martedì 29 novembre 2011

Lo squarcio

I
l patatrac di Venerdì sera ha improvvisamente squarciato la corazza che avevo ( o creduto di avere ) costruito a difesa del mio fragile sistema emozionale. E come un fiume che rompe gli argini, in quello squarcio hanno finito per confluire con potenza esponenziale tutte quelle negatività, quelle paure che, mi ero illuso di aver tenuto a bada lungo tutto il percorso di questo anno. Il principale quanto immediato effetto collaterale è stato un brusco abbassamento di ogni forma di difesa, un crollo del livello di autostima, la perdita delle certezze acquisite a fatica. Ne hanno fatto le spese le persone che (in modo casuale o perché da me cercate ) si sono imbattute sul mio percorso. Mi vergogno quasi a parlarne. L’immagine di Enzo nel corso delle 24-36 ore successive all’evento era bieca e deprimente. Un’immagine che al solo pensiero mi fa inorridire. Il mio rapporto con il prossimo è sempre stato in parte di facciata allo scopo di evitare che ( conoscendomi ) il mio malessere ciclico finisse per rendermi comunque insopportabile. Per anni ho sperato di attraversare un momento, che arrivasse il momento in cui, raggiunta la serenità mi sarei potuto rapportare con gli altri in modo del tutto positivo. Quando è arrivato il lavoro a Torino ritenevo che quel momento fosse finalmente arrivato. Ma non è stato così. Enzo è ancora un essere terribilmente fragile, pieno di insicurezze, ancora alla ricerca dei suoi punti di forza. Ancora incapace di vivere prescindendo dal giudizio altrui. Quasi 48 ore dopo l’apertura dello squarcio, a fare defluire tutto ciò che di marcio vi aveva trovato posto, ecco un incredibile senso di calma, una non immaginata tranquillità accompagnata da una diversa ( o meglio ) migliore percezione del mondo. Sto affrontando questi giorni con rinnovata positività. Ci voleva probabilmente quel Venerdì, era necessario che lo squarcio si aprisse. Una delle maggiori conquiste di questi giorni concitati è proprio la consapevolezza del non aver bisogno di nulla o meglio, di non aver bisogno di lamentarsi. Ottimo punto di partenza per una visione della vita più leggera. Gli altri: ne ho parlato come se fondamentalmente io stessi bene anche senza di loro. Non è proprio così: Probabilmente non è il caso che cerchi ostinatamente per poi risultare contraddittorio. Quindi io sto bene così, al momento. Cambiare idea è anche sintomo d’intelligenza.
 
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domenica 27 novembre 2011

Bertrand, amico mio

G
iorni agitati, giorni arrabbiati, giorni di istintive promesse di cambiamento. Giorni in cui il tunnel nel quale sei finito sembra avere soltanto una immaginaria luce bianca là in fondo. Quella luce è semplicemente dipinta sul muro. Giorni in cui giungi a conclusioni che dovresti scolpire nella pietra perché tornino utili al momento opportuno. Ciò di cui ti lamenti è anche ciò che rifuggi quando ti viene concessa un’opportunità. E allora? Ma non ti rendi conto che nella tua profonda tristezza tu in realtà sei felice? Pongo e ripongo la stessa questione: “ Fermati, e pensa a ciò di cui hai bisogno”. Affetto, amore, compagnia, o cosa? Di tutto questo ho bisogno. Ma forse anche no. Credo di provarci un insano gusto a lamentarmi, ad attirare l’attenzione degli altri su di me. E quando qualcuno veramente mi tende la mano io rinuncio. Non voglio sentire persone che mi dicono cosa fare e cosa non devo fare. Moralizzatori all’occorrenza. Non mi fido di me stesso e di nessuno, la conclusione alla quale sono arrivato è che sto bene, sono felice e sereno. Da solo. Ricordo di un aforisma che, a leggerlo tempo fa, mi sembrava di una completa idiozia. Esso diceva: “ non possedere qualcosa che si desidera è una parte essenziale della felicità”. Aspettate che vado a vedere chi ne è l’autore: ecco, Bertrand Russell. Bertrand, vecchio mio, te la appoggio in pieno. La sostanza della felicità sta nell’essere consapevoli di ciò che si ha. Io cerco e non so cosa cerco. Io affermo di avere bisogni e poi in realtà non ne ho. L’aspetto più divertente di tutto questo casino esistenziale che mi attanaglia è che a pensarci ancora meglio, cerco il riflesso di me stesso. Agogno confrontarmi con chi potrebbe empaticamente capirmi nella mia totalità. Ma perché vado in giro dicendo che ho bisogno di persone positive intorno? Ah ma è una menzogna colossale!!! Non riesco ad essere ottimista, non riesco a vedere la vita secondo il punto di vista di chi l’ha sempre vista così. Perché, Dio mio, perché devo a forza smussarmi? Perché devo vedere il bicchiere mezzo pieno? Risvegliarsi una domenica mattina e rendersi conto di essere felice. E’ possibile, basta inchiodarsi nella testa che tutto ciò che dici di non avere ( lamentandoti), in realtà o ce l’hai ( e non te ne accorgi ) oppure non lo vuoi proprio. Aspetta aspetta, vado a scolpire tutto questo nella pietra.
 
