i vede che sono emotivamente “carico”. Ieri, leggendo le ultime pagine di un libro nel quale mi sono fortemente immedesimato, mi sono commosso. Fortuna che avevo su i miei fanali da sole, gli occhi mi avrebbero tradito e, probabilmente anche la voce. In questi periodo riconosco e accolgo tutte le mie debolezze perché non sempre la fragilità umana porta con sé scompensi e negatività. Mi accorgo ad esempio di essere particolarmente stimolato ad argomentare, mi sento ispirato, potrei persino scrivere un libro di poesie. E’ il lato magico dell’empatia portata agli eccessi. Ieri, dicevo, ho imboccato il primo treno per il mare, subito atterrito dall’orda umana che prendeva posto in ogni dove sul vecchio regionale a due piani. Non stai andando a lavorare Enzo dai, non cominciare a lamentarti altrimenti ti rovini il viaggio. Ho impiegato una decina di minuti nell’intento di farmi entrare questo concetto in testa poi, zaino a terra, ho tirato fuori il mio libro. Le pagine, solo le pagine. Non ho distolto lo sguardo fino a che un signore attempato con bagaglio da emigrante primi del Novecento, si è reso conto che era il caso di alzarsi. Avrebbe infatti dovuto scavalcare ammassi di ciccia, trolley e persino qualche tavola da surf per poter raggiungere la tanto agognata uscita. Scatto felino, ho affondato il colpo finale e mi sono seduto; dopo quarantacinque minuti in posizione semi eretta, persino quei maledetti sedili blu sembravano poltrone di Roche Bobois. Insomma, fino al momento di quelle ultime pagine di quel libro che tanto mi ha provato. Si dirà che non è il libro, che non è ciò che ci circonda a provocare in noi reazioni tanto esagerate ma siamo proprio noi ad avere una certa predisposizione. Ricordo perfettamente quei periodi della mia vita in cui, il mattone esistenziale batteva cassa: non mi era concesso di nasconderlo più di tanto, non era propenso a farmi credito per troppo tempo. Ad un certo punto risaliva, ed io dovevo pagare il prezzo. Torna su, il mattone, poi lo spingo giù. Ora che è arrivato fino alla gola, strozzandomi in una presa da lottatore, pago il mio dazio. E come dicevo non si tratta solo di difese azzerate, di fragilità emotiva degna di un neonato. Voglio parlare di una sensibilità acuita che si manifesta in ciò che scrivo, in ciò che leggo, in ciò che vedo. Mettete ad esempio, il mare. Ieri, al ritorno dal mio viaggio mi è balenata questa frase “ Il mare lava l’anima, strizza i pensieri bui e asciuga gli occhi del pianto. Il mare, è un elettrodomestico magico”. Se non vivessi di emozioni, non riuscirei ad inventarmi simili sciocchezze.
domenica 29 luglio 2012
venerdì 27 luglio 2012
Rebus sic stantibus
ggi mi sento interiormente devastato, tanto da montare il desiderio di ritornare al lavoro. Potrebbe sembrare la solita reazione istintiva che si manifesta al raggiungimento del picco di non-vita. Ma mi ero avvisato da solo e mi ero raccomandato che, non avrei fatto piagnistei. Parlo in riferimento alle due settimane consecutive di ferie che ho spinto per avere, ben sapendo che probabilmente non mi sarebbero servite affatto. Ritorno a pensare in maniera sempre più convinta di non aver bisogno di ciò che non ho, bensì di mantenere stabile, statica ed immobile la mia situazione. Oggi mi monta il magone allo stomaco. Ci si è messa pure la palestra, con i suoi orari strambi, con i venti di chiusura definitiva. Fa caldo, molto caldo e ho rinunciato ad andare in piscina: stare molto tempo al sole, stanca, sfianca, mi rende pure nervoso. E io dunque a chiedermi chi me lo fa fare, perché lo faccio, a quale scopo. Mi manca la sostanza di amicizie concrete, mi mancano sguardi, pacche, risate vere che non si limitino ad un “ahahah” oppure ad un’emoticon. La solita litania, ripetitiva, melensa, ma che ci volete fare, ho più tempo per stare sul blog e se vado a riempirlo tutti i giorni, questi sono sempre i contenuti. Dunque vorrei così tanto tornare al lavoro? Ma no che non voglio, ma sarebbe l’unico modo utile per non pensare a nulla. Delle due l’una: se lavoro mi cruccio di quanto sono deficiente, responsabile, impegnato, e ci sto male. Se sto a casa, faccio un tuffo nel vuoto esistenziale che mi porto dietro e, inevitabilmente crollo. Ricordo dunque, perché spesso i ricordi aiutano a calarti meglio nella parte del presente. Ricordo la grinta, la costanza, la voglia di riempire i giorni che caratterizzava questo stesso periodo dell’anno nel 2011. Cosa mi spingeva a farlo? Cosa mi aveva tanto stimolato da mettermi in prima linea spingendo in basso il mattone esistenziale? Io lo ricordo bene. E quell’evento fu di tanta e tale portata da rendere assolutamente veritiero il detto “di necessità, virtu’”. Ma io sono scontante, troppo umorale e faccio presto a dimenticare. Non riesco a mantenere salda la presa su tutto ciò che può dare insegnamento, che può valere da monito. Siano esse situazioni, parole, persone. Sarebbe il caso di congelare questo ben di Dio che di tanto in tanto arriva. Le mie riflessioni hanno sempre valore “rebus sic stantibus”, vivere alla giornata non evidenzia miglioramenti o peggioramenti ma semplicemente le piccole, insignificanti reazioni dell’animo. Il mio blog è questo. Perdonatemi.
