Ho aperto gli occhi e la sveglia, sintonizzata sull’ora legale segnava le 7.40. Evidentemente scatta qualcosa a livello di organismo ma, una volta sveglio, io nel letto faccio il matto. Ma che avete capito…L’impulso è di alzarsi, via, all’opera. Roba da matti, mi preoccupa questa incapacità a godere del tepore delle coperte mentre fuori piove. Faccio colazione, un po’ di ordine tra le mie cose, accendo la Tv. Vorrei tornare a letto ed invece mi prende l’impulso di scrivere. Dunque, in cosa consiste questo Halloween? Scusate ma sono del tutto ignorante sull’argomento, non sono avvezzo a celebrare feste in maschera, Carnevale compreso. Di questo Halloween non so nulla, suppongo non appartenga in alcun modo alla nostra cultura, alle nostre tradizioni. Un’americanata, giusto? Vedo zucche, gente che si maschera da vampiro, negli States i bimbi vanno in giro per le case e a chi apre loro la porta pronunciano : “Dolcetto o scherzetto?”. Stasera allora si festeggia, ed io ovviamente, rimango sempre una persona informata sui fatti e niente più. Sempre estraneo alla mondanità, del tutto assente laddove imperi il divertimento, l’evasione, la voglia di scherzare e di prendersi alla leggera. Che sia diventato un orso? Macchè, non provate nemmeno a dirmi che sono diventato asociale, pessimista, lamentoso, bacchettone. Ci penso già io. Stamane ho voglia di buttarla, per quanto non sembri, sull’ironia. In un certo senso i fatti dicono questo, trapela un briciolo di invidia verso la generazione di quelli che comunque hanno voglia di partecipare, di condividere, di sorridere. Ed io sempre qui, a riflettere, a teorizzare. Ieri, pensavo andasse peggio ma, evidentemente nel mio profondo più profondo stavo bene e ho goduto di una piacevole serata di evasione. Niente di incredibile, nulla di particolarmente trasgressivo. Incrocio sempre gli stessi occhi, le stesse parole, le stesse espressioni. E mentre sono lì, a tavola, e riempio il tempo ed il silenzio di fondo addentando una fetta di pizza, penso che non è il caso di prendermela poi così tanto. In fondo, la capacità e la voglia di ascoltare, di partecipare, di condividere, di sorridere non mi mancano. Hanno solo bisogno di qualcuno in grado di riceverle, di apprezzarle. Avete capito qualcosa di tutto ciò? Perdonatemi, stamane il foglio virtuale mi si è parato davanti ed io ne approfittato. Non tutte le ciambelle riescono con il buco, stare sotto le coperte no, eh?
domenica 31 ottobre 2010
sabato 30 ottobre 2010
Arrivederci, luce.
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venerdì 29 ottobre 2010
E la mente vola..

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giovedì 28 ottobre 2010
Tanto rumore per nulla?
Probabilmente, anche questa volta, mi ritroverò a dire: “Tanto rumore per nulla”. Coltivare una speranza, forse un’illusione, a volte aiuta. Aiuta a vivere momenti, piccoli attimi di pura serenità. Non riesco ad alzarmi da terra né fisicamente, né con la testa, con l’immaginazione. La paura è sempre tanta, il rischio è grande. E per me, rischiare non è mai facile, troppo il timore di sbattere la testa contro il muro della realtà. Questi giorni, ancora molto caotici e nevrotici, li ho vissuti lasciando un piccolo spazio alla speranza. Non parlo delle illusioni legate a fattori puramente aleatori e casuali bensì a quelle connesse all’impegno concreto, alla dedizione, al merito. So che siamo in Italia e che non esiste mai ( o quasi ) correlazione tra merito e gratificazione; questi nella maggior parte dei casi, viaggiano su binari paralleli. L’impegno di questi ultimi due mesi è stato anche finalizzato, ancora una volta, a mettermi alla prova, a far capire, soprattutto a me stesso che ci sono , che posso dare, che posso ancora farcela. E in questi giorni ho scelto di dedicare anche solo dieci minuti della mia giornata alla pura illusione; giusto il tempo di verificare, di aggiornare una graduatoria immaginando di poter rientrare tra gli “eletti”. Mi sono permesso pure di fantasticare giorno per giorno su tutto quello che mi sarebbe piaciuto fare al solo pensiero di cambiare vita. E ci sono tante cose che vorrei cambiare, tanti progetti che mi piacerebbe portare a termine, c’era e c’è tanta voglia di volare. E’ stato bello. Chi mi conosce sa per certo che non amo fare passi più lunghi delle mie leve, non amo nemmeno provare a dare per certo il fatto che domani mi sveglierò. Ma questa volta sono stato bravo, ho dosato bene cuore e ragione, non mi sono lasciato trasportare da un eccessivo realismo e mi sono goduto attimi di pura e semplice serenità. Qualche minuto fa è stata pubblicata la famosa graduatoria finale. Torna il numero sessantotto, quello del mio anno di nascita. Ora non so quanto potrà valere la mia posizione, probabilmente dovrò attendere, sperare ancora. E l’attesa, la speranza, la delusione sono parte della nostra vita e vanno vissute, a mio parere, utilizzando una buona base di logica, di razionalità. Possiamo sognare tutti, possiamo sperare, nessuno ce lo impedisce. Io, per quel che mi riguarda, ho già concesso molto alla speranza, o meglio, all’illusione. Stare in pace con sé stessi è gia ‘ una grande conquista. Poi, ciò che arriva in più, e per merito, non può che renderci felici.
