mercoledì 9 gennaio 2013

Verità mozzata

C

’è una strana ma meravigliosa empatia tra questi fogli ed il sottoscritto. Loro cercano me, io cerco loro come due amici che sanno di poter incontrarsi sempre e sempre viaggiare in sintonia. Gli unici pezzi di un gigantesco puzzle che si incastrano. C’è bisogno di aderenza alla realtà, la si deve guardare in faccia per poterne capire l’enorme malessere che la pervade e sentirsi di conseguenza estranei ad essa. L’alienazione è tutta qui; non è dunque una condizione imposta ma nemmeno una scelta. Si diventa alieni nella misura in cui si scende nella profondità della vita. Sto scendendo molto giù negli ultimi tempi, sto scavando senza mai perdere il contatto con me stesso, resto molto lucido e razionale. Ho bisogno di non fermarmi a pensare a determinate cose per poter rimanere impassibile a ciò che fa parte del mio quotidiano e che non mi piace; ho bisogno di non reagire emotivamente ai condizionamenti esterni per non perdere il mio equilibrio. Devo fare la macchina. Devo, porca miseria. Mi chiedo cosa mi costi lasciarmi volere bene. Nulla ed infatti mi sforzo di non allontanare nessuno, di far si che i sentimenti altrui non vengano in alcun modo frustrati. Da parte mia però, come ho detto, non posso restituire altrettanta convinzione, altrettanto coinvolgimento. Vedete, stamattina mentre mi dirigevo al lavoro pensavo all’incipit di questo post, avevo un’idea di cosa scrivere ed ero convinto di voler trasmettere un certo messaggio. In quel momento desideravo solo una segretaria che prendesse appunti di tutto ciò che mi stesse passando per il cranio. Per quanto ambisca a scrivere “in tempo reale” non sempre ottengo l’obiettivo sperato. Sono le 17. 30, seduto all’interno di una carrozza rumorosissima, il mio portatile sulle gambe e cerco di mettere insieme quello che resta del pensiero originario. Mi strugge sapere che qualcuno sta male per la mia incapacità di comunicare emotivamente, davvero. Mi esalto all’idea di rendere certe semplici comunicazioni virtuali possibili incontri. In fondo è di questo che ho bisogno. Ma tra la mia potenziale felicità e la comunicazione virtuale vi è sempre una voragine ed il filo che unisce i due punti è sottilissimo. Tutto questo, alla luce della mia nuova vita da due anni a questa parte ha qualcosa di incredibilmente assurdo. Avrei immaginato un mondo nel quale Enzo si sarebbe preso una bella rivincita. Ed invece mi ritrovo a tirare pugni nell’aria e al solito scopo di sopravvivere. Se vivere significa se non essere felici quanto meno partecipare, io il mio contributo lo do. A modo mio. Pensieri scoordinati all’interno di un vagone rumoroso. Più di questo non posso fare.

 
maschera

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