mercoledì 28 dicembre 2011

Ultimo

L
a posizione è orizzontale. Soffice il letto, caldo il camicione di flanella, sgombra come uno scarico appena spurgato, la mente. Queste sono le premesse (nonché condizioni essenziali) per dare corpo all’ultimo articolo dell’anno. Non è facile scrivere queste poche righe facendo finta che si tratti di un articolo qualunque. Scegliendo di dare una certa ufficialità alla fine dell’attività per l’anno in corso, il blogger non può e non deve evitare di fare bilanci. Ma con il post di ieri, non avevo detto il contrario? L’istinto vince sempre. La posizione è orizzontale, la musica tortura le trombe di Eustachio ma il Pc è lì. C’è un foglio, c’è l’istinto primordiale di dire qualcosa, di lasciare una traccia. In questo momento mi passa “Giulia” di Gianni Togni, anno 1984, credo. Potrei dedicare questo post alla malinconia dei tempi andati..Nooo troppo triste.. Mi passa anche per la testa un pensiero davvero strambo: mi chiedo chi avrà l’onore di passare allo sportello la pratica “immi” numero 1. Io sono proprio fuori. Cosa mi passa ancora per la testa….Devo riempire il foglio con tutto quello che l’istinto mi suggerisce. Ad esempio, istintivamente mi viene da ringraziare chi sul luogo di lavoro ha saputo capirmi, a volte perdonarmi, e chi mi ha dato la possibilità di crescere interiormente. Sto parlando di luogo di lavoro, e non è qualcosa di incredibile. Ho trovato comunque chi ha dimostrato umanità e sensibilità. Voglio anche ringraziare il mio complicato marchingegno cerebrale che, oltre a produrre le solite prodezze paturniose, mi ha sostenuto, all’occorrenza, grandiosamente. Voglio ringraziarmi ed applaudirmi per essere uscito dalla tempesta emotiva mantenendo un’invidiabile posizione eretta, conservando orgoglio ed autostima a livelli ottimali. Si potrebbe dire che sono pronto. Ma cosa ho fatto durante tutti questi anni? Un pietoso velo di rimpianto si stenda sull’ultimo decennio, si chiuda il capitolo, di grazia. Avete presente le vecchiette pettegole che allungano il collo dalla finestra per capire cosa stia accadendo là fuori? Morbosamente curioso di capire, allungo il collo oltre quella famosa persiana. L’intento, l’obiettivo è rendermi conto se, quanto prodotto dagli ultimi 362 giorni potrà fregiarsi dell’attributo di utile, o ancor meglio, necessario. We’ll see.
 
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martedì 27 dicembre 2011

205 non sono pochi

V
ivo questi sgoccioli di 2011 nella più totale serenità. Ce n’è voluta, ma alla fine sento di godermela tutta. Continuo a ripetere che nulla è cambiato ma sicuramente avverto qualcosa di nuovo che mancava da tempo. Parlo della giusta percezione della realtà, quella che rende tutto decisamente più semplice. Sto trascorrendo queste vacanze alla velocità di un bradipo: mangio ( tanto ), riposo, mi distruggo gli occhi davanti al pc, rimangio, ri-riposo. E non dite che è un vivere noioso perché io è di questa noia che avevo bisogno! Qualcuno mi ha detto che non ha senso prendere ferie se non si ha un progetto preciso tipo un viaggio od altro. Non ha torto. Ma sarebbe ancora peggio dover rinunciare ad un viaggio e stressarsi ugualmente. Sono a casa ma sto bene. Quando vado a letto non mi addormento subito; non sono stanco, potrei stare sveglio ancora qualche ora. E se dopo la lettura di qualche pagina di un bel libro, trovo ancora il tempo per pensare vuol dire che sono davvero riposato. Ieri sera ad esempio riflettevo sui buchi temporali sempre più profondi che si aprono tra un articolo e l’altro del mio blog. Eppure, la cosa più strana riguarda il numero totale degli articoli; quando si aprì la porta del lavoro a Torino la mia prima preoccupazione fu quella di non riuscire più a mantenerlo vivo, il blog. “Oddio e ora? Come farò?”. Ebbene non solo ho continuato a scrivere, ma l’ho fatto con ancor maggiore costanza. Approcciandomi a questa nuova avventura il mio timore maggiore era proprio questo. Preoccuparsi significa occuparsi prima di qualcosa di cui non sappiamo nulla. Attività dunque inutile. Ora sono qui e nonostante tutto il tempo a disposizione riempio queste pagine giusto per colmare qualche spazio. Ne ho già parlato, lo so. Il blog c’è, esiste e continuerà a vivere. Dal momento che lui è lo specchio della mia anima dovrei essere felice quando non ho nulla da scrivere. Vuol dire che le cose vanno bene. E comunque, 205 ( articoli ) non sono pochi. Sono in fase discendente, ancora quattro giorni e poi via, si riparte. Bandisco bilanci e previsioni. Ma mi sia lecito sperare.
 