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domenica 24 ottobre 2010
Tre numeri al lotto
Il vecchio adagio recita: “ Chi di speranza vive, disperato muore”. Non sono autorizzato a sperare perché, nel mio caso, l’illusione, l’aspettativa, sono sempre state foriere di altrettante delusioni. Rimango ancorato a terra ma non posso fare a meno di pensarci. La prossima settimana avrò un quadro più chiaro della situazione, probabilmente Mercoledì saprò se il mio sforzo sarà stato utile oppure no. Devo dire che non mi aiuta il fatto di provare ad aggiornare giornalmente la classifica dei candidati che mano a mano vengono esaminati e dedurne i miei spostamenti all’interno della graduatoria. Non posso rimanerne indifferente, non ci riesco. In questo modo so che mi alleggerisco la botta, attutisco l’impatto con quella che potrebbe essere una cruda realtà. Questo Concorso inizialmente rivelatosi utopistico al solo pensiero di prenderne parte assume ora aspetti e connotazioni più umane. Cosa bisogna mettere in conto: una buona percentuale di predestinati, ovvero coloro che quel posto di lavoro forse già ce l’hanno e la cui posizione aspetta solo di essere “formalizzata”. Poi, il fattore “ex equo”. Che brutta questa cosa; per legge, a parità di punteggio in graduatoria, il più anziano d’età viene scalzato. Senza considerare il valore attribuito ai titoli di servizio che, può raggiungere massimo, 15 punti. Ciò costituisce un gap per chi non hai mai lavorato presso la sede di Torino. Attualmente mi colloco tra il 29° ed il 35° posto della graduatoria. E’ stato esaminato il 60% dei candidati: posso permettermi di perdere non più di 20 posizioni, credo. Che roba. Io, che odio la matematica, le statistiche, i calcoli delle probabilità, mi sono persino creato un bel foglio di Excel dove ho sotto controllo la situazione. Cosa non fa la flebile speranza di un’occupazione a tempo indeterminato eh? E riesco tuttavia a vederla in modo divertente ed ironico. Vorrei provare a giocarmi qualche numero al Lotto, che ne dite? Anzi, li ricaviamo subito così, magari ve lo giocate anche voi. Allora, io direi: 50, che corrisponde al voto dell’esame orale; 6, il numero d’ordine corrispondente al mio turno e 19, il giorno dell’esame. Provo ad esorcizzare tutto dando spazio ai numeri. In verità l’attesa si fa piuttosto pressante, ci sono momenti in cui mi convinco persino di farcela, e comincio a fantasticare. E’ appurato: sto dando i numeri in tutti i sensi. Ho bisogno di riposo. Approfitterò del cielo plumbeo per dare un po’ di respiro ai neuroni. Mi mancherete, ma tornerò presto.
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sabato 23 ottobre 2010
Passeggiata in centro

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venerdì 22 ottobre 2010
Generazione di fenomeni
Caro amico Claudio, mi hai offerto su di un piatto d’argento un assist cui non posso proprio rinunciare. Parlare di una generazione come la nostra, mi rende innanzitutto orgoglioso. Noi, ragazzi degli anni 80, abbiamo molto da dire e da raccontare ricordando alcuni aspetti della nostra adolescenza. I mitici “eighties” sono a mio parere l’icona, lo stereotipo di un modello di vita, direi, essenziale. Potrei sicuramente nella mia valutazione, essere condizionato da un inevitabile raffronto con il modello attuale, ipertecnologico, avvenieristico , proiettato, verso un graduale annullamento dell’umano a favore della macchina e del virtuale. E sicuramente, essenziale è un aggettivo che risente di questo paragone. Provo dunque a fermare il tempo, ad immaginare che non siano passati quasi trent’anni e faccio un viaggio immaginario nella mia adolescenza. L’essenzialità la riscopro innanzitutto in quelli che sono appunto, i rapporti umani. La comunicazione, aveva ben poche alternative per svilupparsi, e noi sappiamo bene quali fossero. Il rapporto “de visu” non poteva essere evitato, tutto ruotava intorno ai gesti, alle semplici parole, magari scritte su un foglio di carta da lettera, o lasciate ( e parlo per me ) su bigliettini nascosti sotto il banco di scuola. Sappiamo quanto sia repentinamente mutato il modo di relazionarsi, e quanto si sia perso in termini di realtà e concretezza. Siamo stati fortunati a poter “vivere” l’altro, a non avere avuto la possibilità di scegliere se scrivergli un sms, se lasciargli un messaggio su Facebook e via dicendo. Siamo stati unici e