martedì 12 marzo 2013

Trentacinque righe

E

’ una malattia, una vera e propria dipendenza patologica. Il controsenso dei controsensi è scrivere quotidianamente di una vita in cui nulla accade. Vorrei perdere la capacità di guardarmi dentro , come già dicevo ieri. Ambisco ad essere bravo a livello descrittivo, per dare vita a questi fogli smorti e raccontare cosa mi accade intorno. Cavoli, sto scrivendo a manetta, praticamente tutte le sere, ben sapendo di non avere niente da raccontare. Ma come riesco? Al momento è l’istinto a portarmi qui. Penso : “Io provo a sedermi, apro il foglio e se mi viene l’incipit, è fatta”. Ammetto che qualche mese fa ero più sensibile a ciò che mi girava attorno, a cominciare dal lavoro. Non ne parlo più tanto, è ormai parte del tutto e del niente. E dire che conduco una vita che, nel bene o nel male, ha un tratto distintivo da fare invidia ad alcuni. Una vita che mi permette di sviluppare le capacità di osservazione, di studio, di analisi. Degli altri, però. Incontro centinaia e centinaia di facce ma poi, parlo solo di me. Ammazza se sono noioso. Ce l’ho fatta ad allontanare tutti o quasi, ora sono davvero solo. Il pensiero ricorrente di questi giorni è proprio questo: ho fatto terra bruciata a furia di ragione. Ne devo andare fiero? Non so se esista un fondo più fondo, se devo raschiare ancora il barile. Mi sento solo corpo. Le settimane sono lunghissime. La mattina gli occhi sono aperti circa mezz’ora prima della sveglia: hanno inizio le danze. Il treno, la metro, e poi la passeggiata finale. Ecco perché non scrivo di ciò che accade intorno, ora l’ho capito! Guardo, non osservo. Voci, gambe, facce,tutto mi scorre davanti mentre fingo di osservare ed in realtà sto già da un’altra parte. Miei cari amici e lettori, capite ora quando dico che a me non è concesso essere sereno? Trentacinque righe ogni sera. Mi viene da ridere. Ora ho bisogno di una rassicurazione: qualcuno, vi prego, mi dica che non serve che io scriva ogni sera trentacinque righe di nulla. Che farei bene ad occupare il mio tempo in altro modo. Che potrei si, pensare. Ma tenere tutto dentro, perché il mondo è quello là fuori e con il mio mondo interiore non ci faccio un cavolo di niente. E’ sera, ecco servite le mie trentacinque righe: cui prodest? Vado a dormire più tranquillo? Macché. Signori e signore, quest’uomo non ce la fa, non ce la può fare perché ha capito che dipende da lui. Mio Dio, domani sarò di nuovo qui.

 
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