venerdì 18 maggio 2012

Papaveri

D
i solito sono loro ad indicarmi la strada o almeno a ricordarmi che è Maggio ed è tempo di cominciare a pedalare. Tracciano una dolce linea rossa lungo i cordoli delle strette strade comunali , a volte uniti al verde acceso dei prati e ad alcune infiorescenze bianche, disegnano spettacolari bandiere. I papaveri. Nel mio procedere lungo la stagione che va da Maggio alla fine di Settembre ho la fortuna di assistere ai continui mutamenti della natura secondo la prospettiva privilegiata del ciclista. A volte mi disturba dovermi fermare per immortalare un particolare, occorre mantenere il ritmo.  Non è facile abbinare due grandi passioni come la fotografia e la bicicletta. Delle due l’una. Tutto ciò che non riesco a fermare attraverso una scheda di memoria, rimane però impresso negli occhi e come ripeto sempre, finisce nella grande valigia dei ricordi che mi accompagnerà durante la stagione fredda. Le bizze meteorologiche degli ultimi tempi mi hanno costretto a rinviare più volte l’esordio, che ha sempre un sapore particolare. Nel piccolo mondo di Enzo c’è un altro piccolo mondo che è quello delle passioni e in quello della bicicletta riesco a costruirne un altro ancor più ridotto. Parlo dei luoghi sconosciuti ai più, degli alberi, delle case abbandonate, delle stradine sterrate che sai dove iniziano e non sai dove portano. In questo mondo minuscolo posso fare sempre nuove scoperte, posso scegliere. In un momento della vita in cui prendere decisioni è diventato il salvagente per non affogare, mi rendo conto di quanto, pur annaspando in un mare tempestoso, io non voglia infilarmelo, il salvagente. Nell' infinitesimale mondo della bici, ritrovo il gusto di scegliere, di quale strada percorrere, mi godo la possibilità di rischiare senza dovermi necessariamente perdere. E’ troppo semplice così, vero? Ma è anche probabile che io sia il solito vigliacco che vuole vincere facile. Concedetemelo, almeno fino a quando la stagione mi consentirà di farlo, di alzarmi sui pedali, mettermi al centro della strada e non vedendo anima viva, tirare un gran sospiro di libertà. Questo è il mondo che vorrei. Perché quando affronto una salita e con il fiatone arrivo in cima, sto alla grande anche quando sono solo. E sulla bici io sono da solo. I papaveri di oggi mi dicono che è solo l’inizio, che ne ho ancora di strada da percorrere. I papaveri mi dicono che per qualche mese mi sarà concesso il beneficio di osservare il mondo alla giusta velocità. I papaveri mi dicono che posso ancora emozionarmi. 

