mercoledì 23 gennaio 2013

Uno, nessuno e centomila

E

poi io sarei contraddittorio. Non mi sono mai nascosto dietro un dito, qui lo dico e lo ribadisco: sono il re della contraddizione. Pensandoci bene però, affermare una cosa per poi subito negarla, attirare l’attenzione salvo poi scappare sono sintomatologie tipiche di chi vive un disagio esistenziale. L’apparire al meno un po’ strano agli occhi degli altri, ci sta. Si è in eterna contraddizione con il mondo ma prima ancora con se stessi. Le parole scritte, gli appelli nelle grandi piazze virtuali, i messaggi subliminali rappresentano estremi ( quanto banali ) tentativi per entrare in sintonia con l’umano. Quando il raggiungimento della pace interiore assume le dimensioni di una montagna ( e tu ti senti un topolino ) si cerca di salvare il salvabile. Niente da fare. E allora, viva la realtà, viva le pacche sulle spalle, viva gli sguardi, la gestualità, i toni mai fraintesi. Per mitigare il tormento dell’anima puntiamo sulla genuinità, su ciò che è tangibile. Macché. Negli ultimi tempi stanno paurosamente perdendo quota le mie teorie sul ruolo essenziale della relazione “de visu”, sul bisogno impellente di non perdere contatto con occhi, bocche, mani. E che dire quando, pur ostentando una splendida, finta normalità persino il tuo tono di voce viene mostruosamente frainteso? Mi rivolgo ad un cameriere chiedendogli gentilmente di servirmi e mi viene fatto notare di averlo fatto con tono seccato; provo ad istruire qualcuno sul lavoro e mi prendo dell’arrogante professorino. E a quel punto ti chiedi se sia poi tutta questa perdita di tempo scavarti dentro, puntare l’obiettivo oltre l’umanamente visibile, farti male nell’ostinato tentativo di capirci qualcosa. Ma no che non lo è. Sono integralista, qualunquista, generalizzare è il mio peggior difetto. La visione obiettiva delle cose è ben altro lavoro. Ma Dio mio, è disarmante soffermarsi pensando a quante e quali immagini di noi stessi diamo, nostro malgrado, in pasto a chi ci circonda. E allora? A cosa servono le maschere? Essere se stessi è comunque una fregatura. Allarmante, divertente, triste, illogico forse umano. Siamo ciò che crediamo ma se non sappiamo cosa siamo per gli altri ben venga darsi da fare per capire cosa siamo per noi stessi. Sorrido con la convinzione che sto facendo bene. Dai Enzo. Fermando il tempo, lasciando scorrere la penna sulla carta, trovo le risposte, scopro il senso. Cosa sono per me stesso? Questa è la strada. Ciò che sono per gli altri è tutto e niente; è così facile la vita, così magnificamente costruita ad arte, basta recitarla. Così diverso e incredibilmente sopraffino è, viversi.

 
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1 commento:

  1. credimi Enzo, quello che noi siamo per gli altri è NULLA, l'importante è essere per se stessi. Del giudizio degli altri poco importa se tu sei sereno con te stesso, il più delle volte il giudizio altrui è dettato dal loro stato d'animo, dall'invidia, dalla cattiveria...nessuno, credimi, nessuno si sofferma un solo istante a chiedersi chi sei. Chiunque tu sia o voglia sembrare non andrà mai bene. L'importante è essere se stessi, nel bene e nel male, solo così avrai la certezza che ti vuole bene, chi ti dimostra affetto e amicizia, lo fa per come sei, senza dubbi o giudizi.Ciao Enzo.

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