domenica 25 novembre 2012

Mondanità privata

C

onosco un metodo efficace per evitare i legami e le sofferenze che essi provocano: basta smettere di vivere. Ma io vivo, anche se la maggior parte di coloro che mi leggono storcerà il naso. E’ un vivere il mio? Si fa fatica a stare nel proprio mondo interiore, a convivere con le proprie ansie, i rigurgiti della coscienza, le piccole o grandi sfumature del dolore che il cuore disegna. Sono un amante della “mondanità privata”. Una sorta di ossimoro, ma questa definizione mi calza a pennello: è bello rendersi conto del fatto che non sono in tanti ad avere la possibilità e la capacità di vivere due mondi separati scegliendo di essere protagonisti dell’uno o dell’altro, a proprio piacimento. Di certo avere a che fare con le bizze del proprio Io è assai più logorante che sopportare 8 ore di lavoro e la restante parte della giornata a fare le cose più scontate e ripetitive. Però, volete mettere quanto è meglio crogiolarsi e frantumarsi il cervello nel capire chi siamo, dove andiamo e cosa vogliamo? Non riesco a trasmettere la necessaria ironia in quel che scrivo perché qualcuno di voi si sarà chiesto se sto scherzando o faccio sul serio. Quanti Enzo esistono a questo mondo? Quante persone forse, vorrebbero essere al mio posto? Ma forse nessuna, e togliamo il forse. Perché non c’è di che guadagnare. Mi sono sempre vantato di aver avuto a disposizione due vite da vivere; anche quando l’età giocava a mio favore, il mondo dei contorcimenti spesso prendeva il sopravvento sulla pura e semplice materia. Due porte sempre aperte, cuore e anima. Perché il cuore è il nostro ponte verso gli altri, l’anima invece è il rifugio nel quale rinchiudiamo noi stessi e ci specchiamo nella necessità di capire. Il mio cuore è quasi nuovo, lucido, peccato non lo si possa ammirare. E’ l’anima ad avere il fiatone e a rendermi superficialmente un uomo antico, pieno di pensieri, di strane paure. Vivere è pur sempre bello, anche quando si decide di lasciare da parte i perché, la voglia di capire, la paura di perdere qualcuno. Sono un uomo affetto da una fragilità emotiva ai più sconosciuta. Ma perdonatemi se la mia giornata è fatta di maschere, di sorrisi non tanto forzati quanto terapeutici. Non è così semplice esporre al mercato del mondo roba vecchia ed usata più volte; al mercato del mondo vince l’apparenza, il bello. Ma aspettate, ho appena detto che il mio cuore è quasi integro, pulito….E’ nuovo! E allora perché non metterlo in piazza? Se ci provassi, forse anche la paura di trovare qualcuno e allo stesso tempo di perderlo, svanirebbe. E anche l’anima avrebbe di che gioire. Porte aperte al cuore dunque? Chi merita, sarà il benvenuto. Tengo a sottolinearlo, chi merita.

 
sosta a camaldoli ceiw

sabato 24 novembre 2012

Ci vorrebbe il cuore

C

he poi, alla fine, mi accontento di poco; capita quando ho la sensazione di sfiorare la perfezione e sul volto si dipinge un bellissimo, quanto raro, sorriso di soddisfazione. Mi basta una giornata di lavoro frenetica, ma alquanto produttiva, a togliermi il sonno sul regionale delle 17.20 lasciando liberi i pensieri, al di là del finestrino. Dov’è la perfezione che vado cercando? Non esiste, non esiste!! Oppure è lì, così vicina, quasi tangibile. Oggi ho dato il massimo, ero sicuro di me, mi sentivo forte. Eccola la perfezione. Che poi ai più tutto questo sfugge, appartiene alla normalità, perché il lavoro è parte dell’ordinario e non è certo lì che dobbiamo dimostrare a noi stessi quanto valiamo. Tuttavia, siete al corrente della mia arida vita, del mio deserto di momenti in cui mettere sul piatto tutto ciò che di buono ho a disposizione. E’ chiaro, evidente, provato che tutte le mie paure svaniscono non appena svesto i panni dell’alieno mancato e realizzo chi sono. Oddio, sono un uomo normale. Ecco, questo è il punto. L’appartenenza al mondo degli imperfetti è una quotidiana presa di coscienza dell’inutilità di una battaglia intrapresa da tempo e che mi sta logorando. Sostengo fortemente la tesi per cui chi di noi ha una percezione massima della superficialità, diventa schiavo della perfezione. La cerchi ovunque ma ti fermi ad un passo dal traguardo perché Lei, sta al di là di un muro invalicabile. Provare a scavalcarlo ci fa cadere a terra tante volte fino a perdere i sensi. L’orgoglio mi spinge a dire che non rinuncerò a cercarla, perché mi sento e voglio essere diverso dagli altri. Perché non posso accontentarmi di pensare che siamo tutti nella stessa barca. Ci sono momenti in cui penso a tutto ciò che di materiale offre la vita. Cavoli, ci è stata concessa solo un’opportunità, vogliamo sprecarla stando qui a dissertare di sensazioni, e dei soliti contorcimenti? Si, la vita è anche fatta di piacere, di evasione, per qualcuno di trasgressione. Questo lo so. Il fatto di essermi progressivamente curvato su me stesso non mi ha fatto dimenticare ciò che è estraneo ai sentimenti, ai pensieri, alla morale. Ci penso, eccome se ci penso. Ma cosa posso fare, il mio cervello è una macchina che non smette mai di lavorare, a volte s’inceppa, ma nessuno riesce a liberarla. Ci vorrebbe il cuore. Mi basta sapere di essere amato e voluto bene? Mi basta? Forse, se cominciassi io a farlo potrebbe cambiare qualcosa. Beh, non ci penso e mi lascio andare a questo Sabato, apparentemente inutile come tutti i giorni non vissuti come vorresti. Ma, sorridendo di me stesso continuo a ripetermi: “Ma cosa voglio?”.

