domenica 29 settembre 2013

Colpo di grazia

U

na leggera pioggerellina di autunno si sta portando via questo fine settimana. Sto sempre più apprezzando il mattino. E’ il silenzio tipico del Sabato, ancor più della Domenica a provocarmi uno stato di benessere. Non ci sarebbe da esserne felici. Faccio levatacce tipo sette – sette e trenta negli unici due giorni in cui forse potrei approfittare. Perché? Innanzitutto vado a letto con le galline, come si suole dire. E, badate bene, non tiro più fuori la storia della stanchezza e dell’impossibilità di rimanere in piedi troppo a lungo. Al Venerdì non sono un fiore, ma ho abbastanza energia in corpo per vincere la possibile fiacca che mi attanaglierebbe quando le lancette passano la mezzanotte. Vado a letto presto perché, dopo mangiato, metto in atto la sequenza infernale: abat-jour- pc – letto. Il colpo di grazia. Non faccio in tempo ad accogliere i soliti ospiti sgraditi che già mi ritrovo a guardare la luce che filtra dalle finestre. Bella vita eh? Ragion per cui è proprio la mattina a regalarmi lo stato d’animo migliore come se, lavandomi il viso io mi prendessi una bella rivincita sulla serata precedente. Che dire, ne ho parlato ieri, ma sapete quanto mi piace battere il ferro anche se non è più caldo. Il mattino ed il suo silenzio hanno sempre un sapore di rivalsa. Amici lettori, forse mi sto spogliando delle vesti del lamento e dell’autocommiserazione per indossare quelle dell’inquietudine. Signori, non so come sto. E’ assai probabile io stia ancora vivendo in quel mondo nel mondo che mi sono costruito nel tempo, un mondo in cui non esistono voci, noie, compromessi, rancori, rimpianti, rimorsi. E’ il mondo dell’alienazione. Poi, diciamola tutta: ho abbandonato il mondo virtuale perché ero convinto fosse la causa del mio malessere. In parte lo era e ancora oggi sostengo ironicamente si tratti del luogo degli incontri mancati. La ragione principe del mio fermento sono io, sempre io, ancora io. Fatemi domande, siateci, posso pretendere di essere al centro della vostra attenzione? Posso sentirmi solo e dirlo ai quattro venti? Enzo sa umiliarsi, come ora. Enzo sa esaltarsi come quando dice di fare a meno di tutti. Enzo sa vivere perché con un cervello tanto stakanovista pochi avrebbero desistito dallo sparire.

 
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sabato 28 settembre 2013

Come ad un amico

E

' solo la constatazione di una situazione di fatto e non il solito piagnisteo. Chi mi conosce sa che qui io racconto, cercando di urlare il meno possibile. Faccio quello che farei se solo avessi la fortuna di uscire una sera con un amico che non ho. Non l'ho mai nascosto, io ne ho bisogno. E' una forma di necessità primordiale da cui non riesco a prescindere; il dialogo per me è vitale. Cosa posso farci? E' lo specchio dei tempi: un uomo di quasi mezz'età che ancora sente il desiderio di avere una relazione, se non umana, almeno aliena con qualcuno che viva la sua dimensione. E non mi accontento certo di legami appartenenti al solito mondo sintetico. Non pensate che ognuno di noi abbia diritto di esternare le proprie sensazioni? Io ho trovato il modo di sopperire alla totale assenza di presenza umana intorno a me, non dimenticando di avere la migliore amica ed il migliore amico che si possano trovare sulla terra: mamma e papà. Non voglio certo sminuire figure che, nel mio caso, sono vitali; voglio solo dire che qualcuno si chiede come io faccia ad andare avanti. Vita da pendolare, zero amicizie, le solite valvole di sfogo. Non esistono standard di vita precisi. Esiste tuttavia la capacità di adattarsi alla propria, che ci piaccia oppure no. Enzo è un uomo solo e, per favore, non ditemi che potrei, dovrei, e via dicendo. Tutto ciò che desidero e spero, rimane chiuso lì dove pulsa il cuore ma non trova nessun tipo di strada per uscirne. A volte mi chiedo: “Cosa vuol dire essere soli”? “ Ci si deve vergognare di rispondere alla domanda - Cosa fai stasera? - con un “Niente, non ho amici” ? No, per carità, quale vergogna. Io sento solo una mancanza. Perché non mi interessa di sentirmi incoraggiare? Perché è risaputo che dalla merda possiamo tirarci fuori solo noi. Bene, a questo punto mi fermo qui, proprio perché finisce qui la mia constatazione della situazione di fatto. Per tutto il resto ( superficialità delle persone che mi capitano a tiro, inconsistenza delle parole pronunciate, menzogne dette sapendo di mentire ) beh, meglio pedalarci su, come ho fatto oggi. Quel che basta per sentirmi libero e veramente felice.

