lunedì 28 febbraio 2011

Cogito ergo sum

E
bravo Cartesio. Cogito ergo sum, penso dunque sono. Io mi permetto di aggiungere: “Penso dunque sono, scrivo dunque vivo”. Mi preme tornare ancora sull’argomento a me più caro che poi è il primo motivo per il quale ho deciso di dare vita a questo diario. Parlo della passione per la scrittura; e lo faccio ancor più stimolato da un recente dialogo con un caro amico che, trova nella pittura gli stessi stimoli, le stesse motivazioni, lo stesso senso di liberazione. E’ la realtà di ognuno di noi a fare da tramite alle nostre passioni. In fondo bisogna pur riconoscere che le doti innate, il talento, spesso trovano nelle difficoltà della vita quotidiana il terreno più fertile. Facciamo tutti i conti con malesseri più o meno evidenti o anche solo latenti. E ringrazio il mio amore per la penna se alla fine di ogni giornata ( anche la più scontata ed anonima ) trovo modo di raccontar qualcosa. Io lo faccio utilizzando una tastiera, qualcun altro magari attraverso un pennello. Mi guardo spesso intorno, come oggi. Tante persone riunite in una grande sala ed un noiosissimo relatore che parla di sicurezza sul posto di lavoro e di estintori. Niente dunque che possa attirare la mia attenzione ( sappiamo bene che in termini di sicurezza, la teoria e la pratica sono agli antipodi). Ho così provato a divagare, anche per trattenere gli occhi dal chiudersi, ho persino provato a pensare a come organizzare qualche fine settimana “produttivo” nell’immediato futuro. Ed ora sono qui a scriverlo. La penna, il pennello, un qualsiasi strumento musicale sono tra le pochi armi in grado di produrre beneficio. Come vi sarete accorti, sto dando vita ad un articolo alquanto disordinato, senza un senso apparente; ma non è detto che lo debba avere per forza. Da Giovedì ho lasciato il diario a prender polvere e la cosa non mi piace.Ho iniziato parlando di passioni, di scrittura, di pittura. Mi capita di ascoltare un numero sempre più ampio di persone che ritrovano nell’arte ( in tutte le sue forme ) la via d’uscita, quella privilegiata. La mia riflessione è di fatto piuttosto triste. Mi accorgo cioè che, fare qualcosa con il cuore, qualcosa che ci piace ci permette di bypassare momenti e periodi di sofferenza, di apatia, di stanchezza mentale. Ed è una cosa bellissima, ma sembra prescindere dalle relazioni umane. Sto dando tutto il meglio di me stesso per crearne nuove, per dare vita a quei rapporti che ho sempre sognato. Rapporti in cui Enzo è finalmente se’ stesso, leggero, persino ironico quasi divertente. Ho voglia di farmi conoscere per come sono veramente. Viva la scrittura, viva la pittura. E visto che penso quindi sono, scrivo quindi vivo, non disdegenerei un ….vivo quindi amo.


giovedì 24 febbraio 2011

Effetto domino

M
orfeo mi ha placidamente traghettato verso acque calme. La notte ha spazzato via ( seppur non totalmente ) la tempesta emotiva di ieri pomeriggio. Può un errore, innescare un così travolgente vortice di paura? E la paura di ciò che da esso può derivare è in grado davvero di generare il crollo delle certezze acquisite, quel briciolo di autostima conquistata fino a quel momento? Tutto ciò è possibile se il soggetto a cui si fa riferimento si chiama Enzo. Mi chiedo se e quanto mi piaccia auto-fustigarmi, darmi del deficiente, immaginare scenari apocalittici. Tutto, per uno sbaglio. Le mie emozioni seguono sempre un percorso, tutte insieme. Avete presente il domino? Ecco. Date la spinta alla prima pedina e tutte le altre, irrimediabilmente cadranno. Io sono così. Torna dunque d’attualità il tema dell’incapacità a trattenere ( o almeno a regolare ) il circolo emotivo all’interno del mio povero emisfero sinistro. Ore e ore di straordinario non retribuite, turni di lavoro massacranti mentre di là, dall’altra parte la ragione spesso beatamente in panciolle si gira i pollici. Che poi io, non ho vergogna ad esternare le mie debolezze con gli altri. Dico, quasi con vanto ciò che provo; con il rischio che ne derivi la solita immagine del maturo 42 enne privo totalmente di attributi. Oggi, ho ricevuto qualche rassicurazione ma sentivo il bisogno di comunicare quanto a cuore io mi prenda certe responsabilità. Voci e qualche battuta ascoltate qua e là mi hanno innescato il sospetto che quello che io ho riferito in privato a chi dovevo, sia stato poi diffuso a larga banda. Continuo però a non preoccuparmene, magari anche a vantarmene. Non so quanto vale al giorno d’oggi essere sensibili e non nascondere le proprie emozioni. Lo stereotipo dell’uomo maturo dovrebbe essere un altro, almeno secondo stupide convinzioni di massa. Ma in un ambiente quale è quello del lavoro non ti scegli le persone che ti circondano. E devi essere fortunato se quelle persone non rientrano nella categoria dei soliti qualunquisti dal luogo comune facile. Insomma, il nocciolo della questione è poi sempre lo stesso: farmi del male. E questo non va affatto bene. Passi allora l’impegno, il senso di responsabilità, la dedizione stoica; passi anche la disponibilità, la solidarietà. Ma ad un certo punto quel “domino” deve essere interrotto. Questa bilancia ragione-emozione continua a pendere troppo dalla solita parte. So che sono argomenti che sciorino con frequenza ed in modo pedissequo; e so che, se sono qui a parlarne, non ho ancora trovato una dritta. E probabilmente non la troverò ma spesso mi basta stare qui, a far scivolare tutto in parole, frasi, articoli per sentirmi meglio. Ma la realtà è la realtà, provo nuovamente a dire: “Devo fare qualcosa".