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giovedì 17 maggio 2012

Tra il dire e il fare

Annulla e sostituisce il precedente. Rispondo così ai miei amici lettori che hanno commentato l’articolo di ieri. Mi spiace deluderli, ma sono fatto così. Il mio è un blog in tempo reale, ogni post è trasposizione immediata di sensazioni, nulla o quasi avviene in differita. Anche quando maturo il contenuto e non ho a mia disposizione il foglio, riesco a “congelare” le sensazioni per mantenerne intatta la consistenza emotiva. Scrivo questo articolo alle ventuno e dieci e vi racconto dei miei pensieri delle diciassette e quaranta. Credetemi non c’è artifizio, nessuna mediazione, tutto è rigorosamente autentico. I buoni propositi di ieri oggi non ci sono più. Ma lo dico con serenità perché questo diario non segue una trama precisa, non ha un finale già scritto. Percorro una strada che oggi sembra portarmi dritto e deciso verso l’obiettivo e domani invece, svolta improvvisamente. Oggi ho le balle che mi girano vorticosamente, ho la testa imbottita di nozioni. Cos’è la teoria? Nulla. Quanto contano i consigli, le tecniche apprese dagli psicologi, le linee di comportamento dettate dalla morale sociale? Un cavolo di nulla. Nella vita conta la pratica. Quanti di voi alla guida di un’auto si ricordano degli insegnamenti del vecchio istruttore? Quanti di voi cercano magari disperatamente un consiglio dell’amico e poi agiscono in modo del tutto divergente? Anche nel lavoro spesso vieni sottoposto a veri bombardamenti nozionistici e deontologici. Ma poi? Chi è che deve agire? Non ci si rende conto che tra il dire e il fare c’è di mezzo il coglione che deve fare? Deve metterci la faccia, rischiare. No no, non è il mio caso. E così, quando prendi coscienza di tutto questo vorresti che qualcuno venisse lì a svegliarti dall’incubo. Quotidianamente mi confronto con le più disparate espressioni disegnate su visi stanchi, pensanti. In loro a volte ritrovo la mia malinconia, e mi consolo. Sono vittima delle mie stesse teorie, questo è il mio triste destino. Sono vittima dei miei pregiudizi, della mia idea del mondo come sofisticata macchina i cui ingranaggi devono incastrarsi alla perfezione. Teoria. Chi di teoria ferisce, di teoria perisce. E tra il dire e il fare c’è di mezzo una consistente dose di voglia di vivere che io al momento, non ho.
 
colpevole

mercoledì 16 maggio 2012

La giusta direzione

N
on capita sempre perché a volte la dose di stanchezza è tale da non permetterlo. Ma quando appoggio le mie stanche membra sul letto alla fine di 12 ore trascorse tra viaggio e lavoro, di tanto in tanto succede di pensare. Diciamo che, appoggiata la testa sul cuscino e allungati i muscoli delle gambe, mi viene naturale chiedermi cosa mi ha regalato di buono la giornata trascorsa. Ebbene la sensazione che ne deriva è una mescolanza tra sconforto e impotenza. In fondo il mio quotidiano è un grande contenitore dove si raccolgono rifiuti indifferenziati: facce, firme, rumori, timbri, urla. Poi, il nulla. Mi voglio soffermare sull’importanza del fatto di essere a posto con la coscienza. Io lo sono, faccio il mio dovere e sopravvivo. Non vivo, questo è certo. E così, prima di prendere sonno, penso al senso compiuto di questo ultimo anno e mezzo. Ad atterrirmi, l’idea di non avere ancora un obiettivo preciso, una meta possibile o probabile,da raggiungere. Non ho una famiglia mia, non ho progetti,  nessun programma. Tutto scorre, inesorabilmente, e ti chiedi per quanto ancora debba andare avanti. Si lavora, e si è fortunati a farlo.  Ma si lavora per vivere?  Pur essedo molto orgoglioso di me stesso e di ciò che faccio, non riesco a vivere. E’ indubbiamente il momento delle scelte. Andare a vivere per conto mio è sicuramente il primo passo da compiere. Ho un impellente bisogno di ritornare a casa e di sentirmi protagonista di qualcosa, ho bisogno di vivere il mio spazio. Voglio scegliere il colore delle pareti, voglio una tv in camera da letto, magari un cane. Non sto più chiedendo nulla che appartenga al mondo del  superfluo. Non mi sto lamentando più di non avere una vita sociale. Non ho bisogno di aggrapparmi a questa o quella persona per dare un senso a ciò che faccio. Un po’ troppo in ritardo ma ho finalmente inteso che non c’è nulla di più soddisfacente del fare qualcosa per sé stessi. Nulla di più tranqullizzante del non dipendere economicamente da nessuno e ancor più importante, del non essere imprigionato da costruzioni mentali continue. Sembra di aver scoperto l’acqua calda; da tempo immemore si sa che, prima ci si rende autonomi e prima si riesce a dare un senso alla propria vita. Cavoli, adesso capisco quanto tempo ho impiegato ( e perso ) nel rendermene conto. Ma cosa ho fatto in tutti questi anni? Stasera, penserò a ciò che ho scritto. Servirà?