 
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giovedì 26 settembre 2013

Il solito piccolo mondo

P

iù o meno penso questo: converrete con me che, quando si ha la fortuna di avere al fianco persone a noi care per moltissimi anni, di vederle ogni giorno, non ci accorgiamo del lavoro del tempo. Mamma e papà non invecchiano mai, ad esempio. Non ne accettiamo l’idea, sta qui probabilmente la ragione. Basterebbe poi andare a sfogliare il loro album di nozze, guardare i loro ridicoli pantaloni a zampa d’elefante, i basettoni di papà e sarebbe diverso. Qualcosa di simile accade con il nostro quotidiano. Ogni giorno sta con noi, ci vive accanto. Magari lo amiamo meno dei nostri genitori perché si chiama lavoro, grane, rumore, tempi rapidi ma, nostro malgrado, dobbiamo stargli accanto. Una buona parte di noi non vedrà altro (nei giorni che si susseguono) che abitudine, ripetitività, monocromia. Si deve andare oltre, cercando di dividere la vita in fasi per trovarci spunti d’interesse. Esiste però un piccolo mondo che, a guardarlo bene, regala innumerevoli suggestioni, cambiamenti, incredibili sorprese. Guardarsi dentro è, come nel mio caso, una vigliacca scorciatoia per aggirare responsabilità, scelte, decisioni che potrebbero cambiare radicalmente la mia esistenza. Mi osservo dentro e scopro che è l’unico modo per avere una percezione del tempo che passa, senza tuttavia odiarlo; l’unica maniera di accettare lo scorrere dei giorni in modo sensato. Ieri avrei voluto scrivere qualcosa ma il tempo materiale era troppo poco. Meraviglia delle meraviglie, ora non posso permettermi di trasportare qui ciò che provavo ieri. Non me lo ricordo. Oggi però ho altro da dire, perché il mio apparato interiore è in continua evoluzione. Non solo il mio, attenzione. Quello di tutti, o meglio, di quelli che riescono a guardarsi dentro senza dover aspettare di stare chiusi al buio di una stanza. La mia follia è tutta qui: pensare, sentire che arrivano messaggi interiori anche nelle situazioni più astruse. Ditemi voi come e quando un pendolare che sta dodici ore al giorno in mezzo al caos, trova il tempo di provare qualcosa. Ed in effetti sono diventato una macchina, inabile al sentimento. Ma, riesco ancora nonostante il frastuono, a cogliere i messaggi più profondi. Ed è la mia salvezza.

