giovedì 30 giugno 2011

Un’oasi di pace

U
na giornata decisamente produttiva. Il personale agli sportelli latita, giocoforza chi rimane si fa il doppio del fondoschiena per garantire gli standard qualitativi previsti. Io sono semplicemente un anonimo anello della catena, entrato in punta di piedi ed ancora in fase di acquisizione di quelle che sono le principali regole del lavorare senza troppi scrupoli. Quando inizi ad imparare qualcosa l’eccesso di insicurezza può renderti lento ed impacciato ma forse più attento, preciso. La paura di sbagliare è grande. Quando cominci a prendere confidenza di procedure e meccanismi di lavoro subentra l’eccesso di sicurezza che non ti mette certo al riparo da possibili cavolate. Avrei bisogno di fare un breve ripasso su certi argomenti di lavoro, sarebbe anche più bello se chi di dovere ci informasse e ci tenesse aggiornati; tuttavia credo di avere ancora da imparare, e molto. Oggi comunque sono andato a macchinetta. Ormai ho capito benissimo perché macino pratiche: senso del dovere? Stato di necessità? Insomma sto viaggiando a pieno regime e continuo a benedire e a maledire questo lavoro che ancora non riesco ad apprezzare. Fa sempre molto caldo, ma domani arriva Luglio, mi sembra normale no? Un’altra settimana se ne sta andando. Il mio resoconto è presto fatto: tutto e sempre all’insegna dell’attesa, snervante. Una cosa che ho potuto notare in questi giorni convulsi è indubbiamente la grande forza d’animo e l’incredibile positività dei miei. Si è fortunati ad avere due genitori così: è pazzesco che nel suo momento di maggiore difficoltà, sia proprio il genitore ad incoraggiare te, a volerti vedere felice, sereno, ad incitarti dicendo che tutto andrà bene. Ma dove la trovano tutta questa forza? Quando mia madre si alza in volo facendo previsioni ottimistiche tanto esagerate da sfiorare l’irrazionale, io non riesco a starle dietro. Le ricordo sempre che, aspettative grandi generano grandi delusioni. Niente, non ne vuole sapere. E io mi chiedo come mai, nonostante da lei io abbia ereditato molto, non ho fatta mia anche questa visione della vita. E mio padre? Il suo silenzio spesso nasconde una sofferenza repressa, ma seppur in apparenza appaia fragile e indifeso in realtà è una roccia. Quando torno a casa arrabbiato per il lavoro e non riesco a mascherare il mio stato mi rimprovero di essere ancora a casa loro. Come già dicevo ieri tutto voglio meno che arrecare loro sofferenza.. Nonostante la mia fede latiti al momento, voglio pensare che questo pezzo di strada sia comunque l’unico necessario a raggiungere la mia oasi di pace.
 

mercoledì 29 giugno 2011

L’attore

M
i sto rendendo conto di essere un ottimo attore. Di quelli per necessità, che calcano la scena della vita come tutti e che, come molti, deve indossare maschere per non finire sepolto dalla sua stessa corazza. I miei abiti di scena sono invisibili agli occhi degli spettatori, e consistono in una corazza, appunto, che protegge cuore e spirito e in una maschera dall’espressione quasi sempre sorridente. Affrontare la scena quotidiana diventa più facile ed è tuttavia necessario. Non c’è poi da meravigliarsi nel ritrovarsi capace di fare “buon viso a cattivo gioco”. Lo stato di necessità genera poteri inconsueti e impensati di cui facciamo uso per sopravvivere. Naturale che mi manchi sorridere e scherzare senza doverlo fare per non apparire altrimenti ombroso e silenzioso. Lo puoi fare, nessuno te lo impedisce ma poi, quando sei a contatto con le stesse persone ogni giorno c’è sempre qualcuno che si accorge del tuo malessere. Mi convinco che stare isolati dal mondo ha benefici quando si tratta di dover scaricare le proprie tensioni perché non rischi in questo modo di far soffrire qualcuno. Ma poi, passata la tempesta, staresti peggio non potendo condividere il momento di serenità se non con te stesso. Dunque non ci sono dubbi: la solitudine terapeutica può rivelarsi utile. Ma non possiamo fare a meno di avere al fianco qualcuno che condivida gioie e dolori con noi. Quanto invece al fatto di indossare maschere, non mi riferisco ovviamente a quelle subdole, utilizzate per ingannare volutamente il prossimo per raggiungere scopi personali. Si tratta di indumenti protettivi, di veri e propri strumenti di sopravvivenza quotidiana. Sto recitando allora? Quando scrivo qui, mai, impossibile. Recito invece una parte di uomo spensierato quando me lo chiede la vita. Come si fa però a soffrire in silenzio? Io lo faccio, ma non è mai una sofferenza esternata in modo palese. Mi piace riflettere sulla situazione che sto vivendo, prendere il tempo necessario per dare ordine ai pensieri e poi magari agire nel migliore dei modi. Al momento dunque vivo una sorta di doppia vita. Ne traggo beneficio perché alla fine nulla è poi eccessivamente forzato. Ricordo che sono in apnea, che questa fase mi vede trattenere il fiato in attesa di una ( non so quanto vicina ) soluzione. Gli occhi e le espressioni del volto spesso tradiscono il nostro mentire, svelano arcani che crediamo impenetrabili dalla conoscenza altrui. Ed è probabile che, mentre mi vanto di essere un ottimo attore, chi mi guarda in questo momento stia pensando: “Ma quanto è triste quello..”….
 

martedì 28 giugno 2011

Le dune di Torino

G
iornate come questa mi fanno odiare l’estate; io che, quando il freddo intirizzisce non sogno altro di patire il caldo. Oggi a Torino è mancato di vedere le dune, magari attraversando Piazza Statuto nel bel mezzo del pomeriggio. Benedetti siano i portici, un’oasi di apparente refrigerio in direzione Porta Susa. Ho deciso che eviterò accuratamente di raggiungere Porta Nuova in autobus, potrei seriamente accusare colpi di calore letali. Mettici questo benedetto treno di cui non posso fare a meno, aggiungi questi altrettanto maledetti jeans che si attaccano alle gambe. Metti gente incazzata che deve fare coda ed esasperata per l’afa viene a svalangare tutto a chi sta al di qua dello sportello. Sono sul treno, non c’è un filo di aria condizionata, alcuni finestrini sono bloccati altri ( fortunatamente) utilizzabili. Sotto i miei jeans la stoffa blu della prima declassata. Stando fermi si ha la sensazione di svenire. Quest’estate la ricorderò per centomila motivi, ma ho la vaga impressione che, quella valigia di ricordi che sono solito riempire con le immagini colorate di questa stagione fantastica, non peserà alla fine più di tanto. Per chi non mi segue sempre io ho l’abitudine di fermare momenti e situazioni legate a questa stagione ( anche banali ) per poi riporli in una valigia immaginaria da cui attingere nei momenti più difficili. Il raccolto sarà magro. Ho già validissime ragioni per odiarla. Ma andiamo oltre. Ora questo caldo davvero non è sopportabile, io non amo gli eccessi. Ci lamentiamo del troppo freddo e ora del troppo caldo. Non siamo mai contenti. Probabile che vogliamo sempre qualcosa che rasenti la perfezione. Ah, la perfezione! In questo caso un clima ideale fatto di temperature miti ma sopportabili di giorno, una bella brezza marina che concili il sonno. Ho sempre invidiato chi vive al mare; i miei sono emigrati dalla Puglia e sono venuti a mettere radici in Piemonte. Rimprovero scherzosamente mio padre di aver scelto il luogo più lugubre ed invivibile per passare il resto della propria vita. Quando glielo ricordo, lui mi guarda e non favella: ovvio, ne ha tutte le ragioni; andateglielo a dire ad uno che negli anni 60 doveva trovare lavoro e abitava nel profondo Sud. A parte gli scherzi, oggi odio l’estate, non so perché ma mi sta potentemente sulle scatole. Quanto al viaggiare, posso dire che preferisco di gran lunga l’inverno ed il riscaldamento a palla ( quando c’è ). Stai a vedere che a Dicembre tornerò a lamentarmi del troppo freddo pregando che arrivi presto l’estate. Mai contenti, non siamo mai contenti.
 