stilo

giovedì 22 dicembre 2011

La giornata nazionale dell’ipocrisia


D
omani, come sapete, si celebra la giornata nazionale dell’ipocrisia nei luoghi di lavoro. Culmine dell’evento l’ultimo quarto d’ora di servizio. Ritroviamoci dunque nei paraggi delle bollatrici, e diamo inizio alle danze. Lo schioccare dei baci, le pacche sulle spalle, le mani che si stringono e un unico coro: “Buon Natale”. Noi che per un anno non abbiamo fatto altro che parlare male di questo o di quel collega, noi che per un anno abbiamo pregato che questo o quel collega venisse al più presto trasferito, noi che abbiamo anche un po’ esultato quando per quindici giorni d’estate, non lo abbiamo avuto tra le palle. Noi ora, a quel collega, rivogliamo i più cari auguri di Buon Natale! Ma quando mai! Tocca anche a me. Non posso esimermi. Non sono stato molto lungimirante, lo ammetto. Bastava forse chiedere un bel “permessino” ed evitarmi quel momento in cui, ormai con la mente altrove, ci si deve amorevolmente scambiare un sentito “Buon Natale”. Pensate che io non abbia mai tirato peste e corna su questo, quello questa o quella? Ma certo che si! Beh, in ogni ambiente di lavoro esistono sempre uno o più uffici, tappezzati di una squisita tinta rosso fuoco. Quello dei: “E chiudi sta finestra!” “ Tu a me non dai ordini!” “Tu che non hai capito un c**** di come si lavora!”. Il giorno dopo poi rieccoli lì, come se niente fosse. La chiamo ipocrisia buona. Ma come il colesterolo, di ipocrisia c’è anche una versione “cattiva”. La peggiore. Qualche giorno fa ho avuto un alterco con una collega. Sapevo che parlava ( soprattutto sparlava ) di me. Appunto, chi non lo fa? Non si è trattato di una cosa leggera: mi sono detto che forse per me è stata una vera liberazione. Ora, non rivolgendoci la parola se non per lavoro, non avrò bisogno di parlare male di lei e lei di me. Splendido! Mi sento veramente sollevato! E domani, almeno con lei non sarò costretto ad assumere il solito atteggiamento idiota e sarò esentato dal pronunciare la parola magica: “Auguri!”. Ciò non mi eviterà i vari “Buon Natale” di circostanza, ma sono sicuro che alcuni di essi saranno sentiti. Accorrete numerosi dunque, chi ha la sfortuna di partecipare all’evento, non si preoccupi. Dal 1 Gennaio potremo riprendere a parlare male di tutti. Non sono previsti auguri di altro tipo fino al prossimo Natale. Ma nessuno ci eviterà di augurare all’infimo collega magari di…...sbizzarritevi voi. A voi amici del blog invece….un mondo di AUGURI di tutto cuore.
 