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mercoledì 23 novembre 2011

Accidia

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roviamo a sovrapporre le dodici ore che quotidianamente trascorro fuori casa ai dodici mesi dell’anno. Questo Novembre profuma dello stesso odore di pigrizia e stanchezza che pervade il vagone del 17.20. Dall’inizio dell’anno non ho mai provato così tanta stanchezza, non sono mai stato avvolto da una tale accidia. Penso ( spero ) si tratti di qualcosa di assolutamente naturale, quasi fisiologico. Il sonno accumulato non è mai stato realmente recuperato, la voglia irrefrenabile di vita quasi sempre ha cozzato con altrettanto desiderio di relax e mancanza di stimoli reali. Ed ora che sono sul treno di Novembre, aspetto la doccia di Dicembre. Poi, da Gennaio se ne riparlerà. Ma non è il passaggio al 2012 che può materialmente portare ad una svolta: se andiamo a guardare, più vado avanti più il sonno arretrato prenderà consistenze esagerate, più vado avanti e più la mia voglia irrefrenabile di vita sbatterà addosso agli stessi ostacoli. Il conto non torna e mai tornerà. Ragione in più per vivere quotidianamente ciò che c’è da vivere. In fondo sono problematiche che vengono a galla nei rari momenti di “ferma”, quando ti butti a cercare qualcosa che possa compensare una mancanza e ti rendi conto che non serve a nulla. Viene spesso voglia di spaccare sotto i piedi questo maledetto pc, poi pensi che lui non ha colpa; che lui è lì e basterebbe non farsi prendere dalla tentazione di accenderlo. Che basterebbe uscire di casa un sabato pomeriggio e farsi una bella passeggiata, una corsetta al parco. Che forse sarebbe meglio una domenica in visita ad un paesello piuttosto che guardare in faccia qualcuno beandosi di essere in linea con l’altra parte del mondo. Basterebbe staccare la spina, ma quella vera, che tiene in vita questo schermo. Poi ti autogiustifichi dicendo che durante la stagione fredda non c’è voglia di uscire, e quindi a casa, davanti al pc si sta anche bene. Sono pigro, pigrissimo. Ragazzi, non ho proprio voglia di far nulla. Mettetela come volete ma si fa fatica a muovermi. Probabilmente avevano ragione quelli che un anno fa mi dissero: “ Te ne accorgerai, non avrai più una vita”. Ho voglia di una doccia calda e si chiama Dicembre. Poi si vedrà.

 
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lunedì 21 novembre 2011

Domenica sera

U
na birra e un vecchio amico. Adesso ditemi voi se chiedo troppo. Il Venerdì arriva e ogni santa volta impongo a me stesso un chiaro proposito: “relax”. Ok, poi ( ammesso che riesca nell’intento ) si avvicina la sera della Domenica. Ecco, è in arrivo sul binario 1 la coscienza. Ieri, spulciando tra i vari aforismi ne ho trovato uno nel quale mi ci sono completamente riconosciuto: parlava di “noia esistenziale” e in sostanza diceva che essa rappresenta il punto di partenza per nuove scoperte e nuove esperienze. Si si, ci sto, mi piace. Noia esistenziale, non ci avevo mai pensato. Posso ritenermi annoiato da questa vita? Ma certo, chi non lo è! Il punto di partenza verso nuove scoperte e nuove esperienze è qui: non chiedo di partire subito in quarta nonostante di punto in bianco mi scatti pure la voglia di volare. Adesso non esageriamo. Il mio punto di partenza è sempre di basso profilo, chiedo dunque qualcosa che di più umano non c’è: condivisione. Capita che quelle Domeniche sera così melanconiche debbano essere riempite da presenze reali, persone a cui raccontare com’è andata la settimana, persone da ascoltare, davanti ad una birra, ad un buon bicchiere di vino. Non sapete quanto sono fortunato di poter stare in quattro a tavola, la sera delle domeniche d’inverno. C’è familiarità, c’è protezione. Ma come, non mi basta? Da qualcosa devo pur partire ma alterno ancora troppo di frequente momenti di pia illusione telematica e brusche ricadute nella vuota realtà. Ci si può sentire soli in mezzo a tanta gente? Tendo ancora troppo spesso a rifugiarmi nel sistema più moderno di comunicazione che può essere anche il più alienante. E ancora adesso mi sento prigioniero di un mondo che non è il mio perché ancora faccio fatica a stare davanti ad una webcam. Imbarazzante. La mia noia esistenziale è un vuoto reale che non sarà mai una chiacchierata virtuale a riempire. Sotto certi punti di vista da un anno a questa parte non è cambiato proprio niente. Chi leggeva le mie elucubrazioni tempo fa non noterà sensazionali differenze. Voglio partire da una birra, da un vecchio amico. Mattina del 21 Novembre 2011, ore 7.05 Si può già essere così atrocemente riflessivi? Qualcuno mi svuoti il cervello.
 
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domenica 20 novembre 2011

Dai, e prendilo quell’aereo..


