giovedì 4 aprile 2013

Mano nella mano

L

’inverno sembra non finire mai. La mia vita gli aderisce perfettamente nei tempi lenti, nel cielo opprimente, nella monocromia. Ho l’impressione di essermi appoggiato su questo letto piatto e di aver trovato un luogo confortevole. Non desidero ardentemente l’arrivo della luce, ed è un brutto segno; forse perché sono certo del fatto che non sarà poi l’arrivo della primavera a svegliarmi dal torpore. Mi viene da ridere se penso a quanto io possa essere contagioso: sono diventato pigro, svogliato, sonnolento, quasi contento di questa monotonia. E ho trasmesso la mia astenia persino al tempo, anche lui si sta addormentando su se stesso e non ne vuol sapere di svegliarsi. Ci prendiamo per mano, io e l’inverno. L’ho amato, il mio lavoro. L’ho pure odiato, come oggi. Poi mi chiedo perché io debba provare sentimenti per qualcosa che non ha né cuore né anima. Chissà, non mi so rispondere, anche questo è un brutto segno. Ci ho provato ad alzare un muro tra vita e giornate stressanti, facendo credere a me stesso di essere un uomo normale come tutti gli altri. Un uomo libero, senza condizionamenti e vincoli, potenzialmente in grado di vivere una vita a buoni livelli in termini economici e di soddisfazione personale. Sono giunto alla triste conclusione per cui sarò anche normale (ma su questo non ci giurerei) ma una vita non ce l’ho. Sento le macchine che passano sull’asfalto bagnato, sento le chiacchiere di mio padre e di mia madre. Sento che la cena è quasi pronta, e questo calore domestico dovrebbe solo farmi piacere. Anche questa è vita. In fondo siamo in pieno inverno e nulla è meglio di questo tepore che arriva dal termosifone e da quelle voci là, nel soggiorno. Sono confuso, scrivo per scrivere, per provare a dare senso agli spicchi di tempo utile. Poi magari se questo articolo non mi piace, eviterò di pubblicarlo. Da studente mi si rimproverava di non avere il dono della sintesi, ora invece mi sono imposto di sciorinare qualche concetto comprensibile in non più di trentacinque righe. Ma voglio ribadire che proprio su queste righe io tocco nel vivo la libertà, qualunque cosa io scriva o pensi. Nella mia contraddittorietà, ipocrisia e falsa modestia ritrovo sempre me stesso. Oggi ho odiato il mio lavoro, e odio me stesso per aver preso per mano l’inverno ed avere tradito la mia passione per la luce, per i colori. Oppure è solo la fine di una giornata cui solo un pigiama di flanella, quelle voci, ed il termosifone danno una ragione di essere.

 
peynet21


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