lunedì 21 febbraio 2011

Seconda pelle

D
uro e risoluto. Cavoli, mi mancano entrambi gli attributi. Posso definirmi un “debole con i deboli”. Che poi chi lo ha detto che siano effettivamente tali? Insomma, non scopro niente di nuovo nel riconoscermi un sensibile, dotato di una rara predisposizione all’empatia. E non mi sto tessendo le lodi; la disponibilità, la sensibilità, la capacità di calarsi nei panni altrui sono qualità che provocano non pochi sconquassi interni. E se liberarmi di queste arcinote qualità (?) risulta un’impresa da titani sul fronte dei rapporti interpersonali, dovrebbe ( anzi deve ) costituire una necessità impellente sul fronte del lavoro. Lo devo fare in ragione della specifica mansione che mi è stata affidata. Ora, in poche parole mi si chiede: durezza, scaltrezza, pochi giri di parole, risolutezza, una certa dose di “carognismo”. Altrimenti, e me ne sono pienamente reso conto, entri in un vortice di sabbie mobili che piano piano finiscono con l’ingoiarti. E allora ecco tornare in voga il mio proposito a breve scadenza: lavoro e vita privata devono stare su due piani diversi. Non posso dire mi riesca facile dimenticare chi sono per 36 ore alla settimana, faccio fatica ad immaginarmi una persona in grado di imporre anche una certa autorità. Mi tornano alla mente tutte le volte ( migliaia ) in cui ho promesso a me stesso di cambiare, di diventare cinico, calcolatore, quello che si definisce di solito un “bastardo dentro”. Lo richiedeva un istinto di sopravvivenza. Il mondo è una gabbia di leoni affamati pronti a sbranarti alla prima distrazione. Non provare a dar loro da mangiare, rischieresti l’amputazione del braccio. Lontano da leoni e sanguisughe dunque. Non ci sono riuscito. Se mi guardo, non posso certo affermare di essermi incattivito, imbastardito; sono sempre il solito. Bene. Ora tutto passi per quello che è il mondo delle relazioni, non per quello lavorativo ove (sebbene non in modo esplicito ) mi viene chiesta ben altra predisposizione. Se no, sono tutti cavoli miei. Oggi, ad esempio sono stato vittima della risolutezza fredda e inattesa di una collega la quale ha subito individuato nel sottoscritto la persona giusta cui affidare una bella patata bollente. E vai allora. E posso dire che dopo tanto tempo ho seriamente pensato di cedere al nervosismo e all’impulsività. Penso poi di averlo fatto e non mi piace. Pazienza, ho imparato un’altra lezione. Ma è quel modo di puntare su di me, come il coglione di turno a non piacermi. Ho bisogno di ulteriore allenamento. Esercizi su esercizi per far si che io riesca a diventare ciò che devo, per ragioni di copione. E non ho un passato d’attore. Per non parlare delle maschere, quelle proprio non fanno per me. Devo pensarla così: indossare una seconda pelle, come l’acqua assumere la forma del recipiente. Ci provo, un’altra battaglia da vincere entro un mese. Questo è l’obiettivo.