S
timoli stimoli e stimoli. La questione è tutta lì. Dove ci portano? Lontano, e ne sono convinto. Prendete la mia atavica paura di volare; non ci ho mai dato peso, soprattutto quando la mancanza di finanze ti impediva persino di immaginare un ipotetico viaggio. La giustificazione era pronta: non ci sono soldi, ho paura e tanto non posso permettermelo. Prendete ora la mia voglia di viaggiare e di liberarmi delle ragnatele che da tempo mi stanno avvolgendo. Aggiungete la sopraggiunta e tanto agognata indipendenza economica. Posso farlo! Oh Dio, adesso non posso più farne a meno, devo farlo! Non ho più scuse. Ora, non sempre il desiderio di conoscere posti nuovi può risultare sufficiente. Con chi farlo? Da solo? Ci può anche stare ma nonostante ne abbia più volte ventilato la possibilità, stento a convincermi. Da qualche tempo mi sto divertendo ad usare Skype. Vincendo la mia proverbiale timidezza sono passato dalla semplice chat, a quella vocale e finalmente all’uso della webcam. Mi diverte! Non ho molto tempo per stare ore in video ma mi piace l’idea di poter dare una mano al mio Inglese malato e allo stesso tempo fare nuove conoscenze. Lo stimolo sta lì. Se come molti affermano, il senso di un’amicizia sta anche nella concreta possibilità che ad essa si dà di diventare reale, perché limitarsi in nome dell’atavica paura? Io sono un diesel. Ce ne impiego eccome di tempo a carburare: i miei passi sono lenti, compassati. L’esperienza di questo 2011 mi dice che non c’è spazio per programmi a lungo termine. Ma la fantasia, quella, non mi manca. E allora mi concedo di immaginarmi seduto ( e terrorizzato ) all’interno di un aeromobile pronto a spiccare il volo. Non so quante volte avrò fatto questo discorso. Il post l’ho scritto per parlare di stimoli: quelli ci sono, non ci sono dubbi; a questo punto non posso fare altro che vincere la paura. Anche per dare un senso alle nuove conoscenze, anche per scoprire che se si può, si deve. Probabilmente questo articolo rimarrà come sempre lettera morta, rimarrà lì tra le tante cose dette e mai realizzate. Ma, tra viaggi devastanti su Trenitalia e fine settimana all’interno di quattro mura, qualche stimolo in più dovrei averlo.

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sabato 19 novembre 2011

Linea morbida

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ur non volendolo, oggi sono nostalgico. La mattina del Sabato inizia con il rito della palestra. Dieci anni fa un amico di scuola incontrato dopo altrettanti dieci anni di buio, prese in gestione un bar all’interno di un circolo con annessa palestra. Io all’epoca non sapevo nemmeno cosa fosse una palestra. Anzi, a dirla tutta odiavo l’idea di trovarmi in un luogo che aveva creato lo stereotipo del tutto muscoli e niente cervello. Ma provai, e da allora il rito si ripete. Poche volte, purtroppo. Questa mattina le mie corse ed i miei esercizi risultavano ben ritmicamente scanditi. Tutto avveniva al suono inconfondibile della musica degli anni 80. Per un attimo, ho pensato che mi sarei pure messo a ballare, se non ci fosse stata altra gente intorno. Io non metto piede in una discoteca da oltre 6 anni e sebbene io ormai sia alieno ad un certo tipo di ambiente, non mi tirerei indietro a chi mi offrisse una serata tutta dance. Ma solo ed esclusivamente se il ritmo è quello di mitici 80. Bene, vada per un po’ di nostalgia in questo Sabato tutto nuvole e niente nebbia, nel quale l’unico e primario intento è quello di riposare membra e cervello. Elemento di novità, a spezzare l’apparente monotonia, qualche avvisaglia Natalizia che ritorna nelle prime musichette di sottofondo alle pubblicità. In questo momento ciò passa del tutto inosservato. Accolgo con grande sorpresa la linea morbida di questo ultimo spezzone dell’anno, quasi avessi impostato l’opzione defaticamento sul tapis roulant. Devo ragionare a compartimenti stagni, è necessario per fare un punto ( il più obiettivo possibile ) della mia situazione. Il lavoro è quel che è con le sue problematiche ormai ripetitive fino alla nausea. Sappiamo tutti che quello è un sistema stagnante e paludoso nel quale o ti mangi la minestra oppure sai bene la fine che fai. Non è un segno di resa il mio, è la sintetica visione della cosa opportunamente raffrontata con ben altre problematiche: quelle al di là della porta antincendio. Mio padre sta proseguendo nella sua cura radioterapica. In fondo finché si è in gioco si deve giocare, e lui lo fa con la sua proverbiale tranquillità e senso pratico. Per noi che gli stiamo intorno un momento di apparente tranquillità dopo mesi di grande coinvolgimento. Siamo sempre nella solita barca, ma le acque ora sono calme. E vada per questo Sabato dall’aspetto anonimo. Mica può e deve sempre accadere qualcosa di cui io debba lamentarmi, no? Giuro non mi lamento, almeno fino a domani.