 
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domenica 22 settembre 2013

Otto minuti

E

andiamo, salutiamo questo fine settimana. Guardando il bicchiere mezzo pieno potremmo dire : “Un altro passo verso la primavera”. Bella questa filosofia di vita vero? Potrebbe mai farmi paura l’inverno? E perché mai? Decisamente più realistico aver timore della vita perché è lei a regalare le sorprese ( belle e brutte ) più inaspettate. A fronte dell’imprevedibilità della nostra esistenza nulla è rilevante, meno che mai il lavoro o le solite questioni sulla sempre più difficile vita di relazione. Spesso ho pensato di credermi l’unico a provare certe sensazioni. Beh, non è così ma di certo sono uno di quelli che le amplifica, le diffonde rendendole pubbliche ed esposte alla più differente umanità. Ne pago le conseguenze; devo in particolare accettare il fatto che tutti a questo mondo hanno la lingua per parlare ma una percentuale minima la collega al cervello. Dicevo, non sono certo l’unico a provare ad esempio, ostilità verso il genere umano. Questa mattina sono andato in palestra. E’ un luogo assai diverso da come lo si immagina, almeno quella che frequento io: intima, quasi silenziosa, privata. Ovviamente mi piace. Non appartengo a quella categoria di fanatici che vede nel tipo di locale in questione, il luogo giusto per approcciare. Mi sono seduto sulla cyclette e ho cominciato a chiacchierare con la ragazza a fianco che, in non più di quattro minuti a cominciato ad andare a fondo del suo privato. Tanto che per un attimo, ho avuto l’impressione stesse per piangere. Palestra strana oppure casualità di un incontro di un certo spessore? Il nostro colloquio è durato poco più di otto minuti, poi ci siamo salutati. Il dialogo traboccava di termini come : gente, odiare, solitudine, amicizia, alienazione, disagio. E mentre iniziavo a caricare pesi e a caricarmi, giungevo alle solite conclusioni: perché mai crucciarsi, perché mai fare di un malessere comune un caso singolo, perché mai, io? Viene naturale sottovalutare gran parte delle problematiche che mi affliggono sebbene ci siano momenti in cui soffro realmente. Viene altrettanto semplice portare avanti le proprie idee, non dico vantandosene ma costruendoci sopra un tentativo di accettazione del mondo.

 
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sabato 21 settembre 2013

Signora abitudine

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piccoli passi lascio le curve alle spalle per imboccare il lungo rettilineo. La signora “abitudine” non mi mollerà nemmeno lungo tutto questo inverno, lo so. Non interpretate questo incipit come l'inizio del solito percorso introspettivo che conduce all'implosione. Non si ripeterà, non tornerò ad avvilupparmi, a chinarmi su me stesso, ad urlare. Trasportando il tutto al tema delle due ruote (a me così caro), si potrebbe dire che conosco bene la salita da affrontare, dunque andrò in scioltezza. Ciò nonostante non posso negare di essere un po' sorpreso: anche l'abitudine dovrebbe perdere l'abitudine di manifestarsi sempre allo stesso modo. Ed invece temo che mi avvolgerà secondo gli stessi canoni di sempre. Questo a testimonianza del fatto che, mentre mi divertivo come un bambino ad imboccare le curve dell'estate, in realtà non stavo facendo nulla per cambiare la realtà. E lo avevo detto. “Non sta cambiando niente, sono io quello che prova a vivere”.Diamo all'estate ciò che è dell'estate, se non altro in termini di opportunità. Io le ho sfruttate, me le sono giocate e ne sono orgoglioso e felice. Intorno a me, nel frattempo, la palude dell'assenza continuava ad esistere. Non ho fatto finta di ignorarla, anzi. Non l'ho mai persa di vista senza tuttavia permetterle di rovinare il mio gioco, la mia spavalda voglia di tornare ad essere vivo. Chi si aspetta un Enzo destinato ai soliti discorsi sull'assenza, sulla distanza, sul tempo, forse non verrà smentito. Sapete, pochi riescono ad interpretare in modo corretto la mia voglia di parlare, di sfogarmi; una gran parte invece si ferma a considerazioni scontate, superficiali, di comodo: “ ti lamenti sempre, non fai nulla, non cerchi, non coltivi”. I più bravi sanno che la scrittura è una miracolosa valvola di sfogo ma non finalizzata a guarire o ad ottenere risultati bensì a guardarsi dentro e, di conseguenza, ad essere sempre più trasparenti. Giocoforza, più si è se stessi, più ci si autoesclude. Si sa, è un circolo vizioso. Dunque parlerò ancora di questi Sabato, di questa palude, di queste mancanze. Oppure parlerò di qualcosa che accade e che, la maggior parte di chi legge o ancor più di chi mi circonda, non riesce a vedere. Appunto: chi mi circonda? Tutti e nessuno, mi viene da dire perché sappiamo tutti bene che noi siamo il nostro migliore amico, a patto di saperci leggere dentro. Tutto il resto sono parole, giudizi, propositi. Ma la vita?

