mercoledì 12 dicembre 2012

Bei tempi andati

C

redo che chiunque di noi sia dotato di buona capacità introspettiva unita ad una sana curiosità, non abbia un grande bisogno di amici. Sarebbe sufficiente porsi qualche domanda in più su noi stessi, darsi le risposte ed il gioco è fatto. Riusciremmo a conoscerci a tal punto da non doverci più nemmeno confrontare. E allora sarebbe un mondo pieno di psicologi da strapazzo senza un briciolo di relazione sociale. Oggi si parlava di amicizie virtuali e lo si faceva piacevolmente con amici ( colleghi ) reali. E’ incredibile come nei luoghi e nei momenti più impensati si trovi modo di disquisire di quegli argomenti su cui io non smetterei mai di parlare. E si ricordavano alcuni bei tempi andati, ad esempio quelli della comunicazione epistolare. In modo particolare si è parlato di come la lettera avesse il merito ed il compito di lasciare impresso in chi la riceveva tutto quel contenuto emotivo che solo la carta e la penna avevano il merito di trasmettere. E parlando dei tempi andati si è ricordato di come i tempi lunghi ( quelli dell’attesa ) regalassero un’emozione che al giorno d’oggi, nessun super mezzo tecnologico può permettersi. Discorsi. Ma nel farli c’è già un senso e un fascino assai rari ai tempi di Enzo blogger. C’è quel pathos e quell’armonia così dimenticati, così tremendamente abbattuti dall’avvento degli schermi. Una delle più grandi difficoltà che vado incontrando (nel tentativo di dare sostanza alle amicizie virtuali) è quella di non riuscire a comunicare con gli occhi. Ognuno di noi è unico proprio perché ha il suo personalissimo strumento rivelatore delle emozioni: gli occhi appunto, oppur la voce, la gestualità. Mi capita ( e rido di me solo pensandolo ) di trovarmi a chiacchierare virtualmente; ho dita molto grandi e provare a farlo sul touch-screen di un cellulare è già di per sé un’impresa. Cosa succede secondo voi quando, nel bel mezzo di una chiacchierata, magari anche emotivamente carica, tu vorresti lanciare un’occhiata di sfida, oppure dire qualcosa sapendo che solo con lo sguardo oppure con il tono della voce l’altro/a capirebbe??? Ecco, in quei momenti mi sento impotente, in balia di qualcosa che non ha capo né coda, non ha colore, sapore, forma. Chissà se mi sono spiegato, se ho reso una minima idea di ciò che vorrei far capire. Discorsi. E chissà se utilizzando un foglio virtuale io riesco ancora a trasmettere qualcosa. Lo spero. Perché lo sento.
 

 
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4 commenti:

  1. Ciao Enzo, mi piace la nuova foto!
    Credo che il lavoro indebolisca non poco la nostra vita sociale, quindi forse almeno nel tempo libero, bisognerebbe provare a porre rimedio, Ce la facciamo?

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    1. Cara Sara, hai perfettamente ragione. Ci provo, ma spesso arrivo alla fine della settimana totalmente abbattuto. Che sia solo il letargo invernale? Un abbraccio e grazie di essere passata.

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  2. Ciao Enzo, quando leggi un libro non conosci personalmente l'autore, eppure quante emozioni trasmette...ed è la stessa cosa per chi legge il tuo blog. Forse non sempre (se non ti conoscono di persona) capiscono la vera emozione che tu trasmetti, ma credimi, i tuoi post trasmettono sempre un suono, a volte dolce, a volte arrabbiato, a volte deluso....Il guaio del virtuale è esattamente come per chi legge un libro, l'autore non saprà mai che cosa ha trasmesso agli altri, è una strada a senso unico. Buona serata.

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    1. Eh si Laila, in fondo il bello della scrittura è proprio questo. Scrivere, ma per se stessi. Poi, se riesci a comunicare qualcosa è una grande soddisfazione. E per me, buttare giù i pensieri è essere completamente me stesso.Cosa difficile nella vita di tutti i giorni!!!

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