 

lunedì 27 giugno 2011

Fase 4

E
ccomi pronto ad iniziare la fase 4. Niente a che vedere con il lavoro questa volta. Si tratta di qualcosa di ben più consistente e che richiede solo tanta forza e positività. A occhio e croce mi trovo di fronte ad un percorso della durata di circa quattro mesi. Bene. Vediamo il mio stato attuale. La scorsa notte ho aperto gli occhi alle 2 circa e mi sono trovato completamente immerso in un bagno di sudore (so che l’immagine non è delle più belle, ma concedetemelo ). Confido sulla eccessiva stanchezza per non avere momenti come questo in futuro, so che tutto quello che non riesco a produrre di notte in termini di sonno lo pago con gli interessi a fine settimana. Fisicamente mi sento bene, il lavoro in palestra e la bici ( sia benedetta!) stanno danno gli effetti sperati. Vorrei tanto cominciare ad avere un colorito più consono alla stagione; il pallore tipo lenzuolo non fa altro che accentuare le occhiaie e lo sguardo spento. Mi sono messo in testa che trascorrerò il periodo di ferie in piscina e pedalando quindi le occasioni per una apprezzabile abbronzatura ci sono. Ho provato a valutare di “spezzare” il periodo di ferie da me scelto dal momento che con tutta probabilità (anzi è sicuro) non mi muoverò da qui. Vedremo. Ora c’è da tenere allenata la mente, e in questo caso mi tocca lavorare doppio visto che a casa c’è chi di fronte ai problemi, decide di lasciarsi andare. Pessimo modo per aiutare qualcuno, per rassicurarlo, per trasmettergli positività. Ci saranno momenti “down”, lo so. E’ proprio in quell’occasione che servirà tutta la mia positività, il mio modo tutto personale di dire le cose, di dare coraggio. E’ comodo accusare gli altri di non preoccuparsi; io lascio andare, so che in fondo chi lo pensa e lo dice ( ancor più grave ) in fondo è solo incapace di autocontrollo. Io queste tecniche le ho imparate, ne faccio tesoro; riesco in sostanza a dominarmi, mi sento una roccia. Che altro potrei dire. Che conto comunque i giorni che mancano alle ferie e sono per la precisione 25. Avrei sinceramente voluto staccare la spina per emigrare in qualche lido assolato, dove a far da cornice allo specchio blu cobalto del mare, una ricca vegetazione mediterranea e case bianche da cartolina. Una piccola annotazione: situazioni come queste qualche tempo fa ( neanche lontano ) mi avrebbero abbattuto come la schiera dei birilli dopo uno strike. Che roccia che sono. Si si, sempre pessimista, sempre tedioso e lamentoso, ma come più volte ho ripetuto, questo blog a volte non mi rende giustizia. Beh, l’importante è rimanere in piedi, nonostante tutto.
 

domenica 26 giugno 2011

Inno alle braghe corte

I
eri dopo secoli ho messo piede in pizzeria. Uno squarcio nel buio della mia vita sociale recente. Persino una passeggiata in centro mi è sembrato qualcosa di terribilmente strano e nuovo. Tanto rumore, musica a palla proveniente da qualche bar scalercio. Sono tornato a casa molto presto perché a me è bastato scambiare due chiacchiere in santa pace e liberarmi un po’ di pensieri non proprio bellissimi. Ci voleva, come ci vuole la pedalata di oggi. Fa molto caldo, dicono che questa settimana si raggiungeranno livelli record ed io continuo a non capire perché non mi è concesso andare a lavorare in bermuda. “No per carità, c’è una circolare sul decoro”! La domanda sorge spontanea: “ Esiste un’oggettiva concezione dell’apparire decorosi”? “ C’è qualcuno che stabilisce cosa è volgare e cosa no?”. Ovvio che se mi presentassi a lavorare in canottiera, pelo sul petto e medaglione rifrangente non darei un’immagine apprezzabile. Che poi se uno si sente a suo agio, lo fa. Ma non se lavori allo sportello. Ma poi , a me, all’interno di questo benedetto sportello mi si vede per metà. E allora! Su, uno sforzo, non chiedo tanto. Ricordo tantissimi anni fa, era estate e decidemmo di andare in una discoteca della zona, abbastanza rinomata. Mi presentai in camicia, gilet con tasche ( che allora andava pure di moda ) e jeans. Un tipo di quelli costruiti al computer che faceva selezioni all’ingresso ( in base a quale titolo poi..) mi disse: “Scusa, ma non puoi entrare perché così abbigliato non sei in sintonia con la serata”. Per un attimo traballai, poi dopo essere rinsavito capii che non me ne poteva fregare di meno. Che in fondo io mi vedevo decente. Ora, perché mai le donne possono permettersi di arrivare in gonna, maglietta, sandalo, e non sudare mentre ai maschietti la visione della peluria ( ma io non ne ho … ) oltraggia il decoro? E poi decido io se sono volgare o no. Giocoforza mi tocca sudare, e credo che alla fine vedere il mio viso grondare acqua non sia poi così piacevole da sopportare. Viaggio in treno, sappiamo bene cosa vuol dire in estate poggiare le gambe sulla pelle delle nostre carrozze dei regionali. No, c’è una circolare sul decoro. Niente pantaloni corti. E allora benedetta sia la bici e le braghe corte. Cito il mio caro collega Bruno il quale saggiamente, alla mia legittima richiesta in favore dei bermuda risponde: “Anche gli zebedei necessitano di correnti ascensionali”.
 

sabato 25 giugno 2011

Coincidenze

P
oi magari qualcuno dirà che sono solo cazzate. Ed in effetti, come dargli torto. E’ che ripensandoci bene, gli anni che terminano con l’1, da un po' di tempo a questa parte non mi ricordano cose piacevoli. Millenovecentonovantuno, Duemilauno e adesso Duemilaundici. Che anni di merda. E’ assolutamente frutto di casualità ma mi piace pensare che siano in qualche modo legati tra loro. Mi sarei meravigliato se la mia assunzione fosse partita a Gennaio, ed in effetti questo lieto evento fa ancora parte del 2010. Oggi mi va di dissertare su stupidaggini varie tipo appunto il ruolo dei numeri nella nostra vita. Io ad esempio non ho un numero a cui sono particolarmente legato, non ho un giorno della settimana che mi appartenga, in fondo non credo agli oroscopi e a tutte le cavolate che vi ruotano intorno. Più volte mi è capitato di essere d’accordo con quello che si dice a proposito dei tratti caratteriali tipici di questo o quel segno. Mi ci ritrovo perfettamente in quelli della Vergine. Una mia collega mi ha suggerito di calcolarmi il tema astrale per scoprire che effettivamente nelle stelle c’è qualcosa di noi. Non lo so, non mi pronuncio. Gioco ( e mi piace farlo ) con le date, con quelle che comunque evocano ricordi più o meno belli. Ora come ora ( e come ho già detto ieri ) non mi va di fare programmi, non ho intenzione di fissare date, ogni giorno sarà del tutto identico all’altro. Oggi ho ricevuto una telefonata inaspettata da parte di una persona che era con me al seggio in occasione del referendum. Voleva sapere come stava mio padre, e come ovviamente mi sentivo io in questa fase delicata. Esiste ancora qualcosa e qualcuno di incredibilmente piacevole all’ascolto. E’ ciò che non ti aspetti che ti fa ricredere sulla sensibilità delle persone. Quando pensi che in fondo certe avversità debbano essere affrontate da soli, arriva puntuale una smentita. Ho giocato un po’ con i numeri, è tutto frutto di particolari coincidenze che restano tali e guai a pensare siano frutto di un disegno “superiore”. Sono diversi gli accadimenti che in quest’ultimo periodo mi portano a porre sempre più quesiti sull’effettiva esistenza del libero arbitrio. Non mi sento certo attaccato a fili che qualcuno muove a mia insaputa. Ma sentirmi inerme di fronte a certi accadimenti lascia spazio al dubbio. Fine riflessioni a ruota libera.
 