 
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giovedì 19 settembre 2013

Concezione finale

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a quella cozzaglia di pensieri che è il mio cervello, riemergono di tanto in tanto pietose e consolidate certezze. Una fra le tante, quella della mia solitudine. Non è più il caso di parlare di scelta consapevole, di strumento terapeutico; si tratta di condizione definitiva cui hanno contribuito il progressivo inasprimento del carattere e l’avvento del mondo virtuale. Ed è proprio il tema dei rapporti e in particolare quello dell’amicizia ad avere una forza speciale, così intensa da farsi spazio nel marasma cerebrale fino ad assumere contorni ben definiti. Si potrebbe parlare di “concezione finale”, senza replica, senza possibilità di rimedio. Ho fatto mia per anni una battaglia inutile: trovare l’amico ideale, vivere l’esperienza dell’armonia e della condivisione tra persone completamente compatibili. Una sconfitta annunciata ma, badate bene, non preventivabile almeno al tempo in cui ero (per motivi anagrafici) speranzoso. Più che l’avanzare dell’età, a disilludermi sulla possibilità di vivere rapporti ideali è stato l’avvento del mondo virtuale. Devo ringraziare come sempre me stesso della grande capacità di autoanalisi. Ho smesso di criticare il mondo, di odiarlo per la sua leggerezza e ho deciso di punirmi. Ho rinunciato ad una immagine forzata, artefatta ( essenziale per illudersi di avere una vita sociale ) e sono diventato un uomo solo. L’ultimo dei traguardi è rappresentato indubbiamente dalla decisione di bypassare ogni possibile “preliminare”. Non credo alla tesi della coltivazione del rapporto: ciò che è virtuale porta con sé il germe dell’autodistruzione. E mi sono dato alle vie di fatto: conoscenza reale. Ed ecco la smentita: conosci qualcuno e, quando credi di aver superato molti dei tuoi limiti, molte delle tue perplessità, ecco servito il giudizio, la sentenza inappellabile. Dunque, rieccomi qui: come sono riemerse, ora torneranno nel fondo del mio complesso sistema cerebrale. Pietose e tristi certezze. Ho scelto di parlarne semplicemente perché trovo davvero insulso che nel mondo virtuale si faccia spesso finta di niente per poi ricordarsi di cos’è l’amicizia solo con le belle parole. Basta parole e forse, basta fatti. Non vai mai bene come sei e sinceramente, nessuno può ergersi a giudice.

 
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sabato 14 settembre 2013

Curve e salite

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oglio evitare ogni forma di retorica spicciola per cui rinuncio a raccontare nei particolari, della mia uscita settimanale in bicicletta. Qualcuno si meraviglierà ma niente come l'esperienza della bici può essere assimilabile alle situazioni della vita. Le metafore si sprecano e, nel mio caso, ogni uscita è un ripasso generale dei miei limiti, delle mie paure. Ma, di contro, rappresenta il terreno su cui crescono fertili le capacità, i lati positivi, gli aspetti migliori del mio carattere. Non a caso pedalare è un'attività che conduco in solitudine e, fidatevi, i vantaggi sono davvero tanti. Come mi era già capitato di dire, certe emozioni non devono essere necessariamente condivise con qualcuno; lo scopo è quello di far arrivare al cuore un getto di calore, di novità, una spinta che lo porti in alto, sempre più su. Dell'esperienza odierna voglio rimarcare un concetto che mi è caro: mai fermarsi prima di una curva, di un abbozzo di salita. Mai farlo solo perché non riesci a vedere oltre. E soprattutto guai non farlo se a fermarti è solo la paura di fallire. Vedete? Retorica. Ma la bici è un macchinario complesso che aspetta solo che le tue gambe vadano in sincrono con il cervello. La combinazione è magica, unica. Non voglio dilungarmi sull'aspetto romantico, perché potrei anche abbandonare la mia corazza di ferro e lasciarmi andare a piccole considerazioni sull'amore per la natura, per certi impagabili silenzi, per la solitudine che, sulla bici diventa impagabile. Malinconia. Il fatto strano è che mentre ti accorgi che le tue gambe ed il fiato ti vengono incontro, è ora di smettere. Sapevo che questa sera avrei buttato nel cesso i pensieri cupi di ieri, le prime paturnie vestite di autunno. Non posso, non devo farmi travolgere dalla preoccupazione di incontrare ancora Enzo, quello dalla testa china, delle grida di aiuto, della lamentela cronica. Se fossi davvero abile nell'andare di pari passo con il tempo senza doverlo a tutti i costi superare, avrei risolto il problema. Io corro, ma dove vado? Qualcuno mi fermi. Oggi ho odiato il vento, per più di una volta ho pensato di tornare indietro. Enzo non è uno che si arrende facilmente o almeno la bici sta facendo il miracolo, dandogli quel coraggio che spesso dimentica di avere. La bici. E chi altri se no?