irripetibili. Rimango sempre legato ad immagini della quotidianità, ai nostri giochi improvvisati, al senso di solidarietà del gruppo, all’estrema semplicità dei gesti. Con il senno di poi a noi, teoricamente mancava tutto. Eppure avevamo ogni genere di strumento a disposizione in grado di renderci felici: una bici che diventava un motorino applicando un bel cartoncino tra i raggi, le partite a Risiko, le interminabili sfide a ping-pong al bar della piazza, le feste del Sabato pomeriggio con lo stereo e le musicassette, fare l’elenco di chi veniva al campetto per la sfida a pallone. La scuola: ricordo la mia maestra “unica”, non era una delle tante, era la maestra Giuseppina e basta. Ricordo quando proprio a scuola, la più grande trasgressione fu per noi “grandi” di 4a, inviare a “primini” una cartolina con il particolare ( immaginate quale ) del David. Fummo spediti dal preside con il rischio di fregarci la maturità. Ma io la rivoglio quella stupidità, rivoglio probabilmente la mia ingenuità di adolescente. Non sono cambiato solo io, è cambiata la sceneggiatura che, oggi, chiede di più, quasi pretende di più. Il mio articolo è diventato una sorta di “Noi che” in stile Carlo Conti, ma, quando parlo della mia generazione so che a tutti coloro che vi appartengono vengono in mente le stesse cose. Siamo nostalgici. Per quel che avevamo e per quel che abbiamo dato, siamo una generazione di fenomeni.
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giovedì 21 ottobre 2010
Sull’ottovolante
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mercoledì 20 ottobre 2010
Orgoglio da vendere
Sto cercando di fare la convergenza ai neuroni per cui non so cosa verrà fuori da questo articolo. Quando ci si alleggerisce di un grande peso, soprattutto mentale tutto si affloscia, ti senti leggero e cominci a scaricare lo stress accumulato in ogni modo; il cervello, nel mio caso si prende una bella pausa. Questa prova segna la fine di un periodo orribile in cui l’unica grande cosa di cui sono stato capace è stata quella di mantenere sempre un briciolo di lucidità. Mi complimento da solo, mi elogio una volta tanto. Non solo per il mio 50/60 all’orale ( che probabilmente non sarà sufficiente ad ottenere il posto ) ma proprio per il modo con cui ci sono arrivato. Non so che dire, mi sento davvero un’altra persona da come sono riuscito ad affrontare tutto; persino i momenti immediatamente precedenti al mio turno li ho vissuti con estrema semplicità e con il sorriso sulle labbra. Certo è che, non è stato facile. Non sono certo un eroe, nella vita si affrontano prove decisamente più dure, ma ognuno di noi nel suo piccolo, affronta la realtà a suo modo. Quando però ti accorgi che i progressi sono stati davvero tanti, ne vai orgoglioso. Ecco, la sensazione predominante in me, in questo esatto momento è l’orgoglio. Sono fiero di me, sono pronto a ricominciare, a dare tutto. Venendo a ieri, che dire, stavo bene, sapevo di avere fatto un buon lavoro di preparazione e solo questo mi teneva al riparo da ogni evenienza negativa. Si sa che gli esami hanno un qualcosa di aleatorio, l’elemento sorpresa gioca un ruolo così come il ben più famoso fattore “c”. Questo concorso è stato bandito inizialmente per 10 posti, di cui 5 riservati a non so ben quali categorie. Ieri, poco prima dell’orale ci è stato comunicato che la graduatoria sarebbe stata estesa a ben 60 unità più ulteriori 20. Mi è preso un colpo. E quando sono uscito dall’aula, palesemente soddisfatto, per un attimo ho cominciato a fantasticare. Giusto il tempo di fare due calcoli, e di capire che sarà dura, durissima, rientrare tra quegli 80 . Scaramantico? No no, realista. Diciamo così, se rientrassi tra i primi cento sarebbe un bel traguardo considerando che in partenza eravamo 4.000. Magra consolazione, tanto studio per nulla. Se ragionassi in questi termini però crollerebbe lo stimolo ad andare avanti ed io di stimoli ne ho bisogno come il pane. A dire il vero, se ogni giorno potessi avere dal mondo che mi circonda una conferma del fatto che sono capace, che se voglio ce la faccio, sarei sicuramente un uomo più forte. Capace soprattutto di passare sopra a quelle cose per cui non vale assolutamente la pena regalare tempo e fiato. E qualcuno spero intenda.. Può essere che io debba ancora fare passi avanti in termini di autostima, ma quasi quasi comincio a credere di non essere poi cosi male!