venerdì 24 giugno 2011

Il bastone e la carota

N
on me lo so spiegare. Solo qualche giorno fa ho ricevuto in dono una bellissima e gustosissima carota. Oggi puntuale ho preso una bastonata. La ben nota legge della compensazione non è prodotto di menti (?) umane che siedono nel famoso emiciclo Romano. Essa è frutto di qualcosa o qualcuno che sta ai piani alti, che gioca con il nostro voler a tutti i costi vivere felici. Che cos’è la felicità se non un alito di vento che ci sforziamo di conservare in una bottiglia?. Continuo ad avere conferme e riprove di come non esista altro modo di vivere la vita se non quello di mangiare e abbuffarsi di ogni dì. Quel qualcuno o quel qualcosa che vive in uno splendido attico di cielo continua a darmi segnali forti del fatto che fare programmi, non è cosa. Bene, lo accetto. Esiste forse una soluzione alternativa? Il bastone e la carota rappresentano universalmente le nostre vite fatte di momenti di apparente serenità e di fasi di assoluta tristezza. Chi probabilmente crede che non sia così ha una visione al quanto superficiale non solo della vita ma anche di sé stesso. Io sto riversando tutto all’interno di un enorme calderone che più o meno mi accompagna dall’Ottobre scorso. Ci butto dentro cose belle e meno belle di modo che io non riesca a distinguerle in modo definito, affinchè io soprattutto possa non emozionarmi troppo né di fronte alle une né alle altre. Mi sento assolutamente lucido e capace di affrontare ogni situazione mi si presenti. Vacillo solo quando provo inutilmente a spiegarmi la legge del bastone e della carota. Nessuna risposta a questa domanda. Nonostante io (come tutti ) rappresenti un’infinitesimale porzione di umanità, sono comunque dotato di un' altrettanto infinitesimale anima che merita rispetto. Non mi piace però pensare che l’unico modo per sopravvivere sia quello di continuare a trattenere il fiato, di accettare tutto in maniera rinunciataria. Occorre metterci il cuore e provare a ritrovarla la serenità. Che sia vera però e non costruita artificiosamente attraverso una tecnica di sopravvivenza. Forse mi sbaglio e vado in contraddizione. Continuerò a pormi sempre meno perché, a non pensare che siamo noi artefici della nostra felicità. E’ bellissimo immaginare che solo ed unicamente con le nostre forze possiamo raggiungere momenti di indiscutibile godimento; basta però rendersi conto che se non li viviamo come andrebbe, avremo buttato via ciò che potrebbe non tornare. Non mi aspetto di ricevere un’altra carota a compensare il bastone di oggi. Chi sta in quel meraviglioso attico di cielo non si cura di noi.

 
 

giovedì 23 giugno 2011

Vecchi discorsi

N
on ricordo esattamente da quanto tempo non riempio questi fogli con dissertazioni sull’amicizia. Credo comunque si tratti di almeno sei mesi. La mia vita è cambiata a Dicembre e sebbene io avessi promesso a me stesso di non dimenticare quegli argomenti a me cari ( amicizia su tutti ) non sono più stato in grado di parlarne. Mancanza di tempo? Mancanza di tempo per pensare troppo. Spesso e volentieri tutto ciò che ho detto e ridetto riguardo gli amici, i loro tradimenti, le delusioni e via dicendo è stato frutto di una esagerata predisposizione ad analizzare le singole situazioni. Si sa che quando le giornate sono lunghe da trascorrere, quando giocoforza si prova a concentrare attenzioni e fiducia su qualcuno, inevitabile e talvolta inaspettata, ecco arrivare la delusione. Cosa mi è successo nel frattempo allora? In questi sei mesi ho continuato a pensare e a ripensare su persone che ci sono state ed ora non ci sono più, su quelle che io, ho dimenticato. Diciamo che la bilancia ora sta in perfetto equilibrio. Ci sono alcune persone che, a pensarci su, ancora dovrebbero dirmi il perché della loro fuga, della loro sparizione silenziosa. Mi tornano in mente, ci ripenso ma mi accorgo di non poter fare nulla. Poi ci sono quelle che più da vicino hanno seguito questo particolare momento della mia vita, ne hanno conosciuto da vicino le emozioni. Voglio però fare un “mea culpa” e passare in rassegna persone che forse ho trascurato, con le quali vorrei riallacciare i rapporti. Sapete qual è il lato comico di tutto questo? Che, il novantanove per cento di tutti questi uomini e donne a cui mi riferisco sono assolutamente virtuali. Non ho mai conosciuto di persona alcuno di loro. Avevo già detto di come forse non sia affatto possibile realizzare un piccolo desiderio, quello cioè di dare un significato concreto a questi rapporti. Di certo oggi mi sento emotivamente molto predisposto a farlo. Ma tutto sfugge. Si. Tante parole, incontri programmati e per una qualsiasi scusa, saltati. Può essere che sia una caratteristica del mondo virtuale di cui ora faccio la conoscenza. Tante parole, nessun fatto. C’è un lato ancor più comico e per certi versi contraddittorio: ora trascorro il novanta per cento della mia giornata nel mondo reale. Tempo per il virtuale ne ho poco. E la realtà che vivo è essenzialmente quella lavorativa per cui capite bene che i rapporti sono quelli che sono. Sostanza: si può essere o sentirsi circondati da tante, tantissime persone ma di fatto manca sempre qualcosa. Ho la netta sensazione che il tempo vinca su di noi, sulle nostre volontà, sui nostri progetti. Agisce in modo subdolo, a volte. Fine dissertazione sull’amicizia.

mercoledì 22 giugno 2011

Autocelebrazioni (?)