 
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venerdì 13 settembre 2013

Moralismi

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orse non è il caso di precipitare le cose come al solito. Non sono nuovo a cadute nel vuoto dell'abitudine che lasciano il segno sul morale in modo pesante. Può darsi sia solo il fatto di aver trascorso quasi l'intera giornata a casa, lasciandomi andare un po' troppo ai pensieri; e dimenticando colpevolmente di lasciare il pc nella sua borsa, richiuso nell'armadio. Perché mi fa paura l'idea di ripetere la sequenza diventata “regola del fine settimana”, fino a qualche mese fa: accendere il portatile, accendere l'abat-jour, mettersi in posizione yoga, rimanere inebetito davanti ad uno schermo in attesa del nulla. Ho paura di questo. Non dell'autunno, del freddo, e della neve. Ho il terrore delle mie abitudini, di non riuscire a non farmi vincere dalle menzogne del mondo virtuale, e soprattutto da quella parte di esso, che ormai condanno. Sono un moralista. All'occorrenza, però. Quando mi fa comodo giudico. Che schifo, vero? Prima mi butto a pesce nella mischia, poi mi ritraggo e getto sentenze. Basterebbe invece affrontare il problema alla radice. Mi sono accorto che non c'è nulla di sano in una parte delle relazioni che ho provato ad intavolare, nel senso che io sono un retrogrado, un conformista, uno che ha le sue idee. E non riesco mai ad accettare l’evenienza che il sentimento non sia “puro” ma mosso da qualcosa che guarda “oltre”. Troppo oltre. Vi sembra che sia poco per giudicare? Per escludere? Si. Per quello mi ripeto che sono un moralista, bacchettone, ma solo all'occorrenza. Perché io non ho mai fatto niente per un doppio fine? La dovrei smettere di sentirmi un Dio, di credermi immacolato, e di permettermi di eliminare. Chi sono io? Non voglio più sbagliare, voglio solo risolvere il problema alla radice e allontanarmi sempre più da tutto questo. Perché il rischio di caderci di nuovo è grande. Tanto è tutta teoria visto che sono sempre solo e solo sono destinato a rimanere. Ma, ed è ciò che desidero fortemente, mi voglio sentire sereno. Eliminare dunque la possibilità di giudicare ed essere giudicato. E lasciarmi trasportare dalla realtà, quella del mio piccolo mondo fatto di passione pura. Mi sono sfogato.