domenica 20 febbraio 2011

62 ore

I
l weekend trascorso fuori casa è servito a fare ordine tra i pensieri. O almeno è ciò che spero. Venerdì, al termine della giornata lavorativa, mi apprestavo a prendere il treno direzione Milano; ed è a quel punto che una miriade di pensieri ha cominciato ad assalirmi. Ora che da Milano sto rientrando a casa provo a dare un senso compiuto a tutto. Tra un mese ci lasceremo finalmente alle spalle l’inverno. Quel giorno avrà un significato simbolico per me. Per allora infatti, una volta liberato dal freddo, riuscirò a spogliarmi di molte incertezze. Sarà dunque l’arrivo della primavera a segnare il definitivo distacco: lavoro e vita privata prenderanno inevitabilmente due strade diverse. Sono stanco di riempire questi fogli esclusivamente di argomenti attinenti al lavoro. Ho smarrito per strada la mia coscienza, la mia interiorità e questo non mi piace. Nel momento in cui la giornata lavorativa costituirà la noiosa routine quotidiana e niente più, allora potrò occuparmi di me, del mio tempo libero. Appunto: il tempo libero. Durante il viaggio di andata verso Milano ho incontrato un collega conosciuto durante i primi giorni di formazione per i neo assunti. Ho dialogato in modo molto rilassato salvo un breve ma intenso momento di sconforto; “Se viaggi tutti i giorni ti accorgerai che non avrai più un attimo per te”. “ E che il fine settimana lo potrai dedicare solo al riposo”. Queste le sue parole. E’ partita a quel punto una complicata elaborazione delle affermazioni suddette. Sarà mio dovere ( oltre a costituire un obiettivo primario ) separare nettamente lavoro e vita privata. Il mio compito sarà esattamente quello di dimenticare (per 62 ore ) persone, luoghi appartenenti ad una certa realtà. Dovrò persino provare a non essere quel tipo di soggetto che ho dato l’idea di essere. E a quel punto sarà mio dovere capire chi potrà rendere il mio tempo libero un momento che valga la pena vivere; individuare le persone, le soluzioni migliori per dare un senso ad un breve spazio temporale che deve essere goduto appieno. In un certo senso, questi due mesi di lavoro hanno innescato in me un meccanismo di autoprotezione finalizzato alla sopravvivenza e alla gestione dei rapporti. Ne è uscito un Enzo che ora è il caso venga dimenticato. Ora che tutto acquisterà i crismi della routine, della normalità, tornerò ad essere finalmente libero di essere ciò che sono. E quelle 62 ore? Andranno vissute al massimo, costantemente alla ricerca della perfezione. E’ un post assai contorto. Le idee sono ancora confuse, me ne rendo conto. La sostanza dice che ho voglia di vita, di vita vera. Anche solo per 62 ore. Il resto, verrà da sè.


mercoledì 16 febbraio 2011

Una di quelle giornate..

D
evo approfittare della limitata autonomia del mio portatile e scrivere qualcosa. Lo faccio perché è una di quelle giornate in cui non aspetti altro che di sederti sul treno, sperando innanzitutto sia riscaldato. Lo è, ma io la sciarpa intorno al collo non la tolgo. Da stamane ho un forte bruciore di gola che penso mi porterò lungo tutto il fine settimana. E proprio quando avevo deciso di trascorrerlo fuori dalle solite quattro mura. Colpa mia: da due giorni non fa che piovere ed io non sono abituato a portarmi dietro l’ombrello. Solitamente infatti lo dimentico ovunque, e mi tornerebbe utile a metà. Così accetto consapevolmente di stazionare per un buon quarto d’ora alla fermata del 52, lasciando che la pioggia e i goccioloni che cadono dalle grondaie scivolino sul giubbotto passando attraverso il berretto. Ma oggi, è una giornata particolare. E’ uno di quei giorni in cui alla fine del proprio turno di lavoro ti senti ancor più forte di prima, capisci che non sarà la pioggia a fermarti, e nemmeno la salute precaria. Hai solo voglia di varcare la porta dell’ufficio, indossare gli auricolari, spararti a palla la musica nelle orecchie e stare lì, ad aspettare quel maledetto autobus, fregandotene totalmente di tutto. Eh si, è una di quelle giornate. Sentirsi sereno e raggiante quando fuori il cielo è grigio, uggioso e capace di intristire un clown non è da me. E ciò la dice lunga sul mio stato d’animo. Peccato che a tutto questo non esista spiegazione razionale. Mi sento forte, in grado di superare anche la stizzita reazione della collega che a fine giornata mi riprende a causa di una risma di carta, a suo dire “rubata” dal proprio armadio. “ Ma le risme di carta per la fotocopiatrice non le devi prendere di qua!” “ E poi, quegli armadietti sono nostri”. Ma scusa tanto se ti ho privato di 10 fogli di una fottutissima risma di carta che non ho trovato altrove. E poi quegli armadietti erano aperti! Ecco, neppure lei, è riuscita a provocare una mia reazione stizzita. Una risma di carta, ma si può? Non ti crederai mica di potermi rovinare questa giornata a causa della tua fottuta carta? Ed infatti oggi è una di quelle giornate. E’ vero, mi tocca ammetterlo ma non conosco mezze misure: eccesso di insicurezza, paturnie oppure stati di esaltazione uniti a deliri di onnipotenza. Ma tutto sommato va bene così. Padrone delle mie capacità e soprattutto padrone di quelle che sono le qualità tenute in soffitta a prendere polvere per troppo tempo. Necessito urgentemente di una doccia e di una passata di rasoio elettrico. E’ una di quelle giornate in cui cerchi pure di darti un contegno.