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lunedì 18 ottobre 2010
L’ennesima commissione
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domenica 17 ottobre 2010
Ridere di gusto
C’è una cosa a cui il nuovo Enzo non vorrebbe mai rinunciare ed è : ridere. Se ci penso mi si rizzano i capelli che non ho, ma devo riconoscere che non rido di gusto da tantissimo tempo. Certo, potrei magari affittare un film comico di quelli che piacciono a me e voilà, il gioco è fatto. Troppo semplice e scontato. Ciò che a me manca è il fatto di ridere in compagnia, di passare una serata bevendo magari un paio di birre cominciando a sparare cazzate, una dietro l’altra. Ma sapete da quanto tempo non provo il piacere di partecipare ad una di quelle cene in cui il vino finiva ben presto che portassero i primi, oppure ad una di quelle nottate in birreria con la musica a palla? Ripenso a quell’estate di quasi dieci anni fa, fu lì che tutto cambiò, tutto andò a ramengo in termini di socializzazione. D’un botto si creò il deserto attorno a me e allora, provai a ricominciare. Tutto ciò che trovai fu però un insieme di situazioni personali complicate, di casi clinici: dovetti scegliere se provare a sopravvivere al prezzo di sopportare un peso abbastanza grande oppure rinchiudermi a casa. Scelsi la prima delle due soluzioni e, ne fui assorbito, finii con il diventare anch’io una persona asociale, incline al pessimismo, facevo parte di un gioco di cui non avevo idea del prezzo da pagare. Qualcuno me lo fece notare ma non diedi importanza. Sebbene nel frattempo siano poi, come sempre, cambiati gli attori, è su di me che si è ripercosso tutto. La mia espansività, la voglia di stare allegro, avevano ormai lasciato il posto all’introspezione, alla chiusura. In un certo senso la cosa mi ha aiutato, ma ormai intorno a me, si era formato il vuoto. Ed ora è sopraggiunta l’età a dare il suo contributo. Di sicuro, passare i quaranta dovrebbe nella maggior parte dei casi portare un po’ di saggezza e una capacità di analisi maggiore. Ma è come se io avessi già da tempo acquisito tutto ciò ed ora, vorrei, anche solo per un po’ lasciare spazio, non dico all’allegria ma al gusto di essere gioviale, sinceramente divertito. La vita ora “regala” responsabilità, momenti tristi e gli attimi di vera gioia sono sempre meno. Ecco, non chiedo tanto. Non fuggo da quello che questa età, in un modo o nell’altro, ti chiede di vivere ed affrontare; ma uno strappo alla regola, di tanto in tanto, non farebbe male. Beh, vorrei ridere, e ridere di gusto. Il proposito c’è. Spero di non ritrovarmi a farlo davanti al solito freddo schermo di una Tv.
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sabato 16 ottobre 2010
Terra bruciata
Intorno solo terra bruciata. Aridità ovunque. Ed io fermo, a guardare la desolazione dell’assenza di tutto, ad ascoltare il silenzio del niente. Ho voglia di ridare vita al terreno che mi circonda. Lo posso fare, non posso agire diversamente, lo immagino già quel campo che lentamente prende vita, colore, ed io che quotidianamente, lentamente, giorno dopo giorno, lo vedo crescere compiaciuto, soddisfatto. Andrò al supermercato e acquisterò tutto il necessario: una buona dose di sano egoismo, quel tanto che basta di cattiveria, e tanto, tantissimo amore per me stesso. Ho creato la desolazione intorno a me, ne sono consapevole. Ma ho incontrato a mia volta altrettanta desolazione, superficialità, egoismo, opportunismo, pazzia. Ora lo voglio, lo esigo, lo pretendo con tutto me stesso: via, un taglio netto, e si riparte. Ci vuole coraggio: non ho nulla da perdere, probabilmente qualcuno mi ha già perso e qualcuno mi perderà ma non se ne accorgerà nemmeno. Non ci si guarda intorno. Tagliare i rami secchi, comincerò da qui: agirò dunque con lo stesso criterio di chi mi ha insegnato ad essere così, mi ci ha portato dopo strenua resistenza, dopo inutili tentativi di far capire con chi aveva a che fare. Con il silenzio. Ripartirò dunque da quelle persone che considero degne della mia stima, persone che non ho mai visto e forse mai sentito, ma che godono di tutta la mia fiducia. Gli altri? Se ne accorgeranno? Forse no, ma intanto ho già preso la mia decisione: per loro non esisterò più. Nessuna seconda possibilità, nessuna dimostrazione di bontà e disponibilità. Riparto allora da un taglio netto ai rapporti superficiali, inutili, e faccio leva sull’unica persona che può regalarmi gioie e incondizionato affetto: io. Via allora, dalle apparenze, dalla quasi istintiva ricerca di relazioni come ancora di sopravvivenza. Ho deciso di non farmi mancare un po’ di superficialità, di leggerezza, perché no? Lancio il mio grido, lancio il mio “Chissenefrega”. Ma tenevi la vostra vita fatta di uscite e divertimento; tenetevi anche le vostre beghe, i problemi familiari, i vostri casini. A me non frega nulla. Ci ho provato a curarmene, senza fortuna. Scendo da questo treno affollato che mi ha tolto persino l’aria che respiro, mi ha provocato dolori alle mani per il tanto scrivere, mi ha seccato la gola per le parole di conforto, i ragionamenti a vuoto, e chi più ne ha, più ne metta. Mi aspetta un nuovo viaggio, e questa volta non lascerò che il treno passi. Salirò e sarò un uomo nuovo.