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mercoledì 21 dicembre 2011

Vietato russare

N
on so se è il momento più opportuno per scrivere. Qualcosa da dire ce l’ho. Ad esempio molto avrei da dire al cafone di turno stravaccato sul sedile accanto al mio che, incurante del fatto che i suoi discorsi del menga non interessano a nessuno, prosegue imperterrito con i suoi discernimenti idioti. Ma, attenzione, quel “buco” di rete tra Trofarello e Villanova d’Asti per una volta mi viene incontro. Il tipo ha appena congedato il suo interlocutore dicendo che la linea va e viene. Bravo, cafone che non sei altro. Nel frattempo è squillato un altro cellulare ( ma allora prende? ). Io non so più cosa fare, non so più come reagire di fronte ad un mondo che sta ormai regredendo a più non posso. Io non so perché la gente non ha neppure una mezza idea di come si debba interagire rispettando i limiti del decoro e dell’educazione. Vedete, nell’arco di un anno, la gente è riuscita a farmi odiare la gente. Non la sopporto più. E ora non mi fido più. Attenzione perché questa potrebbe rivelarsi una “notiziona”; state a vedere che persino Enzo comincia a diffidare. Perché c’è una bella differenza tra essere intollerante e diffidente. Di solito il primo dei due atteggiamenti è frutto di pregiudizi. Io ad esempio non riesco più a sopportare l’idea di dover accettare i russatori da treno. Ma vogliamo discriminarli, o no? Vogliamo dare loro una carrozza così possono serenamente bombardarsi a vicenda? Non sopporto più gli urlatori da treno del mattino presto. Non sopporto la frase di Trenitalia che puntualmente “si scusa per il disagio”. Sono intollerante a queste sciocchezze. Meno ancora tollero i paladini del popolo che si scagliano contro “i fancazzisti a prescindere”. Sono però diventato diffidente. Esempio: mi lascio andare a confidenze, poi scopro di averlo fatto con la persona sbagliata, poi faccio un’altra confidenza e mi pento perché quella persona è in buoni rapporti con la persona sbagliata. Insomma, il circolo è di quelli viziosi. Devo uscirne!Ho scritto questo post al termine di una giornata come sempre rumorosa, farcita di parole il più delle volte inutili e insignificanti. Condita da momenti di vera vita. Pochi. Mi sento sempre più estraneo. Sono un puntino, non conto nulla. Sono già diffidente verso il mondo e l’intera galassia. Ma mi devo relazionare. Come faccio a reggere tutto?
 
russare

lunedì 19 dicembre 2011

Post per colmare 10 minuti di vuoto


N
on scrivo sul blog da circa una settimana. Mi sono chiesto il perché. Incredibile come cerchi disperatamente di dare una spiegazione logica e calzante a qualcosa che può “naturalmente” starci. Non esiste una regola, devo buttare dalla finestra la mia proverbiale e snervante metodicità. Se non ho scritto nulla ci sarà un perché o magari non ce n’è nemmeno uno. Non ho scritto e basta! Ho riempito questi ultimi quattro giorni di un dolce far niente, di un ritmo compassato. Ne ho fatta comunque di strada dall’ultimo periodo di ferie. Me li sono goduti di più, ho fissato il solito punto nel vuoto, consapevole di farlo per il mio bene. Le occhiaie da panda non mi piacciono, la tensione sul volto è evidente. Temevo di essere tremendamente dimagrito ma così non è. Conservo il mio peso, appaio solo più tirato. Sono comunque in fase discendente, nel senso che posso finalmente pedalare con la disinvoltura e l’arroganza di chi ha dato, e ne è orgoglioso. Sto dunque affrontando il tragitto prossimo al traguardo con le mani staccate dal manubrio e incrociate dietro la schiena. La punta di orgoglio nasce dall’aver appreso un bel po’ delle tecniche fondamentali per affrontare il tutto. Appaio ancora palesemente in conflitto con me stesso e con gli altri, ma a contare sono le sensazioni e le mie, sono positive. Come ho già ripetuto più volte non volterò più lo sguardo a quello che è capitato da Gennaio ad ora. Non ho bisogno di farlo e non ho tempo da perdere. Cosa mi resta da fare in questi ultimi dodici giorni? Quattro giorni effettivi di lavoro e poi 8 giorni di ferie. Cosa voglio di più? Ma niente, proprio niente. Ci sarà pure una ragione se ho latitato sul blog. E’ uno di quei momenti in cui stai bene e non hai bisogno di gridarlo al mondo intero. Stai bene e te la godi. Attenzione, non è cambiato assolutamente nulla; è probabile che un rallentamento dei ritmi vertiginosi che caratterizzano la mia giornata sia stato determinante. La mente innesca un meccanismo di autodifesa per cui mi vieta di pensare. Ecco dunque la ragione di questo articolo un po’ sconclusionato, senza capo né coda. Avevo uno spazio di tempo e ho provato a riempire il foglio. Ma se avessi evitato, non sarebbe successo nulla. Esiste anche un Enzo sobrio e leggero.
 