martedì 15 febbraio 2011

Io non mollo

O
ggi avrei voluto parlare del mio esordio come autonomo sportellista. Ma tralascio perché mi rendo conto che negli ultimi tempi i miei articoli risultano monotematici. Mi preme invece affrontare un altro problema. I blog come il mio ( di impronta intimistica ) sono blog che amo definire “di nicchia”. Con questo non voglio assolutamente affermare siano migliori di altri. Nascono tuttavia da un’esigenza interiore di esprimersi, di parlare al mondo non necessariamente per ricevere risposte ma per colmare vuoti interiori. Io ne sono la dimostrazione: mi piace scrivere, riempire questi fogli su dettato dell’anima. Ciò che viene, viene. Considero questo tipo di blog a volte di difficile sopportazione, soprattutto a lungo termine ma sbaglierei a pensare che per essere mantenuto in vita il mio diario debba avere un responso da parte dei lettori. Mi spiace dover invece affermare che, spesso e volentieri i blog intimistici soffrono di vere e proprie crisi di rigetto. Mi è capitato qualche tempo fa. Avevo l’impressione che i miei scritti mi si ritorcessero contro, che finissi per scontrarmi con loro, che non mi riconoscessi più in quelle parole. Volevo troncare tutto. Stracciare idealmente tutti questi fogli e smettere. Almeno un paio di amici e lettori hanno attraversato questa fase e in modo piuttosto risoluto hanno deciso di abbandonare il blog. Le motivazioni più o meno sono sempre le stesse: lo scritto in parte non aiuta più a fare chiarezza dentro di sé, vi è un bisogno ulteriore di contatto umano per trasmettere le proprie emozioni. Inoltre ho notato che, a fermare ogni ulteriore volontà di “mettere nero su bianco” i propri sentimenti vi è la consapevolezza di essere andati ben oltre le intenzioni. E che quindi il blog si sia impossessato dell’autore il quale non riesce più a controllare il proprio stimolo a scrivere. Sono solo mie personali considerazioni che nascono da un’esperienza simile vissuta in prima persona, come ho detto precedentemente. Cosa mi sta portando avanti in questa avventura? Mi sono pienamente reso conto del fatto che non riesco più a trattenermi, ho da tempo rotto gli argini, ma se comincio a voler porre paletti di tipo razionale a ciò che invece deve essere totalmente emotivo, sbaglio. O se cominciassi ad accorgermi che lo sto facendo, chiuderei qui anch’io la mia avventura. Mi dispiace enormemente aver cominciato a leggere con grande interesse blog di impronta interiore e fatico a volte a capire il motivo per cui alcuni ad un certo punto rinunciano. Ma rispetto pienamente la loro decisione. E’ solo che assai rara è la capacità di guardarsi dentro, ancor più raro è tradurre tutto in parole. E quando scopri che qualcuno ancora lo fa, non vorresti perdere il filo. Ci credo ancora a questo blog, lo voglio tenere in vita e farò di tutto perché lui non mi tradisca. Ho dunque ancora le redini della mia anima, e la ragione in questi casi, è meglio non si impicci.


domenica 13 febbraio 2011

Pizza e birra, grazie.