 
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mercoledì 11 settembre 2013

Macchina da guerra

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arà che sto beneficiando di quel bellissimo effetto collaterale che solo una medicina come il mare può provocare; sarà che in fondo non sono ( e non mi sento ) ancora pienamente calato nella parte del pendolare, vittima predestinata di un altro anno fatto di orari, occhi al cielo, ansie da sciopero. La realtà è che queste notti nel mio letto le sto passando cullandomi tra sogni strani, sempre colorati dove i protagonisti sono persone conosciute che assumono ruoli del tutto incredibili. Non sarebbero sogni no? Ogni notte. Chissà che vuol dire tutto questo, sicuramente nulla per il fatto che noi sogniamo sempre, anche quando pare il contrario. La differenza sta nel fatto che conservo buona memoria di ciò che mi è passato sotto forma di immagine onirica ed al mattino mi sento rilassato. Si potrebbe ipotizzare che sia il sogno a volermi ricordare quanto sia bello solleticare di tanto in tanto la macchina emotiva, lasciando da parte il cervello. Ed io non nascondo il piacere che mi deriva. Il punto è che, quando poggio i piedi a terra, mi getto l’acqua gelida sul viso e inizio una nuova giornata, torno la macchina da guerra che sono. Impettito, combattivo, incazzoso, straordinariamente organizzato, e poi? E poi mi siedo sul treno del ritorno, e tutto ad un tratto la giornata è finita. A questo punto mi fermo qui, nel senso che potrei scrivere altro che mi viene naturale far scivolare su questi fogli, ma so dove andrei a parare. Sbatterei sul solito muro di gomma dell’inutilità della vita, dell’abitudine, e ricomincerei daccapo. Lo voglio evitare, voglio che tutto questo sia solo routine, tremenda routine ed accettarlo come tale. E che sia ordinarietà la mia arcinota piacevole convivenza con me stesso e nessun altro. Qualcuno ci sta pure provando a convincermi di essere pur sempre un essere umano che non può prescindere dalle relazioni ma la macchina è in funzione e la catena di montaggio non può sbagliare colpi. Proseguo, con un po’ di malinconia, un velo che la sola forza della natura ha saputo stendere sui miei occhi ormai troppo bene abituati a colori vivaci e a silenzi speciali. Niente,vado avanti. Senza progetti, senza proclami. Io, ancora io.

 
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domenica 8 settembre 2013

Acquerelli

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i tocca ammetterlo: staccare la spina del cervello durante le vacanze è privilegio concesso a pochi. Io, al massimo, posso accontentarmi di pensare meno del solito. E ora faccio fatica perché avrei voglia di scrivere un miliardo di cose, di riflessioni e non ci riesco. Se avessi avuto la possibilità di raccontare il quotidiano dei miei giorni al mare, probabilmente sarei stato efficace ed attendibile; invece mi lascerò andare a pensieri confusi ma come sempre, sinceri ed autentici. Il viaggio è nella testa, non vi è alcun dubbio. Quando ti muovi fisicamente però, la mente corre vicinissima a ciò che gli occhi guardano per la prima volta. Io ho avuto la fortuna di posare i miei sensi su vere e proprie cartoline illustrate, acquerelli dalle tonalità miste del blu, del bianco e del verde. Ho incrociato e incontrato mani e sguardi pieni di cordialità in un ambiente davvero unico. E’ capitato che l’inizio di questa vacanza ritrovasse tuttavia un Enzo antico e odioso, di cui credevo aver abbandonato i tratti distintivi anni orsono. Enzo che si arrabbia per un nonnulla, che rischia di rovinare la festa a se stesso e al prossimo. Enzo che piange, che incolpa altri della sua incapacità di gestire le situazioni. Pazzesco. E’ stato come vivere un incubo nel mezzo del quale però, ho avuto la fortuna di constatare meravigliose verità. Reali. L’abbraccio di un amico, qualcuno che ti prende la mano mentre sei lì con le mani sulla testa e chiedi di essere riportato a casa. Enzo, semplicemente lui. Un uomo di carta che vola via quando il vento è brezza ma a lui sembra tempesta, un uomo sul filo del rasoio e con un piede sempre a mezz’aria in cerca di un equilibrio definitivo impossibile ed impensabile. Ho aperto gli occhi, ho resettato e sono stato capace di godermi appieno di tutto; quello che poi conserverò gelosamente nelle lunghe giornate d’inverno. Prometto a me stesso molte cose, ora che riprendo la vita di sempre, la maledetta mediocrità dell’abitudine, la squallida convivenza forzata con ciò che si deve ritenere fortunati ad avere. Continuo sulla strada che questa bella estate mi ha tracciato davanti, confidando nella presenza dei soliti bastoni chiamati forza, determinazione e rispetto per se stessi. Ma se non avessi quegli occhi, quelle mani e quegli sguardi, sarei finito. Che siano sempre con me.

 
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