venerdì 19 agosto 2011

E’ un bel dilemma

C
osa significa fare il doppio gioco? Avere una doppia faccia? Dirti belle cose davanti e poi tirare merda non appena ti giri? Avere una finalità bieca in ogni cosa che fai a discapito degli altri? Insomma si, è chiaro cosa significhi essere un doppiogiochista. Non si può pensare che in ogni ambiente in cui tu sei costretto a convivere con qualcuno non esistano voci su di te. Normale, scontato. Altrettanto normale è che tu poi sia oggetto di valutazioni più o meno superficiali che finiscono per fare il giro delle sette chiese. A quel punto tu sei quello. Qualcuno, non tutti, sarà pronto sempre a difenderti o a credere a quel poco che ha conosciuto di te. Altri invece cominceranno a vederti in quell’ottica e per te sarà la fine. Provo a capire, scrivendolo, quanto di mio c’è nelle voci che si formano sul mio conto. Qualcosa c’è. Sono mica un puro, nemmeno un angelo senza peccato. Il mio difetto più grande? Parlo. Parlo troppo. Il mio prof di Italiano si raccomandava sempre di non essere troppo prolisso perché più si scrive più sono alte le probabilità di incorrere in errori di forma. Nel parlare il rischio che si corre è diverso. Inevitabile la voce su questo o quello, il giudizio del momento, magari pure l’antipatia manifestata apertamente in tono confidenziale. Più si parla però più si corre il rischio che quanto detto venga riportato e riadattato alle esigenze di chi ti vuole danneggiare. A questo punto occorre piazzare una strategia. Ho perfettamente individuato quelli/e che sono assolutamente da evitare per quanto concerne il dialogo in chiave più personale. Via, stop. Ho altresì puntato contro quelli che da me avranno meno possibile soddisfazione: qualcuno ad esempio cerca in modo chiaro di cavarti male parole su Tizio o Caio. Devo fermare questa linguaccia. E’ biforcuta a volte, non risparmia chi lo merita ma è il modo con cui la uso che è sbagliato. O meglio, inopportuno. Se devo dire qualcosa trac, subito al diretto interessato no? Nessun giro largo, magari anche senza cattiveria. Perché comunque le parole fanno dei giri immensi. Può, uno che spesso si sente un coglione sul lavoro, passare per doppiogiochista? Ditemi voi, sono compatibili entrambe le cose? Prendo un abbaglio io nel sentirmi così, o loro nel definirmi un voltagabbana? Non ho paura ad ammettere di essere uno coglione, e preferisco sentirmi tale piuttosto che passare per un bastardo. Nel senso che la prima mi viene naturale. Ora penso, sono sulla strada per diventarla davvero, una merda. E se mi ci metto…
 
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