P
er quel che può significare, ho superato il periodo di prova. Significa poco considerando che i casi in cui si è verificato il contrario sono infinitesimali ( avrei probabilmente dovuto uccidere qualcuno ). Ben diverso è lo spessore di questo “passaggio” se lo si contestualizza alla realtà che sto vivendo e se lo si colloca in uno spazio temporale più ampio, diciamo un lungo momento che si estende fino ad un paio di anni fa. Non riesco per indole a banalizzare, mi piace dare un tono di ufficialità ad eventi che ai più invece appaiono scontati e di scarsa importanza. Colpa del mio prendere sempre tutto e troppo sul serio, ma a questo male non c’è rimedio. Ed allora, cerco di convincermi che l’aver superato l’ostacolo non ha alcun valore ma solo per chi lo vede da fuori. Sono di fatto giunto al traguardo di un tortuoso percorso sviluppatosi nell’arco di molti anni di vita. Curve, salite, ripide discese, terreni sconnessi che provocavano cadute. Sempre poi a rialzarmi e a riprendere un cammino che a volte non sapevo nemmeno io dove mi portasse. Ora che ci penso, mi rendo conto che un vero momento di svolta c’è stato e devo dire grazie soprattutto ai miei e alla mia famiglia se quel giorno di qualche anno fa, mi spinsero a scegliere una strada. Che, all’inizio sembrava del tutto disagevole e che io ho puntualmente osteggiato. Una strada che richiedeva uno sforzo mentale, ancora concentrazione, ancora libri, ed una buona dose di fortuna. Contestualmente ho iniziato un percorso interiore, alla scoperta di quelle qualità che io tenevo ben nascoste ( o meglio, non riuscivo a vedere ). Mi riesce difficile dirlo, ma sono orgoglioso di me. E questa volta un “meglio tardi che mai “ non è solamente un modo di dire. Mi è venuto naturale a questo punto della mia vita, andare a ritroso perché, una volta arrivati è sempre troppo facile dimenticare chi si è stati e cosa si è dovuto attraversare e subire per giungere alla meta. Al sottoscritto viene naturale non dimenticare. Se lo facessi non mi riconoscerei perché l’umiltà è stata poi in fondo il mio asso nella manica. Non mi voglio soffermare sui rimpianti perché tante sono state le occasioni perdute, ancor di più le parole ed i consigli troppo frettolosamente dimenticati. Oggi, alla fine della giornata mi sono lasciato andare ad un’affermazione del tutto inusuale: “Ah….oggi sono orgoglioso di me”. Lo dicevo in riferimento all’andamento positivo e produttivo del mio lavoro odierno. Ma in realtà era la mia voglia di gridare al mondo la mia felicità. Il fatto che, anziché pensarlo io lo abbia esternato è segno evidente di una mia finalmente ritrovata autostima. Traguardi. Oggi sento di essere arrivato dove non avrei mai pensato. Bravo. Permettetemi di dire che sono anche felice.
 

martedì 21 giugno 2011

Un’altra estate ( ricordi )

L
a pedalata di ieri mi è servita ad accumulare un bel po’ di carburante per affrontare questi tre giorni lavorativi. Venerdì Torino celebra la festa del patrono, San Giovanni e chi come me è pubblico dipendente, si gode un giorno di ferie. Ritorno ancora sull’argomento pedali perché ogni volta non posso che meravigliarmi per i grandi benefici che mi regala. Oggi è il primo giorno d’estate. Quando arrivo in stazione a Torino comincio a vedere gruppetti di persone con trolley al seguito ,in partenza per le vacanze; e ne vedrò ancora tante. Io devo attendere, il conto alla rovescia è partito anche se non ho affatto idea di cosa mi aspetti e di quel che farò. E stamattina mi è tornato alla mente per quel periodo della mia vita di ragazzino ( avrò avuto circa 12-13 anni ) nel quale con l’intera famiglia si partiva per Torino alla ricerca del posto da occupare sui treni che andavano al Sud. Che tempi quelli! A me è rimasta impressa in modo indelebile l’estate del 1984. Io e mio padre partimmo con il carico delle valigie e arrivammo a Torino molte ore prima della partenza del treno. Credevamo di essere arrivati fin troppo in anticipo ma in realtà scoprimmo di essere in tantissimi. Quando il treno arrivò sul binario fu preso d’assalto: valigie più o meno grandi venivano letteralmente lanciate attraverso i finestrini. Tutto questo per concederci un viaggio appena decente di “soli” 800 chilometri. Conservo in genere ricordi chiari di quell’epoca segnata dai grandi spostamenti su rotaia e in automobile. In questo primo giorno d’estate vado quindi a rivangare momenti di felicità familiare. Per chi come me ha origini del Sud non sarà difficile ritrovarsi in molti stereotipi di quell’epoca. Al mio cuore di bambino di allora, partire significava innanzitutto raggiungere l’agognata libertà dopo mesi di scuola. Significava inoltre rivedere il mare, i giochi sulla spiaggia, ritrovare l’abbraccio dei nonni. Ripeto, momenti di reale e genuina armonia familiare. Sono passati più di vent’anni da quel tempo. Rimangono , assolutamente indelebili le stesse sensazioni: quel bimbo è ora un uomo ma poco importa. Ciò che l’arrivo dell’estate ti regala è un mix di emozioni che taglia trasversalmente ogni età e generazione. Oggi cerchiamo solo di staccare la spina, spesso le vacanze risultano a molti ancora più stressanti della vita ordinaria. Pochi riescono ad apprezzare il vero riposo. Non tutti tornano dichiarandosi soddisfatti. E allora proviamo a goderci questa insostituibile sensazione di qualcosa di magico che sta arrivando. Benvenuta estate.
 

lunedì 20 giugno 2011

Il volo

D
a qualche tempo mi capita spesso di fantasticare sulla possibilità di fare un salto nel tempo, in avanti però. Non ho così tanta voglia di invecchiare ma immagino di trovarmi in quell’esatto momento nel quale tutti i miei pensieri e le mie preoccupazioni spariranno. Idealista? Può darsi, ma che bello provare a vedermi quel giorno, mentre libero l’aria che nel frattempo ho accumulato nei polmoni e respiro piacevolmente la brezza marina. Si perché sarebbe il massimo della vita  essere catapultati oltre l’ostacolo ritrovandosi magari distesi sulla spiaggia con il solo rumore delle onde a far da contorno. Ci penso ogni giorno ma la ragione mi impedisce di rendere tutto fantastico, di trasformare un pensiero colorato di azzurro qualcosa di possibile e fattibile. Sempre pesantemente attaccato a terra , lo so. La voglia di alzarsi in volo è grande. Io credo che pensare in positivo non debba per forza essere sintomo di cervello che lavora male, di scarsa razionalità. Io mi sto ricredendo e sono arciconvinto che vedere il mondo a tinte pastello può permettere di dare vita al grigio della quotidianità. Maledetta ragione, maledetta. Non mi ci vedo fare voli pindarici, ma sebbene appaia spesso il contrario, io penso positivo. Lo faccio grazie ad un vero e proprio allenamento della mente che focalizza tutto sulle ventiquattro ore oltre le quali ogni previsione a volte può ritenersi azzardata. Oggi ho fatto il mio volo sui pedali. Mi guardavo le gambe, andavano da sole o così sembrava. Avevo un po’ di vento a favore in andata quindi psicologicamente mi sentivo già pronto ad affrontare il declino del ritorno. Ed invece, niente, volavo. Oggi sono soddisfatto. Avevo deciso di prendere un giorno di ferie per sbrigare alcune cose importanti e mai scelta si è rivelata più azzeccata. Pomeriggio libero, nuvole che di tanto in tanto andavano ad oscurare il sole ma nessuna minaccia di pioggia. E così, via! Il tema di questo post è il volo. Volare, innanzitutto con la fantasia; percorrere fisicamente strade che aprono spazi verso la libertà, anche questo è volare. Fare immaginari salti spazio temporali per colorare la parete grigia di una stanza, quella dove si è bene o male costretti a vivere non si sa per quanto. E se alla fine ti accorgi che sei un tipo al quale è difficile staccare i piedi da terra, allora cosa c’è di meglio di una bici per avere la piacevole sensazione di dominarla, la terra? Venti Giugno Duemilaundici. Questo giorno dovrebbe ricordarmi qualcosa…Ah! Me ne ero dimenticato. Forse sarà il caso di pubblicare qualcosa al riguardo, spero domani.
 