E
rano secoli che non trascorrevo un sabato sera fuori casa. Sapevo che sebbene si trattasse di un evento eccezionale non per questo lo avrei poi ricordato in modo particolare. E non avevo tutti i torti. Come più volte ho sottolineato non è cambiato nulla nella mia vita se si eccettua quella magnifica tempesta che mi ha travolto e continua a travolgermi da un paio di mesi. Avevo semplicemente voglia di gustarmi una pizza e bere una birra, in compagnia. Scusate, ho usato un termine del tutto inappropriato: compagnia. Ero solo, in compagnia di una pizza fantastica e di una birra ghiacciata, di quelle che rinfrescano pure l’anima. Ah, giusto per la cronaca, intorno a me qualcuno c’era, di tanto in tanto proferiva qualche parola ma, complice la fame spesso mi ritrovavo la bocca piena e con una valida scusa per non tenere discorsi. Così, tenendo fede al masochismo che mi è naturale, ho deciso di proseguire la serata. Dopo tantissimo tempo ho messo piede in uno dei pochissimi locali che amo della mia città. Qui, l’ambiente è familiare, le voci dei clienti quasi volutamente basse, un luogo intimo e congeniale alla chiacchierata. Quale chiacchierata? E con chi? A questo punto apro il menù, comincio a sfogliarlo e, concentrandomi sulla lista dei vini ne scorgo uno che suscita in me qualche ricordo particolare. Precisamente torno indietro di 5 o 6 anni quando, i miei weekend erano scanditi con precisione svizzera da inamovibili abitudini. Venerdì, serata dedicata alla meditazione con vino e degustazione salumi e formaggi in qualche enoteca della zona. Il Sabato serviva a scaricare ogni tensione; possibilmente si optava per un locale con musica di vario genere. E lì io davo il meglio. La Domenica era dedicata al passeggio, e in serata un aperitivo che chiudeva il percorso. Non crediate, anche allora ero lì a lamentarmi. Sono passati un paio di anni da quando non ho più la possibilità di gestirmi il fine settimana come vorrei. Ora sto raschiando il fondo del barile e di tanto in tanto penso che certi soldi potrei anche risparmiarli. Solo che rido, anzi, sorrido beffardamente al pensiero che riuscirò ad uscire da questo impasse a breve. Per fortuna, è solo questione di tempo, la primavera, la bella stagione mi regalerà un mondo di opportunità. Ed il mondo si aprirà a me con le innumerevoli cose da vedere, luoghi da scoprire. Scarpe da ginnastica, jeans, polo, occhiali da sole; eccola, l’armatura del turista che ha solo bisogno di arricchirsi della conoscenza. Al bando stupide, inutili cene e ritrovi in locali dove non fai altro che guardare gli altri e capire quanto tu sia diverso da loro:quanto tu potresti e non puoi ancora fare….per ora.


venerdì 11 febbraio 2011

Fase 3

D
iciamolo pure, questa settimana non è trascorsa invano. Una buona dose di incoscienza è indubbiamente servita a superare una fase cruciale della mia nuova esperienza di lavoro. Incoscienza o coraggio? Non saprei dire, ma di certo qualcuno mi ha messo nelle condizioni di essere impavido e quindi, incosciente al punto giusto. Chissà se un giorno dovrò anche ringraziarlo ma mi sento come se avessi appena attraversato quattro corsie di un’autostrada ed essere ancora lì, con il fiatone, ma salvo. E non è finita qui. La prossima settimana ( probabilmente già Lunedì ) avrà luogo la cerimonia di investitura ufficiale. Finalmente (?) disporrò di una mia postazione e prenderà il via il mio percorso in solitario. Non so se essere contento, ma di certo mi rincuora il fatto di non dover più attraversare fasi intermedie; ora si comincia e da qui in poi in linea di massima io sarò del tutto autonomo. Probabile dunque che nel corso della prossima settimana io mi ritrovi ad attraversare non corsie di autostrada bensì giungle tropicali. Mi gioverà l’incoscienza? Non credo. Penso mi tornerà più utile una consistente dose di coscienza. Fino ad ora, a prescindere dal mio grado di apprendimento, dall’irresponsabilità di scelte altrui, dalla incoscienza ( sempre altrui ), a fare la differenza è stato il coraggio. Ti trovi in mezzo ad un’autostrada, le macchine sfrecciano a velocità pazzesche. Le devi schivare. Mi sento anchilosato ma nella situazione di necessità, ho tirato fuori una forza a me stesso semisconosciuta. Essere invece perfettamente consapevoli di aver dato il massimo, di essere andati oltre l’ostacolo, contribuisce ad abbattere ogni dubbio. “Smettila di piegarti, che poi ti spezzi”, mi dice spesso una mia collega. “Non siamo macchine”, aggiunge. Ci sono, dò il mio contributo, ho voglia di imparare e alla fine della giornata so di avere dato il massimo. La mia coscienza è fiera. Avrò bisogno di pastiglie per il mal di testa ma non per combattere conflitti con il mio Io. La giornata sfugge via, la settimana anche. Ecco un “pro” della situazione. Sentirsi in trincea e affrontare l’avversario: questo il “contro”. Ho bisogno di staccare la spina. Sono soddisfatto, tremendamente soddisfatto di me. Coraggio, incoscienza, generosità: se dovessi usare tre parole per descrivere questa fase 2 non saprei sceglierne altri. E a questo punto eccola, la fase 3. Sarà probabilmente l’ultima, quella più importante. In tutta sincerità mi auguravo potesse arrivare più in là nel tempo ma, non avevo fatto i conti con l’incoscienza ( sempre altrui ). E se chi tratta la zoppo impara a zoppicare, finirò con il diventare il più impavido degli impavidi. Roba da matti. Quando pensi che la vita ti abbia formato in un certo modo ti accorgi che nulla ancora era scritto. Fase 3, arrivo. 


