sabato 29 gennaio 2011

L’impasto

A
quanto pare tutti possono fare il mestiere del cuoco. In Tv non si vede altro, a qualsiasi ora del giorno. Non solo cuochi, ma anche autori di libri di cucina; chissà poi chi glieli scrive. E così, pure io ho deciso di darmi da fare in tal senso, inventando una ricetta. Siete pronti? Prendete una buona dose di umiltà, aggiungete una sostanziosa porzione di autocritica ed infine ( quella non può mai mancare come il prezzemolo ) la solita manciata di scarsa fiducia nei propri mezzi. Ne otterrete un composto assai malleabile al tatto, decisamente modificabile ed in grado di assumere qualsiasi forma voi vogliate. Attenzione però, quando l’impasto avrà assunto una forma precisa risulterà alquanto difficile dare ad esso forma ed aspetti diversi. Passatelo in forno. La temperatura deve essere piuttosto alta perché esso ha grande capacità di resistenza. Addirittura sembra riesca a sopportare vere e proprie lingue di fuoco, ed ambienti nei quali il livello di calore spesso risulta insopportabile. Povero impasto. Non può certo lamentarsi del fatto di essere stato, prima girato e rigirato tra le mani e poi messo lì, a sopportare in silenzio ciò che nessuno vorrebbe sopportare. In questo periodo mi sento un impasto. Complici gli ingredienti di cui sono composto, penso di essere qualcosa di molto malleabile e piacevole a vedersi ma di contro ho sicuramente un sapore ributtante. Quando cucinate qualcosa e usate gli ingredienti nella giusta dose, pur non essendo cuochi provetti, potrete ottenere ottimi risultati, nell’aspetto e nel gusto. Guai però, al di là della tecnica di manipolazione, sbagliare in modo evidente le quantità. Ne sono la prova provata. Esco da questo tunnel di metafore culinarie altrimenti non mi farò capire. In sostanza: l’umiltà è una grande qualità, in via d’estinzione. Ti regala un aspetto “morbido”, liscio al tatto. Guai al mondo impastare umiltà e autocritica sbagliando il dosaggio. Essere poco indulgenti con sé stessi rende il tutto ancor più bello agli occhi altrui ma genera un meccanismo autodistruttivo che conduce al totale annullamento di sé. Tocca a me, a questo punto, fare in modo che ad un aspetto invitante si accompagni un sapore decente. Come fare? Devo assolutamente fermare questo meccanismo di autodistruzione e cercare di alzare la testa. Un impasto venuto male si può buttare via, non certo un essere umano. Proviamo a modificare le dosi “in corso d’opera”. Ah, dimenticavo, nel caso qualcuno dei miei lettori si riconosca nell’impasto che ho descritto, si accettano consigli. 


4 commenti:

  1. Anch'io ogni tanto mi sento come un pezzo di acciaio deforme da forgiare. E col tempo ho cercato di prendere a mazzate certi angoli troppo acuti del mio carattere per smussarli un po'. L'ho fatto soprattutto con la timidezza e l'orgoglio, quello inutile, tossico e dannoso (non ho ancora capito se ce ne sia anche uno buono).
    Per quanto riguarda te credo che nell'umiltà e nell'autocritica non ci sia nulla di male, anzi. Forse dovresti lavorare sul terzo degli ingredienti di cui parlavi: la scarsità di fiducia nei tuoi mezzi.
    In bocca al lupo!

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  2. Ciao Fabio. Fatico a tenere alto lo sguardo a fronte di un complimento. Segno evidente di quanto io ne sia poco convinto. Hai ragione, ci devo lavorare, e molto.
    Grazie!

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  3. Mi sento di concordare con Fabio, devi credere nei tuoi mezzi. E' questo forse il segreto per una vita serena, quindi impasta aggiungendo questo ingrediente.

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  4. Paolo, continuo ad impastare, questo è sicuro! Ciao...

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