 
cuore1

lunedì 19 novembre 2012

Obiettivi di Novembre

C

apita frequentemente di perdere contatto con se stessi, si smarrisce il senso dell’orientamento perdendo di vista gli obiettivi primari. I nostri. L’aggettivo possessivo in questo caso andrebbe sottolineato con una doppia riga. E’ una lezione che facciamo fatica ad imparare perché questo pazzo mondo ci obbliga a porci in relazione con il prossimo. Ma chi è questo benedetto prossimo? Cosa vuole da noi? Cosa ci dà in cambio? Se prendiamo fregature oppure veniamo in qualche modo delusi, tiriamo in ballo il fatto di non aver pensato abbastanza alle nostre priorità, ai nostri obiettivi. Se poi decidiamo di ricominciare da noi, veniamo tacciati di egoismo. Me lo dite voi qual è la strada giusta da percorrere? In una fase della mia vita in cui finalmente posso dire di aver raggiunto il massimo livello di autostima, non intendo mandare tutto all’aria, riducendomi ad elemosinare la presenza di qualcuno. Una delle mie più grandi contraddizioni sta proprio nel cercare qualcosa facendolo però, nel posto sbagliato. Non voglio arrivare a dire che la distanza annienta i rapporti, ma fisiologicamente non li può mantenere vivi. L’ossigeno è, per me, ( lo sto ripetendo alla nausea ), la presenza. Cerco qualcosa nel posto sbagliato e finisco col chiedermi perché io lo faccia. Il weekend appena trascorso rappresenta l’archetipo dell’alienazione fisica e mentale di un uomo. Se sto usando il mezzo sbagliato me ne devo rendere conto e per farlo ho bisogno di avere chiari, quelli che sono i miei obiettivi. A volte finisco con l’odiare la sola visione di foto e immagini di persone che ridono, si divertono, esaltano in maniera fin troppo vistosa il loro essere felici ( ma lo saranno poi davvero?). Colpa dei social network che amplificano tutto, colpa di un personale sentimento di invidia che ancora non riesco ad abbandonare. Insomma qui è il caso di prendere un attimo coscienza dei propri mezzi e delle proprie possibilità. E io ne ho tanti, tantissimi. Perché mai dovrei provare a volare sapendo che le ali si scioglierebbero al primo raggio di sole. L’obiettivo è? Ecco, appunto, l’obiettivo, dov’è? O devo eternamente viaggiare alla giornata sperando che tutto cambi? Non voglio ferire nessuno, ma so che chi è dotato di buon senso sa cosa voglio dire: ringrazio di cuore chi mi vuole aiutare con le parole e gli incoraggiamenti. Vi voglio bene. Ma a me non basta. Chi ascolta i miei singoli battiti? Chi può star dietro alle miei occhi fissi sul soffitto di una domenica di Novembre? Nessuno. Nessuno può. Ma grazie, vi voglio bene lo stesso.