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martedì 13 dicembre 2011

Una giornata così

A
lla fine di una giornata così vorrei fare tante cose. Vorrei piangere; non si deve necessariamente essere piccoli per farlo. E chi pensa che un uomo non può e non deve piangere è un inetto. Non c’è età per farlo. Vorrei piangere per sfogare tutta la mia rabbia e tutte le preoccupazioni che questo maledetto anno mi ha donato. Il mio errore è stato quello di non sfogarmi quando dovevo, ora però la cosa si rende opportuna. Alla fine di una giornata così vorrei abbracciare mio padre, mia madre e dire che voglio loro un gran bene e che spero possano stare con me il più possibile ancora. Vorrei abbracciare l’unica persona che in questi ultimi sei anni mi è stata sempre vicina, sopportandomi, e venendomi incontro ad ogni mio bisogno. Alla fine di una giornata così vorrei gridare al mondo che non me ne frega un emerito cazzo del mio lavoro. Se è proprio il tuo lavoro a far uscire il peggio di te, allora… Vorrei dire che la stima e il rispetto ce li si deve guadagnare e non è colpa mia se nella mia vita ho imparato a rispettare solo i miei genitori. Che se non sei degno/a della mia stima, io ti divoro. Vorrei, alla fine di una giornata così, capire cosa devo fare per vivere. Per vivere senza che il mio stomaco si contragga e la mia testa scoppi, sempre, ogni giorno. Alla fine di una giornata così vorrei poter prendere il primo treno per la mia città che ho tanto bistrattato e poter decidere di non tornare più dove sono stato sbattuto. Vorrei ribadire che non mi sento affatto fortunato per aver trovato questo lavoro. Innanzitutto me lo sono sudato, quindi la fortuna non c’entra nulla. Dove sta allora la sfiga? Nel contorno. E’ un contorno acido, riprovevole, maleodorante, di scarso valore, meschino. Questo contorno mi fa schifo. Alla fine di una giornata così mi sento felice di sentirmi diverso da tutti, diverso dalla massa insopportabile che vive una vita vuota, dove l’unica soddisfazione è quella di sentirsi padroni del mondo e degli altri. Alla fine di una giornata così mi sento distrutto, stravolto, insoddisfatto, arrabbiato. So odiare. E me lo ricordo bene. Quando pensi di essere fatto in un certo modo e, 43 anni te lo hanno dimostrato ampiamente, non riesci ad accettare ogni “deviazione” caratteriale, ogni dimostrazione esponenziale di quella forza sempre sopita. Ma in fondo è qui che esce fuori un uomo con le palle. Anche nel suo linguaggio scurrile, ma vero. Ho solo da perdere probabilmente. Alla fine di una giornata così vorrei dimenticare tutto e dire : “Domani è un altro giorno”. No. Oggi è oggi. E oggi vorrei essere e fare tutte queste cose. Alla fine di una giornata così vorrei cullarmi sulla più bella e soffice nuvola del cielo e sputare pioggia acida sull’intera umanità. Stanotte ho sognato canguri.