mercoledì 15 giugno 2011

Ancora sui mitici ‘80

R
ischierò di essere retorico. Durante le lunghe ore trascorse al seggio si sa, si parla di tutto e di più. Se poi si crea un ottimo feeling tra i componenti, si finisce persino con l’intavolare piacevolissime disquisizioni. E così, complice il fatto che due terzi del gruppo erano stati ( chi più chi meno ) ragazzi degli anni ’80, si è dato fondo a tutte le proprie  energie per riportare alla luce ricordi di quel tempo. E’ stato divertentissimo farlo, ognuno di noi trovava un particolare di quell’epoca rimasto particolarmente impresso nella memoria. E spesso si tratta di piccolissimi e flebili passaggi che improvvisamente prendono consistenza. Io ad esempio ricordavo un particolare strano: il vecchio telefono a disco, quando si riceveva una telefonata extraurbana produceva un suono più lungo.Si è poi passati a sciorinare ogni forma di gioco da strada, sono tornati alla  luce gli anni della scuola, insomma, di tutto un po’. Ognuno con la sua personale interpretazione dell’epoca in base al proprio vissuto. Inevitabile però cadere nella retorica spicciola, soprattutto impossibile non precipitare nell’errore di confrontare le generazioni. Si perché, spettatrice un po’ incuriosita un po’ allibita dalle nostre parole, una ragazza classe 1988 anche lei del gruppo. Ad un certo punto mi sono sentito vecchio. Ho capito che in fondo sono passati solo 25 anni e che è normale parlare al passato volentieri quando si tratta di un’epoca come la mia. Ma poi si finisce per arrivare alla filosofia del “si stava meglio quando si stava peggio” e questo non mi piace. Vorrei tanto calarmi nella realtà dei giovani d’oggi, cercare di capire se anche loro sono convinti che non dimenticheranno il loro tempo di adolescenti. Io sono stato fortunato a vivere un’epoca mitica sotto molti aspetti, anche se tutta la mia fortuna non la devo certo al caso di essere nato nel 1968. La devo ai miei, e all’impronta che volenti o nolenti hanno dato al mio essere. E’ stato bello però rivangare i ricordi e sostanzialmente accorgersi del nulla che in qualche modo era parte di noi; attenzione però, un nulla a confronto della realtà odierna. Come scappa il tempo... ( Visto che sono retorico?) Non passa un giorno, un mese, un anno senza che possiamo dire che nulla è cambiato. In gran parte ad essere mutato è il modo di comunicare. Passino le cabine telefoniche ed i gettoni, le cartoline postali: appartengono alla preistoria. Gli sms? Super moderni fino a qualche anno fa. Facebook? Quanto durerà? Viviamo in un’epoca in cui niente può essere nuovo per più di un giorno, un mese forse. Credo che ognuno di noi senta sua un’epoca che solitamente è quella della propria adolescenza, ma non è detto. L’importante è avvertirlo questo senso di appartenenza. Tra vent’anni ritornerà nei nostri ricordi più belli.

martedì 14 giugno 2011

Ordinaria amministrazione

E
va bene, ci sono giornate in cui desideri solamente arrivi il momento per rifugiarti nel tuo piccolo mondo. Che, nel mio caso è il treno, la mia seconda casa viaggiante. Ci sono giornate in cui spezzeresti le ossa a chi si rende antipatico, presuntuoso, arrogante. Vorresti magari dirgli/le che non lo/a puoi vedere, che ti ha triturato gli attributi con certi comportamenti. Se le giornate come questa iniziano con un ritardo inconsueto ( incredibile dirlo parlando di ferrovie ) ci sarà una ragione e l’evolversi della stessa spesso ne è la conferma. Giornate dunque iniziate sotto il segno del fastidio, sempre sopportato con certosina pazienza. E questi sono i tipici giorni in cui ti auguri che niente e nessuno venga a complicarti la vita, ad importunarti con quel tempismo che è proprio poi dei rompiballe. Sto pensando a qualche strana tattica per rendermi io, una volta tanto, l’insopportabile di turno, quello scorbutico e diffidente, quello che solitamente non viene mai disturbato. E va bene, ci sono giornate così. Pazienza continua ad essere la parola d’ordine. Mi si dirà che la vita è questa, che il lavoro è questo, che ciò di cui sempre mi lamento fa parte dell’ordinario. Ma io infatti sono un uomo ordinario che vive in modo ( troppo ) ordinario una vita ordinaria. Dunque, mi limito a rappresentare uno stato di fatto e sebbene sembri il contrario, non mi lamento. Probabilmente le mie giornate, le mie paturnie, le situazioni che vivo sono simili a quelle di molti altri per cui non ci si trova niente di nuovo a raccontarle e a leggerle qui. Ma amo rappresentare ciò che è, e magari manifestare anche la più insignificante sensazione legata ad una precisa situazione. Che poi racconti l’ordinario beh, questo è il mio mondo. In queste fasi il diario non dice nulla di eclatante, trasmette sensazioni ibride, quasi fredde. Non ho slanci emotivi. Sono sicuro che molti di noi ( non tutti per fortuna ) conducono una vita ordinaria, semplicemente vissuta tra il necessario ( lavoro, famiglia ) e il superfluo ( divagazioni varie ). Io da ultimo mi sto privando del superfluo  vivendo una totale ordinarietà. Articoli come questo che state leggendo sono il prodotto inevitabile di un’anima abbastanza prigioniera di una ragnatela che il tempo ha tessuto intorno con pazienza costante. E si dirà dell’ennesimo post uguale ad altri, della malinconia, della nostalgia che traspare da queste parole. L’intenzione è sempre buona, credetemi. Il 17.20 è in partenza. Qualche ora di calore familiare mi farà bene.

 

lunedì 13 giugno 2011

Il parassita

U
na ciocca sul palmo della mano destra è tutto ciò che mi è rimasto dell’esperienza al seggio, frutto della timbratura a manetta del Sabato pomeriggio. A livello umano non posso nascondere che si è trattato di una “ tre giorni” positiva, i compagni di seggio si sono rivelati piacevoli, e tutto si è svolto in un clima di estrema rilassatezza. Bene. E poi, come dimenticare l’efficienza del gruppo che ha permesso di chiudere tutto intorno alle 17.30. La mia amica lettrice Sara mi ha chiesto qualche giorno fa di osservare attentamente l’umanità, il popolo dei votanti che si sarebbero presentati al seggio. Non ho potuto esimermi dal farlo, ho in un certo senso aspettato che si presentasse un lui od una lei ( od una coppia, perché no ) degni di particolare menzione. E mi sento di focalizzare l’attenzione su tre personaggi. Il primo è un uomo, un piccolo uomo ( ma solo di statura ) classe 1916. Golfino blu su camicia azzurra, una chioma di capelli da bruciare d’invidia, completamente autosufficiente. Il più anziano tra i votanti, colui che dovrebbe dare ( ed in effetti così è ) l’esempio. Ragazzi, 95 anni! Il secondo protagonista è un classe 1991. A dire il vero sono due, gemelli, identici nel loro fisico secco secco, l’occhio ceruleo e la chioma stile Valentino Rossi vecchi tempi. Uno di loro con aria spenta e infastidita mi chiede quante schede debba votare.” Quanto sei informato, ragazzo”, mi dico. All’uscita dalla cabina, mi si presenta con le schede aperte e, al mio invito a rientrare per chiuderle, lancia uno sbuffo infastidito. “ Ma che cavolo sei venuto a fare?”, mi ripeto. Quante generazioni tra lui e il mitico nonnino? Eppure… Il terzo personaggio ( the last but not the least ) e’ un componente del nostro seggio. Si tratta di uno di quei fastidiosi soggetti che possiamo trovare ovunque, soprattutto sul posto di lavoro. Quanti ce ne sono come lei? Immagino un’infinità. Si tratta di comune specie di parassita, che con grande discrezione, garbo, con quella consueta e irriverente lentezza riesce a far finta di far qualcosa. Scena del post scrutinio: quattro persone impegnate come ossessi a compilare buste e lei??? Dov’è lei?? Ma è al telefono che parla e mentre parla, ci guarda! La stessa che ho aspettato mezz’ora per cambiare il turno della pausa per scoprire che se la stava chiacchierando al bar di sotto. Ecco il parassita. Il nonno, il bimbo scazzato, il parassita. Ecco io miei tre personaggi. Tutto è tornato alla grande. Alla faccia del parassita. E domani si riprende, quasi quasi mi manca il treno. 




