lunedì 29 ottobre 2012

La sentenza

S

ono sereno, e non è cosa da poco, soprattutto alla luce del disastroso weekend appena trascorso. Sono anche fermamente convinto del fatto che ( purtroppo ) il tempo mi darà ragione. Ho sempre sostenuto che la qualità rappresenti un requisito indispensabile per un rapporto stabile e credibile. Ho altresì più volte affermato che, laddove la distanza (unita alla –inevitabile- non presenza ) costituisca tratto essenziale, il tempo è il banco, noi semplici giocatori. Credo sia del tutto inutile affannarsi o gettare l’anima oltre l’ostacolo per convincere noi e gli altri che tutto andrà come vorremmo. Non ritengo di sostenere questa tesi. E contrariamente a quanto si possa pensare, a dar manforte al mio pensiero non è l’esperienza; e dire che avrei molto di più dei tre semplici indizi che formano la prova. A sostenere il mio pensiero è la ragione. Vi sembra un delitto? Torna di moda il cervello, torna spesso nei miei ultimi scritti. Non posso fare a meno di parlarne in un periodo nel quale il cuore si è completamente seccato e le fonti da cui attingere l’acqua ridotte all’osso. Mi preme davvero ricordare che ho un grande rispetto per coloro che provano ancora sentimenti, che credono in una vita migliore, che provano a trasmettere la loro forza d’animo al prossimo. Li rispetto e forse li invidio anche un po’. Premesso questo non posso non guardarmi indietro e guardare al domani e prendere le inevitabili precauzioni. Mi capita dunque che giunto al famoso antipasto, io finisca con il congedare i miei ospiti. Un fare maleducato, che sa di presa per i fondelli. Come faccio a far capire che non è così? Come faccio a spiegare loro che non è tutta opera mia? Beh, non è facile perché è come se io in casa nascondessi qualcosa che loro non possono vedere. Quel qualcosa è la mia vita. Tocca ripetermi: quando lo schermo si spegne, io ritorno ad essere solo. Come faccio a spiegare, come faccio a far capire che non c’è niente di voluto nel mio modo di agire? Quale animo sensibile potrebbe capire cosa sento, calandosi completamente nei miei panni? Ho esaurito gli argomenti. Ho cercato, provato, strenuamente tentato di farlo capire. Mi manca una presenza. Mi manca la pacca sulle spalle, mi manca un bicchiere di vino, mi manca uno sguardo. Mi manca la certezza che il tempo non farà il suo gioco. E se sarò di nuovo qui a dare ragione a lui, il tempo, non voglio più sentirmi dire che sono un razionale egoista che pensa sempre a se stesso. E allora a Lui, l’ardua sentenza.

 
sentenza1
 



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