martedì 8 febbraio 2011

Il battesimo

D
i tanto in tanto mi ricordo di avere un lavoro e qualcuno che realmente mi vuole bene. Ciò mi sovviene di rado, troppo raramente. Per cui ben venga la giornata di oggi che, sapeva di “battesimo”. Stamane, non appena sceso dal treno, la voce proveniente dagli schermi che trasmettono in random pubblicità fino alla noia mi accoglieva con un “Problemi di diarrea”? Beh, è bastato questo per strapparmi un sorriso difficile a scorgersi a causa dell’intirizzimento dei muscoli facciali. Diarrea. Sarebbe accaduto qualcosa da lì a poco, in effetti. Firmare, porre timbri, metterci la faccia. Questo avrebbe provocato la mia diarrea odierna. Nonostante tutto ho affrontato la giornata con spirito combattivo senza perdere ( purtroppo ) il mio tradizionale timore di sbagliare e la mia ormai arcinota limitata autostima. In tutto e per tutto è stata una giornata importante, esagerando direi..campale. E’ solo l’inizio, tremendamente l’inizio di qualcosa che andrà a complicarsi ma a rendermi assolutamente più forte. Dunque, passi tutto quello che è accaduto oggi. Devo ricordarmi che ho un lavoro. Lo devo ripetere a me stesso un po’ più spesso. E il fatto che, al termine di una giornata così, istintivamente prendi il cellulare in mano e componi il numero della persona a te più cara, beh, anche questo bisogna ricordarselo. Tutto questo a fugare ogni dubbio sulla mia presunta infelicità, sul mio stato di insoddisfazione che in questi ultimi giorni è tornato a farsi strada dentro di me. Effettivamente ieri sera, faticavo a prendere sonno. E non solo per un simpatico vicino che dopo le 22 pensa bene di martellare sul muro. Morfeo mi chiamava ma faticavo a sentire il suo richiamo. Ancora a tormentarmi i soliti pensieri: ma è possibile che io non riesca ancora a gioire, a godere di tutto ciò che mi sta capitando? Comincio a pensare di essere incontentabile, di ambire ad una perfezione che non esiste. O meglio, inizio a credere che la mia perfezione personale io l’ho raggiunta e conosciuta nel momento in cui tutto quello per cui ho dato anima e corpo in questi anni, ha prodotto un risultato. Non accetto che questo però sia un punto di arrivo. Semplicemente devo mettermi in testa che è questo l’inizio, un nuovo inizio. Incontentabile, dai, forse è proprio così. Ci sono momenti della vita di ognuno in cui necessariamente si deve lasciare spazio all’improvvisazione ed accettare che gli eventi prendano forma; anche gli errori che ho commesso oggi: tanti, tantissimi. Ho barba lunga e sguardo spento. Magari un bel colpo di rasoio non guasta. Tornare a casa, viaggiare su questo treno lercio acquista sempre più senso. Torno battezzato. E speriamo che quegli odiosi video in random che annoiano l’attesa di un treno mi accolgano in modo più consono. 


domenica 6 febbraio 2011

Fiat lux !