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lunedì 12 dicembre 2011

Compartimento stagno

C
avoli, ma io ho anche un blog! Me ne ero completamente dimenticato ma sapete, facendo una vita mondana piuttosto intensa, posso mica stare qui a perder tempo mettendo nero su bianco contorcimenti mentali come se piovesse! No, non sono impazzito improvvisamente, e non è stato neppure il weekend trascorso fuori dalle solite mura ad avermi improvvisamente esaltato. Sono sempre io, tranquilli, non credo vedrete o leggerete qualcosa di diverso dal solito, neppure nel caso in cui la mia vita cambiasse radicalmente! A dire il vero, il mio cambio di vita radicale è già arrivato, quasi esattamente un anno fa eppure, sono sempre qui, a sciorinare contorcimenti mentali, paturnie, lamentele croniche. Questa non è altro che la conferma di quanto il mio blog sia, di fatto, un compartimento stagno. Stagnano le riflessioni, stagnano i pensieri mentre là fuori tutto si muove, tutto si evolve. Probabilmente non riesco a trasmettere su questi fogli quel quasi niente di positivo che mi circonda. Ma chi se ne importa. Uscire dalla routine, rendersi conto che, sfidando la stanchezza, si può anche vivere una vita, è una bella conquista. Ho bisogno di sgomitare, di liberarmi del senso di oppressione generato dal tempo che passa, dal tempo che manca sempre per fare qualcosa di piacevole. Non mi sono dimenticato di scrivere, ho solo avuto uno sprazzo di vita. Come ho appena detto non è una questione di cosa succede là fuori. Ma, a proposito di cosa accade nel mondo, diciamo che siamo quasi a Natale. Non sento l’atmosfera, non si avverte in giro, dunque non mi sento in colpa di vivere questo periodo nella pressoché totale indifferenza. Sono stato in una grande città in questi giorni, lavoro in un altrettanto grande centro, ed è sufficiente per rendermi conto di un clima piuttosto “freddo”. Non ho neppure voglia di perdermi nelle solite considerazioni retoriche sul significato vero del Natale, le conoscete bene. Anche quest’anno il Natale porterà la solita consistente dose di malinconia, mi verrà il torcicollo a furia di voltare lo sguardo all’anno che ci sta lasciando. E’ tipico di questo periodo fare bilanci no? Per carità non sia mai. Mettiamola sul venale: mi hanno confermato le ferie di Natale, voglio farmi un viaggetto ed esorcizzare la “maledizione” del 2011. Oppure il fatto che lo abbia accennato mi si ritorcerà contro?

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giovedì 8 dicembre 2011

Voyeurismo

A
volte un po’ di sano voyeurismo non guasta. Dai, non siate maliziosi, mi permetto di usare il termine in senso lato. Curiosità va bene? Lascia meno perplessi? In effetti sono una persona piuttosto curiosa che ama le persone curiose; per la precisione sono innamorato di quelle che ti riempiono di domande intelligenti senza mai immedesimarsi nel ” Freud de no’ altri”. Installare nel blog un widget che monitora i visitatori può avere diversi significati e celare le più diverse intenzioni. Nel mio caso, riesco ( per quanto l’attendibilità sia da dimostrare ) a visualizzare il luogo o l’area di provenienza dei vari lettori. E anche attraverso quale canale giungono al mio blog. Dai, è divertente. Conosco molti dei miei affezionati seguaci; alcuni addirittura personalmente. So che leggono, a volte commentano, a volte no. Poi ce ne sono altri che lasciano spesso la loro opinione e riconosco il loro passaggio. Ultimamente mi piace osservare i passaggi di quelli che spesso ci finiscono qui, e magari per timidezza non danno segni della loro visita. Attraverso il mio widget vedo che provengono quasi sempre dalla stessa area e vorrei menzionarli per rivolgere loro il mio grazie: grazie a te che spesso, attraverso Fb mi leggi da Catania, a te che mi leggi costantemente dall’Olanda ( vorrei tanto fossi chi immagino io, ma non lo so..) . Un grazie a te che leggi da Roma, da Napoli. Menziono solo alcuni di coloro di cui riesco a monitorare il passaggio. So che potrebbe apparire come un voler a tutti i costi cercare forme di approvazione ed apprezzamento. In realtà a volte un commento mi permette di ringraziare espressamente chi passa da me. E grazie a tutti quelli che da poco si sono avvicinati al mio diario e nonostante tutto sono ancora curiosi di leggermi. E’ vero che questo blog è nato per esternare, a prescindere dal fatto che la mia voce venisse o meno ascoltata. Ma le urla a volte sono raccolte da coloro che amano ascoltare, e confrontare il loro mondo con il tuo. Ragion per cui l’interazione c’è, esiste ed e’ produttiva. La curiosità costruttiva è davvero un fiore all’occhiello di pochi. Ed io la apprezzo tantissimo. Si, un po’ di tendenza alla conferma da parte degli altri c’è sempre in me. Ma oggi mi andava di parlare di una diversa forma di curiosità, che ti spinge ad immaginare volti che entrano nella tua vita attraverso un diario e che tu vorresti si fermassero per sempre. Enzo e l’accettazione della fugacità del tutto, non vanno d’accordo.