venerdì 10 giugno 2011

Ancora timbri, ancora penne

A
nche per questo weekend avrò tra le mani timbro e penna. No, non sia mai, non andrò a istruire pratiche ma il mio compito sarà essenzialmente quello di compilare verbali. Ovvio che l’atmosfera sarà ben altra da quella cui sono abituato. Ho desiderato fortemente passare il fine settimana al seggio elettorale, un po’ perché avevo voglia di divagare in compagnia di persone ( spero simpatiche ), un po’ perché potrò godere di un giorno compensativo di ferie. La mia storia di scrutatore prima e segretario poi, si perde nella notte dei tempi. Ricordo benissimo la prima volta, avrò avuto circa vent’anni. Mi sono rimaste impresse moltissime situazioni, alcune divertenti, altre al limite del paradossale ma tutte degne di menzione. Vuoi vedere che proprio quando scelgo di passare il weekend al seggio ( a proposito, grazie Marcello!) il tempo regalerà giornate splendide? Cinicamente mi auguro che l’estate non decida di anticipare i tempi e non ci faccia morire di invidia per chi magari passerà questi giorni al mare. Per quanto mi riguarda, so che non avrei avuto grandi alternative, se non la possibilità concreta di un bel percorso in bici. Mi manca già; questa settimana ho tenuto molto bene sul profilo mentale ma era come se le gambe chiedessero forza. Non c’è, non ci può essere benessere generale senza che mente e corpo interagiscano. Intanto la settimana è andata via scivolando quasi senza che me ne accorgessi. Ringrazio Voi, amici lettori, per i commenti e le parole di conforto che, in questo frangente mi scaldano più del sole che non c’è. Proprio a seguito di ciò che ho letto, è nata una riflessione: credo di non essere in grado di trasmettere sensazioni non dico di ottimismo quanto di serenità. Ci ho provato, anche di recente con qualche articolo ma sento che a filtrare sono sensazioni di malinconia e vittimismo. Mi dispiace, temo di essere così. Da questo punto di vista, scrivere tradisce le mie aspettative. Temo di essere più bravo ( soprattutto negli ultimi tempi ) a comunicare dal vivo. Il momento che dedico al blog è sempre un momento di riflessione e la riflessione porta con sé un bel bagaglio di emozioni. Difficile ( almeno per me ) tirare fuori quelle positive; non perché non ci siano, semplicemente perché in fondo ciò che conta è essere sé stessi, sempre. In ogni momento. Credetemi, so anche sorridere! E spero che tra una scheda ed un verbale io possa continuare a farlo! 

giovedì 9 giugno 2011

Bandiera a scacchi

S
i faceva fatica stamane a distinguere il grigio sporco dei finestrini da quello della nebbia che annientava la vista del paesaggio. Per un attimo, dato anche l’abbigliamento dei miei compagni di viaggio, ho pensato fosse una di quelle giornate di inizio Ottobre: il fardello di un inverno da affrontare, un’altra estate che se n’è andata. Poi, rinsavisco e riemergo dai pensieri cupi e mi rendo conto che in fondo siamo a Giugno. Le prospettive di miglioramento ci sono tutte. Giugno…appunto. Un mese da cui mi aspetto qualche risposta di una certa rilevanza. Sta per terminare la fase “3”; a chi non dice nulla ( per ovvie ragioni ) quest’espressione dico che mi riferisco a quel periodo che mi porterà dritto all’eventuale conferma del periodo di prova e all’assunzione definitiva. Tre fasi: avevo cercato di distribuire questi sei mesi in tre momenti. Il primo, di ambientamento, il secondo di presa di coscienza della situazione, l’ultimo di totale ( o quasi ) padronanza delle mie capacità. E ora ci siamo, vedo la bandiera a scacchi. Scandagliare le varie emozioni e tutto ciò che è passato per la mia mente in questi sei mesi in un unico articolo è un’impresa da titani per chi come me , non ha il dono della sintesi. Ve lo risparmio. Ma quel 20 Giugno avrà per me un significato ulteriore dati gli ultimi eventi che mi riguardano. Credo davvero che per quella data avrò molte risposte, forse potrò tirare un paio di sospiri di sollievo e riprendere il cammino. E’ ciò che mi auguro, normale che io non pensi ad eventuali risvolti negativi. Attendendomi allo stato di fatto, sono in apnea; un automa che vive a compartimenti stagni, fa e ripete le stesse cose quotidianamente chiedendosi in gran segreto quando, e se, potrà davvero alzare le braccia al cielo per poi incrociarle dietro la testa con un’espressione soddisfatta sul volto. Non ricordo quando è stata l’ultima volta di una pizza in compagnia, di una chiacchierata spensierata per dimenticare tutto. Procedo, a comando, e come ho ripetuto fino alla nausea, trattenendo il fiato e accumulando forza mentale. C’è poi che mi sento quasi di buon umore: ne ho forse una ragione? Ma no, il fatto è che ho momenti in cui sento un’incredibile spinta emotiva che regala voglia di scherzare, di esorcizzare, di vincere ogni possibile negatività. Merito? Probabilmente di quell’autobus passato circa sei mesi fa, su cui sono timidamente salito e dove ora vorrei continuare ad occupare il mio posto. Sempre con il sorriso. Undici giorni all’alba.
 

mercoledì 8 giugno 2011

La bionda e il ciccione

C
redo lo chiamino “istinto di sopravvivenza”. Da qualche mattina è mia abitudine aspettare il “6.30” in cima al marciapiede del binario in modo da imbucarmi nella prima carrozza. Motivo? Semplice. Provo a compensare l’inevitabile perdita di tempo che comporta l’essere, la stazione di Torino, una di quelle chiuse. Il treno, in prossimità dell’ingresso rallenta paurosamente facendo perdere minuti preziosissimi in vista di coincidenze varie. Ne è una riprova l’assalto alla porta d’uscita già dalla stazione di Lingotto. La mia scelta pare dunque piuttosto razionale. Senonchè, mi sto accorgendo che l’ambiente del primo vagone è letteralmente infestato dalla presenza di due soggetti che salgono ad Asti. Li descrivo brevemente: lui, ciccione con tripla pappagorgia, decisa cadenza napoletana, circa 50 anni di età. Lei, bionda dai capelli simili a quelli dei manichini ( il coiffeur, quello della cantante bionda degli Abba, presumo), occhiali tondi: la classica segretaria racchia del direttore. Pure lei sulla cinquantina. Imboccano il vagone alle 6.52. Sono sorridenti ed allegri, sempre terribilmente positivi e desiderosi di chiacchierare. Una battuta ( idiota) via l’altra. Guardandomi intorno sono molti gli occhi dei passeggeri che si alzano nel classico gesto del “che palle sti due”. Solitamente fa loro compagnia un terzo idiota anch’egli apparentemente ipodotato a livello di neuroni che dà sostegno alla causa. Questa mattina, i due mattacchioni duettavano sul sedile avanti il mio. Il terzo era dietro di me. Avete presente quando si andava in gita con i pullman e ci si alzava continuamente per raggiungere altri sedili e fare casino? Ma le gite erano le gite e non disturbavamo nessuno se non noi stessi. Qui si tratta di cinquantenni dal mononeurone che sparano cazzate e battutine con la segretaria che ride ad ogni stupidaggine. Stamane il tripudio: un avanti indietro tra i due sedili ed io lì, in mezzo. Cosa potevo provare in quei momenti? Cosa avrei potuto dire loro? Cosa pensavo soprattutto ? Oltre ad augurare loro un’afonia fulminante, pensavo che dovrò rivedere il mio progetto, ed optare per la carrozza numero 2. In fondo ho la prova provata che gli ebeti siedono sempre all’interno dello stesso vagone. Si trovano, freschi come rose, per nulla minacciati da pressochè naturali attacchi di abbiocco ( vista l’ora mattutina ). Dove mi porterà mai l’istinto di sopravvivenza? Lontano, spero, lontano dalla bionda e dal ciccione. Storie da treno. Non ho mai incrociato così tante facce, tante voci, tante peculiarità del genere umano in così poco tempo. Materiale per i miei racconti. Anche se a volte, un bel vagone vuoto non guasterebbe. Ah, come volevasi dimostrare: sul 16.20 la musica non cambia. L’allegra famigliola spettegolante. Non ce la posso fare.