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venerdì 18 novembre 2011

Anche le gazzelle nel loro piccolo si incazzano

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a piccolo non ero goloso. Ricordo che nei pomeriggi estivi (passati quasi interamente in cortile con gli amici di sempre), mia madre spezzava la mia voglia di vivere e giocare con un panino. Era l’ora della merenda. Burro e acciughe, a me piaceva tanto. Ho una vecchia foto del mio primo compleanno nella quale sono intento a tagliare la torta; in un’altra la divoro impiastricciandomi il viso. Ma io non ricordo, anche negli anni a venire, di una mia passione per i dolci. Un’amica alla quale un giorno confessai di non essere goloso di Nutella mi additò: “Tu non sai vivere”. Oggi la Nutella fa parte della mia colazione quotidiana, due fette di pane che ingurgito alle 6 del mattino. Ci sono ben altri orari per godere di questo piacere ma a me non è concesso. Capita che, quando il barattolo di vetro sta per finire, con il cucchiaio cerco disperatamente di raccogliere quanto rimane fino all’ultima palettata. Non chiedetemi il perché di questa premessa. Chi mi conosce sa che i miei discorsi hanno introduzioni che partono dalla notte dei tempi. Ci ho pensato oggi, mentre a Porta Nuova aspettavo il treno, dopo il lavoro. La metafora del vasetto di Nutella a cui cerchi di togliere tutto, fino in fondo, fino a renderlo pulito. Scavi scavi e scavi. Non solo i bambini sono golosi, anche gli adulti. Il loro barattolo di Nutella spesso siamo noi: siamo dolci, spalmabili, andiamo bene a qualsiasi ora. Tanto il dolce è qualcosa che torna sempre bene. Ci sono gazzelle incazzate negli ultimi tempi. Ci sono barattoli di Nutella che ormai sono quasi del tutto vuoti eppure, i golosastri sono lì a cercare di pulirli a palettate. Non mi piace vedere gazzelle incazzate. Non mi piace sentirmi un barattolo di Nutella. Eppure i tempi sono questi. Siamo alle solite. Io non credo che ci si potrà permettere di pensare che le gazzelle continueranno a correre senza fermarsi. Io non credo che una volta svuotato, il barattolo di Nutella potrà facilmente essere gettato nella spazzatura. Qui la situazione non mi piace. La metafora sembrerà banale ed idiota ma ci sta, me lo riconoscerete. Io sono un po’ stufo di sentirmi gazzella e barattolo di Nutella al tempo stesso. A questo punto mi attendo una reazione d’orgoglio. Sempre rimanendo dell’idea che sentirsi un po’ barattoli di Nutella ci può stare se si contestualizza la cosa, non mi va bene che si possa pensare che la cosa andrà avanti a lungo. Forza e coraggio gazzelle, incazzatevi. Vediamo cosa succederà. 

 
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giovedì 17 novembre 2011

Nebbia

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amma mia, quattro giorni che non scrivo nulla. Non mi accorgo del tempo che passa tanto è (sempre più) frenetica la vita che conduco. Sia bene inteso, parlo di quella “vita” che non ha niente a che vedere con la realtà. Il lavoro non è vita, ne fa solo parte; salvo casi eccezionali ( come il mio ) in cui, vuoi per l’incapacità del soggetto, vuoi per cause di forza maggiore, quelle 8 ore finiscono per rompere gli argini dell’ufficio e maledettamente ti costringono ad uno straordinario non voluto. La nebbia. Voglio parlare di lei perché con lei mi alzo e con lei mi addormento la sera da almeno una settimana. Nebbia il più delle volte significa: dolori alle ossa, emicrania, temperatura percepita inferiore a quella reale, grandi disagi per chi è obbligato a vedere dove sta andando. Essa spesso regala un’immagine distorta della realtà, ti inganna, ti disorienta. Può darsi poi che vada pure ad insinuarsi là, dove idee ed opinioni stanno di casa distorcendo anche quelle. Ci sono persone dal cervello annebbiato. Di ognuno di noi riescono a stento a scorgere la sagoma, la scorza, i tratti distintivi. Ma solo quelli superficiali. Per diversi anni ho avuto l’ingenua presunzione che gli altri capissero chi fossi realmente. Non era possibile che non ci riuscissero, sostenevo; mi riferisco in particolar modo a coloro cui avevo dato molto di me, quelli che sapevano chi avevano davanti. Invece con l’andar del tempo ho capito che non è così, che la gente si ferma lì dove può arrivare. Ed anch’io ho cominciato a fare lo stesso. Perché sforzarsi di capire gli altri? E perché arrabbiarsi se gli altri non arrivano ad intendere ciò che sei? Accettazione consapevole, e reciproca. Ultimamente non mi costa nulla portare avanti la mia immagine superficiale. Tanto so che, in quel breve spazio di vita che mi rimane al di là del lavoro, io sono Enzo. Non pretendo che chi non mi conosce veda ciò che non gli è chiesto di vedere. Partendo da questo presupposto tutto diventa più semplice no? Nessuno sforzo da parte di mia, nessuno sforzo richiesto agli altri. Chi se ne importa quindi della nebbia; continuo a lamentarmi di quella inevitabile. Non ho chiesto io di nascere qui, tra due fiumi, ma ci può stare. Di quella che offusca il cervello e la vista di molte persone beh, che dire, non c’è sistema o marchingegno tali da risolvere loro il problema. Attenzione però: prima o poi capita di sbattere.
 