U
n gruppo di bambini che indossano solo una felpa e giocano a pallone nel giardino di casa. E’ questa l’immagine che più mi è rimasta impressa durante la mia passeggiata di ieri pomeriggio. Non è stata una bella giornata, quella di Sabato, ed il tenore del post precedente ne è la dimostrazione. Ho così deciso di rivangare i vecchi tempi in cui stanco, depresso ed esasperato salivo sulle gambe e partivo per un’ignota destinazione. Il mio quartiere si estende su di una superficie molto ampia che non ha subito per fortuna grandi trasformazioni negli ultimi decenni. Sono le auto ad aver rovinato tutto, non solo la speculazione edilizia. In fondo i campetti esistono ancora, qualche giardino ( magari poco curato ) è ancora lì dov’era vent’anni fa. E’ il silenzio che manca. Rumore, smog, pazzi scatenati alla guida, le voci dei bambini che giocano sono soffocate dal rombo dei motori. Passeggiare è rimanere, tutto sommato, ad uno stato quasi di natura facendosi beffe del rumore di fondo. E camminando io ritrovo me stesso. Così, sono partito in direzione della solita ignota destinazione attraversando luoghi a me cari, pieni di ricordi. Ma non voglio precipitare nella malinconica reminiscenza dell’infanzia ormai perduta, non è questo l’obiettivo dell’articolo di oggi. Mettete un Sabato di Febbraio che sa di Primavera, accarezzate il gusto di aprire il giubbotto e slegare le ossa, l’incomparabile piacere di levarsi il berretto e snodare la sciarpa. In tutto questo io ritrovo già un piacere immenso. E sto camminando. E ad un tratto, ecco un bel gruppetto di ragazzini che anziché indossarli, i giubbotti li utilizzano come pali di un’improvvisata porta da calcio. Cambiano le generazioni, non il senso pratico. Torno bambino anch’io, non mi riesce difficile. Anch’io ho voglia di scalciare, di slegarmi da tutto, di tirare un bel destro potente a qualcosa, ai momenti di tristezza, ai problemi, magari proprio a questo freddo. E se fosse davvero questa prima luce di primavera a mettermi sul binario della serenità? Ho voglia di smettere di vestirmi a strati, di chiedere a quei bambini se posso unirmi a loro, giocare con loro, ridere e scherzare come solo loro sanno fare: in modo del tutto naturale e scevro da ipocrisie varie. Fiat lux, allora. E’ bastato poco, pochissimo. Luce porta luce, sorrisi, bimbi che giocano, giubbotti che si aprono, voglia di evasione. Ma dov’è finito l’Enzo melanconico del post precedente? C’è, è ancora qui. Basta poco no? Un gruppo di bambini, la gambe che spingono, il primo sole di primavera, il vecchio quartiere. Torno mestamente a casa, ho un forte mal di testa ma la giornata non è stata delle più facili. Sono pronto ad affrontare una nuova settimana: gambe mie fatevi onore, la strada è ancora lunga.


sabato 5 febbraio 2011

Sveglia alle 6.00

P
osso affermare con sufficiente sicurezza di aver superato la fase 1. Il mio corpo sta reagendo bene alle sollecitazioni esterne ( viaggi, stress, pranzi veloci ) e ho finalmente ripreso con una certa regolarità l’attività fisica. E’ andata come immaginavo: rompere d’improvviso certi ritmi e tempi cui si aveva fatto ormai l’abitudine ha provocato qualche sconquasso nel metabolismo. Sono molto felice di aver azzeccato questa previsione e mi sento molto bene. So che, a parte le occhiaie perenni, non temo più che mi si faccia qualche apprezzamento negativo sulle mie condizioni fisiche come è accaduto nel recente passato. Manca ancora molto alla mia prima pedalata ma questo sole splendido di oggi già solletica la voglia. Peccato solo per questa maledetta sveglia “biologica” che si è impossessata del mio cervello e non mi lascia più.Questa mattina ho improvvisamente aperto gli occhi, ho faticosamente alzato la testa e l’orologio segnava le 6.02 . Cosa succede in questi casi? Provo solo una volta a rigirarmi nel letto con la speranza di tornare ad abbracciare Morfeo, ma lui scappa, corre velocissimo ed io con il fiatone, mi arrendo. Automaticamente il mio cervello si mette in funzione; mi passano davanti le recenti problematiche di lavoro, persino quei pensieri che pensavo di aver buttato alle spalle con la mia nuova vita lavorativa e che, invece si ripresentano. Non che mi preoccupi di pensare troppo, ma gradirei farlo in altri momenti. Dunque la sveglia suona anche di Sabato e probabilmente di Domenica. Mi rigiro nel letto e poi finisce che mi alzo perché stare coricato senza dormire per me è illogico ( ma solo per me.. ). Poi, tra i tanti pensieri ne faccio uno: “ Se magari la sera precedente fossi uscito, mi fossi divertito, avessi scaricato in qualche modo la tensione, dormirei per forza di più”. Guai però a fare questo tipo di supposizioni perché, immediatamente sorge in me un altro amletico dubbio: “ Ma ora che ho una soddisfacente vita lavorativa (?) ancor più sarà stridente il contrasto tra il dire e il fare”. Si perché se hai la possibilità di fare qualcosa di diverso, staccare con il solito mondo dei colleghi e buttarti in qualcosa di piacevole, lo devi fare con qualcuno, no?. Ecco quindi venire a galla quel tema a me tanto caro nei giorni, nei mesi che hanno preceduto quel 20 Dicembre. L’amicizia. Non voglio, non cerco amicizie vere e di lunga data, per carità. Ma mi chiedo se ora che ho il pane, io debba lottare per avere i denti. Oppure se devo rassegnarmi a vivere una vita alternativa al lavoro all’insegna della solitudine. Probabile che tra un po’ di tempo certi argomenti torneranno a riempire i fogli bianchi di questo blog. E forse non è un brutto segno: significa che la mia vita va al di là di un viaggio a/r e di uno sportello.