martedì 7 giugno 2011

Sulla cresta

A
ncora la prima declassata. Rieccomi sul 16.20. Questa settimana godo di un’ora in più di luce ( si fa per dire dato il tempo ) e mi accomodo sul “Piacenza”. I sedili non sono più di stoffa blu, li hanno rivestiti di un’opinabile pelle azzurra che, nelle giornate più calde si può ben immaginare quali conseguenze provochi. Sta letteralmente volando questa settimana, al di là di ogni più ottimistica previsione. Colpa mia, o meglio, merito mio. Sebbene continui a navigare sulla cresta dell’onda anomala che mi ha travolto qualche tempo fa, ho deciso di non lasciarmi andare e tenere a galla questa carretta del mare. Ho ripreso a portare con me il pc, il mio libro, il mio lettore, qualche rivista. Insomma, mi carico di qualche chilo di passioni che curvano paurosamente le spalle ma innalzano il morale. La mia prima reazione alla notizia è stata quella di rinunciare a tutto a scopo terapeutico; silenzio, solo voglia di chiudere gli occhi e riposare. E’ a quel punto che la noia ha preso il sopravvento. Cavoli, mi stavo dimenticando che un paio d’ore e mezza sul treno sono anche piuttosto lunghe da reggere. Passi guardare scorrere il panorama dal finestrino e fare profonde riflessioni, poi però… Mi sento quindi abbastanza padrone della situazione, sento di avere sufficiente forza mentale e fisica per tranquillizzare e dare conforto a chi ne ha bisogno. Credo di avere questa capacità nel Dna. A quanti è capitato di aiutare persone in difficoltà, di farlo volentieri chiedendosi però: “ Ma con tutti i problemi che ho io , mi tocca dare sostegno agli altri! “ “ Ma dove la trovo questa forza?” “E quando ne avrò bisogno io, ci sarà qualcuno che perderà il suo tempo per me?” Avendo attraversato diversi periodi della mia vita dovendo sostenere il peso di problemi di cui in parte io ero il responsabile, ho comunque conosciuto persone a loro volta in difficoltà e non mi sono mai risparmiato. Spesso ripetevo a me stesso che per poter venire incontro ai problemi altrui bisogna navigare in acque tranquille, in modo da poter dare tutto il possibile, serenamente. Ora sto provando questa sensazione, mi sento pronto ad aiutare, a confortare, avendo tutte le energie a disposizione. E ne sono ultra felice dal momento che chi devo sostenere e’ assai vicino a me, affettivamente parlando. Credo che prima o poi crollerò. So che quando trattieni emozioni ed eviti di lasciarti andare per il bene altrui poi, alla fine cedi. Ma se mi guardo dentro trovo un’energia vitale incredibile, di cui solo qualche mese fa credevo aver perso ogni traccia. E allora continuo a viaggiare, sulla cresta dell’onda di questo mare sempre in tempesta. 

sailing3

domenica 5 giugno 2011

Tuoni e fulmini

B
uio pesto. Piove come fosse Novembre, il rumore della pioggia ha conciliato il mio sonno mattutino regalandomi un’ora di posizione orizzontale in più rispetto al solito. Ora invece, mi regala la sensazione che sia già sera e, come in quelle serate d’inizio autunno, faccio finta di raccogliermi al caldo di casa e mi lascio travolgere dalla voglia di scrivere. Ultimamente penso poco, dunque poco analizzo e poco rimugino. Ne avrei da pensare, dispongo di potenziali argomentazioni che, partendo dal mio problema attuale si svilupperebbero in non so quanti articoli. Invece mi sento bloccato, le parole sono prigioniere di una sorta di gabbia che, non appena verrà aperta lascerà sui fogli fiumi di inchiostro. Non riesco più a chiedermi il perché di tanta freddezza, di tanto autocontrollo; credo di aver sviluppato un ottimo sistema che è in grado di proteggermi da eventuali sorprese. Giro intorno al discorso perché non ne posso e non ne voglio parlare fino a che… Ma se poteste sentire il rumore della pioggia là fuori……Più scende veloce, più veloce scorrono le dita sulla tastiera. E’ Domenica mattina, ma non cambia nulla. Mi cruccio del fatto che oggi non potrò scendere in garage, inforcare la bici e dimenticare tutto, ma proprio tutto per qualche ora. Perché ogni uscita è come un pieno di benzina per l’auto, ti permette cioè di avere autonomia per l’intera settimana. Fondamentalmente non mi frega nulla della prossima settimana lavorativa; tra le altre cose ho imparato a mascherare benissimo stati d’animo non proprio idilliaci quando mi tocca condividere 8 ore con altre persone. Mi lamento si, è nella mia natura, ma lo faccio utilizzando come capro espiatorio una qualsiasi situazione di lavoro. Mai parlando della mia situazione personale. E alla fine, probabilmente ce l’ho fatta a raggiungere il mio intento: separare definitivamente lavoro e vita privata. Sembrava impossibile ed invece… Sento, lo avverto distintamente, un tenore diverso nei miei scritti. Terminata la fase del pessimismo cosmico, delle problematiche connesse alle delusioni sul fronte dei rapporti interpersonali , ecco prendere posto quella più squisitamente pratica. E ci metto dentro (senza nulla togliere all’importanza dei sentimenti) i problemi concreti, quelli dell’ “è così oppure arrangiati”. Non avere tempo per pensare spesso ti rende progressivamente pratico, pragmatico, meno cervellotico. Accolgo volentieri questa fase, conscio del fatto che poi io, incapace di pensare e di masturbarmi con elucubrazioni mentali di vario genere proprio non sono. Ma in questo esatto momento, all’inizio di questa settimana importante, va bene così. Che un raggio di sole squarci il cielo grigio. Si, nel mio caso è una metafora. Vi regalo un po’ di pioggia.

sabato 4 giugno 2011

Indietro tutta!