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giovedì 26 luglio 2012
Il soprammobile
e non vedo una persona da molto tempo e mi capita di ritrovarla, noto immediatamente il lavoro del tempo sul suo viso. Se invece la vedo tutti i giorni, non mi accorgo che invecchia. Penso che abbiate notato anche voi questa cosa. Allora mi sono chiesto: da quanto tempo io non vedo me stesso? Se lo facessi, come mi scoprirei? Invecchiato, diverso? Non parlo naturalmente dell’aspetto fisico, ma di quello interiore. Se proprio volessi scoprire l’arcano, mi basterebbe guardarmi allo specchio, fissandomi negli occhi. Non mi è mai successo di farlo con tanta intensità come ieri. Ho fatto le ore piccole, ma non immaginatemi immobile davanti allo specchio del bagno. Il mio specchio virtuale spesso è nelle persone che incontro, che seppur fugacemente entrano nella mia vita e provano a tirarmi fuori dalla palude. Il confronto di ieri ha prodotto la seguente sentenza: sono diventato una persona che ha paura di essere felice, che non vuole uscire dal pantano. Sono una persona gelosa, invidiosa dell’altrui felicità e che tirata per il braccio in segno di aiuto, è come avesse il sedere cementato al suolo. Non mi guardavo da tanto, e me e sono accorto. Stiamo parlando di un periodo lungo dieci anni, tanto è passato da quando la mia vita ha cominciato a cambiare. Impaurito, diffidente, irriverente, irritante. Questo sono io non appena qualcuno mi dice cosa devo fare per migliorare la mia vita, per uscire dal limbo. Non ci credo e mi tiro indietro. Nessuno può farlo se non qualcuno che viva intensamente sulla sua pelle le mie stesse emozioni, le mie carenze, i miei limiti. Una sorta di mal comune mezzo gaudio. Può una persona che vive una vita di relazione soddisfacente prendersi a cuore la situazione di uno sconosciuto? Può davvero? Non mi fido, o meglio, non voglio che mi si aiuti. Perché prima che mi si dica cosa è meglio per me, ho bisogno di capire cosa voglio io. Voglio che niente cambi? Voglio dare una svolta radicale alla mia esistenza? Non ci vuole molto a far si che tutti resti così: basta rimanere inerte. Non riesco più a tollerare le persone che mi dicono cosa devo fare; precisiamo, quelle che mi conoscono appena, intendo. Una cosa non sopporto di me: la facilità con cui mi apro, sconosciuti compresi. Mi chiedo cosa spinga qualcuno a trovare in me una persona da aiutare. Da rendere felice. Non dite un sentimento di amicizia, perché nel mondo virtuale questo è quasi impossibile. Laila cara, mi ci sono guardato in quello specchio e ci ho visto tanta polvere, tanta inerzia, come un vecchio soprammobile abbandonato. Ora sono questo.