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domenica 13 novembre 2011

Un bel respiro

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eri mi sono concesso un’uscita serale. Tanto è inutile che continui a lamentarmi; non ci sarà mai (di certo) un fine settimana nel quale avere un aspetto presentabile. Sarà sempre così, almeno fino a che sarò a Torino. Se guardo il mio stato mentale e fisico al Venerdì sera, ogni weekend lo passerei coperto da ragnatele sempre più spesse. Nella mia mente passa di tutto non appena sopraggiunge la crisi esistenziale. E’ qualcosa di ciclico. Penso ad esempio alla concreta possibilità di cambiare lo stato di cose; ne traggo la conclusione secondo cui ciò è strettamente legato al mio progressivo avvicinamento a casa. Succederà: magari non a breve, ma succederà. Lo imporranno non solo le mie esigenze ma anche ( e soprattutto ) quelle delle persone che ho più vicine. Di qualità della vita avevo già parlato tempo fa, quando fui preso da sconforto in un momento di particolare tensione emotiva. Ne avevo concluso che, pur essendo nel diritto di lamentarmi, ciò non avrebbe sostanzialmente mutato le cose. Ed infatti tutto è sempre tremendamente uguale. Ne ho preso coscienza ma ho i miei bei cedimenti: non sarei un uomo se non li avessi. Ed è a questo punto, quando le difese si abbassano paurosamente, che si aprono pericolosi varchi per il passaggio delle paure più recondite. Lo stress accumulato in particolare in questa ultima settimana ha acuito il mio senso di disagio sul lavoro. Guai, ripeto, guai al mondo se cominciassi a perdere quella percezione e predisposizione positive che, hanno permesso di superare ogni difficoltà fino ad ora. Me ne accorgo quasi subito. Più divento indisponente, più certe persone e certe situazioni cominciano ad infastidirmi, peggio è. Ogni giornata lavorativa si trasformerebbe in un inferno, ogni occasione sarebbe buona per scatenare rabbia repressa ( e ne ho un bel po’!! ). Si rende dunque necessario un momento di riflessione. Mi fermo, faccio un bel respiro, e riparto subito. Riparto dalla necessità evidente di riappropriarmi di ritmi a me più consoni. A cominciare proprio dal lavoro, dove si sa, tutti sono utili ma nessuno ( ripeto NESSUNO ) è indispensabile. Calma Enzo, calma. Non dico di fare le capriole, non dico di non lamentarmi, non dico neanche di essere soddisfatto. Ma, la vita è la fuori. Me lo sto ripetendo in continuazione. Occorre fare qualcosa per renderla più piacevole: gli sforzi devono andare in questa direzione e non verso una causa che non merita nemmeno un attimo di paura.
 
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venerdì 11 novembre 2011

Brancolando

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rendetelo come uno sfogo. Non vedevo l’ora di sedermi davanti a questo foglio; a volte scrivere ciò che penso mi aiuta a fare chiarezza, a capire se certe reazioni e considerazioni siano frutto dell’istinto oppure no. Se mentre scrivo mi accorgo di “ragionare” vuol dire che la mia iniziale presa di posizione non era corretta. Settimana allucinante, per condizioni ed intensità di lavoro. Venerdì: non riesco a fare quell’operazione di architettura mentale che consiste nel vedere il Venerdì non come “coda” della settimana ma come portone verso il weekend. Normale che si arrivi a questo giorno stanchi. Ma è la prospettiva a dover avere la meglio. Non ce la faccio. Venerdì per me è il risultato finale, il conto a fine pasto quando, a pancia piena, non hai molta voglia di alzarti. Eccolo lì, è sempre un problema di predisposizione mentale. E me le tiro poi. Arrivo a Porta Nuova; chissà perché vado contro “norma” e decido di prendere il 52. Non passa. Prendo la metro, ci salgo su e....Guasta! Non aspetto, ritorno su, poi ecco l’annuncio, la metro riparte. Arrivo in ritardo. Una strana angoscia mi pervadeva oggi. Il primo utente ha pagato dazio, suo malgrado. Ci sono cose che mi fanno incazzare di brutto: ma di brutto brutto. Mi indispone il fatto che accadono ( o si permette accadano ) situazioni che hanno dell’assurdo, che rappresentano l’archetipo dell’illogicità. Situazioni che mai e poi mai ti saresti immaginato in un certo tipo di luogo. Mi fanno incazzare a tal punto che mi esce persino una flebile voce con cui provo a farmi una ragione. Si perché prima che io alzi i toni ne passa.. Eppure oggi ho imparato una cosa. Esiste una bella libertà: quella di sbagliare. Sbaglio, continuo a farlo, e quasi quasi me ne vanto. Perché è pur vero che chiedere rappresenta sempre un bel gesto di umiltà ma, ad un certo punto devi avere il coraggio anche di sbagliare da solo. Non tollero l’idea di essere messo nella condizione di commettere errori. Se da un lato sono severissimo con me stesso quando sbaglio, non voglio assolutamente raddoppiare la dose qualora io non c’entrassi niente. Continuerò a sbagliare, tanto gli errori tornano. Ma c’è un errore ancora più madornale e sta sempre in colui che insegna, che dovrebbe illuminarci onde evitare di cadere. Non c’è maestro laddove io sto, non c’è bacchetta ( forse sarebbe esagerato ), non c’è nulla. E in quel nulla io brancolo, a volte avvolto dalla netta sensazione di non avere appreso alcunché di quel poco che mi è stato trasmesso. Brancolo. Ciò mortifica, e legittima una sorta di menefreghismo e superficialità che non sono mie. Mi devo adattare al contesto?
 
