venerdì 26 aprile 2013

Un amico fidato

S

pesso scrivere diventa la soluzione ad un possibile momento di tristezza. Sei bello stravaccato sul letto, pensi a quello che hai fatto oggi, a quello che dovrai fare domani, ben sapendo che non si tratta di cose essenziali, ma di semplice routine. Poi la mente vola a certe voci dimesse, al mio goffo tentativo di confortarle, al mio stesso momento di cronica difficoltà. Mi alzo di scatto, avvicino il portatile alle gambe incrociate e scrivo. Scrivo le stesse cose di ieri, anticipo quelle che scriverò domani, tra un mese, tra un anno. Anche ripetere e ripetersi è un modo per vincere un momento di tristezza. Chi non ha amici ma ha un tremendo desiderio di parlare, scrive. Non ne posso più di questo grigio ma non sono l’unico. Come sapete sono caos nel caos, ma soprattutto sono grigio nel grigio. Il tempo è triste come me, il mondo è nel casino come il mio universo interiore. E’ di nuovo qui, il mal comune mezzo gaudio. Maledetto mal comune. Tanti giorni a casa, spesso mi pento di prendere giorni di ferie;riesco a giustificarmi con la solita storia del riposo, dei tempi finalmente lenti, dell’opportunità di qualche gita per cambiare aria. Puntualmente non è così ma, tra le tante cose ho fatto l’abitudine anche a questo. E’ tutto tranquillo, tutto preso con le dovute cautele, non ci sono momenti urlati e nemmeno meschini tentativi di togliersi di mezzo dal mondo virtuale. Sono qui, scrivo, sto bene, e non sento soprattutto il bisogno di pretendere che qualcuno lo sappia, O mio Dio, adesso che ci penso devo dire che mi sto davvero disabituando a rendermi pubblico, fatta eccezione per questo diario. E allora qual è questo momento di tristezza dal quale sto scappando ora, mentre butto giù due righe? E’ quello che ti afferra e ti porta le farfalle allo stomaco quando d’improvviso pensi al tempo che scorre via. Mi tocca ripeterlo: ho smesso di preoccuparmi del lavoro che l’età fa su di me. Ma sono seriamente preoccupato di quello che può fare e sta facendo sugli altri, sulle persone a me più vicine. Ho sentito troppo parlare di morte in questi tempi, vorrei uscire da questo pantano fatto di incubi notturni e pensieri bui. Ancora una volta, e senza volerlo, indosso una maschera. Appaio anche piuttosto tranquillo ma penso di tutto. Si dirà che ho bisogno di svago, di parlare, di uscire. Cazzo, non ne ho l’opportunità. Non riesco a far capire che ognuno pensa a sé, e che bisogna avere due palle così per uscire dal tunnel. Forse ho raggiunto le trentacinque righe. Ora mi rimetto stravaccato sul letto e attendo il sonno. Il momento di tristezza è passato. Grazie blog.

 
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