 

domenica 18 novembre 2012

La spada di Damocle

S

tamattina mi sono svegliato con il crampo allo stomaco. Sta suonando il campanello di allarme che innesca una consolidata sequenza di reazioni. E’ il segnale di noia incipiente e voglia di raggomitolarsi su se stessi. E’ il momento della solitudine terapeutica. Non mi importa di correre il rischio di apparire umorale, inaffidabile, egoista; questo è il mio momento ed è la soluzione quasi sempre necessaria a capire. Non so in realtà a chi io debba rendere conto di questo, spesso mi giustifico anche per le cose meno importanti. E’ un mio difetto di natura. La speranza è l’ultima a morire, non ho intenzione di abbandonare totalmente il campo di battaglia, ma non posso come dicevo ieri, vivere di rendita per altri lunghi mesi. E così ho deciso di ritornare al mio rifugio segreto, quello fatto di silenzio e isolamento. Ho tristemente scoperto di avere pregiudizi, di essere poco incline a cambiare opinione su qualcuno. E’ del tutto sbagliato fidarsi del primo impatto; si mostra tuttavia una spiccata intelligenza nel concedere al prossimo la possibilità di rifarsi e io non sempre lo faccio. Ma quando capita, fatico enormemente a dimenticare, a cancellarla, quella famosa “prima impressione”. Sono del tutto onesto e amo il rischio per cui non ho paura nel dire quel che penso. Qualcuno l’ha chiamata “spada di Damocle”. Io non sono perfetto, anzi. Sono pieno di difetti, contraddizioni interne, predico bene e razzolo malissimo. E sono troppo incline al giudizio. Ma sto pagando per questo, con la mia solitudine. Non credo mi smentirete se affermo che da tempo non mi lamento più del mio stato di uomo solo, anzi, converrete con me che ho piena conoscenza di quelle che sono le mie priorità al momento. Mi riferisco ad una vita meno stressante, che mi permetta semplicemente di lavorare con il cervello evitando di fare la figura dell’anziano smemorato. Il lavoro sta tornando in cima alla lista delle cose da sistemare, ho necessità di tornare a prendere fiducia in me stesso e trarre un briciolo di autostima dai nuovi compiti che mi sono stati assegnati. Al di là di questo non penso più di dovermi porre finalità che coinvolgano sentimenti ed emozioni. Ci ho provato, ma sono troppo rigido, troppo inquadrato, troppo condizionabile. Torno al mio rifugio segreto, ho tanto bisogno di sgombrare la mente da voci, parole, immagini, contrasti, che mi stanno confondendo le idee. Chiedo scusa. Qualcuno me ne vorrà. Non sto scappando da me stesso, ho solo bisogno di ritrovarmi di nuovo.

 
spada di damocle

sabato 17 novembre 2012

Aspettando Godot

I

l Sabato Milanese mi ha permesso di vivere abbondantemente di rendita per l’intera settimana, a livello emotivo e di impatto con l’ufficio. Lunedì mattina, mentre oltrepassavo i tornelli che mi portano alla metro ho avvertito un senso di soddisfazione inusuale ed atipico. Pensavo a tutte quelle volte in cui ho appoggiato l’abbonamento ed i tornelli si sono spalancati sull’ennesima settimana lavorativa: “Ecco, cosa ho combinato in questi due giorni?”, sempre lì a chiedermi. Nulla, di default, la risposta. La situazione lavorativa è alquanto strana nel senso che da neanche un mese mi sono accomodato in back-office e sto cominciando a fare i conti con le prime e prevedibili problematiche. Prima fra tutte, dover ricominciare daccapo ad imparare, a ragionare, e a chiedere. Odio consultarmi in continuazione, dovrei prendere appunti ma la materia e le casistiche sono talmente variegate da non prevedere risposte adeguate utilizzabili sempre. Avrei tanta voglia di lavorare cercando di capire cosa sto facendo e perché. Parrebbe una richiesta non particolarmente esosa, peccato si debba fare i conti con il caos generale. Ad un certo punto ho maturato l’idea ( direi piuttosto la convinzione ) che sarà meglio sbagliare e farlo da solo. Ora devo solo riuscire a gestire l’ansia, quasi sempre provocata dal senso di disordine materiale che regna sulla scrivania e che è frutto di lavoro arretrato. Ritorna il tema del tempo e della voglia di prenderselo tutto, quello che serve, per portare avanti il compito come sono capace. Se non andrà bene, pazienza. Non mi sono dimenticato della premessa iniziale: sicuramente mi rendo conto che vivere piacevoli momenti in compagnia di persone care aiuta a vivere meglio. Il Sabato Milanese mi ha permesso di mettere in cassaforte la convinzione che tutto è possibile, che gli squarci nel buio esistono, che devono essere magari anche voluti. Scrivo a distanza di una settimana: il cielo è nuvoloso, fa anche freddo, sono in posizione yoga sul piumone e l’abat-jour ad attenuare il riverbero. Sono tornato all’antico, ma sento che qualcosa può e deve ancora cambiare. Ritengo soprattutto di aver acquisito un’ottima capacità di tenere separati vita e lavoro; questo è già un bel traguardo. Non resta che riprovare a dare fiducia a chi al momento riempie la mia sterile vita sociale attraverso una presenza seppur virtuale. Riparto dalla ormai acquisita consapevolezza di chi sono, pregi e difetti compresi; quanto al “cosa voglio”, beh sto sempre aspettando Godot, probabilmente.