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giovedì 10 novembre 2011

Il bradipo

F
inire una giornata di lavoro sorridendo di gusto non è cosa da poco. Ed è una cosa nemmeno difficile da immaginare quando tra alcuni colleghi si instaura un rapporto che va al di là della solita collaborazione imposta dall’ambiente. Stiamo tenendo ritmi intensi e ci sono due modi per sopravvivere a certe giornate: godere per quanto possibile del calore di casa e di un po’ di silenzio oppure magari sorridere e farlo di gusto. Temo che molte persone mi definiscano una persona ombrosa, dallo sguardo sempre triste. Ci sono addirittura volte in cui, anche quando sono di umore neutro, qualcuno mi legge malinconia negli occhi. Pure nelle foto tendo ad indossare sempre occhiali da sole per mascherare tutto ciò. Perché a furia di dirtelo, poi finisci con il crederlo. Sbagliatissimo. Si, è pur vero che sorrido poco nelle foto, semplicemente perché ritengo mi si disegni un’espressione idiota. Non amo che mi si imponga una posa, per cui finisco con l’essere del tutto finto. A me ridere piace, piace soprattutto con persone che in un certo qual modo mi spingono oltre la barriera di serietà dietro cui mi rifugio quasi sempre. Non triste, non ombroso. Semplicemente serio. Sono serio, dai, sono una persona seria. E’ durato lo spazio di un giorno il piacere di godere del mio caro e vecchio regionale. Oggi, sono di nuovo sul solito lugubre vagone a due piani che infonde tanta tristezza. Ma oggi c’è qualcosa di cui è giusto fare menzione: è ritornato il sole. Questa mattina, il marciapiede del binario si era affollato di sagome dai contorni incerti, complice la nebbia. Poi, man mano che ci si avvicinava a Torino il cielo si è sgomberato della polvere grigia ed eccolo lì, il sole. Giornate come queste, trascorse al lavoro, sono davvero sprecate. Novembre è un mese ibrido. Non ho possibilità di chiedere ferie, e non c’è alcuna festa in grado di spezzare la monotonia di settimane tutte uguali. Mi cullo volentieri in questo letto novembrino, in fondo talvolta, anche ciò che apparentemente sembra immobile può essere opportunamente utile al nostro scopo. Se questa coda del 2011 mi vuole concedere una fase di stanca, ben venga. Altrimenti poi finirei con il lamentarmi ancora. Quindi, accogliamola questa fase. Ieri ho parlato di tartarughe e gazzelle. Ma fare il bradipo a volte non guasta.
 
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mercoledì 9 novembre 2011

Tartarughe e gazzelle

L
a notizia non poteva passare inosservata. Qualche minuto fa, giunto sul binario 10, notavo con mio grande stupore che il mio caro e vecchio regionale delle 17.20 era tornato. Intendo quello classico, con sedili comodi e spazio a sufficienza per poggiare il mio portatile sulle gambe. Che bello! Approfitto dunque di questi pochi minuti di autonomia della batteria per sciorinare qualche considerazione. Ne avrei molte da fare. Ad esempio potrei dedicare qualche riga all’elogio dell’inutile, a tutto ciò di cui si parla, si litiga, si chiede persino l’intervento dei piani alti ed è perfettamente, totalmente, assolutamente inutile. Provate ad immaginare una impari competizione in velocità tra tartarughe e gazzelle. Chi vince? Bene. Ma alla fine tra le due chi si danna meno l’anima per arrivare al traguardo? Ecco, ci sono gazzelle e ci sono tartarughe. Poi ci sono tartarughe lente di natura e quelle che ci fanno. Queste ultime ci fanno, hanno molto tempo da perdere, e per questo si lamentano. Le gazzelle? Le gazzelle corrono, non pettinano le bambole. Dove sta l’inutilità? Nelle argomentazioni, nei capricci, nelle esigenze idiote. E allora, continuo a sentirmi gazzella. Potrei sciorinare altri pensieri in materia di disponibilità. Disponibile ed intelligente. Una bomba ad orologeria. Non c’è niente di più pericoloso che accendere una miccia in questi casi. Io voglio passare per deficiente, inetto e totalmente indisponibile. So con certezza che non potrà mai essere così. Pazienza, non mi piace parlare di cose inutili, sono disponibile, magari di un’intelligenza modesta. Risultato, ho ottime probabilità di essere il prescelto. Che culo! Ho anche ritrovato la mia stella cometa. Gli alberelli illuminati del Bennet squarciano il buio pesto delle 18,00 e mi annunciano l’arrivo a destinazione. Non ci sono più punti di riferimento al di fuori del finestrino, tutto è nero. E poi, eccoli, gli alberelli del Bennet!!!! Oh mio Dio, li hanno già accesi! A pensarci bene, manca poi solo un mese e mezzo a Natale. Me lo ricorderanno ogni giorno, gli alberelli del Bennet che Natale si sta avvicinando. A proposito di cose importanti, oggi ho mangiato una torta fantastica. Godersela dopo aver tirato giù la tendina e buttato alle spalle l’orda presuntuosa della gente spazientita, non ha prezzo. Buon Natale….ehm non esageriamo, buon rientro, Enzo.
 