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martedì 24 luglio 2012
Pensione completa
na volta aprivo la porta del mio cuore a cani e porci. Offrivo ai miei ospiti vitto e alloggio con ampia facoltà di scelta sul menù. Qualche volta poi, facevo sconti comitiva, tutto al fine di trattenerli il più possibile, di non farli allontanare da me. Nella maggior parte dei casi i clienti approfittavano delle agevolazioni, mangiavano e se andavano. Una volta mi impegnavo molto, ero ancora persecutore del credo del “chi trova un amico trova un tesoro”. Ma commettevo un errore madornale: pensavo che tutti avessero diritto ad una, due o più possibilità di errore. E prima che li cacciassi io, erano loro ad andarsene. Ai giorni nostri non apro più la porta agli sconosciuti, sono cresciuto e sono diventato un uomo responsabile. Si bussa prima di entrare, io apro e faccio attendere tutti in sala: poi, scelgo. Mi si dirà che questa è la soluzione giusta, che maturando la selezione è quasi naturale. La cosa più strana di me è che ho ridotto ampiamente i tempi di sopportazione. Ho esaurito le scorte, come si dice. Mi spiego meglio e sinteticamente: dopo aver individuato persone di un certo spessore, ne succhio il nettare per un certo periodo, poi chiudo la porta. Cosa succede? Cosa mi sta succedendo? Qualcuno dei miei amici ormai scomparsi leggendo questo articolo troverà probabili risposte a ragionevoli dubbi. Chi entra nella mia vita in questo periodo si accorgerà che ad una fase in cui il rapporto sembra maturare ne segue un’altra di totale assenza emotiva. Insomma, apro la porta, faccio fare colazione e poi, via tutti. Altro che libera scelta dei menù. Vorrei saper gestire il mio cuore, ammesso che ne abbia ancora uno. Chi mi conosce, di primo acchito non fa altro che dispensarmi complimenti sulla mia sensibilità, il mio essere davvero diverso dagli altri. Quando sento tutto ciò, ho un colpo allo stomaco. Mi viene da dire: “state attenti, perché sarà anche vero questo, ma…” Sono sicuro che interpellando un campione di 100 persone che sono entrate nella mia vita negli ultimi anni, il 99 per cento concorderà nel dire che Enzo è proprio uno di quegli “strani”. Io lo dico ora, ogni volta che mi capita di entrare in contatto con qualcuno. Attenzione, apro la porta, faccio assaggiare e lascio spazio all’immaginazione. Chi sono io per agire così? Nessuno. Ma non c’è niente di più meritevole dell’essere onesti. Ed io , modestamente, lo sono. Chi non è d’accordo, commenti.
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lunedì 23 luglio 2012
Nuvole
i mancava Circe. Per la ben nota legge di Murphy, è arrivata in perfetta sincronia con l’inizio ufficiale del mio periodo di ferie ( due settimane –ndr -). Da ieri il cielo è popolato di nuvole dalla forma incredibile quanto bizzarra ed il vento le sposta continuamente di qua e di là costringendomi a variare i piani della giornata alla frequenza di un nanosecondo. Si è rivelato un azzardo annotare sull’agenda del cellulare alcune possibili soluzioni per la gestione delle giornate di riposo. Piazza un viaggetto lì, una pedalata là, un po’ di finto sole da piscina ancora più in là ed il gioco è fatto. Ma figuriamoci. Questa mattina l’ho trascorsa in palestra, con un po’ di tristezza nel cuore. Sarà l’ultima settimana, poi probabilmente chiuderà per sempre. Dopo circa undici anni di frequenza un po’ mi dispiace. Chi ha in mente oppure pregiudizialmente ritiene la palestra come un luogo per montati tutto muscoli privi di cervello, si sbaglia. Non sono tutte così. Stamattina io ed una signora attempata ma straordinariamente gagliarda nei movimenti e nella postura, ci siamo detti che in fondo certi luoghi rimangono nel cuore, anche se apparentemente freddi come una sala macchine. Io poi, in quella palestra ho esordito al culmine di uno dei peggiori momenti della mia vita. Ed è lì che ho cominciato a volermi bene, a volere bene innanzitutto al mio corpo. Ho parlato poco delle mie uscite in bicicletta; non ce n’è quasi traccia sul blog, a differenza dell’anno passato. Attenzione, le emozioni sono le stesse, solo che non le metto nero su bianco. Ma la ragione è quella di cui ho già detto, sono distratto, sfuggente, sempre con la sensazione di vivere sull’orlo del precipizio. Sto ridando un certo assetto al mio stomaco malato di nervoso, dopo le ultime due settimane lavorative a ritmi esagerati. E’ una grande impresa per me il solo azzerare i pensieri legati al lavoro e alle sue dinamiche impazzite. Sono stato al centro dell’attenzione come mai mi sarei immaginato: oggetto di possibili scelte altrui e autore di possibili decisioni catastrofiche. Per uno come me, da sempre incapace di assumere posizioni chiare, di fare scelte e di farle possibilmente per se stesso, si è trattato di una vera prova del fuoco. E mi aspetta probabilmente un Settembre caldo. Ora, spaparanzato sul letto in una giornata d’estate dal cielo bizzarro guardo le nuvole. Anche loro sembrano spezzarsi in tanti piccoli batuffoli quasi a volersi alleggerire il carico. Seguo il loro esempio.
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giovedì 19 luglio 2012
Io sono io e gli altri….
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mercoledì 18 luglio 2012
Mal di pancia
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sabato 14 luglio 2012
Le rocce
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venerdì 6 luglio 2012
E’…carattere
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martedì 3 luglio 2012
“V” di viaggio
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