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venerdì 15 ottobre 2010
Non svegliare il cane che dorme

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giovedì 14 ottobre 2010
La porta rossa

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mercoledì 13 ottobre 2010
The show must go on
Premetto che non calco la gradinata di uno stadio importante da circa 8 anni. Allora ero addirittura tesserato e percorrevo circa 200 chilometri, andata e ritorno, per assistere alle partite della mia squadra del cuore. Poi, fui costretto a “perdere” gli ultimi incontri di campionato a causa della squalifica del campo in seguito a violenti incidenti tra ultrà durante un incontro di cartello. Uscire dallo stadio fu, quell’ultima volta, piuttosto difficile e pericoloso. Ma da quel momento, decisi: niente più tessera. Pian piano, mi sono disamorato del calcio: ho continuato dapprima a seguirlo in Tv, magari in compagnia di amici, poi, sempre meno, tanto che ora saltuariamente assisto alle partite della mia squadra del cuore via radio oppure in streaming, sul web. Sento che non ho più l’entusiasmo di un tempo, e le ragioni sono diverse. Ho assistito con freddo distacco a quello che è accaduto ieri a Genova, prima dell’incontro tra la Nazionale e la Serbia. Dopo aver appositamente abbassato l’audio del televisore onde evitare di sentire le solite ovvietà e cazzate varie dei giornalisti di turno, ho elaborato a voce le mie riflessioni che ora, traduco in questo articolo. Il calcio non c’entra nulla con ciò che si è visto ieri. Il calcio è uno spettacolo che, a fronte degli enormi investimenti che su di esso le più svariate società effettuano, deve quasi sempre andare avanti. E ieri, in barba a ciò che stava accadendo, è ciò che si è provato a fare, per sette minuti. La federazione Serba, gli sponsor, sicuramente hanno premuto affinchè la partita avesse luogo. E quell’idiota con il passamontagna ripreso dai cellulari e dalle macchine fotografiche degli idioti che lo seguivano? Lo lasciavamo lì? Facevamo finta che nulla fosse accaduto? In realtà il “cretinetti” di turno sapeva bene che il calcio, è uno scenario troppo importante per non cogliere l’occasione di mettersi in luce, di evidenziare le sue ( le loro ) idiote idee ultranazionaliste. E alla fine c’è riuscito. Uno contro un bordello di poliziotti in assetto anti sommossa che non sapevano che altro fare. In sintesi, l’unica decisione giusta è stata presa e la partita non si è giocata. Ma, quanti anni sono trascorsi dall’Heysel? Credo, intorno ai 25, giusto? Quanto è cambiato da allora? Gli stadi sono più sicuri? La tessera del tifoso sta risolvendo il problema? No, assolutamente no. Manca la prevenzione: il problema come sempre è nelle persone. Non possiamo agire sul cervello di chi agisce in questo modo, qualunque sia l’ideale che lo muove. Di delinquenti effettivi, potenziali, in divenire è pieno il mondo. Esistono misure di prevenzione, di sicurezza; esistono provvedimenti che non vengono rispettati, pene non applicate, e alla fine, ci meravigliamo di quello che accade. E, poiché io ho poca fiducia e in chi le pene le deve applicare, in chi le deve far rispettare, in chi deve fare prevenzione e sicurezza ma soprattutto in quella che è una certa tipologia di razza umana (?), consiglio soprattutto a quei genitori che vorrebbero portare i loro figli allo stadio, di non farlo. Non è colpa del calcio. E’ colpa dell’uomo, sempre e comunque.
