rimanendo se stesso, esponendosi così alle correnti d'aria fredda che vanno dritte al cuore e che provocano malanni a volte irreparabili. Io scrivo. Ed è probabilmente il modo più facile per riprodurre i messaggi interiori e di sicuro quello che si riduce ad essere il più monotono e ripetitivo. Ma è pur sempre il mio scoglio, da cui non saprei separarmi nemmeno (ragionando per assurdo) nel momento in cui la mia vita prendesse una nuova direzione, imboccando la strada della serenità. In realtà sappiamo benissimo che non è possibile porsi alcun obiettivo materiale o morale nella vita perché il successo, piuttosto che la felicità non sono linee d'arrivo poste alla fine di una strada. Sono sempre e comunque piccoli “traguardi della montagna”. Sempre che, e a volte accade, non ci passino a fianco in un preciso momento per poi non accorgersi di nulla. Dunque scrivo cose scontate, almeno quando mi limito a dire cosa sento. Talvolta uso la tecnica della “greca” con cui esaspero, ma in fondo sempre di sensazioni si tratta. E' tuttavia importante aver capito di non avere più a disposizione un “mezzo per” bensì un “mezzo con”. Io viaggio con il mio blog, lui cammina con me ed io con lui. Queste pagine parlano e (almeno per ora) sembra lo facciano con scioltezza; che non vuol dire rassegnazione carissima L., questo no. Sono sempre molto arrabbiato, ma temo di stare attraversando quella fase che precede il crollo emotivo, che porta dritto al pianto, che lascia dietro di sé scorie e parole mai dette al momento opportuno. E allora che facciamo, ricominciamo daccapo? Si può andare avanti in questo modo? Accumulare e scaricare, accumulare e scaricare. Non va bene. A meno che come dici tu, non si raggiunga il nostro piccolo traguardo della montagna che non è laggiù, ma è qui, ora.

 
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venerdì 7 giugno 2013

Il grande circo

E

' un vero peccato che nessuno o quasi mi legga, almeno tra coloro ai quali ho promesso un caffè, un incontro, illudendomi potesse anche nascere un'amicizia in grado di riempire il grande vuoto. A volte ritornano i fantasmi; durante la settimana del delirio se ne stanno opportunamente nascosti. E hanno ragione: chi mai vorrebbe partecipare al grande circo del viaggio, della frenesia, degli orari, delle urla, per non parlare della follia dell'ambiente lavorativo. I fantasmi non amano il rumore. E la mia settimana è solo frastuono. Non è che aspetti con ansia questo momento ( gambe incrociate, luce soffusa ) perché ti aspetteresti ben altro dal fine settimana, tuttavia esso rappresenta quel particolare spicchio di pace nel quale raccolgo le idee. Peccato che pochi di quelli che ho nominato all'inizio, possano o vengano a sbirciare qui. Potrebbero capire, perché è forte il mio desiderio di dire loro che vorrei tanto, ma tanto. E' finita una settimana che definire delirante è poco. Sono sempre più scavato, stanco, abbattuto. Ma non c'è rabbia, non c'è desiderio di vendetta verso il solito mondo o chi per esso; non c'è nemmeno stupore. Sta accadendo, è così. Sta succedendo un gran casino che poi per una buona parte è solo lavoro ed il lavoro serve per vivere. Dove sbagli ancora Enzo? Perché ti stai lasciando travolgere? Ma poi non è solo lavoro: dove la mettiamo la salute dei miei? Questa settimana è stata importante, tosta, maledettamente incerta. Mi dovreste vedere sul lavoro: sono una miccia sempre pronta ad esplodere; qualcosa è successo oppure io sto raggiungendo i livelli di allerta. Mi sono stancato di dare la colpa al grande circo là fuori, ci ho messo del mio ma, chi non rasenterebbe la follia? Chi non ha bisogno di evadere, di cercare le sue valvole di sfogo? Ma si, forse le ho; ora sono preso, travolto, non riesco a mettere ordine. E, come spesso accade, bastano dieci minuti, dieci fottutissimi minuti per rimettere le cose a posto almeno nella mente. Esattamente come le vorresti e come (purtroppo) rimarranno sempre nel cassetto dei desideri. Qualcuno sa, altri non hanno capito, qualcuno giudica, altri danno consigli. Io mi giro, cercando di ascoltare tutte le voci che si mescolano al rumore di sottofondo. Che vita caotica. Un attimo di silenzio per ripassare i volti ormai ridotti a semplici fotografie, voci di cui non ricordo il tono, gesti che sembravano destinati a diventare familiari ed invece....Ripensare a tutto questo, essere riuscito a scriverne, mi regala un po' di pace. La tempesta però è ancora in atto.