U
no dice: “ Vai che è festa e si dorme”. Quell’uno sono io e mento sapendo di mentire. Non c’è santo che tenga, ho la sveglia puntata alle 6 che si è impadronita del cervello. Mi arrabbio, ma potrei contare centomila pecore senza riuscire a riaddormentarmi. A volte penso che potrei andare al lavoro sempre, tanto io il sonno pesante non ce l’ho. E allora le mie occhiaie già ben evidenti finirebbero per assumere un colore violaceo. Che orrida immagine. Passiamo al lato positivo della cosa; mi alzo e mi accorgo che ultimamente scendo dal letto poggiando a terra entrambi i piedi a tempo. Saltino e via, sono in cucina. Ah, è festa e sono le 6.15, rimuovo tutto per non deprimermi. Faccio una cosa che solitamente evito di fare durante le levate lavorative ovvero, accendere la Tv. Il digitale terrestre in questi periodi viaggia all’unisono con mamma Rai e Mediaset, propinandoci vecchiumi e minestre riscaldatissime. Commissari in trench doppiopetto panna anni 70, pastori tedeschi che cambiano padrone ogni serie, insomma la solita schifezza. Ma, ad un tratto, pigio il numero 2 del telecomando e chi ci trovo? “ Ma no, non è possibile!” Scopro con gaudio e godimento che la Rai sta trasmettendo le puntate di “Indietro tutta”, programma cult per chi come me ha vissuto ( e sono stato fortunatissimo ) i mitici anni 80. Ci sono eventi che ti rimangono talmente impressi da permetterti di ricordare molti particolari della vita del periodo in cui si sono verificati. Io, a quel programma collego indubbiamente una sensazione primaria: spensieratezza. Il primo anno di Università, il cazzeggio per le vasche del centro città, le prime vacanze estive in compagnia. Immagini impresse nella mente cui sono legate canzoni, e in questo caso, programmi Tv. Trovatemene qualcuno ora, che verrà ricordato dalle generazioni di oggi. La colonna sonora di Indietro tutta l’avevo registrata su musicassetta con quel vecchio stereo vinto un anno prima facendo un tredici al totocalcio. Si ma non è che posso alzarmi tutte le mattine alle 6 per vedere Indietro tutta. Però che bella sensazione, che piacere rivedermi il balletto del Cacao Meravigliao, un giovane Frassica, il Pensatore. In mezzo a tanto riciclo, a tanto piattume, a tanta, totale assenza di idee, non sarebbe male rivedersi qualche format del passato ( che poi format non era ) per trarre spunti utili. Generazione fortunata la mia. Lascio volentieri un video.. E spero di aver anche solo per un attimo rivangato qualche bel ricordo di alcuni di voi.

venerdì 3 giugno 2011

Il ponte

I
l ponte. Ricordo che quasi un mese fa pregai la mia responsabile affinchè mi venisse concesso questo giorno di ferie. Avevo in testa di farmi una breve vacanza in Trentino e mi ero adoperato al fine di trovare un albergo, magari con un bel centro benessere. E ce l’avevo fatta. Avevo raggiunto entrambi gli obiettivi. Peccato solo che si debba fare i conti con qualcuno che decide sempre di muovere i fili a seconda di come piace a lui, e a rovinarti i piani in base ad un meccanismo quasi geniale per precisione e tempismo. Sono queste le tipiche situazioni in cui ritorna lo stesso quesito e ripiombo nello stesso identico dubbio: “Libero arbitrio, o disegno già scritto?”. Di sicuro la mente umana è abituata a ragionare e ragionare significa dare per scontate un sacco di cose, tra cui la certezza del domani. Qual è la frase più volte ripetuta alla fine di una giornata? “Ci vediamo domani”. Ma certo, vai mica a pensare che nel frattempo possa succedere qualcosa. Rifuggiamo dall’idea che ci sia impossibile programmare qualcosa, cosa potrebbe mai accadere per impedirci di realizzare il nostro progetto. Ed invece, a volte accade. E’ quell’ “a volte” che mi strugge. Forse, anzi sicuramente quel libero arbitrio di cui si parla tanto esiste ma è nelle mani dello stesso soggetto che decide cosa fare di noi. E noi? Lì, a provare a prenderci beffa di qualche disegno e ad organizzarci la vita. Al di là di queste riflessioni, che lasciano il tempo che trovano in quanto soggettive e per questo opinabili, non posso nascondere che certi “incidenti di percorso” finiscono con il condizionare la vita, e inducono a volte ad evitare di manifestare( scaramanticamente) ogni sorta di intenzione futura. Diciamo che questo discorso pare integralista. Delle due l’una: o ce ne sbattiamo altamente di chi pensa di governarci , di metterci i bastoni fra le ruote quando meglio crede e prendiamo di petto la vita perché tutto dipende da noi; oppure, ne siamo timorosi, e ci abituiamo a non rischiare e a vivere il giorno nella maniera più intensa possibile. Sto vivendo questo ponte come non avrei voluto e come non ho affatto programmato di vivere. Considerazioni nel bel mezzo di una mattinata trascorsa a cazzeggiare quando invece avrei potuto andarmene al lavoro. Ma forse è meglio così, da un po’di tempo vivo sempre meno a casa, e mi manca un po’ di frastuono familiare, sinceramente più apprezzato e caldo del vociare maledetto di utenti in attesa allo sportello. Oh cavoli, però un lato positivo c’è in tutto questo: già il secondo articolo in due giorni. Sto carburando, sto ritornando padrone delle mie passioni; mi tocca riconoscere che chi muove i fili ( ammesso che ci sia ) ha un tempismo incredibile.
 

giovedì 2 giugno 2011

Onda anomala

I
o non so perché in questi giorni sono stato lontano dal blog. O forse si. Ma certo che lo so. La mia è stata una pura reazione istintiva; nella mia testa ronzava la stessa parola: silenzio. “Ho bisogno solo di silenzio” mi sono ripetuto, avrei bisogno di scrivere ma farlo, produrrebbe un seppur lieve rumore. Quando ti arriva una notizia che non vorresti mai aver ricevuto, quando vieni investito da un’onda anomala mentre navighi in placide acque non hai tempo per pensare, per studiare una reazione. E’ l’istinto a guidarti e spesso questo sceglie la soluzione migliore per te. Io ho optato per la quasi totale assenza dal mondo del web ( il mio blog ne sa qualcosa ) e da quello reale ( catapultandomi a capofitto nel lavoro ). Ho di fatto in questi giorni annullato quasi del tutto ogni forma di relazione sociale, mi sono persino negato le più classiche vie di fuga quali la lettura, la musica. Ho deciso di essere solo. Questo non tragga in inganno: ho fatto tutto meno che piangermi addosso, ho cercato di concentrare i miei pensieri sulla quotidianità, raddoppiando le forze mentali là dove tornavano utili e godendo di una sana stanchezza a fine giornata. Sono ancora vittima dell’onda anomala che mi ha colpito, sto affrontando tutto nel modo che a mio dire ritengo più giusto. Non sono per natura un’ottimista senza averne motivo, neppure però piangere e piangermi addosso di fronte a qualcosa che ancora non conosco. Oggi ho deciso di tornare a scrivere, anche grazie al consiglio di Paolo. Si può, se si vuole, affrontare un argomento di cui non si ama parlare, raccontando magari di ciò che vi ruota intorno, prime fra tutte, le emozioni. E questo blog, nasce da dentro. Sarebbe stato davvero incoerente abbandonarlo in questo frangente di vita. Di solito, quando mi tocca di affrontare una prova ardua, azzero la sfera emotiva, dimentico tutto ciò che produrrebbe sensazioni e mi fermo a pensare. Ne ho fatta di strada e ne vado orgoglioso; un tempo i momenti di riflessione producevano solo immagini in bianco e nero, più tendenti al nero, diciamo. Oggi produco pensieri colorati e il più delle volte si tratta di pensieri dalle tinte pastello. Se mi osservo, nel mio agire e reagire agli stimoli, mi ritrovo diverso, e mi chiedo ancora quanti progressi abbia fatto. Ora che sono nel pieno dell’onda anomala provo a tenere la barca: non è una bella sensazione trovarsi in un limbo, le vie di mezzo non mi sono mai piaciute. Ma è proprio questa la situazione in cui si trovano energie e forze di cui si ignorava l’esistenza. Non amo pensare che esista un destino ( vorrei non pensarlo ) piuttosto mi dà forza l’idea di poter contare sulle proprie forze. E io riprendo a scrivere. Speriamo che questa carretta del mare dia un’ultima botta di vita e torni a navigare in placide acque.

 

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