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martedì 12 ottobre 2010
Uno schiocco di dita
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lunedì 11 ottobre 2010
Immobile realtà
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domenica 10 ottobre 2010
Io non ho paura
In questa settimana dominata dal silenzio (eccezion fatta per il compagno martello pneumatico) ho portato a termine il mio programma di preparazione all’orale con dovizia e sufficiente tranquillità. Il telefono spaventosamente muto e l’assenza del solito viavai per la porta di casa hanno giocato un ruolo determinante. Ho atteso questa domenica, volevo riposare un po’ ed approfittare per mettere il naso fuori di casa: la giornata è piuttosto soleggiata e malgrado per la testa mi ronzino continuamente nozioni di diritto, me ne andrei a fare una bella gita in campagna. Sarebbe bellissimo, in compagnia della mia due ruote. Magari, dico io…magari! Lei è là, avvolta dal suo telo antipolvere. Anch’io sto ammucchiando polvere, mi si sta formando una sorta di ragnatela lungo tutto il corpo fatta eccezione per il cervello che, è sempre in costante, perenne, irrefrenabile movimento. E così, questa Domenica rifletto sul fragore dell’ autunno che in un attimo ha scalciato via gli ultimi ricordi estivi catapultandomi in una realtà fatta di tristezza e smarrimento. Che dire, lo spettacolo deve andare avanti. Ogni giorno lo sguardo punta dritto, la mente non ha scampo, gli obiettivi sono lì e possibilmente devono essere raggiunti, ne va della mia autostima. Il rinforzo porta motivazione e questa, forza di volontà, elemento indispensabile per mantenere un certo equilibrio emotivo. Incredibile: è davvero incredibile quanto io sia cambiato in questi ultimi anni. Lo so, sono ripetitivo, noioso fino allo stremo, ma un minimo di autocelebrazione mi deve essere consentita. Avessi capito prima quanto fosse essenziale non perdere mai di vista l’obiettivo, quanto fosse deleterio e distruttivo lasciarsi trasportare dagli eventi (anche i più insignificanti ) oggi, forse, sarebbe tutto diverso. La serenità di questi “anta” sta proprio in questo: consapevolezza, elaborazione delle situazioni nel modo migliore, valorizzazione del presente. Niente più rimpianti né rimorsi. Allora, amici lettori, ho ancora una settimana di tempo per presentarmi in condizioni dignitose davanti alla commissione d’esame. Non ho paura. Ho solo voglia di dimostrare a me stesso che posso, se voglio, dare sempre molto. Il giudizio degli altri? Poco importa se sarà una commissione a dovermi giudicare, loro si accontenteranno di un po’ di nozioni. Io ho già vinto e non ho paura.
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sabato 9 ottobre 2010
Un dolce risveglio

hi non vorrebbe essere svegliato alle 8 di mattina dal dolce e soave suono del martello pneumatico? Se foste interessati sarò lieto di comunicarvi il numero dell’impresa che sta restaurando la facciata del palazzo confinante al mio. Ma potrà mai farlo di Sabato e forse ( lo saprò domani ) di Domenica? Questa mattina poi, dal terrazzo di casa mia ( lato cortile ) ho assistito per la prima volta allo spettacolo del lancio della spazzatura dal quarto piano. Vi assicuro che è qualcosa di imperdibile, per cui contattatemi e sarete miei ospiti. Se poi, durante le ore dedicate al piccolo riposo pomeridiano volete gustarvi un mix di musica arabeggiante sparata a tutto volume con le finestre rigorosamente aperte, beh, avete solo da chiedere. Tutti i giorni allo stesso orario, lo spettacolo si ripete.Siete di orecchio fino? Sono allora disponibili biglietti per un concerto di compressore, sega elettrica e trapano: avviso però che solitamente si svolge al Sabato, primo mattino, ovvio. Ma dove vivo? Ve lo sarete chiesti, no? Vivo nello stesso luogo da così tanto tempo per accorgermi che qualcosa è cambiato, forse tutto è cambiato. Ma cosa realmente ancora non so spiegarmelo. La razza umana sta pericolosamente regredendo allo stato di natura. Educazione, osservanza delle più comuni regole di convivenza, rispetto: qualcuno sa dirmi cosa sono? E dove possiamo avvertirne la presenza? Non sono generi che acquistiamo al supermercato, in linea di massima ognuno porta con sé il bagaglio educativo che la propria famiglia gli ha fornito. Troppo facile però trovare in essa un capro espiatorio. Io penso che qui, regni l’anarchia più assoluta: ognuno crede di poter fare ciò che vuole senza preoccuparsi affatto di chi invece le regole le rispetta. Mi sento inerme perchè non mi sento affatto protetto; Vigili, Carabinieri, Polizia, la risposta è sempre la stessa, vaga, disarmante: “Passeremo a verificare”, “Non possiamo intervenire se non c’è una denuncia”…Balle. Quello che voglio capire io è cosa ha generato questa trasformazione, cosa ha reso la nostra società un miscuglio di presuntuosi, arroganti, irrispettosi, violenti, e via discorrendo. Già a suo tempo avevo avuto modo di affermare che proprio questi episodi di piccola (?) inciviltà hanno grande importanza per poter capire cosa gira nel cervello delle persone. Sono semplici episodi di cattiva convivenza ma aiutano a capire quanto l’essere umano, di umano non abbia poi più nulla. E allora cosa dobbiamo aspettarci? Rimanere a guardare, lamentarsi, accettare tutto. Ad ogni modo, a me tutto questo fa schifo.