 
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giovedì 6 giugno 2013

Parole preziose

P

erché non c’è niente da dire quando ci sarebbe tutto da dire. Se le parole sono preziose guai sprecarle quando esprimere un concetto o cercare di trasmettere una sensazione, con le parole diventa impossibile. Perché se manco due giorni dal blog non è cosa voluta, ma tremendamente forzata. Rispetto il valore delle parole per cui eviterò di disperderle nella descrizione delle situazioni di vita che ultimamente mi stanno portando sull’orlo dell’esaurimento nervoso. Decisamente più costruttivo provare a mischiarle per rendere l’idea, poi chi vuol intendere, intenda. Ci sono momenti, anzi fasi vere e proprie in cui nulla succede agli occhi degli altri e tutto invece ti colpisce, facendoti quasi credere di essere al centro del mondo. Merito del sottoscritto aver indossato maschere di grande spessore capaci di non far trasparire nulla o quasi. Sono le tempeste emotive, ma non quelle stupide che, il solo masochismo volto alla ricerca del senso, mi aveva portato a subire. Parlo delle paure tangibili che ti sbattono a terra dopo i tuoi voli pindarici del menga fatti di ricerche improbabili ed obiettivi opinabili. La vita è un soffio. Non ho mai pensato di viverla nel modo giusto, sono consapevole di gettare via gran parte dei minuti, delle ore e dei giorni preziosi che ci sono stati concessi in prestito. E come sempre, per realizzare tutto ciò, ho bisogno di sentire vicinissima la fragilità della vita, di sentirla quasi mia. Siamo alle solite, anche queste sono parole sprecate nella misura in cui sono ripetute. Bisognerebbe imparare le lezioni in modo da evitare odiose ricadute. Il circolo è vizioso, come la giri e la volti la sostanza non cambia. Enzo lavora sempre molto su se stesso ma, alla resa dei conti è un essere assolutamente fallibile e recidivo. In questi ultimi tempi mi tengo volontariamente lontano dal dialogo; io che l’ho sempre cercato, voluto, urlato. Sto cercando di capire se questa forma di isolamento sia simile ad altre di cui sono stato protagonista in precedenza. Tante solitudini. E questa? Da dove viene fuori? Probabilmente dalla paura di tirare fuori di nuovo tutto, di dover ricostruire la situazione quando ciò che vuoi è solo mente libera. Non ha colpa nessuno. E’ una fase. Voglio, desidero con tutto il cuore ritrovare un punto di partenza e resettare tutto. Un bella formattazione, senza fare il back-up. Intanto sono tornato a scrivere, che sia un buon segno lo ignoro.