mercoledì 2 febbraio 2011

Parole parole parole…

C
i sono situazioni in cui prendere una decisione risulta solo apparentemente frutto del proprio libero arbitrio. Nel senso che ti viene proposto di fare una scelta, di rispondere Si o No ad una richiesta ma, in realtà colui che ti pone il quesito ha già deciso per te. In altre parole, ti si fa credere di avere la possibilità di scegliere ma poi, con modi gentili ed affabili ti si inchioda ad una soluzione. Prima regola in questi casi è, a mio modestissimo parere, prenderla con grande ironia. Trovo che sia un ottimo antidoto contro quel fastidioso senso di smarrimento, frustrazione, irritazione che ti colpisce quando ti rendi conto che, spesso le parole non hanno alcun valore. E purtroppo trovi conferma di ciò che realmente pensavi. Penso che ci siano persone capaci di usare le parole molto bene ma non sono assolutamente in grado di dare ad esse quella forza, quell’intensità necessarie a trasmettere all’interlocutore, passione e protezione. Si tratta di coloro che usano le parole perché a volte credono di avere di fronte a sé qualcuno privo di sensibilità e di una sufficiente dotazione intellettiva. Senza falsa modestia, io non sono così e avevo capito tutto. Cosa fare dunque quando ti accorgi che quelle frasi pronunciate con tanto ardore non hanno e non avranno alcun senso? Innanzitutto metterla sul ridere. Non posso e non voglio rispondere a qualcosa di palesemente illogico o comunque dettato da schemi prefigurati con atteggiamenti negativi e deleteri per il mio equilibrio psicofisico. Sapevo tutto ciò? Ci rido sopra. E fino a qui, tutto potrebbe rientrare all’interno di un sistema quasi logico. Ora però, quella scelta imposta ti pone nella condizione di non pensare, non riflettere neanche un momento sul da farsi. Occorre agire. E allora agiamo. Seconda regola: buttare il cuore oltre l’ostacolo. Bello a dirsi, vero? Ma lo devi fare, incoscientemente. Da un melo non può nascere una pera. Quindi incurante delle conseguenze fai ciò che non avresti mai fatto pensando che a tutto c’è una spiegazione, che non sarebbe possibile si verificasse una certa situazione. Ed invece, si verifica. Invece, tutto risulta tremendamente vero. Ti guardi intorno, cerchi di cogliere opinioni, sguardi, atteggiamenti che riescano a confermare le tue sensazioni di smarrimento e stupore. Ne trovi, ma la spiegazione è sempre la stessa: “Le parole hanno un peso”. A volte sono macigni, altre sono leggere come piume. Ma la parola è solo un mezzo. E ad un buon uditore e conoscitore dell’animo umano certe frasi arriveranno con diversa intensità, a seconda di come le si usa. Diffidate delle belle parole, se queste non vi arrivano con quella intensità, con quell’ardore che solo un animo sensibile sa cogliere. Tutto è illogico. Mah, a fronte di tutto questo, ironia e coraggio. Le nostre uniche armi.


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