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venerdì 8 ottobre 2010
Da Facebook al Blog: parte seconda
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giovedì 7 ottobre 2010
Da Facebook al Blog: parte prima

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mercoledì 6 ottobre 2010
Un segno a cinque stelle
Ieri mi è capitato di ascoltare un astrologo in Tv. E’ il solito astrologo, quello che si guadagna il pane passando da un canale all’altro e dicendo poi sempre le stesse cose, ogni giorno, ogni mese, ogni anno. Non ci vuole molto a predire il futuro, siamo capaci tutti, basta avere fantasia e buona dialettica. Il tipo, soffermandosi sul mio segno zodiacale ( Vergine n.d.r. ) lo classificava tra quelli “a cinque stelle” (?); diceva che i nati sotto questo segno stanno attraversando un periodo denso di emozioni forti e che, nonostante ciò, affrontano il tutto con impensabile equilibrio, soprattutto emotivo. Lo ascoltavo e pensavo che, in fondo, molte delle cose che diceva, tornano. E’ stato fortunato questa volta, gli è andata bene e ci ha preso. Se mi fossi trovato in quello studio televisivo mi sarei persino complimentato con lui. Nonostante la cronica ipercriticità verso me stesso, posso dire di essere soddisfatto di come sto agendo. Intorno alla perdita di un caro ruota tutto un vortice di emozioni, che nel mio caso avvolge e travolge alcuni membri della mia famiglia, mia madre su tutti. Lei è incontenibile, non riesce a trattenere nemmeno un briciolo di controllo e la capisco. Per un attimo mi sono sentito un verme quando, nei giorni più convulsi, l’avevo pregata di non caricarsi troppo a livello emotivo, di provare a gestire un po’ le sue reazioni. Non lo facevo con l’intenzione di impedirle di soffrire: lei si annulla totalmente, lei viene sempre dopo di tutto. Nel vederla così, probabilmente, ho rivisto me. Perché so che anch’io sono di tal fatta, è solo che ho appreso qualche piccola tecnica di autocontrollo. Allora mi sono chiesto se sto diventando troppo freddo, quasi per certi versi glaciale. Non credo, soffro egualmente, lo esterno meno. Ora che mia madre è là , vicina ai suoi cari, so che in un certo senso è più rilassata; la distanza è una maledizione, non credo affatto al detto che la distanza rafforza i legami. E’ una bufala colossale. Io, non riesco a rinunciare alla mia natura e così, quasi giornalmente, ora che non c’è, mi sostituisco a mia madre, prendo il telefono e parlo un po’ con mia zia. So che non mi sfianca farlo, perché il mio approccio è diverso da quello di mamma, e allora cerco di darle conforto. Insomma, come si fa a rinunciare a ciò che si è? Riesco a pensare che facendo leva su tutto quello che ho in termini di testa e di autocontrollo, posso affrontare tutto, anche da solo. Si si, avevi ragione, caro astrologo dei miei stivali: mi tocca riconoscerlo.
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martedì 5 ottobre 2010
Cercando l’ispirazione
Se scrivessi i miei articoli su un foglio di carta probabilmente ora il mio cestino sarebbe saturo. Ho provato ad iniziare questo articolo più e più volte senza trovare il bandolo della matassa. Non devo per forza dire qualcosa di sensato, non devo cercare un argomento specifico, non c’è una sceneggiatura tantomeno un finale. Mi sto lasciando letteralmente trasportare dalle mani sulla tastiera e chissà che, prima della fine io non riesca a sviscerare qualcosa. Mi accorgo che ci sono momenti della giornata in cui, se avessi a portata di mano una penna ed un foglio probabilmente sarei un fiume in piena. Poi, quando magari decidi, come sto facendo ora, di sederti alla scrivania e buttare giù due pensieri, hai come una sorta di blocco. Scrivere è un’arte, anche se non sei un autore famoso, un poeta od un letterato. Tradurre in parole i propri sentori interiori è una questione di istinto. Lo devi ( o meglio, lo dovresti ) fare nel momento in cui scocca la scintilla, nel momento in cui non riesci ad impedire alle emozioni di fuoriuscire. Chi dipinge, chi compone versi o musica, credo rimanga sempre in attesa di un’ispirazione. Se poi consideriamo quanto sia complesso l’animo umano, quanto sia difficile già soltanto per alcuni esprimere le proprie emozioni, figuriamoci cosa può voler dire, cercare di rendere tutto questo, leggibile. Le emozioni, le turbe interiori non hanno forma, non conoscono punti né virgole. In questi giorni di solitudine, i libri, anche se si tratta di testi di diritto e non di piacevoli letture, mi stanno regalando un’insolita carica emotiva. Tanto è vero che ho ripreso in certi momenti il gusto di studiare ripetendo a voce alta. Era tantissimo tempo che non lo facevo, per diversi motivi; è vero che la ripetizione così fatta trasmette un senso di maggior sicurezza e consapevolezza delle proprie capacità dialettiche ma provoca al tempo stesso, un buon dispendio di energia e di tempo. Ma oggi, avevo voglia di urlare, di far finta di parlare con qualcuno, di immaginarmi davanti alla commissione. C’è silenzio oggi, il telefono di casa è stato muto, il cellulare quasi. E allora, mi sono detto: “ Oggi con qualcuno devi pure parlare, no?” Unica pecca, gli spaghetti al tonno troppo al dente.