voyeurismo

mercoledì 7 dicembre 2011

Io ferisco

N
on ho la più pallida idea di cosa mi spinga a tenere ancora questi occhi aperti. Fanno male, sono stanchi, la giornata è stata pesante. Il profondo silenzio che provo a sentire dentro di me quando esco da quella porta maledetta, è un silenzio anche troppo rumoroso. Mi lancia messaggi, mi inietta pensieri che spesso e volentieri sono tremendamente veri. Vedo, ascolto, osservo, sento tanta gente. Troppa. Io non sopporto più il rumore di fondo che disturba i miei giorni. Odio le facce, odio i discorsi inutili, odio i giovani che sono già pimpanti al mattino. Tutto mi infastidisce. Il concetto di rifugio si fa sempre più largo dentro di me. Dove lo trovo un rifugio? Dov’è? A casa mia? Amo alla follia la mia famiglia, c’è e non mi rendo ancora conto quanto sia importante avercela ancora. Ma sono diventato un perfetto egoista, presuntuoso che cerca sempre più la perfezione. In sé come negli altri. Questo è il bandolo della matassa. Sta lì tutta la mia insoddisfazione, la frustrazione, e l’incapacità di gestire i rapporti personali, anche i più semplici. La testa duole, gli occhi si chiudono, sono stanco, distrutto. Sono al buio della mia stanza e non riesco tuttavia a staccarmi da questi fogli. Oddio è questo il mio rifugio. E’ solo questo. Parlo con me stesso, parlo di tutto, mi posso lamentare. Posso persino raccontare di come qualcuno continua a ripetermi che con il mio comportamento “urto”. E’ la trasposizione Italiana di “hurt”. Come si fa ad esprimere un sentimento in una lingua che non è la tua? Mi odio per non conoscere le lingue. Si viene spesso fraintesi: si pensa ad un concetto e se ne esprime un altro. Al diavolo, allora. La stanchezza fa brutti scherzi, mangia le meningi, ma si sa, le ore della sera sono quelle più intrise di verità. Sono quelle che producono i pensieri più profondi. Cosa mi costa rimanere alzato qualche minuto di più se lo utilizzo al meglio come sto facendo? Io ferisco. Cavoli non me ne sono mai reso conto. Pecco di egocentrismo e di superiorità? Sono convinto di essere l’uomo più buono e disponibile della terra? Tutto il contrario. Forse il più stupido. L’idea che ho di me è decisamente elevata. Ma io non ero quello che si sottovaluta? Ma allora chi sono? Io con il mio comportamento ferisco. Non mi piace interpretare alla lettera tutto ciò che mi viene detto, ma un esamino di coscienza è necessario. Per correggermi. Non sono perfetto, sono stupido. Se ambisco alla perfezione, lo sono anche tanto.
 