 
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lunedì 3 giugno 2013

Artifizi

E

ppure esiste una soluzione alquanto semplice, perché il tempo è un cancro che divora ogni nostra velleità. Già esserci diventa un’impresa, figuriamoci amare, far sentire che ci siamo, godere di noi stessi. E poi pensi che a pensare ti divori più di quanto non faccia il tempo sul tuo corpo e su quel che resta del libero arbitrio. Esiste un piccolo stratagemma che non richiede alcun impegno, che non porta via tempo, ma che libera la mente dall’ossessione di non avere tempo. Dovremmo smetterla di considerare il tempo come qualcosa che si muove dentro la vita, uno strumento che ( a seconda di come ne si fa uso ) può essere funzionale alla vita. Basta, smettiamola di chiamarlo tempo e abituiamoci a chiamarlo: vita. E allora scopriremo che saremo sempre giustificati, che saremo sempre perfettamente in linea con il mondo, che nulla e nessuno potrà accusarci di qualcosa. In fondo cos’è il tempo se non una costruzione mentale la cui sottoposizione ad ulteriori rigidi schemi rende la nostra vita un inferno. E così ogni giornata finirà in modo amaro per tutte le occasioni sprecate, ma in fondo potremo dire che è vita. Proviamo dunque questo artifizio, mentale e concettuale al tempo stesso e mandiamo a quel paese tutto ciò che la vita offre senza darci il tempo di goderla. Il tempo non esiste, esiste la vita. Sono mattinate piene di pensieri, sono giornate infernali sul lavoro, più che mai arzigogolato è il percorso delle mie riflessioni silenziose, quelle che non riesco a rendere pubbliche. Tutte portano sempre all’idea del tempo. Indubbiamente, questo primo semestre dell’anno mi sta riportando a quello di due anni orsono. Le stesse paure, le stesse congetture. Il lavoro ha smesso di essere un’occasione per attenuare la morsa; le cose sono cambiate, sono teso, tirato, agitato, nervoso. Non è estate non è inverno e nemmeno autunno o primavera. Non esiste nulla di definito, non posso isolare i problemi e tracciare loro intorno un bel contorno. Non posso affrontare tutto insieme e nemmeno a compartimenti stagni. E allora provo a divertirmi a creare concetti astrusi da distribuire sulle solite trentacinque righe; provo a fare della mia capacità di analisi un piccolo laboratorio per la ricerca di magiche soluzioni. Anche questo è tornare bambini, sdrammatizzare ciò che è realmente difficile da reggere. Crollerò. Ma, Dio mio, non adesso. Adesso non posso.

 
Alembic

sabato 1 giugno 2013

Alla faccia del cielo

E

menomale che non mi sono imposto di aspettare la luce per iniziare una nuova vita! Facciamoci una risata, diamo un bel pugno a questo cielo grigio e a questa pazza stagione che ci mette del suo. Sono stato non poco lungimirante nel non credere fosse l'inverno ad incupirmi e che, appena arrivata l'estate con i suoi colori io, sarei rinato. Una conferma dell'assoluta impotenza del tempo atmosferico sulla qualità dell'umore. Ma, come ben sapete, la mia tristezza (o quando va bene il mio umore “amaro” ) non dipendono né dal sole né dalle nuvole, dalla pioggia o dal vento. Il mio umore è tale e basta. Diciamo che mi sento in buona compagnia perché, se la pazzia viaggia alle alte sfere, tu misero uomo sei più che giustificato. E così viaggio, in attesa di affrontare un paio di settimane all'insegna dell'incertezza, ma mica sul lavoro; sto parlando di cose più serie, di quelle per cui a volte vale la solita preghiera del caso. Non mi vergogno a dire di essere un credente “all'occorrenza”. In certi momenti voglio sentire vicino qualcuno e per farlo incrocio le mani in un gesto che, non è di preghiera ma di unione con me stesso. Facile dire che sono un solitario, facile dire tante cose. Sapete, non me ne frega nulla di quello che pensano gli altri. Come già dicevo ieri, sono sempre stato tacciato di essere uno che salta subito alle conclusioni, che sputa sentenze sugli altri senza sapere. Quello che a me importa è che alla fine i conti tornino, che prima o poi siano gli altri a cadere nello stesso errore. Così la smetto di auto-punirmi e sfioro la serenità. C'è ancora molto caos dentro e fuori. Da bravo pignolo vorrei che pure il casino assumesse contorni ben definiti, si facesse capire, mi desse un segnale su come agire. Al momento attuale il mio più grande desiderio è quello di immaginarmi a guardare ciò che sto attraversando con il sorriso beffardo di chi ce l'ha fatta ancora una volta. Da solo. Sono passato ( ed ora ne sono uscito ) attraverso l'amicizia virtuale, credendo di averne bisogno come il pane; sto conoscendo ( era ora ) l'imperfettibilità di quella reale. E sono convinto di essere a buon punto sulla via dell'accettazione non solo della solitudine fisica, ma anche di quella interiore. Tutto mentre dentro e fuori è ancora caos e tutto mi appare indistinto, impercettibile. Sono meno incazzato, il mondo non mi fa paura. Sono terrorizzato da me stesso, l'imprevedibilità fatta a persona.

 
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