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lunedì 4 ottobre 2010
Dita frementi
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sabato 2 ottobre 2010
Forza e coraggio
Carissimi lettori, vi sarete accorti del tenore pessimistico di questi ultimi articoli. E’ un diario questo, e mio malgrado ci scrivo quel che sento. E ciò che ho provato e sto provando ora è un senso di incapacità. Non so che dire, probabilmente il silenzio è la strada più giusta. Mi fido molto della forza e del senso di unione della mia famiglia in un momento così difficile, a livello emotivo. Io, che in questi ultimi anni ho imparato e sto apprendendo tutte le possibili tecniche per una gestione più accettabile delle varie situazioni della vita, devo mettere tutto a frutto. Quando si perde un proprio caro, quando quest’ultimo è lontano, il senso di incapacità è molto più grande. Poi, capisci che la vita va e deve andare avanti. Vorresti essere in cento posti per essere vicino a tutti, ed invece a volte ti ritrovi nel posto più sbagliato, quello da cui non puoi fare niente. Poi ci sono gli impegni inderogabili che la vita ti pone di fronte, e a questo punto devi tirare fuori tutto quello che hai per dimostrare di aver capito come si fa fronte a tutto ciò. Questo breve articolo è innanzitutto un mio modo per dire ciò che spesso a voce non riesci a dire ma rimane sempre impigliato nei pensieri. Se non avessi questa esigenza non avrei mai aperto un blog, giusto? Ma è anche un modo per comunicare ai miei amici più cari il mio grazie, e che non sarò presente come vorrei, nei prossimi giorni. Vorrei farlo con le email, vorrei farlo con qualche scritto, ma al momento, provo a chiudermi nel guscio di un silenzio che forse è il giusto onore a chi ho perduto. Sapete che ormai questi articoli costituiscono una medicina per me. E se non potrò farne a meno, sarete voi a pagarne le conseguenze ( mi sia concessa una piccola battuta ). Solo per dire che non sparisco, ma mi appresto ad affrontare un periodo importante. Grazie ancora a tutti quelli che ci sono, ci sono stati e sempre ci saranno.
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venerdì 1 ottobre 2010
L’amico immaginario
Vorrei chiamarti “diario” ma non posso, risulterei ( come in effetti sono ) un uomo fuori dal tempo. E allora continuerò a chiamarti “blog” sebbene io poco sappia del significato reale o fittizio di questo termine. So solo che a pronunciarla questa parola produce un suono onomatopeico che non mi dà piacevoli sensazioni. Potrei definirti anche, forse in modo esagerato, il mio amico immaginario. Ma si, dai, un po’ lo sei. Te ne stai qui, a raccogliere i miei pensieri, senza battere ciglio, senza scappare, senza dileguarti per poi sparire, sormontato dal peso dei racconti. Allora sei proprio un amico, caro blog. Ed in questi frangenti turbolenti, in cui le sensazioni scorrono alla velocità della luce senza soluzione di continuità, e sembra ( ma non è poi così ) di non avere mai troppa lucidità, ti guardi intorno. Chi c’è? Chi non c’è? Dunque, solitamente se provo a cercare trovo chi so c’è sempre stato e ci sarà sempre; e non trovo chi magari pensavo avrebbe potuto esserci . Il cruccio finisce nell’istante in cui prendo atto della cosa. Non sono e non sarò mai al centro dell’attenzione dei pensieri di tutti, questo è l’errore di valutazione che solitamente commette non l’egocentrico bensì , a parer mio, l’indifeso, colui che ha sempre bisogno di sentirsi considerato, di sentirsi circondato da affetti più o meno reali. Questo è il punto: nei momenti di sconforto si accentua il senso di fragilità di ognuno e viene quasi istintivo dare un’occhiata in giro. E non c’è peggior cosa che valutare il senso di amicizia o l’affetto di qualcuno in base alla sua presenza od assenza nei momenti topici. E’ vero, sto smontando il vecchio adagio “L’amico si vede nel momento del bisogno”. Ma io, per fortuna, conto sulle dita di una mano ( e nemmeno su tutte ) chi c’è ora, c’è sempre stato, e ci sarà sempre. Qualità, non quantità, e lo ripeto ancora. Ho dei limiti grandissimi, enormi difetti. Sono pretenzioso, e poi mi chiedo quanto io, sarò capace di fare altrettanto a fronte delle difficoltà di chi mi sta intorno. Ne sarò capace? Forse si, forse no. C’è però un elemento, un qualcosa che mi fa stare tranquillo con la coscienza: appaio ipercritico, teorizzo molto in termini di amicizia. Ma mi piace evidenziare e constatare i fatti altrui e, nel modo che credo più obiettivo possibile, ne traggo considerazioni. Non mi piace riempirmi la bocca di belle parole sul mio conto. Ho provato a dare nella vita, ci ho sempre provato. Mi disgusta solo, non il fatto di non aver avuto riscontri, quanto i comportamenti considerati in sé e per sé. E’ la vita, basta saper guardare avanti senza girar troppo la testa.
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