 
godot

domenica 11 novembre 2012

Di giallo e di blu

U

n tuffo dove l’acqua è più blu, niente di più. Chiedo scusa per aver scomodato Battisti ma non trovavo l’incipit adatto a questo post. Di acqua ne ho vista e presa tanta ieri, e non era blu. Avete presente il classico pomeriggio Milanese di metà Novembre? Tutto è tremendamente grigio, una sorta di cartolina in bianco e nero dove si fa fatica a distinguere i soggetti in primo piano e lo sfondo. Uno scenario malinconico, quasi triste. Nessuna traccia di blu, almeno all’apparenza. Beh, alla faccia del tempo inclemente ( e non solo quello meteorologico ) e della distanza ( il mare della Sardegna è lontano da qui ) io ieri mi sono fatto un bel tuffo. E’ come quando ti crogioli al sole durante una giornata in spiaggia ed ad un certo punto senti il bisogno impellente di rinfrescarti. Ne esci rigenerato. Ho dissertato e tuttora disserto del tempo ostile e delle distanze fisiche che spesso riducono la mia vita ad un misero foglio bianco sul quale le azioni ed i gesti si ripetono meccanicamente; diciamo come un ripetente a cui è stato ordinato di scrivere cento volte ciò che fa fatica ad apprendere. Questi fogli sono tutti uguali, tutti perfettamente ripetitivi dello stesso concetto: se solo avessi vicine le persone a cui tengo, forse loro riuscirebbero a capire chi è Enzo. E credo si stupirebbero di non vederlo così serioso, rigoroso, intransigente con se stesso. Scoprirebbero che quegli occhi tristi e quelle labbra mai allungate in cenno di un sorriso in realtà hanno ben altro da dire. Oddio, non sono finto! Sono io, ma solo quello che prevalentemente vengo portato ad essere. Ieri sono stato doppiamente felice: innanzitutto perché ho incontrato per la prima volta dopo quasi 7 anni, una persona alla quale ero legato da amicizia epistolare; a compiacermi ulteriormente il fatto di apprendere che non sono affatto come mi si poteva immaginare, che so anche sorridere e che sono stato una piacevole sorpresa. Sono orgoglioso di questo e sono davvero felice di sapere che ciò che penso corrisponde alla realtà. E’ che, come sempre, noi siamo anche le persone con cui ci relazioniamo che spesso hanno il merito di tirare fuori ciò che teniamo nascosto dentro; quasi sempre poi, la nostra parte migliore. Sono felice di aver fatto questo tuffo e di averlo fatto all’interno di una cartolina dai toni grigi. Improvvisamente tutto ha preso colore, quello blu del mare, e quello giallo del sole. Grazie allora a te, amica mia, per il sole che mi hai portato, per il mare dove mi sono bagnato. Dei sorrisi, degli sguardi. Tempo, distanza, parole scritte, per una volta li ho nascosti nel cassetto delle cose inutili.

