Caro amico Claudio, mi hai offerto su di un piatto d’argento un assist cui non posso proprio rinunciare. Parlare di una generazione come la nostra, mi rende innanzitutto orgoglioso. Noi, ragazzi degli anni 80, abbiamo molto da dire e da raccontare ricordando alcuni aspetti della nostra adolescenza. I mitici “eighties” sono a mio parere l’icona, lo stereotipo di un modello di vita, direi, essenziale. Potrei sicuramente nella mia valutazione, essere condizionato da un inevitabile raffronto con il modello attuale, ipertecnologico, avvenieristico , proiettato, verso un graduale annullamento dell’umano a favore della macchina e del virtuale. E sicuramente, essenziale è un aggettivo che risente di questo paragone. Provo dunque a fermare il tempo, ad immaginare che non siano passati quasi trent’anni e faccio un viaggio immaginario nella mia adolescenza. L’essenzialità la riscopro innanzitutto in quelli che sono appunto, i rapporti umani. La comunicazione, aveva ben poche alternative per svilupparsi, e noi sappiamo bene quali fossero. Il rapporto “de visu” non poteva essere evitato, tutto ruotava intorno ai gesti, alle semplici parole, magari scritte su un foglio di carta da lettera, o lasciate ( e parlo per me ) su bigliettini nascosti sotto il banco di scuola. Sappiamo quanto sia repentinamente mutato il modo di relazionarsi, e quanto si sia perso in termini di realtà e concretezza. Siamo stati fortunati a poter “vivere” l’altro, a non avere avuto la possibilità di scegliere se scrivergli un sms, se lasciargli un messaggio su Facebook e via dicendo. Siamo stati unici e irripetibili. Rimango sempre legato ad immagini della quotidianità, ai nostri giochi improvvisati, al senso di solidarietà del gruppo, all’estrema semplicità dei gesti. Con il senno di poi a noi, teoricamente mancava tutto. Eppure avevamo ogni genere di strumento a disposizione in grado di renderci felici: una bici che diventava un motorino applicando un bel cartoncino tra i raggi, le partite a Risiko, le interminabili sfide a ping-pong al bar della piazza, le feste del Sabato pomeriggio con lo stereo e le musicassette, fare l’elenco di chi veniva al campetto per la sfida a pallone. La scuola: ricordo la mia maestra “unica”, non era una delle tante, era la maestra Giuseppina e basta. Ricordo quando proprio a scuola, la più grande trasgressione fu per noi “grandi” di 4a, inviare a “primini” una cartolina con il particolare ( immaginate quale ) del David. Fummo spediti dal preside con il rischio di fregarci la maturità. Ma io la rivoglio quella stupidità, rivoglio probabilmente la mia ingenuità di adolescente. Non sono cambiato solo io, è cambiata la sceneggiatura che, oggi, chiede di più, quasi pretende di più. Il mio articolo è diventato una sorta di “Noi che” in stile Carlo Conti, ma, quando parlo della mia generazione so che a tutti coloro che vi appartengono vengono in mente le stesse cose. Siamo nostalgici. Per quel che avevamo e per quel che abbiamo dato, siamo una generazione di fenomeni.
Gli anni '80 li ricordo anche crudeli, forse perchè vissuti in una scuola settaria come il liceo classico: era una società aggressiva che proponeva come modello gli yuppies e le donne palestrate, la musica invece era bellissima. Molte promesse di quegli anni non si sono realizzate, per fortuna.
RispondiEliminaCiao Sara e grazie per il commento. Ogni fase, decennio, epoca, presenta luci ed ombre. Io mi sono soffermato sull'aspetto che ho maggiormente percepito. Probabilmente il fatto di non aver seguito i modelli negativi che quel periodo proponeva mi ha aiutato molto a valorizzare gli anni 80.. Un salutone..
RispondiEliminaGrazie Enzo. Grazie di aver accettato il mio invito a scrivere di questo argomento. Ogni generazione ha le sue unicità, ma la nostra credo ne abbia una fondamentale: essere stata da spartiacque tra il mondo in bianco e nero (ad esempio la televisione, Carosello, ecc.) e un'Italia ancora non "da bere" ma vicina ad asserlo, magari non per noi ma per chi ci stava vicino. Abbiamo vissuto una dimensione di rilancio e - forse - la più grande illusione collettiva dopo il boom anni Sessanta con quel pizzico di panorama in più. Chi è nato dieci anni prima o dieci anni dopo di noi non è potuto cresciuto a cavallo di una transizione così epocale. E, per questioni anagrafiche, non ha potuto "assorbire" sensazioni rivoluzionarie simili alle nostre. Almeno questo è parzialmente consolante di fronte al rapido trascorrere del tempo, no?
RispondiEliminaUn abbraccio.
Claudio
Grazie a te Claudio per l'input. Mi sono soffermato in particolare sull'aspetto dei valori, della quotidianità, del piccolo mondo di noi ragazzini-adolescenti. E tu, hai ben centrato quello che invece era lo sfondo, lo scenario in cui noi ci stavamo muovendo.Una sceneggiatura in continuo movimento. Grazie e un abbraccio a te.
RispondiEliminaEnzo