scelte

sabato 12 maggio 2012

Sospeso

N
on è stata la mancanza di tempo, ma la cattiva gestione di esso a tenermi ancora una volta lontano dal mio diario. Il tempo manca sempre, di questo non ho dubbi. Ma non sono più un bravo organizzatore, un preciso programmatore, non ho più molta voglia di tenere tutto sotto controllo. Ma da un estremo poi si passa all’altro e si finisce per fare i conti con una grande confusione. La lontananza dal blog non significa mai non avere argomenti da trattare, la mia coscienza infatti ( è l’anima di questo diario n.d.r. ) è lavoratrice indefessa, pagata pure male. Dunque aggiornare queste pagine serve anche a fare un po’ d’ordine tra i pensieri. Ad esempio: sapevo che avrei dovuto affrontare una settimana alquanto difficile, che richiedeva massima concentrazione sul lavoro e un bel po’ di energia fisica. Quando compio il tragitto che dall’auto mi porta in stazione al Lunedì, faccio una sorta di training autogeno, respirando a pieni polmoni e buttando aria.  Ho la convinzione che un buon inizio può facilitare il prosieguo della settimana lavorativa. Com’è che si dice? L’approccio. Come ho affrontato questi giorni? Sono soddisfatto di me stesso? Indubbiamente. Talmente soddisfatto da aver accantonato persino l’idea di essere stato anche un po’ “sfruttato” per la mia solita disponibilità. Quel che conta è che sono  orgoglioso del mio contributo. Chi non mi conosce non sa che io sul lavoro tendo a dare il massimo sempre, quotidianamente; attenzione, non perché io voglia guadagnarmi la stima di qualche superiore ( ma quando mai! , vi pare che i meriti siano riconosciuti? ), ma per esorcizzare tutto ciò che è il mio mondo circostante. Sapete, oggi cercavo qualcosa che riuscisse bene a descrivere la sensazione di vuoto esistenziale. Che da un lato è qualcosa di leggero, come se fossi tenuto sospeso in aria per la forza di gravità e dall’altro è una sorta di macigno che ti porti sulle spalle senza sapere poi il perché. Conduco una vita frenetica che mi porta a concedermi alla causa del lavoro nella mia totalità. Sono violentato dal lavoro, sono succube di esso. Non ne riesco ad uscire, se non in quei pochi momenti in cui il mio corpo fatica per piacermi. Mi piaccio sotto certi punti di vista, forse piaccio anche. Ma tutto si ferma lì. Emozioni a zero, sorrisi piuttosto forzati, una buona dose di rassegnazione. La situazione è sempre la stessa, ma volevo fare ordine tra i pensieri. Ecco perché sono tornato a scrivere. Come potrei descriverlo il vuoto esistenziale…sono sospeso.