 
girasole

giovedì 8 novembre 2012

Sfoghi

Q

uesta settimana non mi è affatto piaciuta. Non mi piace quando il tempo mi trascina dove vuole e mi butta via come uno straccetto usato. Sono davvero cambiati i tempi. L’entusiasmo dei primi mesi si è andato gradatamente dissolvendo e con esso quella forza fisica e mentale che mi rendeva attivo e propositivo. Mi riferisco in modo particolare al mio ruolo di pendolare, a quello che, da questa vita terribile passata sui treni, può essere ricavato come vantaggio. Un libro, il pc, gli articoli scritti dalla prima declassata, una rivista, il mio corso di inglese. Dove sono finiti? Quando “infilo” il regionale mattutino ho solo il desiderio di addormentarmi; quando invece monto sul 17.20 se chiudo gli occhi, la testa comincia a pendolare vorticosamente. Sono stanco. E lo vedo sul lavoro. Il pendolare regala due ore di straordinario in entrata ed in uscita, ovviamente non pagato, anzi. Il pendolare non è efficiente sul lavoro. Diciamocelo, faccio errori da principiante e non me lo perdono. Sono un perfezionista, non posso e non voglio sbagliare. E se lo faccio non posso nemmeno tirare in ballo la stanchezza perché nessuno è in grado di capire o meglio, a nessuno frega nulla. Sono giovane, o relativamente tale. Quando faccio il mio lavoro vorrei sapere ciò che faccio, ciò che non devo fare, e magari anche essere aiutato. Questo non mi viene negato, anzi. Ma io sono stanco. Non ho la testa. Questa vita mi toglie non solo concentrazione e capacità intellettive, ma com’è noto, mi toglie vita. Tempo succhia vita. Arrivo alla fine di settimane come questa, decisamente demotivato e con tanta voglia di mollare tutto. Lo so bene che non lo farei mai, ma mi va di dirlo, anche solo per sfogarmi, anche solo per urlare a qualcuno che Enzo si è rotto le balle di fare questa vita che non è nulla, né carne né pesce. Poi tutto rientrerà rigorosamente nei ranghi, tutto tornerà alla più completa normalità. E continuerò a far finta che va tutto bene perché non hai nemmeno più il diritto di lamentarti di una vita becera. Perché il qualunquismo ti dice che hai un lavoro e non te ne puoi lamentare. E che sei in salute e non ti puoi crucciare. Ma questo puntino, questo piccolo puntino egoista, ha voglia di urlare che si è stufato. Così, tanto per dire qualcosa. Sono risucchiato dal tempo, non ho più voglia, sono un automa a tutti gli effetti. Non avrei scritto nulla fino a chissà quando. Del resto, a chi avrei potuto urlare il mio malessere evitando di sentirmi dire le solite frasi di circostanza? A nessuno, se non a questo foglio bianco.

 
urlohomer

domenica 4 novembre 2012

Spazi stretti

M

i sono volutamente tenuto lontano dal blog e da Internet in questi giorni del lungo ponte. L’ho fatto per due motivi: autoconvincermi di avere altro da fare che non fosse qualcosa di virtuale ed evitare di passare troppo tempo allo specchio. Niente però a che vedere con un improvviso attacco di narcisismo. Mi duole dirlo ma scrivere di se stessi è un’arma a doppio taglio; ingrandisce, fino a vederne i pixel, la propria immagine. Si perde contatto con il quadro generale lasciando spazio a pregi e difetti che risultano inevitabilmente in primo piano. Non dovrebbe essere così perché scrivere è bello, anzi bellissimo. Sono stato bene ed è ciò che conta; quel che più desidero ora è che non si tratti del solito stato di calma apparente cui solitamente sono seguite inevitabili ricadute. Avevo un certo timore di questi giorni da trascorrere nell’accidia più totale. Ma come sempre accade, quando ti metti di impegno riesci anche a tirare fuori qualcosa di buono dalle situazioni più impensabili. Ho avuto modo di pensare e ripensare al mio intorpidimento dei sensi e delle emozioni e a come alcuni amici mi abbiano più volte sollecitato e stimolato ad uscirne, pensando al buono che ne deriverebbe. Testardo ed orgoglioso ho sempre fatto orecchie da mercante. Ieri mi è capitato di scrivere una frase sul solito social network, che riporto qui: “Momenti, frangenti, attimi in cui distruggo le sbarre ed esco, fino a ritrovare una nuova fantastica sensazione. Voler bene, lasciarsi amare, fregandosene di tempo e distanza. Li prendo entrambi per mano e li porto là dove voglio io.” Penso si tratti di un sentimento estemporaneo che mi è piaciuto fissare attraverso le parole. Ma vorrei dal profondo del mio cuore che non fosse così. Per proseguire sulla strada che mi è stata indicata ho bisogno di fare tutto ciò che è possibile per farmi voler bene. Dunque, devo farlo io. Devo credere nelle persone, devo credere soprattutto in quelle che dimostrano di non fermarsi all’apparenza e vogliono scavare a fondo. Non c’è niente di più facile di vivere se, le barriere di cui mi sono circondato sono le stesse che io posso abbattere con un soffio. Tempo, distanza, qualità. Il primo manca, la seconda è in quantità esorbitante, la terza è possibile. Dovrei fare un bel repulisti e soprattutto smetterla di ostinarmi a cercare. Non si può pretendere di riempire la propria esistenza di persone che si sa, finirebbero con il rimanere semplici passaggi a vuoto. Non è così difficile, più vicine le voglio meno spazio devo creare, stretti stretti si sta meglio.

 
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