mercoledì 3 aprile 2013

Soffi di parole

N

ulla di ciò che accade nella vita sfugge alla retorica. Questa è una delle ragioni per cui, sin dal giorno in cui ho aperto al pubblico questo diario, ho deciso di parlare di me. Ma quale egocentrismo, quale vittimismo, quale mania di protagonismo. Ho preso due piccioni con una fava: da un lato ho scoperto di trovare la mia personale valvola di sfogo, dall’altro ho ben compreso uno dei miei tanti limiti: se parlo di temi ai più conosciuti finisco con l’essere più scontato di un bambino. Così, quando ieri ho saputo che un amico virtuale era morto a 40 anni da qualche mese (e solo adesso ne avevo notizia), mi sono imbambolato davanti allo schermo. Ho ingoiato la saliva per molte volte, ho ripassato le sue foto, ho riletto il suo ultimo messaggio, ho persino provato a confortare la sua ragazza. In inglese, pensate un po’. E oggi, ho pensato solo a questo, complice quella maledetta luce del mattino che invogliava a guardare dal finestrino. Ho deciso di lasciare tutto ciò che di retorico e scontato segue alla morte, nel cesto delle emozioni private, privatissime. Le parole non servono se non quelle che senti di confidare ad un amico vero. Nulla di scritto dunque, anche se, mi sto accorgendo di farlo ora, in questo momento. Oggi ero dove non ero. Non è una novità. Ben sapete che l’attrezzatura completa di maschere consente di affrontare ogni evenienza, e dunque, ho superato l’esame. Ho sentito parlare molto in questi giorni, di vite che finiscono. Quasi a volermi ricordare che le preoccupazioni sono sempre assolutamente relative; ma, come già dissi tempo fa, far sentire la propria voce, anche per cose che posso apparire senza senso è un inequivocabile segno di lotta. Possiamo mica pensare tutti i giorni alla morte no? Dobbiamo pensare e gioire alla vita! Beh, adesso non esageriamo; diciamo piuttosto che in alcuni casi, cercare di trovare soluzioni per sopravvivere è pur sempre una forma di vita. Dopo aver riempito di fango il catino del mondo virtuale suonerà come l’ennesima contraddizione: ieri ho trattenuto le lacrime a stento. Non mi vergogno a dirlo, perché la mia scorza è solo apparentemente dura. Mi sono solo soffermato su questa riflessione: a volte sentiamo il bisogno di abbracciare tante persone, di essere abbracciati. E’ un desiderio spesso frustrato. La distanza, il tempo, chissà. Maledetti entrambi. Poi, un soffio e via. Parole non dette, mai dette, sensi di colpa a gogò. Ma forse accade anche nella vita reale. Non avremo mai tempo per essere uomini veri.

 
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