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martedì 6 dicembre 2011

Si chiacchiera


U
n tempo era la piazza. Nella notte dei tempi era l’agorà. Oggi si chiama Internet. A voi non darebbe fastidio se, chiacchierando serenamente con un amico in piazza questi vi dicesse: “ Aspetta, parlo con quest’altro che passa e poi riprendiamo”? E non vi darebbe fastidio se mentre state parlando con il vostro interlocutore di un problema importante, questi improvvisamente si eclissa senza darvi alcuna risposta? Cose che succedono nella piazza di Internet, e solo lì possono succedere. Ciò che non vedi, lo immagini. Non so perché negli ultimi tempi io mi sia avvicinato alla chat, ma credo sia un test fondamentale per misurare il livello di comunicazione ai giorni d’oggi. La piazza è ormai questa, sempre più questa. L’altro giorno, mentre chiacchieravo ( o pensavo di farlo ) con una persona, non vedendo alcuna risposta ai miei discorsi, mi sono chiesto se effettivamente stesse ascoltando. Incredibile! Nel frattempo stava facendo altro! Non mi sono certo indignato per questa cosa, ma mi sono fatto una grassa risata al pensiero di come si possa realmente credere di intavolare un discorso, facendo contemporaneamente più cose. Quando tempo fa dedicai un post all’esclusiva, mi sentii subito dopo un tantino idiota. Ma a pensarci bene, la qualità è sempre meglio della quantità, no? Se io decido di dedicarmi ad una persona, anche solo per una breve chiacchierata virtuale, lo devo fare con spirito e volontà. Pretendo di essere il tuo unico interlocutore, pretendo di meritare attenzione quando parlo! E’ triste constatare come il meccanismo della piazza virtuale ci voglia vedere interagire tutti, quasi simultaneamente. Ma è un vero casino! Lo so, esistono ancora le piazze, i luoghi di ritrovo, i divani dove raccontarsi un po’ di vita sorseggiando un buon vino. La mia riflessione è limitata alla pochezza di livello di un’interazione che è del tutto superficiale. Non so perché mi sono avvicinato alla chat. Forse per migliorare la lingua Inglese, forse per provare il gusto di un’interazione immediata. Ma ad un sentimentale ( a volte lo sono credetemi! ), emotivo come me, tutta questa freddezza fa calar le braghe. Poi mi dicono che io non accetto le differenze. E’ che potenzialmente siamo tutti capaci di dare e ricevere molto. La voglia di comunicare c’è. Ma è questo il modo giusto per farlo?


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domenica 4 dicembre 2011

Tecnologia wireless

D
a quando ho comprato un paio di cuffie wireless ci gioco come un bambino. Ascolto musica muovendomi con disinvoltura tra le stanze, sfrutto il microfono incorporato, chiacchiero più del solito in chat. Udite udite, sto buttando dalla finestra la mia proverbiale timidezza e comincio pure a farmi vedere. Sono momenti così. Come spiegarlo senza passare per pazzo? Ci sono fasi in cui sono preso da qualcosa, mi piace, ci credo pure che possa portarmi un po’ di felicità, un momento di piacevole serenità. Ci credo, me ne convinco, ed è a quel punto che poi tutto mi passa. Io sono fatto così. Ci provo ad avvicinarmi alla convinzione che c’è qualcosa di vero nel mondo virtuale, e quando sto percorrendo l’ultimo chilometro, crollo. Non ci credo, è del tutto inutile che provi a convincere me stesso. Si chiama masochismo, non esistono altri termini. In fondo sta a noi scegliere o meno se spianarci la strada verso la progressiva disillusione, la delusione ed infine, il disincanto. Sono ben lunatico. Sfrutto il mezzo, anche troppo ma non accetto le delusioni. Qualcuno mi ha pur fatto notare che non siamo tutti uguali e che probabilmente non accetto le differenze. Ma ammesso che ognuno di noi possiede aspetti che lo rendono agli occhi altrui tanto amato quanto odiato, perché mai devo essere sempre io a rispettare gli altri? E se qualcuno magari rispettasse me? Non ci starebbe male come cosa. Ma torno alle considerazioni di un mio recente post nel quale elogiavo il non aver bisogno di niente e nessuno come condizione primaria della felicità. Per un umano questo è normale; per quasi tutti gli umani. Ma non per un alieno. Io dunque faccio fatica a credere di non aver bisogno di nulla per stare bene, ma è sicuramente la condizione mentale principe per non essere tentato dalla voglia di mandare a fanculo un po’ di gente. Il livello è decisamente basso. Per quanto tu sia intelligente da mandare messaggi subliminali, questi non vengono recepiti. Non ci arrivano! Ma come fai Enzo, a non metterlo nella testa? I messaggi subliminali arrivano solo a coloro che non aspettano altro. E che li sanno leggere. Cronaca di una Domenica sera da Optalidon. L’emicrania è forte. All’amica Elena, che lo ha richiesto, dedico questo post. Le eccezioni esistono. Comunque le cuffie wireless sono una bella invenzione.
 