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domenica 6 maggio 2012

Ricordi di Maggio

Peccato, Maggio sta perdendo una buona occasione per mostrarsi in tutta la sua sfavillante bellezza. Sono particolarmente affascinato da questo mese dell’anno, non chiedetemi un motivo specifico. Ma ricordo alcuni Maggio di qualche anno fa, trascorsi in campagna a casa di un amico perduto. I colori e il rassicurante tepore dei pomeriggi della Domenica rappresentavano un’endovena di energia. Questa prima domenica del mese delle rose mi infastidisce: è come se Dio continuasse ad accendere e spegnere la luce giocando con noi poveri mortali. Nuvole che si accavallano producendo toni di grigio intenso ed altre che si distaccano lasciando spazio a spiragli di azzurro. Anche lassù qualcuno è umorale. Ricollegandomi al discorso del post precedente, mi basterebbe pensare a costa stessi facendo lo scorso anno, di questi tempi, sono sicuro sarei grato per questa grigia e inerte domenica. E’ noto: ricordiamo esattamente i nostri abiti, oppure cosa stessimo facendo in un preciso istante della nostra vita se, in quel preciso momento fosse accaduto qualcosa di importante. Ricordo dove mi trovavo e dove mi stessi recando quando ascoltai alla radio la notizia dell’abbattimento delle Torri Gemelle, ad esempio. Ricordo perfettamente quasi ogni giorno di Maggio del 2011 seguìto alla scoperta della malattia di mio padre. Si che avevo tutte le ragioni per odiarlo, il mio tanto amato Maggio. Ma alla fine lo amai , gliene fui quasi grato per avermi dato l’opportunità ( una terribile opportunità ) di capire chi fossi, quanto valessi. E parlo di vita, di cose importanti, mica di stupidaggini come il lavoro. Allora mi resi conto di quanto fosse fondamentale abbassare il livello di ansia che mi provocava un certo tipo di ambiente, capii che non ci voleva nulla a spezzare quella tanto odiata noia. Oggi, a distanza di 365 giorni, nella mia vita è pur sempre l’inquietudine a farla da padrona. E ancora vado cercando un parametro, un punto di vista sulle cose che mi permetta di mantenere un equilibrio. Penso che ci sia una bella differenza tra noia e inquietudine. La prima è quasi sempre frutto del non pensare, la seconda, del farlo in maniera esagerata. Inquieto dunque, ma almeno vivo.
 
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sabato 5 maggio 2012

Valori reali

I
o lo odio il tempo, ed è un periodo nel quale mi sta terribilmente antipatico. E uso parole dolci per rispetto di chi mi legge. Sapete, vive in me un miscuglio di rabbia e rassegnazione che mi rende comunque inquieto. Ma, meglio ansioso che incazzato. Ne parlavo a tavola con i miei , qualche minuto fa. E quando riesci ad accavallare le gambe mentre mangi, significa che stai sfruttando il tempo come meglio non potresti fare. E se coloro i quali ti stanno di fronte sono i tuoi genitori, meglio ancora. Mi sono perso nel discorso, lo sapevo. Ricomincio. Dicevo che sto odiando il tempo: ne ho poco, di totalmente libero. E quel poco lo passo facendo la spola tra casa e supermercati vari. Eccitante vero? Odio anche il tempo atmosferico, odio questa pessima imitazione della primavera, odio il fatto di aver preso coscienza che la bici, prenderà ancora polvere. Sono però rassegnato, perché le discussioni degli ultimi giorni qualcosa hanno prodotto: nulla è accaduto invano. Ora capisco che non ci posso far niente, almeno fino a quando non mi deciderò a trasferirmi. Ma ho scelto di non lamentarmi più, per ora va bene così. In questi giorni non ho avuto tempo (maledetto!) materiale per scrivere sul blog. Avrei voluto parlare di quanto sia importante avere ancora mamma e papà. I genitori invecchiano e per chi come me ha la fortuna di averne due nel vero senso del termine, ogni giorno che passa dovrebbe essere utilizzato al meglio, con e per loro. Ed invece, spesso e volentieri, questo non accade perché questa malefica vita non ti dà la possibilità di capire una volta per tutte quelle che sono le priorità. Se ti fa piombare all’inferno, tutto ti è chiaro, riesci a dare la giusta misura ad ogni cosa. Non appena ne esci, ecco la fregatura, perdi il senso del tutto e ti incazzi per un nonnulla. Insomma non è che io voglia perennemente vivere situazioni negative per avere chiaro ciò che è importante e ciò che non lo è. Chiedo invece a me stesso, di imparare una volta per tutte una cosa: ci sono persone per le quali ogni minuto passato insieme rappresenta un grande dono. Queste persone sono in primis, i miei genitori. E scusate se è poco. Scusate se probabilmente loro e solo loro, in quarantatré anni di vita, ci sono sempre stati. Devo ripagarli no?

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