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lunedì 7 novembre 2011

Relax? Tutte balle.

H
o trascorso un weekend noiosissimo. I presupposti c’erano tutti: previsioni meteorologiche in primis. Venerdì, a fine lavoro, stravaccato sulla mia poltrona e braccia incrociate dietro la testa mi vantavo del fatto che avrei passato un fine settimana all’insegna del relax. Che poi quando lo dico, sono il primo a non crederci più di tanto. Vorrei fare altro, senza ogni volta, dover tirare fuori la solita giustificazione del riposo. A quest’ora a furia di riposare durante i weekend, dovrei essere un fiore. Invece paio la brutta copia di Zio Fester. Tutte balle dunque le storie del relax. Tanto è vero che arrivato a Domenica sera, puntualmente mi attraversa il solito senso di colpa per non aver magari colto anche una piccola occasione. Sto lavorando molto, dai. Ma no, cosa avete capito? Pratiche di residenza? Si, quelle ormai fanno parte del quotidiano. Sto lavorando in vista del nuovo anno: ok, lo sappiamo che non ha alcun senso pensare che finisce un anno e improvvisamente tutto deve cambiare. Lo so. Però so perfettamente che questo che se ne va è stato l’anno della semina. E dopo la semina non arriva il raccolto? Cosa metterò nel mio cesto? Sto provando a dare un senso ed una spiegazione plausibile ad alcuni rapporti virtuali. Dare senso significa fare in modo che possano concretamente rivelarsi un’occasione. Ne ho bisogno di occasioni, ho bisogno di sentirmi attivo e partecipe; importante è essere propositivo perché se ti metti in attesa fai tempo a morire. Fare sicuramente in modo che l’elemento lavoro e lo stress che ne deriva finiscano con l’occupare l’angolino più remoto della mia esistenza. Ho molta paura. La parola “programma”, il solo verbo “organizzare” mi mette angoscia, visti i precedenti. Vabbè non pensiamoci. Torniamo al weekend noiosissimo: in tempi non sospetti, trascorrere una trentina di ore con lo sguardo fisso nel vuoto avrebbe innescato un meccanismo assai pericoloso. Sebbene non ami particolarmente ritrovarmi a Domenica sera con gli occhi arrossati da Pc, sempre meglio che perdermi nei soliti meandri contorti della coscienza. Di weekend in weekend, devo smetterla di parlare di riposo. Non è vero: non c’è relax, non c’è riposo. Ho bisogno di stimoli.


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sabato 5 novembre 2011

Un vigliacco di natura

C
he bella la pioggia del Sabato mattina. Più la senti cadere forte più ti raggomitoli sotto le coperte. Non c’è situazione capace di regalare un piacere maggiore. Peccato si tratti della stessa pioggia che da tempo non dà scampo all’uomo. Gli toglie la vita nel peggiore dei casi, quando va bene lo priva per sempre di ciò che ha più caro, la casa, i ricordi, magari un’automobile acquistata con sacrifici. Non parlo mai di attualità in questo blog e la ragione credo la sappiate: per quanto si cerchi di manifestare un proprio parere su questo o quel fatto, il rischio di cadere nella più banale retorica è grande. Eppure non ci dovrebbe essere alcuna vergogna o timore di risultare scontati, soprattutto quanto si fotografa una situazione di fatto. Le mie considerazioni a fronte delle devastazioni di questi giorni puntano sull’uomo. Perché è lui il principale responsabile di quello che sta accadendo. Fa pena vedere quei volti distrutti dal dolore, incute timore sentire le urla di quella gente, generano compassione i volti inermi di chi ha ormai solo sé stesso da salvare. L’uomo. Un piccolo, ignobile puntino chiamato semplicemente a vivere. A farlo, possibilmente nel rispetto del suo simile. Il pressoché inesistente senso civico dell’essere moderno è causa di molti mali: l’odio verso i propri simili, la dissennata ed arbitraria gestione di ciò che è lì ed è lì perché qualcuno ce l’ha messo. Non stiamo a sindacare di chi sia opera la natura, di come ci ritroviamo circondati da certe magnificenze. Ognuno creda quel che vuole. Quello a cui non si riesce a credere è come un essere assolutamente ignobile di fronte a tanta grandezza, possa permettersi di scavalcarne regole ed esigenze. E’ vero, non abbiamo chiesto di venire al mondo, di dover lavorare per vivere, di guadagnare denaro per farlo in modo decente. Ma non per questo, una volta caduti qui, siamo tenuti a sfidare chi è più grande di noi in modo vigliacco. Perché l’uomo, è un vigliacco di natura, e lo è proprio nei confronti del soggetto sbagliato. Chi più della natura è capace di vendicarsi dei torti subiti? Chi più di lei riesce a farlo nel peggiore dei modi? Abbiamo scelto il nemico più acerrimo da sfidare. Piangiamo, piangiamo ancora. Non possiamo fare altro. Il denaro sappiamo muove tutto. Ma non può tutto: genera ribrezzo il solo pensiero che esseri dotati di un sofisticato meccanismo cerebrale come gli uomini soffrano ancora di questa immane debolezza. Cedere ad un effimero piacere, quale quello generato dal denaro in nome di un rischio così grande. Bestiale. Anzi no, umano.
 