CUFFIE WIRELESS PER IPOD NANO

venerdì 2 dicembre 2011

Quieto vivere

O
nestamente parlando, ho un gran bisogno di protezione. Non è un discorso di coperta, guanciali, calore umano. Ho estremamente bisogno di sapere se il mio modo di vedere le cose e di vivere la vita è normale; voglio sapere se la mia è una visione arcaica (e dunque è il caso di svegliarmi), oppure se posso procedere a testa alta. Questa settimana sono stato protagonista, mio malgrado, di situazioni molto imbarazzanti. Ho messo del mio, ma credetemi, qualcuno mi ci ha tirato dentro. Sono un essere tranquillo, magari logorroico, ma dimostro pazienza e calma. Attenzione, spesso si tratta di facciata. Sono sostenitore della teoria del “quieto vivere” perché ho realmente paura delle situazioni burrascose, dei litigi, delle voci che si alzano. E in nome del quieto vivere spesso mi astengo dal ribadire le mie posizioni. Ma sono un uomo che, come tutti, ha soglie di sopportazione superate le quali la voce, la alza. Mai però come negli ultimi tempi le mie reazioni condizionate, hanno sfondato il muro dell’offesa. Non manco di rispetto, anche quando la persona non ritengo sia degna di esso e stento tuttavia a imporre il mio punto di vista. Cosa succede dopo? Qui sta il bello: istintivamente, alla fine di una discussione sono sempre portato a ristabilire necessariamente gli equilibri, non mi piace che la situazione “negativa” si protragga troppo a lungo. Quieto vivere. Che poi, in un ambiente di lavoro, deve essere così: si può dover aver bisogno di quel collega, meglio mantenere buoni rapporti, di facciata, ma buoni. Ora, provate a smorzare i toni e ad alleggerire una mattina di lavoro. Come? Non so, vi capita di ironizzare su qualche sgrammaticatura del collega, su di un marchiano errore sopra un documento. Il bello è che non si sa chi sia, potrebbe essere chiunque. Che bello, abbiamo sdrammatizzato. Bello un corno; qualcuno si è preso la briga di andare a riferirlo e mi sono trovato la collega dietro a dirmi che lei, non ha potuto studiare nella vita e che è orgogliosa dei suoi errori. In altre occasioni sarei sprofondato. Questa volta no. Non ho riso di lei, ho riso di uno strafalcione. Come molti ridono delle mie cazzate allo sportello. Morale della favola: farsi gli affari propri è un’arte. Pochi l’hanno coltivata. Io, mantengo alto il mio livello, sebbene ci sia un ambiente che a tutti i costi, cerca di trascinarmi verso il basso. Continuo a pensare che non sono poi così arcaico. Mi proteggo da solo, ci credo, mi convinco. Non può essere tutto così squallido.
 
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