genova-alluvione

mercoledì 2 novembre 2011

Post innocuo

L
e previsioni sono catastrofiche, ovvero piogge abbondanti per i prossimi quattro o cinque giorni. Un po’ egoisticamente, ma istintivamente ho pensato al sottoscritto e alle possibili difficoltà di spostamento in direzione Torino. A volte non si può dare colpa a Trenitalia e tutto dipende da chi decide e sta più in alto di noi. Non amo la pioggia anche se contestualizzata alla stagione in corso, la si deve accettare più consapevolmente. Quel che proprio non mi va giù è la quasi totale assenza di luce. Maledetta ora solare! Tra qualche tempo, quando la nebbia tornerà ad imperversare non riuscirò nemmeno più a vedere in volto i miei compagni di viaggio che attendono il treno sullo stesso marciapiede; ne intravedrò la sagoma e le nuvolette di vapore che fuoriescono dalla bocca. Come mi sento ( Faccio finta che qualcuno me lo chieda e rispondo.. ) ? Vivo uno stato di calma apparente. Oggi ho preso un giorno di ferie ma non pensiate che lo abbia dedicato all’ozio totale. Io non posso pensare, lo sapete no? Stare a casa è indubbiamente la condizione principe affinché il cervello possa prendere direzioni spesso non gradite. Quindi via, mi sono dato da fare e ho preso la strada del centro città. Ho volutamente fatto un percorso che mi avrebbe portato ad incontrare persone che ho occasione di vedere davvero di rado. Ed è stato davvero piacevole passare un po’ di tempo con loro. Pomeriggio, beh, un po’ di acquisti compensativi che ultimamente spaziano nel settore dell’abbigliamento. Ma poi mi chiedo: “ Ma a cosa servirà mai svecchiare il guardaroba?”. Sarebbe meglio cominciassi a togliermi io, le ragnatele, poi ci metterò su qualche abito decente. Gli abiti pesanti proteggono dal freddo ma nulla possono fare quando il freddo ce lo hai dentro. In quel caso il calore non si compra al centro commerciale. Guarda un po’, stavo per cadere nella solita litania. Per carità, non sia mai. Le mie giornate regalano sempre qualcosa di nuovo, qualcosa di sano, qualcosa che ha a che fare con la vita. E mi accorgo che, produrre articoli del tutto innocui come questo è un sintomo di grande miglioramento. Non significa cadere nel superficiale, significa che mi sto guardando intorno.

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martedì 1 novembre 2011

Tanto fumo e niente arrosto

I
o vorrei tanto fare una vacanza. Non pretendo la luna, mi basta un fine settimana. Fermo restando che non ho grande spazio di movimento ( solo luoghi raggiungibili via terra ), desidererei trascorrere alcuni giorni in compagnia. Niente di più normale e naturale. Sebbene io ami sempre avere tutto sotto controllo, considerando quanto poco io mi fidi delle capacità organizzative altrui, pare strano ma ciò che più desidero in questo momento è partire, limitando i compiti alla sola valigia. Vorrei dunque che un immaginario compagno di viaggio organizzasse tutto e mi chiedesse semplicemente di aggregarmi. Sono pretenzioso? Si, se consideriamo che non ho compagni di viaggio e che nessuno si sognerebbe mai di prendere l’iniziativa nei miei confronti. Purtroppo è una costante di questi ultimi tempi: la ragione mi induce a desiderare momenti di svago assoluto, immagini da fotografare con la mia nuova reflex, totale rilassamento. In coscienza poi ogni desiderio è frustrato e abbattuto dal solo pensiero per cui nulla di tutto ciò che immagino è realizzabile. Ci metto come sempre del mio. La vacanza è qualcosa di sacro e l’idea di passare qualche giorno con perfetti sconosciuti mi frena. Ma allora cosa voglio??? Ah, scusate viene da ridere anche a me. Io sono tutto matto e partendo da questo presupposto ciò che dico acquista senso. Ma non vi è mai capitato di desiderare a tutti i costi una cosa e poi, quando si palesa la possibilità di averla, vi tirate indietro? Se vi è capitato, cosa vi ha spinto a rinunciare? Nel mio caso non voglio altro che questo: staccare la spina, di tanto in tanto. Lo posso fare; per fortuna ho un lavoro che mi garantisce autonomia, ho la possibilità di organizzare. Cosa manca? La consapevolezza di fare le cose da solo, pur di farle. Non si può eternamente cercare la perfezione. La vita è una, i momenti di reale distensione davvero rari. Ritornando al mio pensiero, non c’è bisogno di condividere, non c’è bisogno di guardare con quattro occhi ciò che si può fare benissimo con due. Non sono comunque pronto. Sono invece assolutamente certo di rinunciare alle prossime vacanze, siano esse un ponte, Capodanno od altro. So già che rinuncerò. Io non voglio ciò che voglio. Ma se tenete conto che sono un matto da legare, tutto ha un senso. Non mi piace farmi conoscere come persona propositiva, che chiede aiuto e poi dimostrare di essere un incoerente, un “tanto fumo e poco arrosto”. Mettiamola così: son matto, incoerente e non so ciò che voglio. Ma almeno ora lo sapete anche voi.
 
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